MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME VI CAPITOLO 406



CDVI. A Joppe. Predica inutile a Giuda di Keriot e dialogo sull'anima con alcuni Gentili.­

   20 settembre 1944.

   406.1Vedo Gesù seduto in un cortile interno di una casa di decente aspetto pur senza essere lussuosa. Pare molto stanco. Sta seduto su una banchina di pietra messa presso ad un pozzo, basso di sponda, sul quale fa arco una pergola verde. I grappoli sono appena una larva. Da poco deve essere caduto il fiore, e gli acinelli sembrano chicchi di miglio sospesi a peduncolini verdi. Gesù tiene sul ginocchio destro puntato il gomito destro e appoggia il mento nel cavo della mano. Delle volte, come per trovare maggior riposo, appoggia il braccio ripiegato sull’orlo del pozzo e sul braccio il capo. Come volesse dormire. I capelli allora gli scendono a far velo al viso stanco, che altrimenti appare, pallido e serio, fra le bande ondulate delle ciocche biondo-rosse.
   Una donna va e viene con le mani infarinate, passando da una stanza della casa ad un bugigattolo posto al lato opposto del cortile e che deve essere il forno. Guarda Gesù tutte le volte. Ma non ne turba il riposo. Deve esser prossima la sera, perché il sole sfiora appena il culmine della terrazza sul tetto, sempre meno, sempre meno, finché l’abbandona.

   406.2­Una decina di colombi fa per scendere sgrugolando nel cortile per l’ultimo pasto. Roteano intorno a Gesù come per rendersi conto chi è quello sconosciuto e, diffidenti, non osano posarsi al suolo. Gesù si toglie ai suoi pensieri e sorride, tende una mano, a palma volta in su, e dice: «Avete fame? Venite», come parlasse a degli umani. Il più audace si posa su quella mano e, dopo questo, un altro e un altro. Gesù sorride. «Non ho nulla, Io», dice davanti al loro richiedere tubante. E poi chiama a voce alta: «Donna! I tuoi colombi hanno fame. Hai grano per essi?».
   «Sì, Maestro. È nel sacco sotto al portico. Ora vengo».
   «Lascia. Dò Io. Mi piace».
   «Non verranno. Non ti conoscono».
   «Oh! ne ho sulle spalle e fin sulla testa!…».
   Gesù cammina infatti col suo strano cimiero, fatto da un colombo plumbeo, dal petto che pare una corazza preziosa tanto è cangiante.
   La donna incredula si affaccia e dice: «Oh!».
   «Lo vedi? I colombi sono meglio degli uomini, donna. Sentono chi li ama. Gli uomini… no».
   «Non ci pensare, Maestro, all’accaduto. Sono pochi quelli che qui ti odiano. Gli altri, se non tutti, t’amano, ti rispettano al­meno».
   «Oh! non mi accascio per questo. Dico per farti notare come sovente le bestie siano migliori degli uomini».
   Gesù ha aperto il sacco e immerso in esso la lunga mano e estratto grano biondo che pone nel lembo del mantello. Richiude e torna in mezzo al cortile, difendendosi dall’invadenza dei colombi che vogliono servirsi da loro. Apre il suo fagottino e sparge al suolo i chicchi, e ride per la giostra e le risse dei pennuti ingordi. Il pasto è presto consumato. I colombi bevono ad un piatto cavo che è presso il pozzo e guardano ancora Gesù.
   «Ora andate. Non c’è più nulla».
   Le bestiole svolazzano ancora un poco sulle spalle e le ginocchia di Gesù e poi tornano ai nidi. Gesù ricade nella sua meditazione.

