MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME VI CAPITOLO 405



CDV. Il riposo in un fienile e il discorso presso Emmaus della pianura. Il piccolo Micael.

   28 marzo 1946.

   405.1­Presso la porta di Emmaus vi è una casa di contadini. Silenziosa, perché tutti sono nei campi, al lavoro. Sull’aia già sono ammucchiati i covoni del giorno avanti. E vi sono fieni nei rustici fienili. Il sole cocente del mezzodì trae un odore caldo dai fieni e dai covoni. Non c’è alcun rumore fuorché lo sgrugolio dei colombi e il chiacchiericcio dei passeri, sempre pettegoli e rissosi. Gli uni e gli altri vanno senza tregua dal tetto o dagli alberi vicini ai mucchi di covoni e di fieni e, primi fra tutti coloro che gusteranno di quei prodotti, sbeccuzzano fra le spighe erette, si azzuffano con colpi d’ala, giostrano per carpire più semi, per rubare i fili più morbidi di fieno, avidi, battaglieri, spregiudicati.
   Gli unici ladri comuni in Israele, dove, l’ho notato, vi è un massimo rispetto della proprietà altrui. Le case hanno voglia di rimanere aperte e le aie o le vigne incustodite! Meno i rarissimi predoni di mestiere, i veri briganti che assalgono nelle gole dei monti, non ci sono i ladruncoli, o anche semplicemente i… golosi che allungano la mano alla pianta da frutto o al piccioncino altrui. Ognuno va per la sua via e, anche traversando le proprietà del prossimo, è come non avesse occhi e mani. Vero è che l’ospitalità è così largamente esercitata che non vi è necessità di rubare per poter mangiare. Solo per Gesù, e per causa di un odio che è tanto grande da far trascurare l’abitudine secolare di essere ospitali al pellegrino, solo per Lui si verifica il fatto di case che negano ospitalità e cibo. Ma per gli altri, generalmente, vi è sempre pietà, e specie nelle classi più umili.
   Così è che senza paura gli apostoli, dopo avere bussato alla casa chiusa e non avere trovato nessuno, si sono messi al riparo di una tettoia sotto la quale sono attrezzi agricoli e orci vuoti, e da padroni si sono serviti dei fieni per sedile, delle secchie per attingere al pozzo, degli orcioli per bere e bagnare così i bocconi di pane stantìo e di agnello freddo, che mangiano quasi in silenzio, tanto sono assonnati e sbalorditi dal sole. E, con la stessa libertà con cui si sono serviti dei fieni e degli orcioli, si sdraiano poi sui fieni odorosi, e presto è un coro di russamenti vari di tono e di durata.
   Anche Gesù è stanco. Più che stanco, mesto. Guarda per qualche tempo i dodici addormentati. Prega. Pensa… Pensa seguendo macchinalmente con gli occhi le lotte dei passeri e dei colombi e il saettare delle rondini sull’aia assolata. Sembra che gli stridi di queste veloci padrone del volo mettano affermazioni recise agli interrogativi penosi che si pone Gesù. Poi Lui pure si sdraia sul fieno, e presto i dolci e tristi occhi di zaffiro si velano sotto le palpebre, mentre il viso si compone nel sonno e, forse perché nel sonno sprofonda con la mestizia nel cuore, il suo volto prende molto dell’espressione stanca e dolorosa che avrà nella morte…

