MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME VI CAPITOLO 411



CDXI. Lezioni tratte dalla natura e spigolatura miracolosa per una vecchietta. Come aiutare chi si ravvede.­

   27 settembre 1944.

   411.1­Per una campagna tutta bionda di messi passa Gesù coi suoi discepoli. Fa molto caldo, per quanto il giorno sia nelle sue prime ore. I mietitori falciano fra i solchi gremiti di spighe, facendo vuoti fra l’oro delle biade. Le falci brillano al sole un attimo, scompaiono fra le alte spighe, riappaiono dall’altra parte per un altro attimo e il manipolo piega e si adagia, come stanco d’esser stato eretto per mesi e mesi, sulla terra calda di sole. Delle donne passano, legando i covoni, dietro ai falciatori. La campagna è per ogni dove intenta a questo lavoro. La messe è stata molto buona e i mietitori ne sono giubilanti.
   Molti, quando il gruppo apostolico passa lungo la via ed essi sono prossimi ad essa, sospendono per un attimo il lavoro appoggiandosi alla falce e asciugandosi il sudore e guardano, e così le donne che legano i covoni. Nei loro abiti chiari, col capo coperto da un telo bianco, paiono tanti fiori emersi dalla terra spogliata di grano, papaveri, fiordalisi e margheritone. Gli uomini, in corte tuniche, o bigie o giallognole, sono meno vistosi. Non hanno, di chiaro, che il telo legato da una funicella sul capo e ricadente sul collo e sulle guance. Fra quel bianco i volti abbronzati di sole paiono anche più neri.
   Gesù, quando si vede osservato, passa salutando: «La pace e benedizione di Dio sia con voi», e gli altri rispondono: «La benedizione di Dio torni su Te», oppure più semplicemente: «Sia anche con Te».
   Alcuni, più loquaci, interessano Gesù alla messe dicendo: «Fu buona, quest’anno. Guarda che spighe granite e come sono fitte nei solchi. Si fatica a segarle. Ma è pane!…».
   «Siatene grati al Signore. E lo sapete che non a parole ma ad opere si deve mostrare la gratitudine. Siate misericordiosi in questa vostra raccolta, pensando all’Altissimo che fu misericorde di rugiade e di sole ai vostri campi perché aveste molto grano. Ricordatevi il precetto[99] del Deuteronomio. Pensate, nel raccogliere la ricchezza che Dio vi ha data, a chi non ne ha, e lasciate ad essi un poco del vostro. Santa menzogna questa, che è carità di prossimo vostro e che Dio vede. Meglio è esser pronti a lasciare che a raccogliere con avidità. Dio benedice i generosi.
   Dare è meglio che ricevere[100], perché obbliga il giusto Dio a dare più abbondante mercede a colui che fu pietoso».
   Gesù passa e ripete i suoi consigli d’amore.

   411.2­Viene il sole più caldo. I mietitori cessano il lavoro e i vicini alle case rientrano in esse, i lontani si raccolgono all’ombra di alberi e là riposano, mangiano, sonnecchiano.
   Anche Gesù si rifugia in un boschetto molto folto che è nell’interno della campagna, e seduto sull’erba, dopo aver pregato offrendo il parco cibo di pane, formaggio e ulive, distribuisce le parti e mangia parlando coi suoi. Vi è ombra e frescura e un grande silenzio. Il silenzio delle ore assolate d’estate. Un silenzio che invita al sonno. E i più sonnecchiano, infatti, dopo il cibo. Gesù no. Riposa, con le spalle appoggiate ad un albero, e intanto si interessa del lavoro degli insetti sui fiori.
   Ad un certo punto fa cenno a Giovanni, Giuda Iscariota e a uno dei più anziani che Egli chiama Bartolomeo, e avutili intorno dice: «Ma osservate questo piccolo insetto quale lavoro sta facendo. Guardate. È del tempo che lo sorveglio. Vuole rapire a questo calice così piccino il miele che ne empie il fondo e, poiché non vi passa, guardate, allunga prima una zampina e poi l’altra, le intinge nel miele e poi se ne ciba. A momenti l’ha vuotato. Vedete che ammirabile cosa la provvidenza di Dio! Non ignorando che senza certi organi l’insetto, creato per essere un volante crisolito sul verde dei prati, non avrebbe potuto nutrirsi, ecco che lo ha munito di queste minuscolissime barbe lungo le zampette. Le vedete? Tu, Bartolomeo? No? Guarda. Ora lo piglio e te lo mostro contro luce», e delicatamente prende lo scarabeo, che pare d’oro brunito, e se lo pone a dorso in giù sulla mano.
   Lo scarabeo fa il morto e i tre osservano le sue zampette. E poi si mette a sgambettare per fuggire. Non vi riesce, naturalmente, ma Gesù l’aiuta e lo mette sulle zampe. La bestiolina cammina sulla palma, va sulla punta delle dita, si spenzola, apre le ali. Ma è sospettoso.
   «Non sa che Io non voglio che il bene di ogni essere. Non ha che il suo piccolo istinto. Perfetto se si paragona alla sua natura, sufficiente a tutto quanto gli abbisogna. Ma tanto inferiore al pensiero umano. Perciò l’insetto non è responsabile se fa mala azione. L’uomo no. L’uomo ha in sé una luce d’intelligenza superiore, e più l’avrà per quanto più sarà nelle cose di Dio istruito. Perciò sarà responsabile del suo operare».

