MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME VI CAPITOLO 428



CDXXVIII. Parabola della vigna e del vignaiolo, figure dell'anima e del libero arbitrio.­

   4 maggio 1946.

   428.1­«La pace a voi, amici miei. Il Signore è buono. Ci concede di riunirci per un convito fraterno. Dove andavate?», chiede[138] Gesù agli ex pastori, mentre si inoltra in un boschetto per ripararsi dal sole.
   «Chi verso il mare, chi verso i monti. Ma fino a qui procedemmo insieme, crescendo sempre di numero per altri gruppi trovati per via», dice Daniele, già pastore del Libano.
   «Sì, e noi due vorremmo spingerci al grande Hermon dove pasturammo i greggi per pasturare i cuori», dice Beniamino, il suo compagno.
   «Buona è l’idea. Io anderò per qualche tempo a Nazaret, poi sarò tra Cafarnao e Betsaida sino alla neomenia della luna di elul. Ciò vi dico perché possiate trovarmi in caso di bisogno. Sedete e mettiamo in comune le nostre cibarie per spartirle secondo giustizia».
   Così fanno, stendendo su un telo le loro… ricchezze: focacce, formaggelle, pesce salato, ulive, qualche uovo, le prime mele… e, come hanno versato allegramente, così lietamente spartiscono dopo che Gesù ha offerto e benedetto.
   Come sono contenti di quell’insperato banchetto d’amore! Stanchezza e caldo sono dimenticati da essi, persi come sono nella gioia di sentire Gesù che li interroga su quanto hanno fatto e li consiglia, oppure racconta ciò che Egli ha fatto. E, per quanto l’ora caldissima di una giornata afosa dia sbalordimento di sonnolenza, l’interesse è tanto che nessuno si abbandona al sonno ma, finito il pasto, riposte le poche provviste che sono rimaste, dividendole in parti uguali per quanti sono, si ritirano ancor più nel folto delle prime boscaglie del colle e, al rezzo degli alberi, seduti a cerchio intorno a Gesù, lo pregano di dire loro una bella parabola che serva per regola di vita e per insegnamento.

   428.2­Gesù, che è seduto in modo da aver di fronte il piano di Esdrelon, spoglio ormai di grani ma opimo di vigneti e di frutteti, gira lo sguardo sul panorama come cercando un argomento in ciò che vede. Sorride. Ha trovato. Inizia con una domanda generica: «Belli, non è vero, i vigneti di questo piano?».
   «Molto. Sono carichi inverosimilmente di uve che maturano. E molto ben tenuti. Per questo rendono tanto».
   «Saranno però piante pregiate…», insinua Gesù. E termina: «Il piano, essendo quasi tutto diviso in poderi padronali di ricchi farisei, essi lo hanno coltivato con piante buone senza farsi rincrescere le spese di acquisto».
   «Oh! non servirebbe avere acquistato le migliori piante se poi non si fosse continuato a curarle! Io me ne intendo, perché i miei beni sono tutti a viti. Ma se non ci sudo io, ossia se non ci avessi sudato come ora continuano a sudarci i miei fratelli, credi pure, Maestro, che non potrei offrirti alla vendemmia dei grappoli uguali a quelli dello scorso anno», dice un uomo vigoroso, sui quarant’anni, che mi pare di aver già visto ma di cui non ricordo il nome.
   «Hai ragione, Cleofa. Tutto il segreto per avere buoni frutti è nella cura che si dà ai nostri averi», dice un altro.
   «Buoni frutti e buoni guadagni. Perché, se la terra desse soltanto quello che si è speso per essa, sarebbe sempre un mal impiego del denaro. La terra deve dare il frutto del capitale che ci costa, più un guadagno che ci permetta di aumentare le nostre ricchezze. Perché bisogna pensare che un padre ha da fare parti ai figli. E da una sostanza, sia in terre che in denaro, deve fare più parti, quanti sono i figli, per dare a tutti di che vivere. Non credo che questo moltiplicare le sostanze per beneficare i figli sia riprovevole», insiste Cleofa.
   «Non lo è se è raggiunto col lavoro onesto e in maniera onesta. Dunque tu dici che, nonostante la bontà dei polloni messi a dimora, per avere utile occorre lavorare molto intorno ad essi?».
   «E come! Prima che facciano il primo grappolo… Perché ci vuole tempo, eh! E perciò pazientare e lavorare anche, finché i vitignoli[139] hanno solo foglie. E dopo, quando già danno frutto e sono forti. Guardare che non abbiano rami inutili, insetti nocivi, che le erbe parassite non smagriscano il terreno o soffochino i tralci sotto i fogliami dei rovi e dei vilucchi, fare al piede gli scassi e gli anelli perché le rugiade penetrino e le acque stagnino un poco più che altrove, a nutrire la pianta, e dare concime… Brutto lavoro! Ma ci vuole, anche se è mortificante, perché l’uva, così dolce, così bella che pare una raccolta di pietre preziose ogni grappolo, si forma proprio succhiando quel nero e fetido letame. Pare impossibile, ma è così! E sfogliare per far scendere il sole sui grappoli, e finita la vendemmia sistemare le piante legando, potando, coprendo le radici con paglie ed escrementi a difenderle dal gelo, e anche nell’inverno andare a vedere se i venti o qualche malandrino non ha divelto i pali, e se il tempo non ha sciolto i vimini usati per tenere legati i rami ai sostegni… Oh! c’è sempre da fare finché la vite non è morta del tutto… E dopo c’è ancora da fare per levarla dal suolo, e rimondare questo dalle radici per farlo pronto a ricevere un nuovo vitignolo. E sai come bisogna aver mano leggera e paziente e occhio sagace a districare i tralci delle piante morte, mescolati a quelli delle piante ancora vive? Se si andasse con stoltezza e mano pesante, se ne farebbero dei danni! Bisogna esser del mestiere per sapere!… Le viti? Ma come dei figli sono! E prima che un figlio sia uomo, quanto occorre sudare a mantenerlo sano di corpo e di spirito!…

