MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME VI CAPITOLO 419



CDXIX. Guarigioni in un paesello della Decapoli. Parabola dello scultore e delle statue.­

   2 ottobre 1944.

   419.1Ecco quanto vedo. Un paesello fluviale di poche case molto modeste. Deve essere quello da cui è partito Gesù quando traghettò[123] in barca il Giordano in piena, perché vedo venire incontro a Gesù, che aveva mandato avanti a preparargli la via l’Iscariota e Tommaso, il barcaiolo con i suoi parenti.
   Il barcaiolo, quando vede venire da lontano Gesù, affretta il passo e, giunto davanti a Gesù, si inchina con somma riverenza dicendo: «Bene vieni, o Maestro, ai nostri malati. Essi ti attendono. Ho molto parlato di Te. Tutto il paese ti saluta per bocca mia dicendo: “Benedetto il Messia del Dio altissimo!”».
   «La pace a te e a questo paese. Sono qui per voi. Non sarete delusi nelle vostre speranze. Chi crede avrà pietoso il Cielo. Andiamo». E Gesù si pone al fianco del barcaiolo, procedendo verso il centro del paesello.
   Donne, bambini, uomini si fanno sulle soglie e poi seguono il piccolo corteo man mano che procede. Ad ogni metro cresce la gente, perché sempre se ne unisce dell’altra alla prima. Chi saluta e chi benedice e chi invoca.

   419.2­«Maestro», grida una madre, «mio figlio è malato. Vieni, benedetto!».
   E Gesù devia verso una povera casa, pone una mano sulla spalla della madre tutta in lacrime e chiede: «Dove è tuo figlio?».
   «Qui, Maestro, vieni».
   Entrano la madre, Gesù, il barcaiolo, Pietro, Giovanni, il Taddeo e dei popolani. Gli altri si affollano sulla porta e guardano allungando i colli per vedere.
   In un angolo della povera e scura cucina è un letticciuolo presso il focolare acceso. E, sopra, un cadaverino di fanciullo sui sette anni. Dico un cadaverino tanto è consumato, giallognolo, senza moto. Solo l’ansito rantoloso del piccolo petto, malato direi di tubercolosi.
   «Guarda, Maestro. Ho speso tutte le mie risorse per salvare almeno questo. Non ho più marito, gli altri due figli mi sono morti alla stessa età di questo. L’ho portato fin a Cesarea marittima per mostrarlo ad un medico romano. Ma non ha saputo che dirmi: “Rassegnati. La carie lo rode”. Guarda…».
   E la madre scopre il povero esserino gettando indietro le coperte. Là dove non sono fasce, sono ossicina sporgenti da una pelle arsa e giallognola. Ma poca parte di corpo è scoperta. L’altra è sotto bende e pannolini che, quando vengono levati dalla madre, mostrano i caratteristici buchi gementi delle carie ossee. Uno spettacolo miserando.

   419.3Il malatino è così abbattuto che non fa gesto. Pare non si tratti neppure di lui. Apre appena gli occhi incavati e intontiti e dà uno sguardo indifferente, direi infastidito, alla folla. Poi li richiude.
   Gesù lo carezza. Pone la sua lunga mano sulla testolina abbandonata, e il bambino riapre gli occhi guardando con più interesse quell’uomo sconosciuto, che lo tocca con tanto amore e che gli sorride con tanta pietà.
   «Vuoi guarire?». Gesù parla piano, curvandosi sulla faccina smunta. Prima ha ricoperto il corpicino dicendo alla madre, che voleva porre altre fasce: «Non occorre, donna. Lascia così».
   Il malatino annuisce senza parlare.
   «Perché?».
   «Per la mamma mia», dice la vocina esile esile. La madre piange più forte.
   «Sarai sempre buono se guarisci? Un buon figlio? Un buon cittadino? Un buon fedele?». Fa le domande ben staccate, per dare tempo al piccolo di rispondere singolarmente. «Ti ricorderai quanto prometti ora? Sempre?».
   I lievi, e pur tanto profondi di desiderio, «sì» cadono uno dopo l’altro come tanti sospiri d’anima.
   «Dammi una mano, piccolo». Il malatino vuol dare quella sana, la sinistra. Ma Gesù dice: «L’altra dammi. Non ti farò male».
   «Signore», dice la madre, «è tutta una piaga. Lascia che io la fasci. Per Te…».
   «Non importa, donna. Non ho ribrezzo che delle impurità dei cuori. Dammi la mano e di’ con Me: “Voglio esser sempre buono come figlio, come uomo e come credente nel Dio vero”».
   Il bambino ripete forzando la vocina. Oh! c’è tutta la sua anima in quella voce, e la speranza… e certo anche quella della madre.

