MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME VI CAPITOLO 410



CDX. Provocazioni di Giuda Iscariota nel gruppo apostolico.­

   5 aprile 1946.

   410.1­«Non vedo l’ora di essere sui monti!», esclama Pietro sbuffando e asciugandosi il sudore che gli cola lungo le guance e il collo.
   «Come? Tu che li odiavi i monti, ora li desideri?», chiede sarcastico Giuda Iscariota che, vista terminare in nulla la sua paura di essere scoperto, si è rifatto prepotente e spavaldo.
   «Sì, proprio. Ora li desidero. Di questa stagione sono propizi. Mai come il mio mare… Quello, ah!… Ma però… Io non so perché i campi siano più caldi dopo la mietitura. Il sole è sempre quello, eppure…».
   «Non è che siano più caldi. È che sono più tristi, e ci si stanca a vederli così più di quando hanno i grani», risponde con buon senso Matteo.
   «No. Simone ha ragione. Sono caldi in una maniera insopportabile dopo la segatura. Mai sentito un caldo così», dice Giacomo di Zebedeo.
   «Mai? E dove metti quello che abbiamo sentito andando da Niche?», rimbecca Giuda di Keriot.
   «Mai come questo», gli risponde Andrea.
   «Sfido! L’estate è più avanzata di quaranta giorni e il sole scotta di conseguenza», insiste Giuda.
   «È un fatto che le stoppie emanano più calore dei campi a spiga, e si spiega anche. Il sole, che prima si arrestava sull’alto delle spighe, ora arroventa direttamente il suolo nudo e arso, e questo riverbera i suoi calori verso l’alto, in risposta del sole che dall’alto scende al basso, e l’uomo si trova fra due fuochi», sentenzia Bartolomeo.
   L’Iscariota ride ironico e fa un gran saluto al compagno dicendo: «Rabbi Natanael, ti saluto e ringrazio della dotta lezione». È offensivo quanto mai.
   Bartolomeo lo guarda… e tace. Ma Filippo lo difende: «C’è poco da fare ironia! Ha detto giusto! Non vorrai certo negare una verità che milioni di cervelli di buon senso hanno giudicato vera, logica, constatabile».
   «Ma sì, ma sì! Lo so, lo so che voi siete dotti, esperti, sensati, buoni, perfetti… Tutto siete! Tutto! Solo io sono la pecora nera del gregge bianco!… Solo io sono l’agnello bastardo, l’obbrobrio che si disvela e mette corna da ariete… Solo io sono il peccatore, l’imperfetto, la causa di tutto il male fra noi, in Israele, nel mondo… forse anche nelle stelle… Non ne posso più! Più di vedere che sono l’ultimo, di vedere che delle nullità, come quei due stolti che parlano col Maestro, sono ammirati come due oracoli santi, stanco di…».
   «Senti, ragazzo…», comincia a dire Pietro, che è rosso più nello sforzo di contenersi che per il caldo.
   Ma Giuda Taddeo lo interrompe: «Misuri gli altri colla tua misura? Cerca di essere tu “nullità”, come lo sono Giacomo mio fratello e Giovanni di Zebedeo, e non vi saranno più imperfezioni nel gruppo apostolico».
   «Ma ecco se non ho ragione! L’imperfezione sono io! Ah! ma è troppo! Ma è…».
   «Sì, credo che infatti è stato troppo il vino che ci ha fatto bere Giuseppe… e con questo caldo ti fa male… Scherzi del sangue…», dice calmo calmo Tommaso per volgere in burla la disputa che si accende.