   411.3«Allora, Maestro», dice Bartolomeo, «noi che Tu ammaestri abbiamo molta responsabilità?».
   «Molta. E più ne avrete in futuro, quando il Sacrificio sarà compiuto, la Redenzione venuta e con essa la Grazia che è forza e luce. E, dopo essa, verrà Chi ancor più vi farà capaci di volere. Chi, poi, non vorrà, sarà molto responsabile».
   «Allora ben pochi si salveranno!».
   «Perché Bartolomeo?».
   «Perché è tanto debole l’uomo!».
   «Ma se fortifica la sua debolezza con la fiducia in Me diviene forte. Credete che Io non capisca le vostre lotte? E non compatisca le vostre debolezze? Vedete? Satana è come quel ragno che sta tendendo la sua insidia da quel rametto a questo stelo. È così sottile e così subdolo! Guardate come splende quel filo. Pare argento di una filigrana impalpabile. Sarà invisibile nella notte e domani all’alba sarà splendido di gemme, e le mosche imprudenti, che girano nella notte cercando cibi poco puliti, vi cascheranno dentro, e anche le farfalline leggere, che sono attirate da ciò che splende…».
   Altri apostoli si sono avvicinati e ascoltano la lezione tratta dal regno vegetale e animale.
   «…Ebbene, il mio amore fa, verso Satana, ciò che fa ora la mia mano. Distrugge la tela. Guardate come fugge il ragno e si nasconde. Ha paura del più forte. Anche Satana ha paura del più forte. E il più forte è l’Amore».

   411.4­«Non sarebbe meglio distruggere il ragno?», dice Pietro, molto pratico nelle sue conclusioni.
   «Sarebbe meglio. Ma esso ragno fa il suo dovere. Vero è che uccide le povere farfalline così belle, ma stermina anche gran numero di mosche luride che portano malattie e contaminazioni da malati a sani, da morti a vivi».
   «Ma nel nostro caso che fa il ragno?».
   «Che fa, Simone? (anche Simone è molto anziano, ed è quello che si lamentava[101] dei reumatismi). Fa quello che fa la buona volontà in voi. Distrugge le tiepidezze, i quietismi, le vane presunzioni. Vi obbliga a stare vigilanti. Quale è la cosa che vi fa degni di premio? La lotta e la vittoria. Potete aver vittoria se non avete lotta? La presenza di Satana obbliga ad una vigilanza continua. L’Amore, poi, che vi ama, rende la presenza non inesorabilmente nociva. Se state presso all’Amore, Satana tenta, ma viene reso incapace di nuocere veramente».
   «Sempre?».
   «Sempre. Nelle grandi e piccole cose. Per esempio, una piccola cosa: a te inutilmente ti consiglia di aver cura della tua salute. Subdolo consiglio per cercare di levarti a Me. L’Amore ti tiene stretto, Simone, e i tuoi dolori perdono valore anche agli occhi tuoi».
   «Oh! Signore! Tu sai?…».
   «Sì. Ma non te ne accasciare. Su, su! Te ne darà tanto di ardimento l’Amore, che ora è il primo a sorridere sulla tua umanità che trema per i suoi reumi…».
   Gesù ride del confuso discepolo e se lo stringe a Sé per consolarlo. Anche nel ridere è pieno di dignità. Anche gli altri ridono.

