MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME VI CAPITOLO 413



CDXIII. Arrivo a Gerusalemme per la Pentecoste e disputa con i dottori nel Tempio.­

   9 aprile 1946.

   413.1­La città è piena di gente. Il Tempio è stipato. Gesù vi ascende non appena entrato a Gerusalemme e vi entra dalla porta presso la Probatica, perciò quasi immediatamente, prima che la gente possa accorgersi che Egli è in città e che la notizia si propaghi dalla casa dove depongono le borse e dove si mondano dalla polvere e dal sudore per entrare mondi nel Tempio.
   La solita indecorosa gazzarra dei venditori e cambiavalute. Il solito caleidoscopio di colori, di volti.
   Gesù, con gli apostoli che hanno comperato il necessario per l’offerta, va direttamente al luogo di preghiera e vi sosta a lungo. Naturalmente è notato da molti, buoni o cattivi che siano, ed un sussurro scorre come vento e con rumore di vento fra le frasche per il largo cortile esteriore dove la gente si ferma a pregare. E quando, dopo la preghiera, Egli si volge per tornare sui suoi passi, un codazzo di gente, sempre più ingrossantesi, lo segue per gli altri atrii, portici, cortili, finché, divenuta una folla, lo circonda chiedendo la sua parola.
   «In altro momento, o figli! In altro luogo!», dice Gesù e alza la mano a benedire cercando di allontanarsi.
   Ma se scribi, farisei, dottori e loro discepoli, sparsi fra la gente, sogghignano dicendosi l’un l’altro mezze frasi che sono altrettante beffe, come: «La prudenza consiglia», oppure: «Eh! un poco di paura…», o: «Ha raggiunto l’età del discernere», o anche: «Meno stolto di quanto si credeva…»; i più, quelli che, o per conoscenza amorosa di Lui, o per desiderio buono di conoscerlo, sono senza livore, insistono dicendo: «Ci leverai dunque questa festa nella Festa? Maestro buono, non lo puoi fare! Molti di noi hanno fatto sacrifici per rimanere qui in tua attesa…», e alcuni anche zittiscono o rispondono per le rime a qualche motteggiatore.
   È chiaro che la massa sarebbe pronta a travolgere le minoranze malvagie, le quali, astute e subdole, capiscono l’antifona e non solo si azzittiscono ma cercano di allontanarsi. E, nonostante siano nella cinta del Tempio, molti non si peritano di fare, alle spalle dei partenti, degli atti di motteggio o lanciare qualche epiteto, mentre alcuni altri, dei più anziani e perciò dei più riflessivi, interpellano Gesù dicendo: «Ma che avverrà, Tu che sai, di questo luogo, di questa città, di tutto Israele che non si arrende alla Voce del Signore?».

   413.2Gesù guarda con pietà quelle teste brizzolate o canute affatto e risponde:
   «Geremia vi ha detto[106] che avverrà di coloro che al lampo del corruccio divino rispondono con aumento di peccato, che la pietà divina prendono come prova di debolezza da parte di Dio. Perché Dio non si irride, o figli. Voi, come disse l’Eterno per bocca di Geremia, siete come l’argilla nelle mani del vasaio, come argilla sono coloro che si credono potenti, come argilla gli abitanti di questo luogo e quelli della reggia. Non c’è potenza umana che possa resistere a Dio. E, se l’argilla resiste al vasaio e vuole prendere forme strane, orribili, il vasaio riduce il già fatto di nuovo in pugno di argilla e rimodella il suo vaso, finché esso si persuade che il più forte è il vasaio e non si arrende al suo volere. E ancora può accadere che il vaso vada a pezzi perché si ostina a non lasciarsi modellare, perché rifiuta l’acqua con cui il vasaio lo bagna per poterlo modellare senza crepe. E allora il vasaio getta l’argilla riottosa, i cocci inutili, inlavorabili, nelle immondezze, e prende argilla nuova e la plasma nella forma che gli sembra meglio.
   Non dice così il Profeta, narrando il simbolo del vasaio e del vaso d’argilla? Così dice. E, ripetendo le parole del Signore, dice: “Così, come l’argilla è in mano del vasaio, così tu sei, o Israele, in mano di Dio”. E aggiunge il Signore, per avviso ai riottosi, che solo la penitenza e il pentimento al rimprovero di Dio possono far modificare il decreto di Dio di punizione verso il popolo ribelle.
   Israele non si è pentito. Perciò le minacce di Dio si sono accanite una e dieci volte su Israele. Israele neppure ora si pente, ora che non un profeta, ma più che un profeta parla a Israele. E Dio, che ha avuto per Israele la suprema misericordia e mi ha mandato, ora vi dice: “Poiché non date ascolto alla mia stessa Voce, Io mi pentirò del bene che vi ho fatto e preparerò contro voi la sventura”. Ed Io, che la Misericordia sono, anche sapendo di disperdere inutilmente la mia voce, grido a Israele: “Ciascuno torni indietro dalla sua cattiva strada. Rendete ognuno retta la vostra condotta e le vostre tendenze. Perché almeno, quando il disegno di Dio si compirà per la Nazione colpevole, i migliori fra essa, nella perdita generale dei beni, della libertà, dell’unione, conservino lo spirito libero dalla colpa, unito a Dio, e non perdano i beni eterni così come avranno perduto i beni terreni”.
   Le visioni dei profeti non sono senza uno scopo: quello di avvisare gli uomini di ciò che può avvenire. E detto è, dalla figura del vaso d’argilla cotta, spezzato al cospetto del popolo, cosa attende le città e i regni che non si arrendono al Signore, e…».

