MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

A A A

VOLUME VI CAPITOLO 409



CDIX. Il dramma familiare del sinedrista Giovanni.­

   2 aprile 1946.

   409.1­Giuseppe d’Arimatea è in riposo in una stanza semioscura perché tutte le tende sono calate per riparo del sole. Un silenzio assoluto è per tutta la casa. Giuseppe sonnecchia su un basso sedile coperto di stuoie… Entra un servo, si dirige al padrone, lo tocca per svegliarlo. Giuseppe apre gli occhi assonnati e guarda il servo interrogativamente.
   «Padrone, c’è il tuo amico Giovanni…».
   «Il mio amico Giovanni?! Come qui, anche se non è finito il sabato?!». Giuseppe si è destato di colpo sotto la sorpresa della visita di un sinedrista in giorno di sabato. E ordina: «Fàllo subito entrare».
   Il servo esce e Giuseppe, mentre attende, passeggia pensieroso per la stanza semioscura e fresca…
   «Dio sia con te, Giuseppe!», dice il sinedrista Giovanni, quello che vedemmo[98] già nel primo banchetto dato ad Arimatea a Gesù e anche in casa di Lazzaro all’ultima Pasqua, sempre in veste, se non di discepolo, almeno di non astioso per Gesù.
   «E con te, Giovanni! Ma… sapendoti giusto, mi stupisco vederti avanti il tramonto…».
   «È vero. Ho infranto la legge sabatica. E ho peccato sapendo di peccare. Dunque grande peccato il mio… E grande sarà il sacrificio che consumerò per essere perdonato. Ma è anche molto grande il motivo che mi ha incitato a questo peccato… Jaavè, che è giusto, compatirà il suo servo colpevole in vista del grande motivo che mi ha spinto alla colpa…».
   «Una volta non parlavi così. Per te l’Altissimo era soltanto rigore, inflessibilità. Ed eri perfetto perché lo temevi come un Dio inesorabile…».
   «Oh! perfetto!… Giuseppe, a te non ho mai confessato le mie colpe segrete… Ma è vero. Giudicavo Dio inesorabile. Come molti in Israele. Ci hanno insegnato a crederlo così: il Dio delle vendette…».
   «E tu hai continuato a crederlo anche dopo che il Rabbi è venuto a far conoscere al suo popolo il vero Volto di Dio, il suo vero Cuore… Un volto, un cuore di Padre…».
   «È vero. È vero. Ma… non lo avevo ancora sentito parlare a lungo… Però… lo ricorderai, fin dalla prima volta che lo vidi al convito in casa tua, ho assunto un atteggiamento di… rispetto, se non d’amore, per il Rabbi».
   «È vero… Ma per il bene che ti voglio vorrei che tu passassi ad un atteggiamento d’amore per Lui. È troppo poco il rispetto…».
   «Tu lo ami, vero, Giuseppe?».
   «Sì. E te lo dico benché sappia che i principi dei sacerdoti odiano coloro che amano il Rabbi. Ma tu non sei capace di delazione…».
   «No. Non ne sono capace… E vorrei essere come te. Ma ci riuscirò mai?».
   «Io pregherò perché tu ci riesca. Sarebbe la tua salute eterna, amico…».