   405.2Tornano i contadini proprietari della casa. Uomini, donne, fanciulli. E con loro sono i discepoli visti prima. Vedono Gesù e i suoi dormenti sui fieni e spengono le voci in un sussurro per non risvegliarli. Qualche mamma allunga uno scappellotto al bimbo che non vuole tacere. O almeno ne fa l’atto.
   Un piccolo va con passetti di tortorino e un ditino in bocca ad osservare Gesù, «il più bello» dice, che dorme col capo appoggiato sul braccio ripiegato a far da guanciale. E tutti, scalzi, in punta di piedi, finiscono ad imitarlo, primi fra tutti Mattia e Giovanni, i quali si commuovono vedendolo così dormiente sul fieno, e Mattia osserva: «Come nel suo primo sonno anche ora, il nostro Maestro, e meno felice di allora… Anche la Madre gli manca…».
   «Sì. Non ha che la persecuzione vicina sempre. Ma noi lo ameremo sempre, lo amiamo sempre come in quell’ora…», risponde Giovanni.
   «Più ancora, Mattia. Più ancora. Allora amavamo solo per fede e perché è dolce amare un bambino. Ma ora noi amiamo anche per conoscenza…».
   «È stato odiato fin da piccino, Giovanni. Ricorda che avvenne per colpire Lui!…», e Mattia sbiadisce nel ricordo.
   «È vero… Ma sia benedetto quel dolore! Abbiamo tutto perduto, meno Lui. E ciò conta. Che ci avrebbe giovato avere ancora i parenti, la casa, il nostro piccolo benessere, se Egli fosse morto?».
   «È vero. Hai ragione, Mattia. E che ci gioverà avere anche tutto il mondo quando Egli non sarà più nel mondo?».
   «Non me ne parlare… Allora saremo proprio derelitti… Andate voi. Noi restiamo presso il Maestro», dice poi Giovanni congedando i contadini.
   «Ci spiace non avere pensato a dar loro la chiave. Potevano entrare in casa, stare meglio…», dice l’uomo più anziano della casa.
   «Glielo diremo… Ma Egli sarà felice anche per il vostro amore. Andate, andate…».
   I contadini vanno in casa, e presto un fumo che si alza dal camino dice che stanno preparando il cibo. Ma lo fanno con garbo, trattenendo i piccoli, facendo poco rumore… e ugualmente senza rumore portano poi le vivande ai discepoli e mormorano: «Per loro le abbiamo tenute in disparte… Per quando si desteranno»…
   Poi il silenzio riavvolge la casa. Forse i mietitori, al lavoro dall’alba, si sono gettati sui letti per riposare in queste ore in cui sarebbe impossibile stare nei campi sotto il sole rovente. Sonnecchiano anche i discepoli… Anche i colombi e i passeri sono a sosta… Solo le rondini saettano instancabili e il loro volo rapido scrive parole azzurre negli spazi e parole d’ombra sul­l’aia bianca…