   406.3Dei picchi robusti alla porta. La donna corre ad aprire. Sono i discepoli.
   «Venite», dice Gesù. «Avete distribuito il denaro ai pove­ri?».
   «Sì, Maestro».
   «Fino all’ultimo picciolo? Ricordatevi che ciò che ci viene dato non è per noi, ma per la carità. Noi siamo poveri e dell’altrui misericordia si vive. Misero l’apostolo che sfrutta la sua missione per fini umani!».
   «E se un giorno si è senza pane e si è accusati di violare la Legge perché si imitano i passeri schiccolando spighe?».
   «Ti è mai mancato nulla, Giuda? Nulla di essenziale da quando sei con Me? Sei caduto languente per via, qualche volta?».
   «No, Maestro».
   «Quando ti ho detto: “Vieni”, ti ho promesso comodi e ricchezze? E nelle mie parole a chi mi ascolta ho detto mai che Io darò ai “miei” utile sulla Terra?».
   «No, Maestro».
   «E allora, Giuda? Perché sei tanto mutato? Non sai, non senti che il tuo scontento, il tuo raffreddarti mi dà dolore? Non vedi che esso scontento si comunica ai tuoi fratelli? Perché, Giuda, amico, tu chiamato a tanta sorte, tu venuto con tanto entusiasmo al mio amore e alla mia luce, or mi abbandoni?».
   «Maestro, io non ti abbandono. Sono quello che più mi curo di Te, dei tuoi interessi, della tua riuscita. Vorrei vederti trionfare ovunque, credilo».
   «Lo so. Umanamente tu vuoi questo. È già molto. Ma non voglio questo, Giuda, amico mio… Sono venuto per ben altro che per un trionfo umano e un regno umano… Sono venuto non per dare ai miei amici briciole di un umano trionfo. Ma per darvi una mercede larga, premuta, copiosa, una mercede che non è più mercede tanto è piena: è compartecipazione nel mio Regno eterno, è unione nei diritti di figli di Dio… Oh! Giuda! Perché non t’esalta questo sublime retaggio, a cui si accede per rinunzia, ma che non conosce tramonto?

   406.4Vienimi ancor più vicino, Giuda. Lo vedi? Siamo soli. Gli altri hanno capito che volevo parlare a te, distributore delle mie… ricchezze, delle elemosine che il Figlio dell’uomo, che il Figlio di Dio riceve per darle in nome di Dio e dell’Uomo al­l’uomo. E si sono ritirati in casa. Siamo soli, Giuda, in quest’ora così dolce della sera, nella quale il nostro cuore vola alle nostre case lontane, alle nostre mamme che certo, preparando la loro cena solitaria, pensano a noi e carezzano con la mano quel posto dove noi sedevamo prima di quest’ora di Dio, in cui il Volere santissimo ci ha presi per farlo amare in spirito e in verità.
   Le nostre mamme! La mia, così santa e pura, che vi vuole tanto bene e prega per voi, amici del suo Gesù… La mia, che non ha che questa pace, nell’affanno della sua maternità di Madre del Cristo: quella di sapermi circondato dal vostro affetto… Non deludete, non ferite questo cuore di Madre, amici. Non spezzatelo con una vostra mala azione! La tua mamma, Giuda. La tua mamma che, l’ultima volta che siamo passati da Keriot, non finiva di benedirmi e voleva baciarmi i piedi, perché è felice che il suo Giuda sia nella luce di Dio, e mi diceva: “Oh! Maestro! Fàllo santo il mio Giuda! Che vuole un cuore di madre se non il bene del suo bambino? E quale bene che sia più bene del Bene eterno?”. Infatti! Qual bene più grande, Giuda, di quello a cui vi voglio portare e al quale si giunge seguendo la mia via? Santa donna tua madre, Giuda. Una vera figlia d’Israele. Io non ho voluto che mi baciasse i piedi. Perché voi siete i miei amici e perché in ogni madre vostra, in ogni madre buona, Io vedo la mia, Giuda. E vorrei che voi, nella vostra, vedeste la mia col suo tremendo destino di Corredentrice, e non voleste, no, non voleste ucciderla perché… perché vi parrebbe di uccidere la vostra.