   419.4­Un silenzio solenne si è fatto nella stanza e nella via. Gesù, che tiene con la sinistra la destra del malato, alza la sua mano destra — la sua mossa di quando annuncia una verità o di quando impone la sua volontà ai morbi e agli elementi — e diritto, solenne, con voce potente dice: «Ed Io voglio che tu sii sanato. Sorgi, fanciullo, e loda il Signore»; e gli lascia andare la manina, che ora è tutta sana, magra, ma senza la minima escoriazione, e dice alla madre: «Scopri la tua creatura».
   La donna, che ha un viso di chi è fra una sentenza di morte e una di grazia, leva titubante le coperte… e ha un urlo e si getta sul corpicino magrissimo ma sano, lo bacia, lo stringe… è folle di gioia. Tanto da non vedere che Gesù si allontana dal letto e si avvia alla porta.
   Ma il malatino vede e dice: «Benedicimi, o Signore, e lascia che io ti benedica. Mamma… non ringrazi?».
   «Oh! perdono!…». La donna, col bambino fra le braccia, si getta ai piedi di Gesù.
   «Comprendo, donna. Va’ in pace e sii felice. Addio, bambino. Sii buono. Addio a tutti». Ed esce.

   419.5Donne e donne alzano i loro bambini perché la benedizione di Gesù li preservi in futuro dal male. Piccoli si intrufolano fra i grandi per farsi carezzare. E Gesù benedice, carezza, ascolta, si ferma ancora a guarire tre malati agli occhi ed uno che trema tutto come per ballo di S. Vito[124]. Ora è al centro del paese.
   «Vi è qui un mio parente sordo e muto di nascita. Sarebbe sveglio di mente, ma non può nulla fare. Guariscilo, Gesù», dice il barcaiolo.
   «Conducimi a lui».
   Entrano in un orticello in fondo al quale è un giovane sulla trentina, che attinge l’acqua a un pozzo e la versa sulle verdure. Nella sua sordità, avendo le spalle voltate, non si accorge di quanto avviene e continua imperterrito la sua occupazione, nonostante i gridi della folla siano tanto forti da impaurire i colombi sui tetti.
   Il barcaiolo lo raggiunge, lo prende per un braccio e lo conduce da Gesù.
   Gesù si pone di fronte all’infelice, molto accosto, proprio corpo contro corpo, di modo che con la sua lingua tocca la lingua del muto che sta a bocca aperta e, con i due medi nelle orecchie del sordomuto, prega un attimo con gli occhi levati al cielo, poi dice: «Apritevi!», e leva le mani e si scosta.
   «Chi sei che mi sleghi parola e udito?», grida il miracolato[125].
   Gesù fa un gesto e cerca proseguire uscendo dal dietro della casa. Ma tanto il guarito che il barcaiolo lo trattengono, uno dicendo: «È Gesù di Nazaret, il Messia», e l’altro esclamando: «Oh! resta, che io ti adori!».
   «Adora il Dio altissimo e siigli sempre fedele. Va’. Non perdere tempo in inutili parole, non fare del miracolo oggetto di umano passatempo. Usa la favella nel bene, più che con le orecchie ascolta col cuore le voci dello Spirito Creatore che ti ama e benedice».
   Ma sì! Dire ad uno, tanto felice, di non parlare della sua felicità, è inutile! Il guarito si rifà dei tanti anni di mutismo e di sordità parlando con tutti i presenti.