   428.3Ma io parlo, parlo, e non ti faccio parlare… Ci hai promesso una parabola…».
   «Veramente l’hai già fatta tu. Basterebbe applicare la tua conclusione e dire che le anime sono come le viti…».
   «No, Maestro! Parla Tu. Io… ho detto sciocchezze e noi non possiamo fare da noi il lavoro di applicazione…».
   «Va bene. Udite.
   Quando noi ebbimo una carne animale nel seno della madre nostra, Dio nei Cieli creò l’anima[140] a fare a sua somiglianza il futuro uomo e la collocò nella carne che si formava in un seno. E l’uomo, giunto il suo tempo di nascere, nacque con la sua anima, la quale sino all’uso della ragione fu come una terra lasciata incolta dal padrone. Ma, giunta l’età della ragione, l’uomo cominciò a ragionare e a distinguere il Bene e il Male. Ecco allora che si accorse di avere una vigna da coltivare a suo piacere. E si accorse di avere un vignaiuolo preposto a questa vigna: il suo libero arbitrio. Infatti la libertà di guidarsi, lasciata da Dio all’uomo suo figlio, è come un servo capace dato da Dio all’uomo suo figlio, perché lo aiuti a fare fertile la vigna, ossia l’anima.
   Se l’uomo non dovesse faticare da sé a farsi ricco, a farsi un eterno avvenire di prosperità soprannaturale, se tutto avesse dovuto ricevere da Dio, che merito avrebbe di ricrearsi in santità, dopo che Lucifero ha corrotto la santità iniziale e gratuitamente data da Dio ai primi uomini? Già è molto che alle creature decadute per eredità di colpa Dio concede di meritare il premio ed essere santi, rinascendo, per volontà propria, a quella natura iniziale di creature perfette che il Creatore aveva dato ad Adamo ed Eva, e ai loro procreati se i progenitori si fossero conservati immuni dalla colpa originaria. L’uomo decaduto deve tornare uomo eletto per sua libera volontà.
   Orbene, che succede nelle anime? Questo. L’uomo affida la sua anima alla sua volontà, al suo libero arbitrio, il quale si dà a lavorare la vigna fino allora rimasta terreno senza piante, buono, ma spoglio di piante durevoli. Solo erbe gracili e fioretti caduchi erano stati, per i primi anni di esistenza, sparsi in essa: le istintive bontà del fanciullo che è buono, perché è ancora angelo ignaro del Bene e del Male.
   Voi direte: “Per quanto rimane tale?”. Generalmente si dice: nei primi sei anni. Ma in verità ci sono ragioni precoci[141] per cui abbiamo fanciulli già responsabili delle loro azioni avanti i sei anni. Abbiamo fanciulli responsabili delle loro azioni anche a tre, quattro anni, responsabili perché sanno che ciò è Bene e ciò è Male, e vogliono liberamente questo o quello. Dal momento che una creatura sa distinguere la mala azione dalla buona azione, è responsabile. Non prima. Perciò uno stolto anche a cento anni è un irresponsabile, ma hanno responsabilità in sua vece i suoi tutori, i quali devono amorosamente vegliare su lui e sul prossimo che dall’ebete o dal folle può essere danneggiato, acciò l’incapace non faccia danno a sé e agli altri. Però Dio non ascrive all’ebete o al folle nessuna colpa, perché per sua disgrazia egli è privato della ragione. Ma noi parliamo di esseri intelligenti e sani di mente e di corpo.