   409.2Un silenzio pieno di riflessioni…
   Poi Giuseppe interroga: «Mi hai detto che un grande motivo ti ha spinto a violare il sabato. Quale mai? Posso chiedertelo senza essere troppo indiscreto? Penso che sei venuto per avere aiuto dall’amico tuo… E per aiutarti devo sapere…».
   Giovanni si passa la mano sulla fronte, se la stringe, questa fronte ampia lievemente stempiata di uomo nella completa virilità, si carezza macchinalmente i capelli che appena cominciano a brizzolare, la barba folta e quadrata… Poi alza il capo e fissa Giuseppe dicendo: «Sì. Un grande motivo. E un penoso motivo. E… e una grande speranza…».
   «Quali?».
   «Giuseppe, lo pensi che la mia casa è un inferno e presto non sarà più una casa ma… ma una cosa devastata, dispersa, distrutta, finita?».
   «Che? Che dici? Vaneggi?».
   «No. Non vaneggio… Mia moglie vuole andarsene… Sei stupito?».
   «…Sì… perché… l’ho sempre conosciuta buona e… perché la vostra mi pareva una famiglia esemplare… tu tutto bontà… lei tutta virtù…».
   Giovanni si siede con la testa fra le mani…
   Giuseppe prosegue: «Ora… questa… questa decisione… Io… Ecco… non posso credere che Anna abbia mancato… o che tu abbia mancato… Ma ancora meno lo credo di lei… tutta casa, tutta figli… No!… In lei non ci può essere colpa!…».
   «Ne sei sicuro? Proprio sicuro?».
   «Oh! povero amico! Io non ho l’occhio di Dio. Ma per quanto posso giudicare, giudico così…».
   «Non pensi che Anna sia… infedele…?».
   «Anna?! Ma, amico! Il sole estivo ti ha ammalato il capo? Infedele con chi? Non esce mai dalla casa, preferisce la campagna alla città. Lavora come la prima delle serve, non fa che essere umile, schiva, operosa, amorosa per te, per i bambini. La donna leggera non ama queste cose. Credilo. Oh! Giovanni, ma su che fondi i sospetti? Da quando?».
   «Da sempre».
   «Da sempre? Ma allora la tua è una malattia!…».
   «Sì. E… Giuseppe, io ho molti torti. Ma non li voglio confessare a te solo. Ier l’altro sono passati dei discepoli da casa mia e dei poveri. Dicevano che il Rabbi era alla volta della tua casa. E ieri… ieri fu un giorno di grande tempesta per la mia casa… tanto che Anna ha preso la decisione che ho detto… Nella notte, e che notte, molto ho pensato… E ho concluso che solo Lui, il Rabbi perfetto…».
   «Divino, Giovanni, divino!».
   «…Come vuoi… Che solo Lui può guarirmi e riparare… ricostruire la mia casa, ridarmi la mia Anna… i miei figli… tutto…». L’uomo piange e fra le lacrime continua: «Perché solo
   Lui vede e dice la verità… e a Lui crederò…

   409.3Giuseppe, amico mio, lasciami stare qui ad attenderlo…».
   «Il Maestro è qui. Partirà dopo il tramonto. Te lo vado a chiamare», e Giuseppe esce…
   Pochi minuti di attesa e poi la tenda si scosta nuovamente per far passare Gesù… Giovanni si alza in piedi e si curva in deferente saluto.
   «La pace a te, Giovanni. Per quale motivo mi hai cercato?».
   «Perché Tu mi aiuti a vedere… e perché Tu mi salvi. Sono molto infelice. Ho peccato contro Dio e contro la mia carne gemella. E di peccato in peccato sono giunto a violare la legge del sabato. Assolvimi, Maestro».
   «La legge del sabato! Grande, santa legge! E lungi da Me il pensiero di giudicarla piccola e sorpassata. Ma perché la anteponi al primo dei comandamenti? E che? Tu chiedi assoluzione per avere violato il sabato e non la chiedi per avere mancato all’amore e torturato un’innocente, e portato alla disperazione e alla soglia del peccato l’anima della tua sposa? Ma di questo ti devi angustiare più di ogni altra cosa! Della calunnia che le hai fatta…».
   «Signore, solo con Giuseppe, poco fa, ne ho parlato. Con nessun altro, credilo. Tanto tenevo nascosto il mio dolore che Giuseppe, buon amico mio, non si era accorto di nulla e se ne è stupito. Ora egli te lo ha detto. Ma per venirmi in aiuto. Con nessun’altra persona parlerà il giusto Giuseppe».
   «Con Me non ha parlato. Mi ha detto soltanto che tu mi cercavi».
   «Oh! E allora come sai?».
   «Come so? Come sa Dio i segreti dei cuori. Vuoi che ti dica lo stato del tuo?»…
   Giuseppe fa per ritirarsi discretamente. Ma lo stesso Giovanni lo ferma dicendo: «Oh! resta. Tu mi sei amico! Tu puoi aiutarmi presso il Rabbi, tu, paraninfo delle mie nozze!…»; e Giuseppe torna presso i due.
   «Vuoi che te lo dica? Vuoi che ti aiuti a conoscerti? Oh! non temere! Non ho mano crudele. So scoprire le ferite, ma non le faccio sanguinare per curarle. So capire e compatire. E so curare e guarire, solo che si voglia essere guariti. Tu questa voglia ce l’hai. Tanto che mi hai cercato. Siedi qui, al mio fianco, fra Me e Giuseppe. Egli è stato il paraninfo delle tue nozze terrestri. Io vorrei essere il paraninfo delle tue nozze spirituali…
   Oh! se lo vorrei!… Così!