   419.6Il barcaiolo insiste perché Gesù entri nella sua casa per riposarsi e prendere ristoro. Si sente l’autore di tutto il rispetto che circonda Gesù e se ne tiene. Vuole sia riconosciuto il suo diritto.
   «Ma io sono il notabile del paese», dice un vecchione imponente.
   «Ma se non ero io con le mie barche, tu Gesù non lo vedevi», risponde il barcaiolo.
   E Pietro, sempre schietto e impulsivo: «Veramente… se non ero io a dirti una cosetta, tu… le barche…».
   Gesù interviene provvidenzialmente, facendo contenti tutti. «Andiamo presso al fiume. Là, in attesa del cibo, e sia parco e frugale perché il cibo deve servire al corpo e non essere scopo del corpo, Io evangelizzerò. Chiunque vorrà udirmi e interrogarmi venga con Me».
   Potrei dire che il paese intero lo segue.

   419.7Gesù sale su una barca tirata in secco sul greto e da quella tribuna improvvisata, avendo di fronte, seduti a semicerchio sulla riva e fra le piante, gli uditori, parla loro.
   Prende lo spunto dalla domanda che fa un uomo: «La nostra Legge, Maestro, quasi indica come colpiti da Dio coloro che nascono infelici, tanto che vieta[126] loro ogni servizio all’altare. Ma che colpa ne hanno costoro? Non sarebbe giusto riputare colpevoli i loro genitori che li danno alla luce infelici? Le madri in specie? E come dobbiamo comportarci con questi nati disgraziati?».
   «Udite. Uno scultore sommo e perfetto fece un giorno la forma di una statua, e ne fece un’opera tanto perfetta che se ne compiacque e disse: “Voglio che la Terra sia piena di tale meraviglia”. Ma da sé solo non poteva sopperire a tale lavoro. Chiamò allora in suo aiuto altre persone e disse loro: “Su questo modello fatemi mille e diecimila statue ugualmente perfette. Io poi darò loro l’ultimo tocco, infondendo espressione alle loro fisionomie”. Ma gli aiutanti non erano capaci di tanto, anche perché, oltre ad essere molto inferiori nella capacità del loro maestro, si erano resi un poco ebbri, avendo gustato un frutto il cui succo crea deliri e nebbie. Allora lo scultore dette loro come delle forme e disse: “In esse modellate la materia; sarà opera giusta ed io la farò completa avvivandola dell’ultimo colpo”. E gli aiutanti si misero all’opera.
   Ma lo scultore aveva un grande nemico. Nemico suo personale e nemico dei suoi aiutanti, il quale cercava con ogni mezzo di far sfigurare lo scultore e di mettere dissapori fra lui e i suoi aiutanti. Perciò costui nelle opere di essi mise la sua astuzia, là alterando la materia da colare nella forma, qua indebolendo il fuoco, più oltre assonnando gli aiutanti. Onde avvenne che il reggitore del mondo, per cercare di impedire il più possibile che l’opera uscisse in copie imperfette, mise sanzioni gravi contro quei modelli usciti in modo imperfetto. Ed una fu che tali modelli non potessero esser esposti nella Casa di Dio. Là tutto deve, o dovrebbe, esser perfetto. Dico: dovrebbe, perché non è così. Anche se l’apparenza è buona, buona non è la real­tà. I presenti nella Casa di Dio paiono senza difetti, ma l’occhio di Dio scopre in essi i più gravi. Quelli che sono del cuore.