   405.3Il piccoletto di prima, bellissimo nella breve tunichella[91] alla quale si è ridotto in quest’ora torrida il suo vestimento, mette il capino bruno fuori dall’uscio di cucina, sbircia, viene avanti cauto coi piedini tenerelli, che soffrono sul suolo bollente di sole. La tunichella, slegata, scivola quasi giù dalla spalla grassoccia. Raggiunge i discepoli e fa per scavalcarli, per andare da capo a guardare Gesù. Ma le sue gambette sono troppo corte per poter superare i corpi muscolosi degli adulti e incespica cadendo addosso a Mattia, che si sveglia e vede il visetto mortificato, prossimo al pianto, del piccolino. Sorride e dice, intuendo la manovra del bambino: «Vieni qui, ti metterò fra me e Gesù. Ma sta’ zitto e fermo. Lascialo fare la nanna, ché è stanco».
   E il piccolo, felice, si siede in adorazione del bel viso di Gesù. Lo guarda, lo studia, ha una grande voglia di fargli una carezza, di toccargli i capelli d’oro. Ma Mattia veglia sorridendo e non lo permette. Allora il piccolino chiede piano: «Fa la nanna sempre così?».
   «Sempre così», risponde Mattia.
   «È stanco? Perché?».
   «Perché cammina tanto e parla tanto».
   «Perché parla e cammina?».
   «Per insegnare ai bambini ad essere buoni, ad amare il Signore per andare con Lui in Cielo».
   «Lassù? Come si fa? È lontano…».
   «L’anima, lo sai cosa è l’anima?».
   «Nooo!».
   «È la cosa più bella che è in noi, e…».
   «Più degli occhi? La mamma mi dice che ho per occhi due stelle. Sono belle le stelle, sai?!».
   Il discepolo sorride e risponde: «È più bella delle stelline dei tuoi occhi, perché l’anima buona è più bella del sole».
   «Oh! E dove è? Dove ce l’ho?».
   «Qui. Nel cuoricino. E vede, sente tutto, e non muore mai. E quando uno non fa mai il cattivo e muore da giusto, l’anima vola lassù, col Signore».
   «Con Lui?», e il piccolo accenna a Gesù.
   «Con Lui».
   «Ma Lui ce l’ha l’anima?».
   «Lui ha l’anima e la divinità. Perché è Dio quell’Uomo che tu guardi».
   «Come lo sai tu? Chi te lo ha detto?».
   «Gli angeli».
   Il bambino, che si era seduto del tutto addosso a Mattia, non può ricevere tranquillamente questa notizia e scatta in piedi dicendo: «Tu hai visto gli angeli?», e guarda Mattia sbarrando gli occhioni. Tanto stupefacente la notizia, che per un istante dimentica Gesù e perciò non vede che Egli socchiude gli occhi, destato dal grido leggero del fanciullino, e poi con un sorriso li rinchiude girando il capo di là.
   «Zitto! Vedi? Lo svegli… Ti mando via».
   «Sto buono. Ma come sono gli angeli? Quando li hai visti?». La vocina è tornata un sussurro.
   E Mattia, paziente, racconta la notte di Natale al piccolino, che si è tornato a sedere sul suo petto, estatico. E paziente risponde a tutti i perché: «Perché era nato in una stalla? Non aveva casa? Povero tanto da non trovare una casa? E ora non ha casa? Non ha la mamma? Dove è la mamma? Perché lo lascia solo, lei che sa che già l’hanno voluto uccidere? Non gli vuole bene?…».
   Una pioggia di domande e una di risposte. E l’ultima — alla quale Mattia risponde: «Gli vuole molto bene quella Mamma santa al suo divino Figlio. Ma fa il sacrificio del suo dolore di lasciarlo andare perché gli uomini si salvino. Per consolarsi pensa che ci sono ancora uomini buoni capaci d’amarlo…», — suscita questa risposta: «E che ci sono bambini buoni che lo amano non lo sa? Dove sta? Dimmelo, che io ci anderò e le dirò: “Non avere del pianto. Al tuo Figlio ci do io l’amore”. Che dici? Sarà contenta?».
   «Tanto, fanciullo», dice Mattia baciandolo.
   «E Lui sarà contento?».
   «Tanto, tanto. Glielo dirai quando si sveglia».
   «Oh! sì!… Ma quando si sveglia?». Il bambino è ansioso…

   405.4Gesù non resiste più. Si rivolge, con gli occhi bene aperti e col sorriso luminoso, e dice: «Me lo hai già detto, perché ho sentito tutto. Vieni qui, fanciullo».
   Oh! non se lo fa dire due volte il bambino e si rovescia addosso a Gesù carezzandolo, baciandolo, toccandogli col ditino la fronte, le sopracciglia, le ciglia d’oro, specchiandosi negli occhi azzurri, strofinandosi sulla barba morbida e sui capelli setosi, dicendo ad ogni scoperta: «Come sei bello! Bello! Bello!». Gesù sorride e sorride Mattia.
   E poi, man mano che si svegliano gli altri, perché ora il piccolo non ha più tanti riguardi, sorridono discepoli e apostoli nel vedere quell’esame accurato, ripetuto dall’ometto in miniatura, seminudo, grassoccio, che se la passeggia beatamente sul corpo di Gesù per osservarlo dalla testa ai piedi, e finisce col dire: «Vòltati!», e spiega poi: «per vedere le ali», e chiede deluso: «Per­ché non le hai?».
   «Non sono un angelo, bambino».
   «Ma sei Dio! Come fai a essere Dio se non sei pieno d’ali? Come farai ad andare in Cielo?».
   «Sono Dio. Appunto perché Dio, non ho bisogno di ali. Faccio ciò che voglio e tutto posso».
   «Allora fammi gli occhi come i tuoi. Sono belli».
   «No. Quelli che hai te li ho dati Io e mi piacciono così. Di’ piuttosto di farti un’anima di giusto per amarmi sempre più».
   «Anche quella me l’hai data Tu e allora ti piacerà come ce l’ho», dice con logica infantile il piccolo.
   «Sì, ora mi piace tanto perché è innocente. Ma mentre i tuoi occhi saranno sempre di questo colore di uliva matura, la tua anima da bianca può divenire nera se diventi cattivo».
   «Cattivo no. Ti voglio bene e voglio fare come dicevano di fare gli angeli quando sei nato: “Pace a Dio in Cielo e gloria agli uomini di buona volontà”», dice il fanciullino sbagliando, il che provoca una fragorosa risata negli adulti, cosa che lo mortifica e ammutolisce.
   Ma Gesù lo consola pur correggendolo: «Dio è sempre Pace, fanciullo. È la Pace. Ma gli angeli gli davano gloria per l’avvenuta nascita del Salvatore, e davano agli uomini la prima regola per ottenere la pace che dalla mia nascita sarebbe venuta: “avere buona volontà”. Quella che tu vuoi».
   «Sì. Allora dammela. Mettimela qui dove quell’uomo dice che ho l’anima», e coi due indici picchia più volte sul piccolo petto.
   «Sì, piccolo amico. Come ti chiami?».
   «Micael!».
   «Nome del potente arcangelo. Allora la buona volontà a te, Micael. E che tu sia un confessore del Dio vero, dicendo ai persecutori come il tuo angelico patrono: “Chi come Dio?”. Sii benedetto ora e sempre», e gli impone le mani.
   Ma il piccolo non è persuaso. Dice: «No. Bacia qui. Sul­l’ani­ma. E dentro c’entrerà la tua benedizione e ci resterà chiusa», e scopre il piccolo petto per essere baciato senza che nessun ostacolo si frapponga tra il suo corpicino e le labbra divine.
   Sorridono e sono commossi insieme i presenti. E c’è di che! La fede meravigliosa dell’innocente, che per istinto, direbbero alcuni, io dico “per sprone di spirito”, è andato a Gesù, è veramente commovente, e Gesù lo fa notare dicendo: «Eh! se tutti avessero il cuore dei fanciulli!…».