   409.4­E ora ascolta bene. E rispondi con schiettezza, a tutto. Tu come pensi che sia l’atto di Dio di creare l’uomo e la donna perché fossero uniti? Un atto buono o un atto cattivo?».
   «Buono, Signore. Come tutte le cose fatte da Dio».
   «Bene hai risposto. Ora dimmi: se l’atto era buono, quali dovevano essere le sue conseguenze?».
   «Buone parimenti, o Signore. E buone furono, nonostante che Satana sia entrato a turbarle, perché Adamo ebbe sempre conforto da Eva, ed Eva da Adamo. Anzi ancor più fu sensibile il conforto quando soli, esuli sulla Terra, furono l’uno all’altra di sostegno. E buone le conseguenze materiali, ossia i figli per i quali si propagò l’uomo e attraverso ai quali brillò la potenza e la bontà di Dio».
   «Perché? Quale potenza e bontà?».
   «Ma… quella svolta a favore degli uomini. Se guardiamo indietro… sì… vi sono giuste punizioni ma vi sono, e più numerose, le bontà… E bontà infinita è il patto stretto con Abramo, ripetuto a Giacobbe e su, su fino… fino al giorno d’oggi. E ripetuto da bocche senza menzogna: i profeti… fino a Giovanni…».
   «E da quella del Rabbi, Giovanni», interrompe Giuseppe.
   «Quella non è bocca di profeta… Quella non è bocca di maestro… È… di più».
   Gesù fa un sorriso appena accennato davanti alla… professione di fede ancora legata del sinedrista, che non giunge a dire: «È bocca divina», ma già lo pensa.
   «Dunque Dio ha fatto bene ad unire uomo e donna. È detto. Ma come volle che fossero uomo e donna?», chiede Gesù.
   «Una carne sola».
   «Va bene. Allora può la carne odiare se stessa?».
   «No».
   «Può un membro odiare l’altro membro?».
   «No».
   «Può un membro separarsi dall’altro membro?».
   «No. Solo una cancrena, o una lebbra, o una sventura possono recidere un membro dal resto del corpo».
   «Benissimo. Perciò solo una cosa dolorosa o malvagia può separare ciò che per volere di Dio non è che una unità?».
   «Così è, Maestro».

   409.5­«E allora perché tu, convinto di queste cose, non ami la tua carne, e tanto la odi da far sorgere una cancrena fra l’uno e l’altro membro per cui, cadendo in mortificazione, il membro più debole si separa e ti lascia solo?».
   Giovanni curva il capo tacendo e tormentando le frange della veste.
   «Io te lo dirò il perché. Perché Satana è entrato, turbatore come sempre, fra te e la moglie. Anzi, è entrato in te con un amore disordinato per la moglie. L’amore quando è disordinato diventa odio, Giovanni. Satana ha lavorato sulla tua sensualità di maschio per giungere a farti peccare. Perché da qui è cominciato il tuo peccato. Da un disordine che ha generato sempre più nuovi e grandi disordini. Nella moglie tu non hai visto soltanto la buona compagna e la madre dei tuoi figli. Ma anche l’oggetto di piacere. E questo ti ha fatto venire pupille come quelle del bue che tutto vede alterato. Hai visto come tu vedevi. Così hai visto tua moglie. Oggetto di piacere per te, l’hai giudicata tale anche per gli altri, donde la tua gelosia febbrile, la tua paura senza ragione, la tua prepotenza peccaminosa che di lei ha fatto una spaurita, una carcerata, una torturata, una calunniata. E che importa se tu non la bastoni, se tu non la vituperi pubblicamente? Ma il tuo sospetto è bastone! Ma il tuo dubbio è calunnia! Tu la calunni pensandola capace di giungere a tradire. Che importa se tu la tratti come il suo rango ti impone? Ma peggio di schiava nell’intimo della casa ella ti è, per la tua bestialità di lussuria che l’avvilisce oltre misura, che lei ha sopportato sempre in silenzio e con docilità sperando persuaderti, calmarti, farti buono, e che non è giovato che ad esasperarti sempre più, fino a fare della tua casa un inferno in cui ruggono i demoni della lussuria e della gelosia. La gelosia! Ma cosa vuoi di più calunnioso, per una moglie, della gelosia? E che di più chiaramente indicatore, dello stato reale di un cuore, della gelosia? Credi pure che dove essa si annida, e così stolta e irragionevole, infondata, offensiva, ostinata, no, non c’è amore di prossimo né di Dio. Ma c’è l’egoismo. Di questo, non di uno scorcio di sabato violato ti devi angustiare! E per essere perdonato devi riparare alla devastazione che hai provocata…».