   419.8­Oh! il cuore! È con quello che si serve Dio; in verità, è con quello. Non occorre né basta aver occhio limpido e udito perfetto, voce armoniosa, belle membra, per cantare le lodi gradite a Dio. Non occorre né basta aver belle vesti e monde e profumate. Limpido e perfetto, armonico e ben costrutto deve esser lo spirito nello sguardo, nell’udito, nella voce, nelle forme spirituali, e queste devono essere ornate di purezza: ecco la veste bella e monda, e profumata di carità; ecco l’olio saturo d’essenza che piace a Dio.
   E che carità sarebbe quella di uno che, essendo felice e vedendo un infelice, avesse per lui scherno e odio? Ma, anzi, doppia e tripla carità va data a chi, incolpevole, è nato infelice. L’in­felicità è pena che dà merito a chi la porta e a chi, congiunto al colpito, la vede portare e ne soffre per amor di parente, e forse si batte il petto pensando: “Causa di questa pena io sono, con i miei vizi”. E non deve mai divenire causa di colpa spirituale in chi la vede. Colpa diviene se diviene anticarità. Onde Io vi dico: non siate mai senza carità col vostro prossimo. È nato infelice? Amatelo perché porta la sua gran pena. È divenuto infelice per sua colpa? Amatelo perché la sua colpa già si è mutata in castigo. È genitore di un infelice nato tale o divenuto tale? Amatelo perché non vi è pena più grande di un dolore di genitore colpito nella sua creatura. È una madre che ha generato un mostro? Amatela perché ella è letteralmente schiacciata da quel dolore che crede il più inumano. Inumano è.

   419.9Ma più ancora è il dolore di una che è madre di un mostro d’anima, la quale si accorge di aver partorito un demonio e un pericolo per la Terra, per la patria, per la famiglia, per gli amici. Oh! che questa non osa più neppure alzare la fronte, povera madre di un feroce, di un abbietto, di un omicida, di un traditore, di un ladro, di un corrotto! Ebbene, Io vi dico: amate anche queste madri, le più infelici. Quelle che nei secoli passeranno col nome di madri di un assassino, di un traditore.
   Ovunque la Terra ha udito il pianto delle madri straziate da una morte crudele del proprio figlio. Da Eva in poi, quante madri si sono sentite lacerare le viscere più che nelle doglie del parto — ma che dico? — si sono sentite sradicare le viscere e con esse il cuore da una mano feroce davanti al cadavere del figlio assassinato, giustiziato, martirizzato dagli uomini, e hanno ululato il loro spasimo, avvoltolandosi con un delirio di spasmodico amor doloroso sulla spoglia che non le udiva più, che non si scaldava più al loro calore, che non poteva più fare un moto per dire con lo sguardo, o col gesto, se più non poteva con la bocca: “Madre, io ti odo”.
   Eppure Io vi dico che ancor la Terra non ha udito il grido e raccolto il pianto della più santa e della più infelice. Di quelle che saranno eterne nel ricordo dell’uomo. La Madre dell’ucciso Redentore e la madre di colui che sarà il suo traditore. Queste due, martiri in diverso modo, si udiranno, attraverso le miglia, si udiranno gemere, e sarà la Madre innocente e santa, la più innocente, l’innocente Madre dell’Innocente, quella che dirà alla sorella lontana, martire di un figlio crudele più che d’ogni altra cosa: “Sorella, io ti amo”.
   Amate per esser degni di Questa che amerà per tutti e amerà tutti. L’amore è quello che salverà la Terra».

   419.10­E Gesù scende dal suo rustico pulpito e si china a carezzare un bambinello seminudo nella sua camicetta, che si rotola sull’erba del greto. Dopo tante sublimi parole di Maestro, è dolce vederlo così, interessarsi di un pargolo, come un semplice uomo, e poi spezzare il pane e offrirlo e darlo ai più vicini e sedersi e mangiare umanamente, mentre certo nel cuore già sente l’ululo di sua Madre e vede Giuda al suo fianco.
   A me fa più impressione, a me così impulsiva, questo suo dominio sui sentimenti di molte altre cose. È una lezione continua che io ne ho. Ma gli astanti, invece, pare che siano rimasti addirittura affascinati. Mangiano pensosi e silenziosi, guardando con venerazione il dolce Maestro d’amore.

[123] traghettò, in 361.10/12.
[124] ballo di S. Vito è il nome che si dà ad una malattia del sistema nervoso, caratterizzata da contrazioni muscolari e da movimenti involontari.
[125] grida il miracolato, il quale parla, dunque, pur essendo stato sordo e muto dalla nascita: un miracolo nel miracolo, come in 341.6.
[126] vieta, in: Levitico 21, 16-24.