   405.5Le ore sono passate intanto. La casa si rianima. Voci di donne, di bimbi, di uomini si fanno sentire. E una madre chiama: «Micael! Micael! Dove sei?», e si affaccia spaurita guardando il pozzo basso con un atroce pensiero in cuore.
   «Non temere, donna. Tuo figlio è con Me».
   «Oh! temevo… Tanto gli piace l’acqua…».
   «È infatti venuto all’Acqua viva che dal Cielo discende a dare Vita agli uomini».
   «Ti ha disturbato… Mi è scivolato via così piano che non ho sentito…», si scusa la donna.
   «Oh! no! Non m’ha disturbato. Consolato mi ha! I bambini non dànno mai dolore a Gesù».
   Si accostano gli uomini, le altre donne. Il capo famiglia dice: «Entra e ristorati. E perdona se non ti abbiamo fatto padrone della nostra casa da quando ti vedemmo…».
   «Non ho nulla da perdonare. Qui sono stato, e bene. Il tuo rispetto mi dà ogni onore. Avevamo cibo e il tuo pozzo è fresco, morbidi i fieni. Più che non occorra per il Figlio dell’uomo. Non sono un satrapo siriano».
   E Gesù, seguito dai suoi, entra nell’ampia cucina per prendere il cibo, mentre sull’aia gli uomini preparano in modo che vi sia posto per quelli che già vengono da ogni parte per sentire il Maestro, e altri si affrettano a preparare bevande, cibarie e a scuoiare un agnelletto per darlo di viatico agli evangelizzatori, e le donne portano uova e burro. Ciò che provoca le proteste di Pietro, che giustamente dice non potersi portare nelle bisacce quell’alimento così facile a sciogliersi in quei calori. Ma gli orcioli ci sono per qualcosa… Ed esse ne colmano uno di burro, lo chiudono e lo calano nel pozzo perché raffreddi più che mai.
   Gesù ringrazia e vorrebbe limitare quelle offerte. Ma sì! Parole sprecate. Altri doni vengono da ogni parte e ognuno si scusa di dare poco…
   Pietro mormora: «Si vede che qui ci sono stati i pastori. Terreno bonificato… terreno buono».
   L’aia è piena di gente, imperterrita nonostante ancor non sia rinfrescato il giorno e ancora un superstite raggio di sole sfiori l’aia.

