MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME VI CAPITOLO 430



CDXXX. Il nido caduto e lo scriba crudele. La lettera e lo spirito della Legge.­

   16 giugno 1944. […] Più tardi, ore 10,30.

   430.1Vedo Gesù, bianco vestito e col suo manto azzurro cupo gettato sulle spalle, che va per una stradetta boscosa. È boscosa perché di qua e di là sono piante e arbusti. E sentieruoli tagliano l’intrico verde. Ma non deve essere luogo solitario e lontano dall’abitato, perché si incontrano spesso altre persone. Si direbbe che è la strada che unisce due prossimi paesi, passando attraverso le proprietà agricole degli abitanti. Il luogo è pianeggiante, lontano si vedono dei monti. Non so che luogo sia.
   Gesù, che parlava coi discepoli, si ferma e ascolta girando intorno lo sguardo, poi prende un sentierino nel folto e va verso un macchione di piccoli alberi e di arbusti. Si china e cerca. E trova. Nell’erba è un nido. Non so se abbattuto da una tempesta, come fa pensare il suolo umido e i rami ancora gocciolanti come per un temporale, o se manomesso da mano d’uomo e poi lasciato lì, per non esser sorpreso con la covata in mano. Questo non lo so. Vedo solo un piccolo nido di fieno intrecciato e pieno di fogliette secche, di pelurie d’alberi e di lana, fra le quali si muovono pigolando cinque uccellini di pochi giorni, rossi, pelati, brutti per i loro becchi spalancati e occhi sporgenti. In alto, su un albero, stridono disperati i covatori.
   Gesù raccoglie con cura il nidino. Lo tiene nel cavo di una mano e guarda, cercando il luogo dove era o dove si può mettere al sicuro. Trova un intreccio di rami di rovo, così ben unito che pare un panierino e così internato nel cespuglio da essere sicuro. Senza curarsi delle spine che gli graffiano le braccia, Egli, dopo aver dato il nido a Pietro (e l’apostolo, così adulto e tarchiato, è molto curioso a vedersi con quel nidino fra le sue corte e callose mani), si rimbocca le larghe e lunghe maniche e lavora a fare ancor più difeso e concavo l’intreccio dei rovi. Ecco fatto. Riprende il nido e lo mette là in mezzo e lo assicura strappando fili di lunghe erbe cilindriche, che paiono sottilissimi giunchi. Ora è sicuro. Si scosta e sorride. Poi si fa dare un pezzo di pane da un discepolo, che ha una sacca a tracolla, e ne sbriciola un poco al suolo, su un sasso.
   Gesù, ora, è contento. Si volge per tornare sulla via maestra, mentre i covatori con stridi di gioia si precipitano sul nido salvato.

   430.2­Un gruppetto di uomini è fermo sul bordo della strada. Gesù se li trova davanti e li guarda. Il sorriso si annulla sul suo volto che si fa molto severo, direi cupo, mentre era tanto pietoso quando raccoglieva il nido e tanto felice quando lo vedeva situato. Gesù si ferma. E continua a guardare i suoi impensati testimoni. Pare ne guardi il cuore coi suoi pensieri nascosti. Non può passare oltre, perché il gruppetto chiude il sentiero. Ma tace.
   Non tace Pietro. «Lasciate passare il Maestro», dice.
   «Taci, nazareno», risponde uno del gruppo. «Il tuo Maestro come si è permesso di entrare nel mio bosco e compiervi opera manuale in giorno di sabato?».
   Gesù lo guarda direttamente con un’espressione strana. È e non è sorriso. E, se è sorriso, non è certo di approvazione. Pietro sta per ribattere. Ma Gesù prende la parola. «Chi sei?».
   «Il padrone di questo luogo. Gioacana ben Zacchai».
   «Illustre scriba. E di che mi rimproveri?».
   «Di aver violato il sabato».