   410.2Ma Pietro ha esaurito la sua sopportazione e a denti stretti, a pugni chiusi per dominarsi ancora, dice: «Senti, ragazzo. Per te è consigliabile una cosa. Sepàrati per un poco…».
   «Io? Io separarmi? Per tuo ordine? Solo il Maestro può ordinarmi e a Lui solo ubbidisco. Chi sei tu? Un povero…».
   «Pescatore, ignorante, rozzo, buono a nulla. Hai ragione… Me lo dico io prima di te. E davanti all’onnipresente e onniveggente nostro Jeovè testifico che preferirei essere l’ultimo al primo, testifico che vorrei vedere te, chiunque altro al mio posto, ma te più di tutti, perché tu fossi liberato dal mostro della gelosia che ti fa ingiusto, e non avere che da ubbidire, ubbidirti, ragazzo… E credi che mi costerebbe meno fatica di questo doverti parlare come “primo”. Ma Egli, il Maestro, mi ha fatto “primo” fra voi… E a Lui devo ubbidire per prima cosa, e a Lui più che a ogni altro… E tu devi ubbidire. E col mio buon senso di pescatore ti dico non di separarti, come tu, vedendo fuoco nelle parole più fresche, hai compreso, ma di allontanarti per un poco, stare solo, riflettere… Ci stavi pure in coda a tutti, da Bétèr alla valle? Fa’ così anche ora… Il Maestro in testa… tu in coda… In mezzo noi… le nullità… Non c’è che stare soli per capire e per calmarsi… Da’ retta… È meglio per tutti, per te per il primo…». E lo prende per un braccio e lo tira fuori dal gruppo, dicendo: «Lì, sta’ lì mentre noi raggiungiamo il Maestro. E poi… vieni su adagio adagio… e vedrai che ti passa… il temporale», e lo pianta in asso raggiungendo i compagni che sono già oltre di qualche metro.

   410.3«Auf! Ho sudato più parlandogli che camminando… Che temperamento! Ma si potrà mai ottenere qualcosa da lui?».
   «Mai, Simone. Mio fratello si ostina a tenerlo. Ma… non ne farà mai nulla di buono», gli risponde Giuda Taddeo.
   «È un bel castigo che abbiamo fra noi!», mormora Andrea e termina: «Io e Giovanni ne abbiamo quasi paura e si tace sempre per tema di altre dispute».
   «È la misura migliore, infatti», dice Bartolomeo.
   «Io non riesco a tacere», confessa il Taddeo.
   «Ci riesco male anche io… Ma ho trovato il segreto per far­lo», dice Pietro.
   «Quale? Quale? Insegnacelo…», dicono tutti.
   «Lavorando come un bue all’aratro. Un lavoro inutile, magari… Ma che serva a farmi riversare ciò che mi bolle dentro su… qualcosa che non sia Giuda».
   «Ah! ho capito! Ecco perché hai fatto quel rovinio di piante nella discesa della valle! Per questo, eh?», gli chiede Giacomo di Zebedeo.
   «Sì, per questo… Ma oggi… qui… non avevo cosa spezzare senza far danno. Non ci sono che alberi da frutto ed era peccato rovinarli… Ho faticato tre volte di più a… spezzarmi io stesso per non… per non essere il vecchio Simone di Cafarnao… Ne ho le ossa indolorite…».
   Bartolomeo e lo Zelote hanno lo stesso movimento e le stesse parole, abbracciano Pietro esclamando: «E ti stupisci che Egli ti abbia fatto il primo fra noi? Tu ci sei maestro…».
   «Io? Per questo?… Inezie!… Sono un povero uomo… Ma vi chiedo soltanto di volermi bene dandomi i dotti consigli, gli amorosi e semplici consigli. Amore e semplicità perché io diventi come voi… E unicamente per amore di Lui che ha già tante pene…».
   «Hai ragione. Almeno noi a non dargliene!», esclama Matteo.
   «Io ho avuto una grande paura per la chiamata di Giovanna. Voi non sapete proprio nulla, voi due che siete andati avanti?», interroga Tommaso.
   «No, di sicuro no. Ma dentro di noi abbiamo pensato che sia stato quello là dietro che… ne ha combinata qualcuna», risponde Pietro.
   «Taci! Ho avuto lo stesso pensiero udendo parlare il Maestro nel sabato», confessa Giuda Taddeo.
   «Io pure», soggiunge Giacomo di Zebedeo.
   «Toh!… Non ci avevo pensato… neppure vedendo Giuda così cupo quella sera, e così villano, bisogna dirlo», dice Tommaso.
   «Bene. Non parliamone più. E cerchiamo di… farlo migliore con tanto amore, tanto sacrificio. Come ci ha insegnato Marziam…», dice Pietro.