   405.6­Gesù inizia a parlare: «La pace sia con voi! Non sto, qui dove vedo che già è conosciuta la dottrina del Maestro d’Israele per opera dei discepoli buoni, a ripetere ciò che già voi sapete. Lascio ai buoni discepoli la gloria e il compito di avervi istruito e di farlo sempre più fino a darvi la sicurezza perfetta che Io sono il Promesso di Dio e che la mia Parola è da Dio».
   «E i tuoi miracoli sono da Dio, Te benedetto!», grida una voce di donna dal mezzo alla folla, e molti si volgono a guardare in quella direzione. La donna alza sulle braccia un fanciullo florido e ridente e grida: «Maestro, è il piccolo Giovanni che Tu guaristi[92] all’Acqua Speciosa. Il bambinello dalle anche spezzate, che nessun medico poteva guarire e che io ti portai con fede e che Tu guaristi tenendolo seduto sul tuo grembo».
   «Ricordo, donna. La tua fede meritava miracolo».
   «È cresciuta, Maestro. Tutta la mia parentela crede in Te. Vai, figlio, a ringraziare il Salvatore. Lasciatelo andare a Lui…», prega la donna.
   E la folla si fende lasciando passare il fanciullo, che va svelto a Gesù tendendo le braccia per poterlo abbracciare. Il che avviene fra gli osanna e i commenti della gente della città o avventizia. Perché quelli della campagna sanno già il fatto e non ne hanno stupore. Gesù riprende a parlare tenendo per mano il fanciullo.
   «Ed ecco confermata da una madre riconoscente la mia Natura e confermato il potere della fede sul cuore di Dio, che non delude mai le fidenti e giuste richieste dei suoi figli.

   405.7­Vi invito a ricordare Giuda Maccabeo[93] quando si affacciò su questa pianura a studiare il formidabile accampamento di Gorgia, forte di cinquemila fanti e di mille cavalieri addestrati alla battaglia, ben protetti da corazze e da armi e torri di guerra. Giuda guardava coi suoi tremila fanti, senza scudo né spada, e sentiva il timore insinuarsi nei cuori dei suoi soldati. Allora parlò, forte del suo diritto che Dio approvava, perché volto non a soprusi ma a difesa della Patria invasa e profanata. E disse: “Non vi spaventi il loro numero, non abbiate paura del loro attacco. Ricordate come i nostri padri furono salvati nel mar Rosso, quando Faraone l’inseguiva con grande esercito”. E, rianimata la fede nella potenza di Dio, che è sempre coi giusti, insegnò ai suoi i mezzi per ottenere aiuto. Disse: “Or dunque alziamo la voce al Cielo e il Signore avrà pietà di noi e, ricordandosi dell’alleanza fatta coi padri nostri, oggi distruggerà dinanzi a noi quest’esercito, e tutte le genti conosceranno che vi è un Salvatore che libera Israele”.
   Ecco. Io vi indico due punti capitali per avere Dio con sé, ad aiuto nelle giuste imprese.
   La prima: per averlo alleato, avere l’animo giusto dei nostri padri. Ricordate la santità, la prontezza dei patriarchi nell’ubbidire al Signore, sia che la cosa richiesta fosse di poco o di sommo valore. Ricordate con che fedeltà essi rimasero fedeli al Signore. Molto ci lamentiamo in Israele di non avere più il Signore con noi, benigno come lo era un tempo. Ma Israele ha più l’animo dei suoi padri? Chi ruppe e rompe continuamente l’alleanza col Padre?
   Seconda cosa capitale per avere Dio con sé: l’umiltà. Giuda Maccabeo era un grande israelita ed era un grande soldato. Ma non dice: “Io oggi distruggerò quest’esercito e le genti conosceranno che io sono il salvatore di Israele”. No. Dice: “E il Signore distruggerà quest’esercito davanti a noi, incapaci di farlo, deboli come siamo”. Perché Dio è Padre ed ha cura dei suoi piccoli e, per non farli perire, manda le sue potenti schiere a combattere con armi sovrumane i nemici dei figli suoi. Quando Dio è con noi, chi può vincerci? Questo ditevi sempre ora e più in futuro, quando vorranno vincervi e non già per cosa relativa come è una battaglia nazionale, ma in una cosa molto più vasta nel tempo e nelle conseguenze come è per la vostra anima. Non lasciatevi prendere da sgomento o da superbia. Ambedue sono dannosi. Dio sarà con voi se sarete perseguitati a causa del mio Nome e vi darà forza nelle persecuzioni. Dio sarà con voi se sarete umili, se riconoscerete che voi, per voi, non siete capaci di nulla, ma tutto potete se uniti al Padre.
   Giuda non si pompeggia ornandosi del titolo di salvatore di Israele. Ma dà quel titolo al Dio eterno. Infatti inutilmente gli uomini si agitano se Dio non è coi loro sforzi. Mentre senza agitarsi vince colui che fida nel Signore, il quale sa quando è giusto premiare con vittorie e quando è giusto punire con sconfitte. Stolto quell’uomo che vuole giudicare Dio, consigliarlo o criticarlo. Ve la immaginate una formica che, osservando l’opera di un tagliatore di marmo, dicesse: “Tu non sai fare. Io farei meglio e più presto di te”? Uguale figura fa l’uomo che vuole fare da maestro a Dio. E alla figura ridicola unisce quella di un ingrato e prepotente, dimentico di ciò che è: creatura, e di ciò che è Dio: Creatore. Or dunque, se Dio ha creato un essere tanto ben creato che egli può credersi capace di consigliare lo stesso Dio, quale sarà la perfezione dell’Autore di ogni creatura? Questo solo pensiero dovrebbe bastare a tenere bassa la superbia, a distruggerla, questa malvagia e satanica pianta, questo parassita che, insinuatosi che sia in un intelletto, lo invade e soppianta, soffoca, uccide ogni albero buono, ogni virtù che fa l’uomo grande sulla Terra, veramente grande, non per censo né per corone ma per giustizia e sapienza soprannaturale, e beato nel Cielo per tutta l’eternità.