   406.5Giuda, non piangere. Perché piangere? Se nulla hai sul cuore che ti rimorde verso la tua e la mia madre, perché ti sgorga quel pianto? Vieni qui, metti il capo sulla mia spalla e di’ all’Amico tuo il tuo affanno. Hai mancato? Ti senti prossimo a mancare? Oh! non restare solo! Vinci Satana con l’aiuto di chi ti ama. Sono Gesù, Giuda. Sono il Gesù che sana i morbi e caccia i demoni. Sono il Gesù che salva… e che ti vuole tanto bene, che si cruccia di vederti così indebolito. Sono il Gesù che insegna di perdonare settanta volte sette. Ma Io, Io di mio, non settanta ma settecento, settemila volte sette vi perdono… e non vi è colpa, Giuda, non vi è colpa, Giuda, non vi è colpa, Giuda, che Io non perdoni, che Io non perdoni, che Io non perdoni, se, pentito, il colpevole mi dice: “Gesù, ho peccato”. Meno ancora, se dice solo: “Gesù!”. Ancor meno, se mi guarda solo, supplicante. E le prime colpe che perdono, sai, amico, a chi le perdono? Ai più colpevoli e ai più pentiti. E le primissime fra le prime che Io perdono, sai quali sono? Quelle fatte a Me.
   Giuda!… Non trovi una parola di risposta per il tuo Maestro?… Tanto è grave il tuo affanno che ti mozza la parola? Temi che Io ti denunci? Non lo temere! È tanto che ti voglio parlare così, tenendoti sul Cuore, come due fratelli nati in una cuna, da un unico parto, quasi una carne sola, due che si sono scambiati a vicenda il capezzolo tiepido e sentito il sapore della saliva fraterna in uno col dolciore del latte materno. Ora ti ho e non ti lascio, finché tu non mi dici che t’ho guarito. Non temere, Giuda. È una confessione che voglio. Ma i tuoi compagni penseranno che è un colloquio d’amore, tanto raggeranno di reciproca pace, di reciproco amore i nostri volti dopo questo colloquio. Ed Io farò che sempre più lo credano, tenendoti contro il mio petto questa sera a cena, intingendoti il mio stesso pane e porgendotelo con predilezione, e ti darò la coppa per il primo, dopo averne reso grazie a Dio. Sarai il re del convito, Giuda. E realmente lo sarai. Sposa dello Sposo sarai, o anima che amo, se ti farai monda e libera, deponendo la tua polvere nel mio seno purificatore.

   406.6Ancora non parli per dirmi il tuo pianto?».
   «Mi hai parlato così dolce… della mamma… della casa… del tuo amore… Un momento di debolezza… Sono tanto stanco!… E mi pareva Tu non mi amassi più così da tempo…».
   «No. Non è questo. Nelle tue parole non c’è che una verità. Ed è che sei stanco. Ma non della strada, della polvere, del sole, del fango, della folla. Sei stanco di te. La tua anima è stanca della tua carne e della tua mente. Tanto stanca che finirà spenta di stanchezza mortale. Povera anima che Io chiamai ai fulgori eterni! Povera anima che sa che ti amo e ti rimprovera di strapparla al mio amore! Povera anima che ti rimprovera, inutilmente, come Io inutilmente ti carezzo col mio amore, di agire subdolamente col tuo Maestro. Ma non sei tu che agisci. È colui che ti odia e mi odia. Per questo ti dicevo: “Non restare solo”. Ebbene, ascolta. Tu sai che le mie notti passano in gran parte in preghiera. Se un giorno sentirai in te il coraggio di esser uomo e la volontà di esser mio, vieni a Me mentre i compagni dormono. Le stelle, i fiori, gli uccelli sono testimoni prudenti e buoni. Segreti. Pietosi. Inorridiscono per il delitto che avviene sotto il loro raggio, ma non prendono voce per dire agli uomini: “Costui è un Caino del suo fratello”. Hai inteso, Giuda?».
   «Sì, Maestro. Ma credi, non ho altro che stanchezza ed emozione. Io ti amo con tutto il cuore e…».
   «Va bene. Basta così».
   «Mi dai un bacio, Maestro?».
   «Sì, Giuda. Questo e altri te ne darò…».
   Gesù sospira profondamente, con pena. Ma bacia Giuda sulla guancia. E poi gli prende il capo fra le palme e tenendolo ben stretto fra la morsa delle mani, di fronte a Sé, alla distanza di pochi decimetri, lo fissa, lo studia, lo trivella col suo sguardo magnetico. E Giuda, questo sciagurato, non trasale. Resta in apparenza imperterrito sotto quell’esame. Solo diviene un poco pallido e per un attimo chiude gli occhi. E Gesù lo bacia sulle palpebre abbassate e poi sulla bocca e poi sul cuore, chinando il capo a cercare il cuore del discepolo… e dice: «Ecco: per cacciare le nebbie, per farti sentire la dolcezza di Gesù, per fortificarti il cuore». E poi lo lascia andare e si avvia verso casa, seguito da Giuda.