   413.3Gli anziani, gli scribi, dottori e farisei, che si erano allontanati prima, devono essere andati ad avvisare le milizie del Tempio e i magistrati preposti all’ordine. E uno di essi, seguito da un pugno di quelle comiche milizie di cartapesta, che di battagliero non hanno che le facce che sono un misto di tontoleria con un poco di malizia e una larga presa di durezza, per non dire di delinquenza, viene verso Gesù che parla appoggiato ad una colonna del portico dei Pagani e, non potendo passare fra la siepe serrata della folla che fa cerchio intorno al Maestro, grida: «Vattene! O io ti farò gettare fuori dalla cinta dai miei soldati…».
   «Uuh! Uuuh! I mosconi verdi! Gli eroi sugli agnelli! E non sapete entrare a prendere prigioni quelli che fanno di Gerusalemme un lupanare, del Tempio un mercato? Va’ via, faccia di coniglio, va’ dalle faine… Uuuh! Uuuh!». La gente si rivolta contro a quei soldati da caricatura e mostra chiaramente che non intende lasciar fare ingiuria al Maestro.
   «Io ubbidisco agli ordini avuti…», si scusa il capo di questi… tutori dell’ordine.
   «Tu ubbidisci a Satana e non te ne accorgi. Va’, va’ a impetrare misericordia per avere osato insultare e minacciare il Maestro! Il Maestro non si tocca! Avete capito? Voi nostri oppressori, Egli l’Amico dei poveri. Voi nostri corruttori, Egli nostro Maestro santo. Voi rovina nostra, Egli nostra Salute. Voi perfidi, Egli buono. Via, o faremo a voi ciò che Matatia fece[107] a Modin. Ribalteremo voi giù dalla discesa del Moria come tanti altari idoli e faremo pulizia lavando il luogo profanato col sangue vostro, e i piedi dell’unico Santo in Israele calpesteranno quel sangue per andare al Santo dei Santi e regnarvi, Lui che lo merita. Via di qua! Voi e i vostri padroni! Via, sgherri che servite gli sgherri…».
   Un tumulto pauroso… Dall’Antonia accorrono le guardie romane con un graduato anziano, severo, spicciativo.
   «Fate largo, fetenti! Che avviene? Vi state sbranando fra voi per qualcuno dei vostri agnelli rognosi?».
   «Si ribellano alle milizie…», vuol spiegare il magistrato.
   «Per Marte invitto! Questi… milizie? Ah! Ah! Va’ a dar guerra agli scarafaggi, guerriero da cantina. Parlate voi…», ordina alla gente.
   «Volevano imporre silenzio al Rabbi galileo. Cacciarlo volevano. Forse prenderlo…».
   «Al Galileo? Non licet. Nella lingua di Roma vi dico la parola del decollato. Ah! Ah! Marcia a cuccia tu e i tuoi botoli. E di’ che a cuccia stiano anche i mastini. La Lupa sa sbranare anche quelli… Inteso? Solo Roma ha diritto di giudizio. E Tu, Galileo, racconta pure le tue favole… Ah! Ah!», e si rivolta tutto d’un pezzo, con un barbaglio di corazze al sole, e se ne va.
   «Proprio come a Geremia…».
   «Come a tutti i profeti devi dire…».
   «Ma Dio trionfa lo stesso».
   «Maestro, parla ancora. Le vipere sono fuggite».
   «No, lasciatelo andare, che non tornino con più forza e lo mettano in catene i novelli Fassur[108]…».
   «Non c’è pericolo… Finché dura il ruggito del leone, non vengono fuori le iene…».
   La gente parla e commenta in una bella confusione.