   409.6«Ma Anna se ne vuole andare, ormai… Vieni a persuaderla Tu… Tu solo puoi, sentendola parlare, giudicare se proprio ella è innocente e…».
   «Giovanni!! Vuoi guarire e non vuoi credere a ciò che dico?».
   «Hai ragione, Signore. Mutami il cuore. È vero. Non ho motivo di fondato sospetto. Ma l’amo tanto… lussuriosamente, è vero… Tu hai visto bene… E tutto mi è ombra…».
   «Entra nella luce. Esci dal viluppo ardente del senso così feroce. Ti costerà sul principio… Ma molto più ti costerebbe perdere una buona moglie e guadagnarti l’inferno scontando il tuo peccato di disamore, calunnia e adulterio, e il suo, perché ti ricordo che chi spinge una donna al divorzio si mette e la mette sulla via dell’adulterio. Se saprai resistere per una luna, almeno per una luna al tuo demone, Io ti prometto che l’incubo sarà finito. Me lo prometti?».
   «Oh! Signore! Signore! Vorrei… Ma è un fuoco… Spegnimelo Tu. Tu potente!…». Il sinedrista Giovanni è scivolato in ginocchio davanti a Gesù e piange col capo sulle mani appoggiate al suolo.
   «Ed Io te lo sopirò. Te lo circoscriverò. Metterò freni e limiti a questo demone. Ma tu hai molto peccato, Giovanni, e devi lavorare da te stesso al tuo risorgere. I convertiti da Me sono venuti a Me col pieno volere di divenire nuovi, liberati… Avevano già operato, con le loro sole forze, il principio della loro redenzione. Così Matteo, così Maria di Lazzaro e altri ancora. Tu sei venuto qui solo per sapere se ella era colpevole e perché ti aiutassi a non perdere la fonte alla quale si abbevera il tuo piacere. Io circoscrivo il potere del tuo demone non per una, ma per tre lune. Durante questo tempo medita ed elevati. Proponi di prendere una nuova vita di sposo. Una vita di uomo dotato d’anima. E non la vita di bruto condotta fino ad ora. E fortificato dalla preghiera e dalla meditazione, dalla pace che ti dono per tre mesi, sappi lottare e conquistarti la Vita eterna e riconquistarti l’amore e la pace della sposa e della casa. Va’».

   409.7­«Ma che dirò ad Anna? Forse la troverò già pronta alla partenza… Che parole, dopo tanti anni di… offese, per persuaderla che l’amo e che non voglio perderla? Vieni Tu…».
   «Non posso. Ma è così semplice… Sii umile. Chiamala in disparte e confessa il tuo tormento. Dille che sei venuto da Me perché vuoi essere perdonato da Dio. E dille di perdonarti, perché il perdono di Dio ti sarà dato solo se lei te lo invoca e per prima te lo dà… Oh! infelice! Quanto bene, quanta pace hai disperso con la tua febbre! Quanto male crea l’indisciplina dei sensi, il disordine negli affetti! Su, sorgi! E va’ tranquillo. Ma non capisci che ella, perché è buona e ti è fedele, è più straziata di te per il pensiero di lasciarti e non attende che una parola tua per dirti: “Tutto ti è perdonato”? Su, va’. Il tramonto si è compiuto ormai. Non fai dunque peccato nel tornare alla tua casa… E di averlo fatto per venire al tuo Salvatore, il tuo Salvatore ti assolve. Va’ in pace. E non peccare più».
   «Oh! Maestro! Maestro… Io non merito queste parole!… Maestro… io… Io vorrò amarti d’ora in poi…».
   «Sì, sì. Va’. Non tardare. E ricorda quest’ora nell’ora in cui Io sarò l’Innocente calunniato».
   «Che vuoi dire?».
   «Nulla. Va’. Addio», e Gesù si ritira lasciando i due sinedristi commossi e accalorati nel giudicarlo veramente santo e sapiente come solo Dio può esserlo.

[98] vedemmo, in 114.4/6 e 375.5.