   406.7­«Bene vieni, Maestro! Tutto è pronto. Si attendeva Te so­lo», dice Pietro.
   «Già. Parlavo con Giuda di tante cose… Vero, Giuda? Bisognerà provvedere anche a quel povero vecchio che ebbe il figlio ucciso».
   «Ah!». Giuda prende la buona occasione a volo per finire di rimettersi e per deviare, se mai vi fossero, i sospetti degli altri. «Ah! Sai, Maestro? Oggi siamo stati fermati da un gruppo di gentili mescolati a giudei delle colonie romane di Grecia. Volevano sapere molte cose. Abbiamo risposto come abbiamo potuto. Ma non li abbiamo certo persuasi. Però furono buoni e ci hanno dato molta moneta. Eccola, Maestro. Potremo fare molto bene». E Giuda pone una grossa sacca di morbida pelle che, battendo sul tavolo, suona con suon d’argento. È grossa come una testa di bambino.
   «Va bene, Giuda. Distribuirai il denaro con equità. Che volevano sapere quei gentili?».
   «Cose sulla vita futura… se l’uomo ha l’anima e se è immortale. Facevano nomi di loro maestri. Ma noi… che si poteva dire?».
   «Dovevate dir loro di venire».
   «Lo abbiamo detto. Verranno forse».
   Il pasto prosegue. Gesù ha vicino Giuda e gli dà il pane bagnato nel sugo che è sul piatto della carne arrostita.
   Stanno mangiando delle piccole ulive nere quando si ode picchiare alla porta. E dopo poco entra la donna di casa e dice: «Maestro, vogliono Te».
   «Chi sono?».
   «Uomini stranieri».
   «Ma è impossibile!», «Il Maestro è stanco!», «È tutto il giorno che cammina e parla!», «E poi! Gentili in casa! Ohibò!». I dodici sono tutti in subbuglio come un alveare disturbato.
   «Sss! Pace! Non m’è fatica ascoltare chi mi cerca. È mio riposo».
   «Potrebbe essere un tranello! A quest’ora!…».
   «No. Non è. State quieti e riposate voi. Io ho già avuto riposo mentre vi attendevo. Io vado. Non vi chiedo di venire meco… per quanto… per quanto vi dico che proprio fra i gentili dovrete portare il vostro giudaismo che non sarà più che cristianesimo. Attendetemi qui».
   «Vai solo? Ah! questo mai!», dice Pietro e si alza.
   «Resta dove sei. Vado solo».

   406.8­Esce. Si affaccia alla porta di strada. Nel crepuscolo sono molti uomini che attendono.
   «La pace sia con voi. Mi volete?».
   «Salve, Maestro». Parla un vecchio imponente, avvolto in una veste romana che sporge da un mantelletto tondo con cappuccio rialzato sul capo. «Oggi parlammo coi tuoi discepoli. Ma non ci seppero dire molto. Vorremmo parlare con Te».
   «Siete quelli del ricco obolo? Grazie per i poveri di Dio». Gesù si volge alla padrona di casa e dice: «Donna, Io esco con questi. Di’ ai miei che vengano a raggiungermi presso la riva perché, se ben vedo, costoro sono commercianti degli empo­ri…».
   «E navigatori, Maestro. Bene vedi».
   Escono tutti insieme nella via, a cui fa lume un bel chiaro di luna.
   «Venite da lontano?». Gesù è al centro del gruppo, con a fianco il vecchio che ha parlato per primo, un bel vecchio dal tagliente profilo latino. Dall’altro lato ha un altro attempato, dal volto nettamente ebraico, e poi intorno due o tre magrolini e olivastri, occhi aguzzi e un poco ironici, e altri più robusti di età diverse. Una diecina di persone.
   «Siamo delle colonie romane di Grecia e d’Asia. Parte giudei e parte gentili… Non osavamo venire per questo… Ma ci hanno assicurato che Tu non sprezzi i gentili… come fanno gli altri… I giudei osservanti, volevo dire, quelli d’Israele, perché altrove anche i giudei sono… meno rigidi. Tanto che io, romano, ho per moglie una giudea di Licaonia, mentre costui ha per moglie una romana, lui, ebreo d’Efeso».
   «Non sprezzo nessuno… Ma bisogna compatire coloro che ancora non sanno pensare che, Uno essendo il Creatore, sono tutti gli uomini di un sangue solo».
   «Lo sappiamo che sei grande fra i filosofi. E quanto dici lo conferma. Grande e buono».
   «Buono è chi fa il bene. Non chi bene parla».
   «Tu parli bene e bene fai. Sei perciò buono».