   405.8­E guardiamo un altro consiglio che ci dànno il grande Giuda Maccabeo e gli avvenimenti di quel giorno in questa pianura. Appiccatasi la battaglia, le schiere di Giuda, con le quali era Dio, vinsero e sgominarono i nemici, parte mettendoli in fuga fino a Jezeron, Azoto, Idumea e Jamnia, dice la storia, e parte trapassandoli di spada, lasciandone morti per i campi oltre tremila. Ma ai suoi armati, ebbri di vittoria, Giuda dice: “Non vi fermate a far preda, perché la guerra non è finita e Gorgia col suo esercito è nella montagna vicino a noi. Or dobbiamo combattere ancora contro i nostri nemici e vincerli completamente, e dopo, tranquillamente, fare la preda”. E così fecero. Ed ebbero sicura vittoria e preda opima e liberazione e, tornando, cantavano benedizioni a Dio perché “è buono, perché la sua misericordia è eterna”.
   Anche l’uomo, ogni uomo, è come i campi intorno alla città santa dei giudei. Circondato di nemici esterni e interni, e tutti crudeli, tutti speranzosi di dare battaglia alla città santa del singolo uomo — il suo spirito — e darla all’improvviso per pren­dere di sorpresa con mille astuzie e distruggerla. Le passioni, che Satana coltiva e aizza, e che l’uomo non sorveglia con tutta la sua volontà per tenerle a freno, pericolose se non riesce a domarle, ma innocue se sorvegliate come ladrone incatenato, e il mondo che dall’esterno congiura con esse con le sue seduzioni di carne, di censo, di orgoglio, sono ben simili ai potenti eserciti di Gorgia, corazzati, dotati di torri di guerra, di arcieri buoni frecciatori, di cavalieri veloci, sempre pronti ad iniziare l’attacco agli ordini del Male. Ma che può il Male se Dio è con l’uomo che vuole essere giusto? L’uomo soffrirà, resterà ferito, ma avrà salva libertà e vita, e conoscerà vittoria dopo la buona battaglia. La quale però non avviene una volta, ma sempre si rinnova finché la vita dura, o finché l’uomo tanto si spoglia della sua umanità e diviene spirito più che carne, spirito fuso a Dio, che le frecce, i morsi, i fuochi di guerra non possono più fargli male nel profondo e cadono, dopo averlo percosso superficialmente come può fare una goccia su un duro e lucente diaspro.
   Non fermatevi a far preda, non distraetevi finché non siete alle soglie della vita. Non di questa vita della Terra, ma della vera Vita dei Cieli. Allora, vittoriosi, raccogliete le vostre prede ed entrate, e inoltrate, gloriosi, davanti al Re dei re e dite: “Ho vinto. Ecco le mie prede. Le ho fatte col tuo aiuto e con la mia buona volontà e ti benedico, Signore, perché sei buono e la tua misericordia è eterna”.