   411.5­«Chi viene ad aiutare quella povera vecchia?», dice Gesù accennando una vecchierella che, sfidando il solleone, spigola nei solchi falciati.
   «Io», dice Giovanni e, con lui, Tommaso e Giacomo.
   Ma Pietro prende Giovanni per una manica e, portandoselo un poco discosto, gli dice: «Domanda al Maestro cosa ha che lo fa tanto felice. Io gliel’ho chiesto ma non mi ha detto altro che: “La mia felicità è vedere che un’anima ricerca la Luce”. Ma se tu glielo chiedi… A te dice tutto».
   Giovanni è in contrasto tra il ritegno e la voglia di sapere e di accontentare Pietro. Raggiunge lentamente Gesù che è già nel campo e spigola. La vecchietta, vedendo tutti quei giovani, ha una mossa desolata e si affanna per esser svelta.
   «Donna! Donna!», grida Gesù. «Spigolo per te. Non stare al sole, madre. Ora vengo».
   La vecchietta, interdetta da tanta bontà, lo guarda fisso, poi ubbidisce e porta la sua striminzita personcina, curva e un poco tremante, lungo il filo d’ombra della proda. Gesù va sollecito, raccattando spighe. Giovanni lo segue da presso. Più lontano sono Tommaso e Giacomo.
   «Maestro», affanna Giovanni. «Come trovi tante spighe? Io nel solco accanto ne trovo così poche!».
   Gesù sorride e non parla. Non lo potrei giurare. Ma mi pare che spighe falciate e non raccolte scaturiscano là dove l’occhio divino si posa. Gesù raccoglie e sorride. Ha un vero fascio di spighe fra le braccia.
   «Tieni, Giovanni, il mio. Così ne hai tante anche tu e la piccola madre sarà felice».
   «Ma, Maestro… Tu… Tu fai miracolo? Non è possibile che ne trovi tante!».
   «Sss! È per la piccola madre… pensando alla mia e alla tua. Guarda che vecchierella che è!… Il buon Dio, che sfama l’uccellino che è appena nato, vuole empire il minuscolo granaio di questa nonnetta. Ne avrà pane per questi mesi che ancora le restano. Non vedrà la nuova messe. Ma non voglio abbia fame nel suo ultimo inverno. Ora udrai le esclamazioni. Preparati, Giovanni, ad averne lacerate le orecchie, come Io mi preparo ad esser lavato di pianto e di baci…».
   «Come sei ilare, Gesù, da qualche giorno! Perché?».
   «Sei tu che lo vuoi sapere o vi è chi ti manda?».
   Giovanni, già rosso per la fatica, diviene cremisi.
   Gesù capisce: «Di’ a chi ti manda che c’è un mio fratello che è malato e cerca guarigione. La sua volontà di guarire mi empie di gioia».
   «Chi è, Maestro?».
   «Un tuo fratello, un che Gesù ama, un peccatore».
   «Allora non uno di noi?».
   «Giovanni, credi che fra voi non sia peccato? Credi che Io non gioisca che per voi?».
   «No, Maestro. So che noi pure siamo peccatori e che tutti gli uomini Tu vuoi salvare».
   «E allora? Ti ho detto: “Non indagare” quando vi era da scoprire il male. Ti dico lo stesso ora che c’è un’aurora di bene…

   411.6­La pace a te, madre! Ecco le nostre spighe. I miei compagni verranno poi con le loro».
   «Dio ti benedica, figlio. Come ne hai trovate tante? Vero è che poco io ci vedo. Ma questi sono proprio due covoni, grossi… grossi…». La vecchia li palpeggia, la sua mano tremula li carezza, li vuole alzare… Non può.
   «Ti aiuteremo. Dove è la tua casa?».
   «Quella». Accenna ad una casetta oltre i campi.
   «Sei sola, vero?».
   «Sì. Come lo sai? E Tu chi sei?».
   «Sono uno che ha una madre».
   «È tuo fratello questo?».
   «Mio amico è».
   L’amico fa, da dietro le spalle di Gesù, dei grandi segni alla vecchina. Ma questa, dalle pupille velate, non li vede. È fra l’al­tro troppo intenta ad osservare Gesù. Il suo cuore di vecchia madre si commuove.
   «Sei sudato, figlio. Vieni qui al riparo di questa pianta. Siedi. Guarda come ti cola il sudore! Asciugati col mio velo. È logoro ma pulito. Prendi, prendi, figlio mio».
   «Grazie, madre».
   «Benedetta chi madre è di Te, buono. Dimmi il tuo nome e il suo. Che io li dica a Dio perché vi benedica».
   «Maria e Gesù».
   «Maria e Gesù… Maria e Gesù… Aspetta… Una volta ho pianto molto… Il figlio del mio figlio fu ucciso per aver difeso il suo maschio, e il figlio mi morì di dolore per questo… e allora si disse che fu ucciso l’innocente perché si cercava un di nome Gesù… Ora sono alle soglie della morte e quel nome torna…».
   «Allora per quel Nome piangesti, madre. Ora quel Nome ti dia benedizione…».
   «Sei Tu quel Gesù… dillo ad una che muore e che è vissuta senza maledire, perché le fu detto che il suo dolore era per salvare il Messia a Israele».
   Giovanni raddoppia i suoi gesti. Gesù tace.
   «Oh! dimmelo! Sei Tu? Tu a benedirmi sull’estremo della vita? In nome di Dio, parla».
   «Io sono».
   «Ah!». La vecchietta si prostra contro terra. «Salvatore mio! Son vissuta nell’attesa e non speravo vederti. Vedrò il tuo trionfo?».
   «No, madre. Come Mosè[102] morrai senza conoscere quel giorno. Ma Io ti anticipo la pace di Dio. Io son la Pace. Io la Via. Io la Vita. Tu, madre e nonna di giusti, mi vedrai in un altro eterno trionfo, ed Io ti aprirò le porte, a te e al figlio, al figlio del figlio e al suo maschio. Sacro al Signore quel maschio, morto per Me! Non piangere, madre!…».
   «Ed io ti ho toccato! E Tu mi hai colto le spighe! Oh! come ho meritato questo onore?!».
   «Per la tua rassegnazione santa.