   410.4­«Che farà Marziam?», domanda sorridendo Andrea.
   «Mah!… Presto saremo con lui. Non ne vedo l’ora… Mi costano proprio queste separazioni».
   «Chissà perché il Maestro le vuole. Ormai… Potrebbe stare con noi anche Marziam. Non è più un fanciullo né un gracile», osserva Giacomo di Zebedeo.
   «E poi… Se ha fatto tanta via lo scorso anno quando era così esile, con più ragione potrebbe camminare adesso», dice Filippo.
   «Io penso che sia per non farlo trovare presente a certe birbonate…», dice Matteo.
   «O con certi contatti…», borbotta il Taddeo che proprio non sopporta l’Iscariota.
   «Forse avete ragione tutti e due», dice Pietro.
   «Ma no! Farà per finire di farlo irrobustire! Vedrete che il prossimo anno è con noi», afferma Tommaso.
   «Il prossimo anno! Ci sarà ancora il Maestro con noi il prossimo anno?», chiede pensieroso Bartolomeo. «A me i suoi discorsi sembrano così… indicatori…».
   «Non lo dire!», supplicano gli altri.
   «Non lo vorrei dire. Ma non dire non serve ad allontanare ciò che è segnato».
   «Ebbene… Ragione di più per noi di migliorarci molto in questi mesi… Per non dargli dei dolori ed essere pronti. Voglio dirgli che ora, quando saremo in riposo in Galilea, ci istruisca molto, molto, proprio noi dodici… Tanto presto ci saremo…».
   «Sì. E non ne vedo l’ora. Sono anziano e queste marce con questo caldo mi danno molti incomodi segreti», confessa Bartolomeo.
   «A me pure. Sono stato un vizioso e sono più vecchio che non si pensi numerando gli anni. Gli stravizi… eh! Ora li sento tutti nelle ossa… Poi noi, figli di Levi, soffriamo di dolori proprio per natura…».

   410.5«E io? Sono stato malato per anni… e quella vita, nelle spelonche, con poco cibo e miserevole. Si ritrovano queste co­se!…», dice lo Zelote.
   «Ma se hai sempre detto che da quando sei stato guarito ti sei sentito sempre forte?», chiede alle sue spalle Giuda che li ha raggiunti. «Ti è forse finito l’effetto del miracolo?».
   Lo Zelote ha una mossa tipica sul volto brutto ed espressivo, sembra dica: «È qui! Signore, dàmmi pazienza!». Ma risponde con somma cortesia: «No. Non è finito l’effetto del miracolo. E lo si vede. Non mi sono più ammalato. Sono forte. Resistente. Ma gli anni sono anni e le fatiche fatiche. E questi calori che ci mettono in sudore come fossimo caduti in un fossato, e poi queste notti direi gelide rispetto al calore del giorno e che ci ghiacciano il sudore addosso mentre la guazza finisce di inumidire le vesti già zuppe di sudore, non mi fanno certo bene. E non vedo l’ora di essere a riposo per riguardarmi un poco. Alla mattina, specie se si dorme a ciel sereno, sono tutto indurito. Se mi infermo del tutto, a che servo?».
   «A soffrire. Egli dice che la sofferenza vale lavoro e preghiera», gli risponde Andrea.
   «Va bene. Ma io preferirei servirlo apostolicamente e…».
   «E sei stanco anche tu. Confessalo. Sei stanco di continuare questa vita senza prospettiva di ore buone, ma anzi con prospettiva di persecuzioni e… sconfitte. Cominci a riflettere che risichi di tornare ad essere il proscritto», dice Giuda di Keriot.
   «Non rifletto niente. Dico che sento che mi ammalo».
   «Oh! come ti ha guarito una volta!…», e Giuda ride ironico.

   410.6Bartolomeo sente prossimo un altro battibecco e lo storna chiamando Gesù. «Maestro! Per noi non c’è nulla? Sei sempre avanti!…».
   «Hai ragione, Bartolmai. Ma adesso ci fermiamo. Vedi quella casetta? Andiamo là perché il sole è troppo forte. A sera torneremo ad andare. Bisogna affrettarsi nel ritorno verso Gerusalemme, perché la Pentecoste è alle porte».
   «Di che parlavate fra voi?», chiede Giuda Taddeo al fratello.
   «Ma figurati! Avevamo cominciato a parlare di Giuseppe d’Arimatea e abbiamo finito a parlare dell’antico podere di Gioacchino a Nazaret e del suo costume, finché poté farlo, di prendere metà raccolti per sé e dare il resto ai poveri, cosa che i vecchi di Nazaret ricordano così bene. Quante astinenze quei due giusti di Anna e Gioacchino! Per forza hanno ottenuto il miracolo della Figlia, di quella Figlia!… E con Gesù rievocavo quando si era bambini…».
   Il racconto prosegue mentre procedono verso la casa fra i campi assolati.

   
   410.7
Dice Gesù: «Qui metterete la visione del miracolo della spigolatura per la vecchietta (nella pianura fra Emmaus della pianura e i monti che portano a Gerusalemme) avuta il 27 settembre 1944».