   405.9Questo per la vita in generale, per tutti. Ma per voi, per voi che in Me credete c’è in agguato un’altra battaglia. Più battaglie. Quella contro il dubbio. Quella contro le parole che vi verranno dette. Quella contro le persecuzioni.
   Io sto per essere assunto al luogo per il quale sono venuto dal Cielo. Questo luogo vi farà paura, vi parrà smentita alle mie parole. No. Guardate con occhio spirituale l’evento. E vedrete che quello che avverrà sarà la conferma di ciò che realmente Io sono. Non il povero re di un povero regno. Ma il Re predetto dai profeti, ai piedi del cui trono unico, immortale, come fiumi all’oceano, verranno tutte le genti della Terra dicendo: “Ti adoriamo, o Re dei re e Giudice eterno, perché per il tuo santo Sacrificio hai redento il mondo”.
   Resistete al dubbio. Io non mento. Io sono Colui di cui parlano i profeti. Come la madre di Giovanni poco fa, alzate il ricordo di ciò che Io vi ho fatto e dite: “Queste opere sono da Dio. Egli ce le ha lasciate a ricordo, a conferma, ad aiuto per credere, e credere proprio in quest’ora”. Lottate e vincerete contro il dubbio che strozza il respiro delle anime. Lottate contro le parole che vi verranno dette. Ricordate i profeti e le mie opere. E alle parole nemiche rispondete con i profeti e con i miracoli che mi avete visto fare. Non abbiate paura. E non siate ingrati per paura tacendo ciò che vi ho fatto. Lottate contro le persecuzioni. Ma non lottate dando persecuzione a chi vi perseguita. Ma dando eroismo di confessione a chi vorrà con minacce di morte persuadervi a rinnegarmi. Lottate sempre contro i nemici. Tutti. Contro la vostra umanità, le vostre paure, i compromessi indegni, le alleanze utilitarie, le pressioni, le minacce, le torture, la morte.

   405.10­La morte! Io non sono il capo di un popolo che dice al suo popolo: “Soffri per me mentre io godo”. No. Io soffro per il primo per darvi l’esempio. Io non sono un duce d’eserciti che dice agli eserciti: “Combattete per difendermi. Morite per darmi la vita”. No. Io combatto per il primo. Io morirò per il primo per insegnarvi a morire. Così come ho sempre fatto ciò che ho detto di fare, e predicando la povertà sono rimasto povero, la continenza casto, la temperanza temperante, la giustizia giusto, il perdono e ho perdonato e perdonerò, come ho fatto tutto questo farò anche l’ultima cosa. Vi insegnerò come si redime. Ve lo insegnerò non a parole ma con i fatti. Vi insegnerò a ubbidire ubbidendo alla più dura ubbidienza, quella della mia morte…
   Vi insegnerò a perdonare, perdonando fra gli ultimi strazi come ho perdonato sulla paglia della mia cuna, all’Umanità che mi aveva strappato dai Cieli. Perdonerò come ho sempre perdonato. A tutti. Per mio conto a tutti. Ai piccoli nemici, agli inerti, indifferenti, volubili, e ai grandi nemici che non solo mi danno il dolore di essere apatici al mio potere e al mio desiderio di salvarli, ma che mi danno e daranno lo spasimo di essere i deicidi. Perdonerò. E poiché ai deicidi impenitenti non potrò dare assoluzione, pregherò ancora, con gli ultimi spasimi, il Padre per loro… perché li perdoni… essendo ebbri di un satanico liquore… Perdonerò… E voi perdonate in mio Nome. E amate. Amate come Io amo, come Io vi amo e vi amerò, in eterno.