   413.4­«Vi sbagliate», dice tutto mellifluo un impaludato fariseo, seguito da altri suoi simili e da alcuni dottori della Legge. «Vi sbagliate. Non dovete credere che tutta una casta sia come qualcuno di essa. Eh! Eh! Il buono e cattivo c’è su ogni pianta».
   «Sì. Infatti i fichi sono dolci in genere. Ma però, se sono acerbi o troppo maturi, sono aspri o acidi. Voi siete acidi. Come quelli del pessimo paniere del profeta Geremia», dice da mezzo alla folla uno che non conosco, ma che deve essere ben noto a molti, e potente anche, perché vedo un grande ammiccare fra la gente e noto che il fariseo incassa il colpo senza reagire.
   Anzi, ancor più mellifluo, si rivolge al Maestro e gli dice: «Splendido soggetto alla tua sapienza. Parlaci, o Rabbi, su questo soggetto. Le tue spiegazioni sono così… nuove… così… dotte… Noi le gustiamo con avida fame».
   Gesù guarda fisso questo campione farisaico e poi gli risponde: «Anche un’altra inconfessata fame hai, o Elchia, e hanno i tuoi amici. Ma vi sarà dato anche quel cibo… E più acido dei fichi. E vi corromperà l’interno come i fichi inaciditi corrompono le viscere».
   «No, Maestro. Te lo giuro nel nome del Dio vivo! Io e i miei amici non abbiamo altra fame fuorché quella di sentirti parlare… Dio ci vede se…».
   «Basta così. L’onesto non ha bisogno di giuramenti. Le sue azioni sono giuramenti e testimonianze.

   413.5Ma non parlerò dei fichi ottimi e dei fichi guasti…».
   «Perché, Maestro? Temi che i fatti contraddicano le tue spiegazioni?».
   «O no! Anzi…».
   «Allora Tu prevedi per noi gli strazi, gli obbrobri, la spada, la peste, la fame?».
   «Questo e più ancora».
   «Più ancora? E che? Dio non ci ama dunque più?».
   «Tanto vi ama che ha compiuto la promessa».
   «Te? Perché Tu sei la promessa?».
   «Io lo sono».
   «E allora quando fondi il tuo Regno?».
   «Le fondamenta di esso già sono».
   «Dove? Dove?».
   «Nel cuore dei buoni».
   «Ma quello non è un regno! È un ammaestramento!».
   «Il mio Regno, essendo spirituale, ha per sudditi gli spiriti. E gli spiriti non occorrono di regge, case, milizie, mura. Ma di conoscere la Parola di Dio e metterla in pratica. Ciò che sta avvenendo nei buoni».
   «Ma puoi Tu dire questa Parola? Chi te ne autorizza?».
   «Il possesso».
   «Quale possesso?».
   «Il possesso della Parola. Io do ciò che sono. Uno che ha vita può dare la vita. Uno che ha denaro può dare denaro. Io ho per mia eterna natura la Parola traducente il divino Pensiero, e la Parola Io do, ché a questo dono mi sprona l’Amore di far conoscere il Pensiero dell’Altissimo che mi è Padre».
   «Bada a ciò che dici! È audace parlare! Potrebbe nuocer­ti!».
   «Più mi nuocerebbe mentire, perché sarebbe snaturare la mia Natura e rinnegare Colui da cui procedo».
   «Tu dunque sei Dio, il Verbo di Dio?».
   «Lo sono».
   «E così lo dici? Alla presenza di tanti testimoni che potrebbero farne denuncia?».
   «La Verità non mente. La Verità non calcola. La Verità è eroica».
   «E questa è verità?».
   «La Verità è Colui che vi parla. Perché il Verbo di Dio traduce il Pensiero di Dio, e Dio è Verità».