   428.4­Dunque l’uomo affida la sua vigna incolta al suo lavoratore, il libero arbitrio, ed esso comincia a coltivarla. L’anima, la vigna, ha però una voce e la fa udire all’arbitrio. Una voce soprannaturale, nutrita da voci soprannaturali che Dio non nega mai alle anime: quella del Custode, quella di spiriti mandati da Dio, quella della Sapienza, quella dei ricordi soprannaturali[142] che ogni anima ricorda anche senza che l’uomo tutto ne abbia la percezione esatta. E parla all’arbitrio, con voce soave, supplice anche, per pregarlo di ornarla di piante buone, di essere attivo e saggio per non fare di lei una prunaia selvatica, maligna, velenosa, dove sono annidati serpenti e scorpioni, e fa tana la volpe e la faina e altri quadrupedi malvagi.
   Il libero arbitrio non sempre è un buon coltivatore. Non sempre guarda la vigna e la difende con siepe invalicabile, ossia con una volontà ferma e buona, tesa a difendere l’anima dai ladroni, dai parassiti, da tutte le cose perniciose, dai venti violenti che potrebbero far cadere i fioretti delle buone risoluzioni quando queste sono appena formate nel desiderio. Oh! che siepe alta e forte occorre alzare intorno al cuore per salvarlo dal male! Come bisogna vegliare che non sia forzata, che non siano aperte in essa né grandi aperture da cui entrano dissipazioni, né subdole e piccole aperture, alla base, dalle quali si insinuano le vipere: i sette vizi capitali! Come occorre sarchiare, bruciare le erbe cattive, potare, fare scassi, concimare con la mortificazione, curare con l’amore a Dio e al prossimo la propria anima. E sorvegliare con occhio aperto e luminoso, e mente sveglia, perché i maglioli, che potevano parere buoni, non si disvelino poi dannosi e, se ciò avviene, senza pietà svellerli. Meglio una pianta sola, ma perfetta, a molte inutili o dannose.
   Abbiamo cuori, abbiamo perciò vigne che sono sempre lavorate, piantate di nuove piante da un disordinato coltivatore che affastella nuove piante: questo lavoro, quell’idea, quella volontà, anche non malvagie, ma che poi non se ne cura più e malvagie divengono, cadono al suolo, si imbastardiscono, muoiono… Quante virtù periscono perché mescolate alle sensualità, perché non coltivate, perché, in conclusione, il libero arbitrio non è sorretto dall’amore! Quanti ladri entrano a rubare, a manomettere, a svellere, perché la coscienza dorme invece di vegliare, perché la volontà si infiacchisce e corrompe, perché l’arbitrio si fa sedurre e si fa schiavo, lui libero, del Male.
   Ma pensate! Dio lo lascia libero, e l’arbitrio si fa schiavo delle passioni, del peccato, delle concupiscenze, del Male insomma. Superbia, ira, avarizia, lussuria, mescolate prima, trionfanti poi sulle piante buone!… Un disastro! Quanta arsura che dissecca le piante perché non c’è più l’orazione che è unione con Dio, e perciò rugiada di benefici succhi sull’anima! Quanto gelo ad assiderare le radici con la mancanza di amore a Dio e al prossimo! Quanta magrezza di terreno perché si rifiuta la concimazione della mortificazione, dell’umiltà! Che groviglio inestricabile di rami buoni e non buoni, perché non si ha il coraggio di soffrire per amputarsi di ciò che è nocivo! Questo è lo stato di un’anima che ha per suo custode e coltivatore un arbitrio disordinato e volto al Male.
   Mentre l’anima che ha un arbitrio che vive nell’ordine e perciò nell’ubbidienza della Legge, data perché l’uomo sappia cosa è, come è e come si conserva l’ordine, e che è eroicamente fedele al Bene, perché il Bene eleva l’uomo e lo fa simile a Dio, mentre il Male lo abbrutisce e lo fa simile al demonio, è una vigna irrorata dalle acque pure, abbondanti, utili, della fede, debitamente ombreggiata da piante della speranza, soleggiata dal sole della carità, corretta dalla volontà, concimata dalla mortificazione, legata con l’ubbidienza, potata dalla fortezza, condotta dalla giustizia, sorvegliata dalla prudenza e dalla coscienza. E la grazia cresce, aiutata da tanto, cresce la santità, e la vigna diviene un giardino meraviglioso in cui scende Iddio a prendere le sue delizie finché, conservandosi dessa vigna sempre un giardino perfetto fino alla morte della creatura, dai suoi angeli[143] Dio fa portare questo lavoro, di un libero arbitrio volonteroso e buono, nel grande ed eterno giardino dei Cieli.
   Certo voi volete questa sorte. E allora vegliate acciò il Demonio, il Mondo, la Carne non seducano il vostro arbitrio e devastino l’anima vostra. Vegliate perché in voi sia amore e non amor proprio, che spegne l’amore e getta l’anima in balìa delle sensualità diverse e del disordine. Vegliate sino alla fine, e le tempeste potranno bagnarvi ma non nuocervi, e carichi di frutti andrete al vostro Signore per il premio eterno.
   Ho finito.