   405.11­Addio. La sera scende. Preghiamo insieme e poi ognuno torni alle sue case con la parola del Signore nel cuore, e vi faccia essa granita spiga per le vostre fami future, quando desidererete di udire ancora l’Amico, il Maestro, il Salvatore vostro, e solo lanciando lo spirito nei Cieli potrete trovare Colui che vi ha amati più di Se stesso. Padre nostro che sei nei Cieli…».
   E Gesù, a braccia aperte, alta e candida croce contro il muro scuro della facciata di settentrione, dice lentamente il Pater. Poi benedice con la benedizione mosaica. Bacia i bimbi. Li benedice ancora. Si accomiata e va verso il nord, costeggiando la cinta di Emmaus senza entrarvi. Le tinte violacee del crepuscolo assorbono lentamente la dolce visione del Maestro che va, sempre più va verso il suo destino.
   Nella corte semioscura è un silenzio di pace dolorosa… Quasi di attesa. Poi il pianto del piccolo Micael, un pianto di agnellino che si trova solo, rompe l’incanto, e molti occhi si bagnano di lacrime e molte labbra ripetono le innocenti parole del piccolo: «Oh! perché sei andato via? Torna! Torna!… Fallo tornare, Signore!». E quando Gesù è proprio scomparso, il desolato riconoscimento del fatto compiuto: «Non c’è più Ge­sù!», inutilmente cercato di consolare dalla madre del piccolo Micael, che piange come avesse perduto più della madre, e dalle braccia di lei non ha occhi che per il punto dove è sparito Gesù, e tende le braccia chiamando: «Gesù! Gesù!».

   405.12­…Gesù attende di essere alquanto lontano, poi dice: «Andremo a Joppe. I discepoli vi hanno molto lavorato e attende la parola del Signore».
   Non c’è molto entusiasmo per la prospettiva di allungare ancora la via, ma Simone Zelote fa osservare che da Joppe ai poderi di Nicodemo e Giuseppe ci si va presto e per belle strade, e Giovanni è contento di andare verso il mare. E gli altri, trascinati da queste considerazioni, finiscono coll’andare con più volontà per la strada che si dirige al mare.
   Dice Gesù: «Metterete qui la visione del 20 settembre 1944: “Gesù e i Gentili in una città di mare”, che intitolerete[94]: “Gesù a Joppe parla a Giuda di Keriot e a dei Gentili”, perché quel­l’episodio là avvenne dopo un giorno di miracoli e di predicazione».

[91] tunichella, invece di camicina, qui e quattro righe più sotto è correzione di MV su una copia dattiloscritta. La correzione, con quella riportata in 45.5, mette in evidenza che latunica era l’indumento intimo cui si sovrapponevano laveste e ilmanto, confermando quanto si legge in: 35.1 - 48.2 (dove la tunica è chiamatasottoveste) - 417.4 - 418.5 - 426.2 - 464.3 - 532.3 (ultime righe) - 633.6 - 645.6. Altrove, come in 41.1 e in 416.1, è rimasto con il nome ditunica ciò che dovrebbe essere laveste.
[92] guaristi, in 125.5.
[93] invito a ricordare Giuda Maccabeo nell’episodio della battaglia di Emmaus riferito in: 1 Maccabei 4, 1-25.
[94] intitolerete... Il suggerimento del titolo, per il capitolo che segue, ha lo scopo evidente di fare includere in esso il nome della città, Joppe, “perché quell’episodio là avvenne” e perché MV aveva scritto alla fine del capitolo: “Che città sia non so”. Tuttavia, il titolo che metteremo è ancora più specifico rispetto al titolo suggerito. — La scrittrice si limitava a mettere la data all’inizio di ogni capitolo, come abbiamo già annotato in 63.1. A cominciare dal capitolo che nella presente edizione porta il numero d’ordine 187, ella ha aggiunto alla data, quasi sempre, un titolo molto breve e inadeguato. Perciò i titoli di tutti i capitoli, tranne qualcuno, sono nostri. (Abbiamo anche ritoccato, e spesso completato, i 21 sottotitoli del capitolo 632). Sono nostre, inoltre, la numerazione progressiva dei capitoli e la scomposizione di ogni capitolo in brani numerati, chiamati paragrafi, ciascuno dei quali esprime una completezza narrativa o concettuale.