MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME VI CAPITOLO 403



CDIII. La lezione del silenzio. Simone di Giona in una sua lotta e vittoria spirituale.­

   25 marzo 1946. In Nomine Domini.

   403.1­E ti ripiglio finalmente, dolce Evangelo, santa sequela del mio Maestro per le vie di Palestina! Fatte tutte le ubbidienze, ti riprendo. Meglio detto: «Mi riprendi».
   Non so se c’è chi riflette sulla lezione muta, ma tanto formativa, che dà il Signore coi suoi silenzi, causati da tre motivi diversi: I° la pietà per la debolezza del portavoce malato e delle volte tutt’affatto morente; II° la punizione del silenzio per chi non si comporta bene verso il suo dono; III° la lezione che mi dà, ed è quella di cui voglio parlare, del dovere di ubbidire sempre, anche se è un’ubbidienza che ci può parere inferiore al lavoro che sospendiamo per essa.
   Oh! non è facile essere «voci»! Si vive sempre in un esercizio continuo di vigilanza e ubbidienza. E Gesù, Lui che è il Padrone del mondo, non si permette di far trasgredire l’ubbidienza che sta compiendo il suo strumento, quando è ubbidienza data da chi è in veste di poterla dare.
   Io, in questi giorni, dovevo ubbidire alle cose che mi aveva detto di fare P. Migliorini. Erano burocratiche alquanto, e perciò noiose alquanto. Ma Gesù non è mai intervenuto, perché dovevo fare l’ubbidienza. E esatta, totale, come ieri ha detto Azaria[87] nella sua spiegazione della S. Messa.
   Ma ora, fatto tutto, ­ti posso contemplare, o mio Signore che scendi per strade scoscese verso una fertile valle, lasciando dietro alle tue spalle il castello di Bétèr, ancora luminoso nel giorno morente, lassù in cima al suo colle fiorito… Lasciando lassù l’amore delle discepole, dei piccoli, degli umili, e scendendo verso le vie che vanno a Gerusalemme, verso il mondo, verso il basso… E non sono più oscure delle vette soltanto perché sono «valle» — e perciò il sole, la luce, da tempo l’hanno lasciata — ma perché, soprattutto perché in basso, nel mondo, c’è l’agguato, c’è l’astio, tanto male c’è ad attenderti, mio Signore…

   403.2Gesù è in testa a tutti. Forma bianca e silenziosa che incede maestosa anche nello scendere per i sentieri malagevoli e diruti, presi per abbreviare la via. Nella discesa la lunga veste, l’ampio mantello strusciano sulla china, e Gesù pare già avvolto in manto regale che faccia strascico dietro ai suoi passi.
   Dietro a Lui, meno maestosi, ma ugualmente silenziosi, gli apostoli… Ultimo Giuda, un poco distanziato, nel suo rovello cupo che lo fa brutto. Qualche volta i più semplici — Andrea, Tommaso — si voltano a guardarlo, e Andrea anche gli dice: «Perché stai così solo, indietro di tanto? Ti senti male?». Il che provoca un aspro: «Pensa a te», che stupisce Andrea, molto più che è accompagnato da un basso epiteto.
   Pietro è il secondo della fila degli apostoli, dietro a Giacomo d’Alfeo che segue immediatamente il Maestro. E Pietro sente, nel grande silenzio della sera fra i monti. E si volta, di scatto. E di scatto sta per tornare indietro, andare da Giuda. Poi si arresta sui due piedi. Pensa un momento, poi corre da Gesù. Lo prende rudemente per un braccio e lo scuote dicendo con ansia: «Maestro, mi assicuri che è proprio come mi hai detto l’altra sera? Che sacrifici e preghiere non sono mai senza riuscita, anche se sembra che non servano?…».
   Gesù, mite, triste, pallido, guarda il suo Simone che suda nello sforzo di non reagire subito all’insulto, che è paonazzo, che trema persino, che forse gli fa male, tanto lo tiene rudemente al braccio, e risponde con un sorriso di mesta pace: «Non sono mai senza premio. Siine sicuro».

   403.3­Pietro lo lascia e va, non al suo posto, ma sulla china del monte, fra gli alberi, e si sfoga a rompere, a rompere arbusti e giovani piante, con una violenza che era diretta altrove e che si scarica qui, sopra dei tronchi.
   «Ma che fai? Sei matto?», gli chiedono in diversi.
   Pietro non risponde. Rompe, rompe, rompe. Si lascia sorpassare da tutta la fila degli apostoli, da Giuda… e rompe, rompe, rompe. Pare lavori a cottimo, tanto va con velocità. Ai suoi piedi è un fastello che basterebbe ad arrostire un vitello. Se lo carica a fatica e si dà a raggiungere i compagni. Non so come faccia, così impicciato dal manto, dal peso, dalla bisaccia, dal sentiero malagevole. Ma tanto va, curvo molto, come sotto un giogo…
   E Giuda ride vedendolo venire e dice: «Sembri uno schia­vo!».
   Pietro torce a fatica il capo da sotto il suo giogo e sta per dire qualcosa. Ma tace, stringe i denti e va avanti.
   «Ti aiuto, fratello», dice Andrea.
   «No».
   «Ma per un agnello è troppa questa legna», osserva Giacomo di Zebedeo.
   Pietro non risponde. Va avanti così. E non deve poterne più. Ma non cede.

   403.4Infine, presso una grotta quasi in fondo alla scesa, Gesù si ferma, e con Lui tutti. «Staremo qui, per partire alle prime luci», ordina il Maestro. «Preparate la cena».
   Allora Pietro butta a terra il suo carico e ci si siede sopra, senza spiegare ad alcuno il motivo di quella sua grande fatica, mentre legna è da per tutto.
   Ma quando chi va qui e chi là per prendere acqua da bere, per pulire il suolo della grotta, per lavare l’agnello da cuocere, e Pietro resta solo col suo Maestro, Gesù, in piedi, posa la mano sul capo brizzolato del suo Simone e carezza quel capo onesto…
   Allora Pietro afferra quella mano e la bacia, e se la tiene contro la guancia e la ribacia, la carezza… Una goccia scende sulla mano bianca, una goccia che non è sudore del rude e onesto apostolo, ma è il suo pianto silenzioso di amore e di pena, di vittoria dopo lo sforzo.
   E Gesù si china, e lo bacia dicendogli: «Grazie, Simone!».
   Ecco, Pietro non è certo un bell’uomo. Ma quando rovescia indietro il capo per guardare il suo Gesù, che lo ha baciato e ringraziato perché Egli, solo Egli ha capito, la venerazione, la gioia lo fanno bello…
   E su questa trasformazione mi cessa la visione.

[87] come ieri ha detto Azaria in uno dei commenti alle Messe festive, che fanno parte del “Libro di Azaria”.