   406.9«Che volevate sapere da Me?».
   «Oggi, perdona Maestro se ti stanchiamo con le nostre curiosità. Ma sono curiosità buone, perché cercano con amore la Verità… Oggi volevamo sapere dai tuoi la verità su una dottrina che fu già accennata da filosofi antichi di Grecia e che Tu, ci si dice, torni a predicare più vasta e bella. Eunica, mia moglie, ha parlato con giudei che ti udirono e mi ha ripetuto quelle parole. Sai, Eunica, greca, è colta e conosce le parole dei saggi della sua patria. Ha trovato riscontro fra le parole tue e quelle di un grande filosofo greco. E anche a Efeso sono giunte quelle tue parole. Onde venuti, chi per commercio e chi per rito, in questo porto, ci siamo ritrovati fra amici e abbiamo parlato. Gli affari non distolgono dal pensare anche ad altre più alte cose. Empiti gli empori e le stive, abbiamo tempo di risolvere questo dubbio. Tu dici che l’anima è eterna. Socrate disse che essa è immortale. Conosci le parole del maestro greco?».
   «No. Non ho studiato nelle scuole di Roma e Atene. Ma parla pure. Ti intendo ugualmente. Non ignoro il pensiero del filosofo greco».
   «Socrate, contrariamente a ciò che crediamo noi di Roma, e anche a ciò che credono i vostri sadducei, ammette e sostiene che l’uomo abbia l’anima e che questa sia immortale. Dice che, tale essendo, la morte non è che liberazione per l’anima e passaggio di questa da una carcere ad un libero luogo in cui si ricongiunge a quelli che amò, e là conosce i saggi del cui senno udì parlare e i grandi, gli eroi, i poeti, e non trova più ingiustizie né dolore. Ma felicità eterna in un soggiorno di pace, aperto alle anime immortali che vissero con giustizia. Tu che ne dici, Maestro?».
   «In verità ti dico che il maestro greco, pur essendo nell’errore di una religione non vera, era nella verità dicendo l’anima immortale. Ricercatore del Vero e cultore della Virtù, sentiva nel fondo dello spirito mormorare la voce del Dio ignoto, del vero Dio, del Dio unico: l’altissimo Padre da cui Io vengo per portare gli uomini alla Verità.

   406.10­L’uomo ha un’anima. Una. Vera. Eterna. Signora. Meritevole di premio e castigo. Tutta sua. Creata da Dio. Destinata, nel Pensiero creativo, a tornare a Dio. Voi, gentili, troppo vi dedicate al culto della carne. Mirabile opera, in verità, su cui sta il segno del Pollice eterno. Troppo ammirate la mente, gioiello chiuso nello scrigno del vostro capo e di là emanante i suoi raggi sublimi. Grande, superno dono di Dio Creatore che vi ha fatto secondo il suo Pensiero come forme, ossia opera perfetta d’organi e membra, e vi ha dato la sua somiglianza col Pensiero e con lo Spirito. Ma la perfezione della somiglianza è nello spirito. Poiché Dio non ha membra e opacità di carne, come non ha senso e fomite di lussuria. Ma è Spirito purissimo, eterno, perfetto, immutabile, instancabile nel­l’operare, continuamente rinnovantesi nelle sue opere, che paternamente adegua al cammino ascensionale della sua creatura. Lo spirito[95], creato per tutti gli uomini da una stessa Fonte di potenza e bontà, non conosce variazioni di perfezioni iniziali. Uno solo è lo spirito creato perfetto e rimasto tale. Tre sono gli spiriti creati perfetti…».