   428.5­Ora meditate e riposate sino al tramonto mentre Io mi ritiro a pregare».
   «No, Maestro. Non dobbiamo tardare a metterci in cammino per raggiungere le case», dice Pietro.
   «Ma perché? C’è tempo al tramonto!», dicono in molti.
   «Non penso al tramonto io, né al sabato. Penso che non passerà un’ora che verrà una furiosa tempesta. Vedete quelle lingue nere che spuntano adagio dalle catene della Samaria? E quelle così bianche che galoppano veloci venendo da occidente? Un vento alto spinge queste, uno basso quelle. Ma, quando saranno qua sopra, il vento alto cederà allo scirocco e le nuvole nere, tutta grandine, si abbasseranno e urteranno quelle bianche cariche di fulmini, e sentirete che musica! Su, svelti! Sono pescatore e leggo i cieli».
   Gesù è il primo a ubbidire e, solleciti, tutti si danno a camminare verso le fattorie del piano…

   428.6Al ponte scontrano Giuda che grida: «Oh! Maestro mio! Come ho sofferto senza di Te! Sia lode a Dio che ha premiato la mia costanza ad attenderti qui! Come è andata a Cesarea?».
   «La pace a te, Giuda», risponde brevemente Gesù e aggiunge: «Ci parleremo nelle case. Vieni, ché il temporale incombe».
   Infatti cominciano le folate di vento sollevante nubi di polvere dalle strade arse, e il cielo si copre di nubi di ogni forma e colore, e l’aria si fa gialla e livida… E i primi goccioloni caldi, radi, cominciano a cadere, e i primi lampi solcano il cielo divenuto quasi notturno…
   Si danno a correre e soltanto le loro gambe buone, pungolate dal desiderio di non essere inondati da un acquazzone, li fa giungere alla prima casa quando, fra un rombo di saetta che cade poco lontano, un diluvio d’acqua mescolata a grandine si abbatte sulla zona fra un grande odore di terra bagnata e di ozono sprigionato dai lampi senza sosta…
   Entrano, e per fortuna è casa munita di portici e abitata da contadini credenti nel Messia. E con venerazione essi invitano il Maestro a prendere alloggio coi suoi compagni «come se la casa fosse tua. Ma alza la tua mano a fugare la grandine per pietà del nostro lavoro», dicono affollandosi intorno a Gesù.
   Gesù alza la mano e segna i quattro punti cardinali, e acqua sola scende dal cielo ad abbeverare i frutteti, i vigneti, i prati, e a purificare l’atmosfera tanto pesante.
   «Sii benedetto, Signore!», dice il capo famiglia. «Entra, mio Signore!».
   E, mentre lo scroscio dura, Gesù entra in uno stanzone vastissimo, certo un magazzino, e si siede stanco, circondato dai suoi.

[138] chiede… fino a …sole è un’aggiunta di MV su una copia dattiloscritta.
[139] vitignoli, invece di vitagnoli, è correzione nostra così come, diciotto righe più sotto, vitignolo invece di vivagnolo.
[140] l’anima, secondo l’opera valtortiana, viene creata e infusa simultaneamente al concepimento del corpo, facendo del concepito una persona, come abbiamo spiegato in nota a 290.9. Pertanto, le presenti espressioni sulla carne animale e sul futuro uomo non sono affermazioni di portata dottrinale, ma servono solo ad introdurre con semplicità un discorso sull’anima, realtà della quale l’uomo deve comunque prendersi cura dall’età della ragione, poiché egli nacque con la sua anima.
[141] ci sono ragioni precoci, come è spiegato in 7.7.
[142] ricordi soprannaturali che sono spiegati dalla seguente nota di MV su una copia dattiloscritta: Dio ha messo nell’uomo la coscienza oltre che la ragione. E la coscienza ha una sua propria voce che ricorda, ammonisce o rimprovera. Ricorda ciò che è bene fare e ciò che non si deve fare perché è male. Ammonisce di non fare il male, perché ciò è contro ogni legge naturale e soprannaturale. Rimprovera per il male fatto, incitando a riparazione e pentimento. Fa sentire che il male operato in Terra provoca la perdita di un premio futuro, la perdita del Bene supremo. Questo fa la coscienza, perché, essendo stata data da Dio, non può che tener desto o suscitare nella creatura il ricordo di Colui che la donò per guida all’uomo.
[143] angeli, il cui ruolo viene precisato dalla seguente nota di MV su una copia dattiloscritta: Non è che l’anima abbia bisogno degli angeli per salire a Dio. Ma sta per dire che il lavoro “buono” viene dagli angeli come presentato a Dio perché resti segnato nei libri eterni.