   430.3­«Gioacana ben Zacchai, conosci il Deuteronomio?».
   «A me lo chiedi? A me, vero rabbi d’Israele?».
   «So ciò che vuoi dirmi: che Io, perché non sono scriba, ma un povero galileo, non posso esser “rabbi”. Ma Io ti chiedo ancora: conosci il Deuteronomio?».
   «Meglio di Te certo».
   «Alla lettera… certo, se vuoi credere così. Ma nel suo significato vero lo conosci?».
   «Quel che è detto è detto. Non c’è che un significato».
   «Non c’è che un significato, infatti. Ed è di amore; o, se non vuoi chiamarlo amore, misericordia; o anche, se ti urta chiamarlo così, dillo umanità. E il Deuteronomio dice[144]: “Se vedrai smarrirsi la pecora o il bue del fratello, anche se non ti è vicino, non passerai oltre. Ma li ricondurrai a lui o li terrai finché egli non venga a riprenderli”. Dice: “Se vedrai cadere l’asino o il bue del tuo fratello, non far vista di non aver visto, ma aiutalo a rialzarlo”. Dice: “Se trovi su un albero o per terra un nido con la madre che cova i piccini o le uova, tu non prenderai la madre (perché è sacra alla procreazione) ma prenderai solo i piccini”.
   Io ho visto per terra un nido e una madre che piangeva su esso. Ne ho avuto pietà perché era una madre. E le ho reso i piccini. Non ho creduto di violare il sabato per aver consolato una madre. Non si deve permettere che vada smarrita la pecora del fratello, non dice la Legge se è colpa alzare un asino di sabato. Dice solo di usare misericordia al fratello e umanità all’asino, creatura di Dio. Ho pensato che Dio aveva creato quella madre perché procreasse, e che essa aveva ubbidito al comando di Dio, e che impedirle di allevare la sua prole era fare ostacolo alla sua ubbidienza ad un comando divino. Ma tu, questo, non lo capisci. Tu e i tuoi guardate la lettera e non lo spirito. Tu e i tuoi non pensate di violare due volte il sabato, anzi tre volte, avvilendo la Parola divina alla piccolezza della mentalità umana, ostacolando un ordine di Dio e mancando di misericordia al prossimo. Per ferire col rimprovero non giudicate che è male muovere la lingua senza bisogno. Questo, che pure è un lavoro, e non utile, non necessario, non buono, non vi pare violazione del sabato.

   430.4­Gioacana ben Zacchai, ascoltami. Come oggi tu non hai pietà di una capinera, e per la pratica farisaica la faresti morire di dolore, e di strazio faresti perire la sua prole lasciata alla portata dell’aspide e del perverso, così domani tu non avrai pietà di una madre e la farai morire di strazio facendole uccidere la prole, dicendo che è bene che ciò sia per rispetto alla tua legge. Alla tua. Non a quella di Dio. A quella che tu e i tuoi pari vi siete fatta per opprimere i deboli e trionfare voi, forti. Ma vedi? I deboli trovano sempre un salvatore. Mentre i superbi, i forti secondo la legge del mondo, saranno stritolati dal peso della loro stessa pesante legge.
   Addio, Gioacana ben Zacchai. Ricordati di quest’ora e guarda di non violare tu un altro sabato con la compiacenza per un delitto compiuto».
   E Gesù, folgorando le pupille sul volto acceso d’ira del vecchio iracondo, guardandolo dall’alto in basso, perché lo scriba è basso e grosso, e Gesù pare una palma rispetto a lui, passa oltre, calpestando l’erba poiché lo scriba non si scansa.
   

   430.5Dice Gesù:
   «Ti ho voluto rialzare lo spirito con una visione vera, anche se non contemplata nei Vangeli.
   Per te l’insegnamento è questo: che Io ho tanta pietà degli uccellini senza nido, anche se, invece di aver nome capinera, hanno nome Maria o Giovanni. E mi curo di ridare loro un nido quando un evento li ha dispogliati.
   Per tutti l’insegnamento è questo. Che troppi conoscono le parole della Legge, ancora troppi per quanto siano pochi, perché tutti dovrebbero saperle, ma che conoscono unicamente le “parole”. Non le vivono. Ecco l’errore.
   Il Deuteronomio prescriveva leggi di umanità perché gli uomini, allora, erano, per puerizia spirituale, dei belluini, dei semi-selvaggi. Andavano guidati per mano per i fioriti sentieri della pietà, del rispetto, dell’amore verso il fratello che perde un animale, verso l’animale che cade, verso l’uccello che cova. Per insegnare loro a salire a pietà, rispetto, amore più alti. Ma, quando Io sono venuto, ho perfezionato le norme mosaiche ed ho aperto orizzonti più vasti. La lettera non era più “il tutto”. Lo spirito è divenuto “il tutto”. Al di là del piccolo atto umano verso un nido e i suoi abitatori, occorre vedere il riposto significato del mio gesto: inchinarmi, Io, il Figlio del Creatore, davanti all’opera del Creatore. Anche quella covata è opera sua.
   Oh! felici quelli che in ogni cosa sanno vedere Dio e servirlo con spirito d’amore riverente! E guai a coloro che, simili al serpe, non sanno alzare il capo dal loro fango e, non potendo avere canto di lode per Dio che si mostra nelle opere dei fratelli, mordono costoro per esuberanza di veleno che li strozza. Troppi ce ne sono che torturano i migliori dicendo, a giustificazione della loro perversità, che è bene fare ciò per rispetto alla legge. Legge loro. Non di Dio. Il quale, se non può impedire le loro opere malvagie, sa anche fare vendetta dei suoi “piccoli”.
   E questo vada a chi va dato. La mia pace che veglia sia su di te».

[144] dice, in: Deuteronomio 22, 1-4.6-7.