   «Uno sei Tu, Maestro».
   «Non Io. Io nella mia Carne ho lo Spirito che non fu creato ma che è stato generato dal Padre per esuberanza d’Amore».
   «Quali, dunque?».
   «I due progenitori da cui venne la razza, creati perfetti e poi caduti, volontariamente, in imperfezione. Il terzo, creato per delizia di Dio e dell’universo, è troppo superiore alla possibilità di pensiero e di fede del mondo d’ora perché Io ve lo indichi. Gli spiriti, dicevo, creati da una stessa Fonte con ugual misura di perfezione, subiscono poi, per loro merito e volontà, una duplice metamorfosi».
   «Allora Tu ammetti seconde vite?».
   «Non vi è che una vita. In questa l’anima, che ebbe la somiglianza iniziale con Dio, passa, per la giustizia fedelmente praticata in tutte le cose, ad una più perfetta somiglianza, ad una, direi, seconda creazione di se stessa, per cui evolve ad una doppia somiglianza col suo Creatore, facendosi capace di passare a possedere la santità, la quale è perfezione di giustizia e somiglianza di figli col Padre. Questa è nei beati, ossia in quelli che il vostro Socrate dice abitino l’Ade. Mentre Io vi dico che, quando la Sapienza avrà detto le sue parole e col sangue le avrà firmate, costoro saranno i beati del Paradiso, del Regno, cioè, di Dio».
   «E dove sono ora costoro?».
   «Nell’attesa».
   «Di che?».
   «Del Sacrificio. Del Perdono. Della Liberazione».
   «Si dice che sarà il Messia il Redentore, e che Tu sei tale… È vero?».
   «È vero. Io son che vi parlo».

   406.11­«Allora Tu dovrai morire? Perché, Maestro? Il mondo ha tanto bisogno di Luce e Tu vuoi lasciarlo?».
   «Tu, greco, mi chiedi questo? Tu, in cui le parole di Socrate hanno trono?».
   «Maestro, Socrate era un giusto. Tu santo sei. Guarda quanto bisogno di santità ha la Terra».
   «Essa aumenterà di diecimila potenze per ogni dolore, per ogni ferita, per ogni stilla del mio Sangue».
   «Per Giove! Mai stoico fu più grande di Te, che non ti limiti a predicare il disprezzo della vita, ma ti appresti a gettarla».
   «Io non disprezzo la vita. La amo come la cosa più utile per comperare la salvezza del mondo».
   «Ma sei giovane, Maestro, per morire!».
   «Il tuo filosofo dice che è caro agli dèi ciò che è santo, e tu mi hai chiamato santo. Se santo sono, devo aver sete di tornare alla Santità da cui venni. Mai abbastanza giovane, perciò, per non aver questa sete. Dice anche Socrate che chi è santo ama far cose gradite agli dèi. Qual cosa più gradita di rendere all’amplesso del Padre i figli che la colpa ha allontanati e dare all’uomo la pace con Dio, fonte di ogni bene?».
   «Tu dici che non conosci le parole socratiche. Come allora sai queste che dici?».
   «Tutto Io so. Il pensiero degli uomini — quanto è pensiero buono — non è che la riflessione di un mio pensiero. Quanto buono non è, non è mio, ma Io l’ho letto negli èvi e ho saputo, so e saprò, quando fu, viene e verrà detto. Io so».