   413.6­La gente è tutt’orecchi, in un silenzio attento, a seguire il battibecco che però procede senza asprezze. Altri, da altri luoghi, sono affluiti lì e il cortile è pieno, stipato di gente. Centinaia di visi rivolti verso un sol punto. E dagli sbocchi che portano da altri cortili a questo si affacciano volti e volti, a collo teso, nell’intento di vedere e sentire…
   Il sinedrista Elchia e i suoi amici si guardano… Una vera telefonia di sguardi. Ma si contengono. Anzi, un vecchio dottore chiede tutto cortese: «E per evitare i castighi che Tu prevedi, che si dovrebbe fare?».
   «Seguirmi. E soprattutto credermi. E più ancora amarmi».
   «Sei un portafortuna?».
   «No. Sono il Salvatore».
   «Ma non hai eserciti…».
   «Ho Me stesso. Ricordate, ricordate per vostro bene, per pietà delle vostre anime, ricordate le parole[109] del Signore a Mosè e ad Aronne quando ancora erano in terra d’Egitto: “Ciascuno del popolo di Dio prenda un agnello senza macchia, maschio, di un anno. Uno per casa, e se non basta il numero dei familiari a finire l’agnello prenda i vicini. E lo immolerete il quattordicesimo giorno di abid, che ora è detto nisam, e col sangue dell’immolato bagnino gli stipiti e l’architrave della porta delle vostre case. E nella stessa notte ne mangerete le carni arrostite al fuoco, col pane senza lievito e lattughe selvatiche. E quanto potrebbe rimanere distruggerete col fuoco. E mangerete coi fianchi cinti, i calzari al piede, il bordone in mano, in fretta, perché è il passaggio del Signore. E quella notte Io passerò percuotendo ogni primogenito d’uomo o d’animale che si trovino nelle case non segnate del sangue dell’agnello”. Al presente, nel nuovo passaggio di Dio, il più vero passaggio, perché realmente Dio passa fra di voi visibile, riconoscibile ai suoi segni, la salvezza sarà su quelli che saranno segnati del Sangue dell’Agnello col segno salutare. Perché in verità tutti ne sarete segnati. Ma soltanto quelli che amano l’Agnello e ameranno il suo Segno, da quel Sangue avranno salvezza. Per gli altri sarà il marchio di Caino. E voi sapete che Caino non meritò più di vedere il volto del Signore, né mai più conobbe sosta. E percosso a tergo dal rimorso, dal castigo, da Satana, suo re crudele, andò ramingo e fuggiasco per la Terra e finché ebbe vita. Una grande, grande figura del Popolo che percuoterà il nuovo Abele…».
   «Anche Ezechiele parla del Tau… Tu credi che il tuo Segno
   sia il Tau di Ezechiele?».
   «Quello è».
   «Tu allora ci accusi che in Gerusalemme sono abominazioni?».
   «Vorrei non poterlo fare. Ma così è».
   «E fra i segnati del Tau non vi sono peccatori? Lo puoi giurare?».
   «Io non giuro nulla. Però dico che, se fra i segnati vi saranno peccatori, ancor più tremendo sarà il loro castigo, perché gli adulteri dello spirito, i rinnegatori, gli uccisori di Dio dopo essere stati i suoi seguaci, saranno i più grandi nell’Inferno».
   «Ma quelli che non possono credere che Tu sia Dio non avranno peccato. Saranno giustificati…».
   «No. Se non mi aveste conosciuto, se non aveste potuto constatare le mie opere, se non aveste potuto controllare le mie parole, non avreste colpa. Se non foste dottori in Israele, non avreste colpa. Ma voi conoscete le Scritture e vedete le mie opere. Potete fare un parallelo. E, se lo fate con onestà, Me vedete nelle parole della Scrittura, e le parole della Scrittura vedete tradotte in atti in Me. Perciò non sarete giustificati di misconoscermi e odiarmi. Troppe abominazioni, troppi idoli, troppe fornicazioni sono dove solo Dio dovrebbe essere. E in ogni luogo dove voi siete. La salvezza è nel ripudiarle e nell’accogliere la Verità che vi parla. E perciò dove voi uccidete, o tentate di uccidere, sarete uccisi. E per questo sarete giudicati alle frontiere di Israele, là dove ogni potere umano decade e solo l’Eterno è Giudice dei suoi creati».