   411.7­Vieni, madre. Alla tua casa. E questo grano ti dia pane per l’anima più che per il corpo. Io sono il Pane vero che è sceso dal Cielo per sfamare tutte le fami dei cuori. Voi (Tommaso e Giacomo li hanno raggiunti col loro manipolo). Prendete questi covoni. E andiamo».
   E vanno carichi tutti e tre di spighe, e Gesù li segue con la nonnetta che piange e mormora parole di preghiera.
   La casetta è raggiunta. Due stanzette, un minuscolo forno, un fico, un poco di vite. Lindura e povertà.
   «Questo è il tuo asilo?».
   «Questo. Benedicilo, Signore!».
   «Chiamami figlio. E prega perché mia Madre abbia conforto nel suo dolore, tu che sai cosa è il dolore di una madre. Addio, madre. Ti benedico nel nome del Dio vero».
   E Gesù alza la mano e benedice la piccola dimora, e poi si curva e abbraccia la vecchina e se la stringe al cuore e la bacia sul capo coperto di pochi capellucci bianchi. E lei piange e striscia le labbra sulle mani di Gesù, lo venera, lo ama… e me mi soverchia il dolore. Perché[103] penso a mia madre che ebbe paura di Te, Gesù, quando ti vide… Perché paura di Te, Gesù?

   411.8Dice Gesù:
   «[…].
   L’altro perché che hai nel cuore è sapere se Io sapevo che Giuda non si sarebbe salvato nonostante quel conato alla salvezza.
   Lo sapevo. E allora perché ero felice? Perché anche il solo desiderio presente, fiore nella landa del cuore di Giuda, faceva guardare benignamente dal Padre questo mio discepolo che amavo e che non avrei potuto salvare. L’occhio di Dio su un cuore! Che vorrei se non che il Padre vi guardasse tutti e con amore? E lo dovevo, essere felice, per dare al disgraziato anche questo mezzo per risorgere. Il pungolo della mia gioia nel vederlo tornare a Me.
   Un giorno, dopo la mia morte, Giovanni seppe questa verità e la disse a Pietro, Giacomo, Andrea e agli altri, perché così Io avevo comandato al Prediletto, al quale non fu ignoto nessun segreto del mio cuore. Lo seppe e lo disse, perché tutti avessero norma nel guidare poi i discepoli e i fedeli.
   Sull’anima che, caduta, viene al ministro di Dio e confessa il suo errore, all’amico o al figlio, allo sposo o al fratello che, avendo sbagliato, vengono dicendo: “Tienimi con te. Voglio non più errare per non dare dolore a Dio e a te”, non si deve, oltre alle altre cose, far mancare la soddisfazione di vedere la nostra felicità nel vederli desiderosi di farci felici. Ci vuole un tatto infinito nel curare i cuori. Io, Sapienza, anche conoscendo che nel caso di Giuda ciò era inutile, l’ho avuto per insegnare a tutti l’arte di redimere, di aiutare chi si redime.
   E ora dico anche a te come a Simon cananeo: “Su, su!”, e ti stringo a Me per farti sentire che c’è chi ti ama. Da queste mani scendono punizioni ma anche carezze, e dalle mie labbra parole severe ma anche, più numerose e dette con tanta più gioia, parole di compiacimento.
   Va’ in pace, Maria. Non hai dato pena al tuo Gesù, e ciò sia il tuo conforto».

[99] il precetto è quello diDeuteronomio 24, 19.
[100] Dare è meglio che ricevere è una sentenza di Gesù non riportata nei Vangeli ma ricordata in: Atti 20, 35. La troveremo ripetuta in 547.2 e in 596.17.
[101] si lamentava, non in 410.5 ma, guardando alle date di stesura, in 361.3.
[102] Mosè, della cui morte si parla in:Deuteronomio 32, 48-52; 34, 1-8.
[103] Perché...? La prima risposta di Gesù, che riguarda la madre della scrittrice, viene riportata nel volume “I quaderni del 1944”. L’altro perché riguarda Giuda Iscariota, il cuiconato alla salvezza si trova in un episodio scritto quattro giorni prima, il 23 settembre 1944, ma che avrà la sua collocazione nel capitolo 468.