   406.12­«Signore, vieni a Roma, faro del mondo. Qui l’odio ti circonda. Là ti circonderà venerazione».
   «All’uomo. Non al Maestro del soprannaturale. Io sono venuto per il soprannaturale. Lo devo portare ai figli del popolo di Dio, per quanto siano i più duri col Verbo».
   «Roma e Atene non ti avranno, allora?».
   «Mi avranno. Non temete. Mi avranno. Coloro che mi vorranno mi avranno».
   «Ma se ti uccideranno…».
   «Lo spirito è immortale. Quello di ogni uomo. Non lo sarà il mio, Spirito del Figlio di Dio? Verrò col mio Spirito operante… Verrò… Vedo le turbe infinite e le case levate al mio Nome… Sono ovunque… Parlerò nelle cattedrali e nei cuori… Non avrà sosta il mio evangelizzare… L’Evangelo scorrerà la Terra… i buoni tutti a Me… ed ecco… Io passo alla testa del mio esercito di santi e lo porto al Cielo. Venite alla Verità…».
   «Oh! Signore! Abbiamo l’anima fasciata di formule e di errori. Come faremo ad aprirle le porte?».
   «Io disserrerò le porte d’Inferno, aprirò le porte del vostro Ade e del mio Limbo. E non potrò aprire le vostre? Dite: “Voglio” e, come serrame fatto d’ali di farfalla, esse cadranno polverizzate sotto il passare del mio Raggio».
   «Chi verrà in tuo Nome?».
   «Vedete quell’uomo che viene a questa volta insieme ad un poco più che adolescente? Quelli verranno a Roma e alla Terra. E con essi molti ancora. Così solleciti, come ora, per l’amor di Me che li sprona e che non fa loro trovar riposo che al mio fianco, verranno, per l’amor dei redenti dal Sacrificio mio, a cercare voi, a radunarvi, a portarvi alla Luce. Pietro! Giovanni! Venite. Ho finito, credo, e son con voi. Avete altro a dirmi?».
   «Altro, Maestro. Andiamo portando seco noi le tue parole».
   «Germoglino in voi con radici eterne. Andate. La pace sia con voi».
   «Salve a Te, Maestro». E la visione ha fine…

   406.13Ma dice ancora Gesù: «Sei sfinita? Dettato pesante. Più dettato che visione. Ma è argomento desiderato da alcuni. Chi? Lo saprai nel mio Giorno. Ora va’ in pace tu pure».
   Di mio aggiungo che il discorso fra Gesù e i gentili accadeva lungo un lungomare di città marittima. Ben visibili al chiaro di luna erano le placide onde, che andavano a morire con risucchio sugli scogli dell’antemurale di un porto capace pieno di navigli. Non ho potuto dirlo prima perché il gruppo ha sempre parlato e, se descrivevo il luogo, perdevo il filo delle parole. Parlano andando avanti e indietro per un pezzo del lungo mare presso il porto. La via è solitaria perché passeggeri non ce ne sono e i naviganti sono tutti tornati alle loro navi, di cui si vedono i fanali rossi splendere come stelle di rubino nella notte. Che città sia non so. Certo bella e importante.

[95] Lo spirito… fino a …gli spiriti creati perfetti… è stato riscritto da MV, su una copia dattilografata, nel modo seguente: Lo spirito, creato a tutti gli uomini da una stessa Fonte di potenza e bontà, non conosce variazione di perfezione “iniziale”, ma ne conosce molte da quando è infuso alla carne. Uno solo è lo Spirito increato e perfettissimo, sempre rimasto tale. Tre sono stati gli spiriti creati perfetti e... La successiva risposta di Gesù, che inizia con Non Io, è stata interamente riscritta da MV, sulla copia dattilografata, nel modo seguente: Nella mia Carne Io ho lo Spirito divino, non creato ma generato dal Padre per esuberanza d’amore. E ho l’anima creatami dal Padre essendo Io, ora, l’Uomo. Anima perfetta quale all’Uomo Dio si conviene. Ma d’altri spiriti Io parlo. Sempre sulla stessa copia dattilografata, MV ha aggiunto la seguente nota:Parla qui come Dio-Verbo “per cui tutte le cose sono state fatte”, anche la sua anima d’Uomo. Se parlasse come Uomo direbbe che Dio, ossia ancora Lui, ha creato “l’unico spirito perfettissimo” per unirlo alla sua Carne di Verbo incarnato nel quale tutte le perfezioni si accentrano. E parla a dei Gentili, perciò in maniera adatta alla loro ignoranza pagana. Si tenga presente la nostra nota in 17.2 per l’uso a volte ambiguo dei termini “anima” e “spirito”. Anche alla luce di quanto Gesù dice di Sé in 80.9 e in 272.4, si può affermare che lo spirito (una delle tre parti che fanno l’uomo: corpo, anima, spirito), creato (e infuso) dal Padre per ogni uomo, per il Cristo è generato (non creato) dal Padre. Perciò il Cristo ha l’anima creata e lo spirito increato.