   413.7­«Perché parli così, Signore? Severo sei».
   «Veritiero sono. Io sono la Luce. La Luce è stata mandata per illuminare le Tenebre. Ma la Luce deve splendere liberamente. Inutile sarebbe che l’Altissimo avesse mandato la sua Luce se poi ad essa Luce avesse imposto il moggio. Neppure gli uomini così fanno quando accendono un lume, perché allora sarebbe stato inutile lo avessero acceso. Se l’accendono è perché illumini e chi entra in casa ci vegga. Io, nella oscurata casa terrena del Padre mio, vengo a mettere la Luce, perché chi è in essa veda. E la Luce splende. E beneditela se col suo raggio purissimo vi discopre rettili, scorpioni, trabocchetti, ragnatele, crepe delle muraglie. Ve lo fa per amore. Per darvi modo di conoscervi, ripulirvi, cacciare gli animali nocivi — le passioni e i peccati — ricostruirvi prima che sia troppo tardi, vedere dove mettete il piede — sul tranello di Satana — prima che vi precipitiate. Ma per vedere, oltre al lume netto ci vuole occhio netto. Da un occhio che la malattia fa coperto di materia non passa la luce. Pulite i vostri occhi. Pulite il vostro spirito perché la Luce possa scendere in voi. Perché perire nelle Tenebre quando il Buonissimo vi manda Luce e Medicina per guarirvi? Non è ancora troppo tardi. Venite, nell’ora che vi resta, venite alla Luce, alla Verità, alla Vita. Venite al Salvatore vostro che vi tende le braccia, che vi apre il cuore, che vi supplica di accoglierlo per il vostro eterno bene».
   Gesù è veramente supplichevole, amorosamente supplichevole, spoglio di ogni cosa che non sia amore… Anche le belve più ostinate, più ubbriache d’odio lo sentono e le loro armi si sentono vinte, i loro veleni non hanno forza di spruzzare fuori il loro acido.

   413.8­Si guardano. Poi Elchia parla per tutti: «Bene hai parlato,.Maestro! Ti prego accettare il convito che offro per onorarti».
   «Non chiedo altro onore che quello di conquistare le vostre anime. Lasciami alla mia povertà…».
   «Non vorrai farmi offesa col rifiutare?!».
   «Nessuna offesa. Ti prego di lasciarmi coi miei amici».
   «Ma anch’essi, chi può dubitare diversamente? Anche essi con Te. Grande onore per la mia casa!… Grande onore!… Vai pure da altri che grandi sono! Perché non da Elchia?».
   «Ebbene… verrò. Ma credi che non potrò dirti parole diverse, nel segreto della casa, da quelle che ti ho dette qui, fra il po­po­lo».
   «E neppure io! E neppure i miei amici! Lo dubiti forse?…».
   Gesù lo guarda fisso fisso. E poi dice: «Non dubito che di ciò che ignoro. Ma non ignoro il pensiero degli uomini. Andiamo alla tua casa… La pace a coloro che mi hanno ascoltato».
   E al fianco di Elchia si dirige fuor dal Tempio, seguito dal codazzo dei suoi apostoli mescolati, e non entusiasti di esserlo, agli amici di Elchia.

[106] ha detto, in: Geremia 18, 1-11; 19, 10-15.
[107] fece, come si legge in: 1 Maccabei 2, 23-28.
[108] Fassur (detto Pascur nelle nuove versioni) è nominato in:Geremia 20, 1-3; pessimo paniere, di dieci righe più sotto, è riferito all’episodio di: Geremia 24.
[109] parole, che sono in: Esodo 12, 3-13.