MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME VI CAPITOLO 365



CCCLXV L’insidia dell’Iscariota all’innocenza di Marziam. Un nuovo discepolo, fratello di latte di Gesù. A Betania, da Lazzaro malato.

   3 gennaio 1946.

   365.1Gesù entra nel verde placido dell’orto degli Ulivi.
   Marziam è sempre al suo fianco e ride pensando alla corsa affannosa che certo farà Pietro per raggiungerli. Dice: «Oh! Maestro! Chissà quante ne dice! Se poi Tu avessi proseguito per Betania senza fermarti qui, sarebbe proprio in uno stato desolato».
   Gesù sorride anche Lui guardando il giovinetto e risponde: «Sì. Mi seppellirà sotto i lamenti. Ma gli servirà per un’altra volta. A stare più attento. Io parlavo, lui si distraeva a ciarlare con questo e quello…».
   «Lo interrogavano, Signore», scusa Marziam non ridendo più.
   «Con buona grazia si fa cenno che si risponderà dopo, quando la Parola del Signore tace.

   365.2Ricòrdatelo, per la tua vita futura. Per quando sarai sacerdote. Esigi il massimo rispetto nelle ore di istruzione e nei luoghi di istruzione».
   «Ma allora sarà il povero Marziam, Signore, quello che parlerà…».
   «Non importa. È sempre Dio che parla sulle labbra dei suoi servi, nelle ore del loro ministero. E come tale va udito con silenzio e rispetto».
   Marziam fa una smorfietta significativa a commento di un suo interno ragionamento.
   Gesù, che lo osserva, dice: «Non ne sei persuaso? Perché quell’espressione? Parla, figlio, senza timore».
   «Signor mio, mi chiedevo se Dio è anche sulle labbra e nel cuore dei suoi sacerdoti di ora… e… con terrore mi dicevo se saranno uguali quelli futuri… E concludevo dicendo che… fanno fare una brutta figura al Signore molti sacerdoti… Ho certo peccato… Ma sono così cattivi ed esosi, così aridi… che…».
   «Non giudicare. Ma ricorda però questo senso di disgusto. Abbilo presente nel futuro. E con tutte le tue forze mira a non essere quali sono quelli che ti disgustano. E che non lo siano quelli che dipenderanno da te. Fa’ servire al bene anche il male che vedi. Ogni azione e ogni cognizione deve essere mutata in bene passando da un giudizio e da una volontà retta».
   «Oh! Signore! Prima di entrare nella casa che già si vede, rispondimi ancora ad una cosa! Tu non neghi che l’attuale sacerdozio sia manchevole. Dici a me di non giudicare. Ma Tu giudichi. E lo puoi fare. E giudichi con giustizia. Ora ascolta, Signore, il mio pensiero. Quando gli attuali sacerdoti parlano di Dio e della religione, essendo quali sono nella maggioranza, ed io parlo ora dei più cattivi fra essi, vanno ancora ascoltati come verità?».
   «Sempre, figlio mio. Per rispetto alla loro missione. Quando fanno atti del loro ministero non sono più l’uomo Anna, o l’uomo Sadoc, e così via. Ma sono “il sacerdote”. Scindi sempre la povera umanità dal ministero».
   «Ma se fanno male anche questo…».
   «Dio sopperirà.

   365.3E poi!… Ascolta, Marziam! Non c’è nessun uomo completamente buono e nessuno completamente malvagio. E nessuno è così completamente buono da essere in diritto di giudicare i fratelli per completamente malvagi. Bisogna tenere presenti i nostri difetti, contrapporre ad essi le doti buone di chi vogliamo giudicare, e allora avremmo una misura giusta di caritatevole giudizio. Io non ho ancora trovato un uomo com­­­pletamente malvagio».
   «Neppure Doras, Signore?».
   «Neppure lui, perché è marito onesto e padre amoroso».
   «Neppure il padre di Doras?».
   «Egli pure era marito onesto e padre amoroso».
   «Ma non era che quello, però!».
   «Non era che quello. Ma in quello non era malvagio. Perciò non era completamente malvagio».
   «E neanche Giuda è malvagio?».
   «No».
   «Ma non è buono, però».
   «Non è totalmente buono come non è totalmente malvagio. Non sei persuaso di ciò che dico?».
   «Sono persuaso che Tu sei totalmente buono e che sei assolutamente privo di malvagità. Questo sì. Lo sei tanto che non trovi mai accusa per nessuno…».
   «Oh! figlio mio! Se Io dicessi la prima sillaba di una parola di accusa, voi tutti vi scagliereste come belve sull’accusato!… Io evito che voi vi macchiate di peccato di giudizio col fare così. Capiscimi, Marziam. Non è che Io non veda il male là dove è. Non è che Io non veda il miscuglio di male e bene che è in alcuni. Non è che Io non capisca quando un’anima sale o scende dal livello dove l’ho portata. Non è nulla di tutto questo, figlio mio. Ma è prudenza per evitare le anticarità in voi. E farò sempre così. Anche nei secoli futuri, quando dovrò pronunciarmi su una creatura. Non lo sai, figlio, che talora vale più una parola di lode, di incoraggiamento, a mille rimproveri? Non sai che su cento casi pessimi, indicati come relativamente buoni, almeno la metà divengono realmente buoni perché non manca allora, dopo la mia benevola parola, l’aiuto dei buoni che altrimenti fuggirebbero dall’individuo indicato come pessimo? Bisogna sorreggerle le anime. Non accasciarle. Ma se Io non sono il primo a sorreggere, a velare le parti brutte, a sollecitare in voi benignità e aiuto per esse, mai voi vi dareste ad esse con attiva misericordia. Ricordalo, Marziam…».
   «Sì, Signore… (un gran sospirone). Lo ricorderò… (altro sospirone)… Ma è molto difficile davanti a certe evidenze…».

   365.4Gesù lo guarda fissamente. Ma del giovinetto non vede che il sommo della fronte perché egli abbassa molto il viso.
   «Marziam, alza il volto. Guardami. E rispondimi. Quale è l’evidenza che è difficile trascurare?».
   Marziam si confonde… Si fa rosso sotto il brunetto della pelle… Risponde: «Ma… sono tante, Signore…».
   Gesù incalza: «Perché hai nominato Giuda? Perché è una “evidenza”. Forse quella che ti è più difficile superare… Che ti ha fatto Giuda? In che ti ha scandalizzato?», e Gesù pone le mani sulle spalle del giovanetto, che ora è tutto di porpora cupa tanto è arrossito.
   Marziam lo guarda ad occhi lustri e poi si svincola e scappa gridando: «È un profanatore, Giuda!… Ma non posso dire… Rispettami, Signore!…», e si imbosca piangendo, invano chiamato da Gesù che ha un atto di sconfortato dolore.

   365.5­La sua voce ha però attirato l’attenzione di quelli della casa del Getsemani. E sulla soglia della cucina appare Giona e poi la Madre di Gesù e dietro le discepole: Maria di Cleofa, Maria Salome e Porfirea. Vedono Gesù e si dànno a camminare alla sua volta.
   «La pace a voi tutti! Eccomi, Mamma!».
   «Solo? Perché?».
   «Sono corso avanti. Gli altri li ho lasciati al Tempio… Ma ero con Marziam…».
   «E dove è ora il figlio mio, che non lo vedo?», chiede Porfirea un poco inquieta.
   «È salito lassù… Ma ora verrà. Avete cibo per tutti? Fra poco verranno gli altri».
   «No, Signore. Avevi detto che andavi a Betania…».
   «Già… Ma ho pensato essere bene di fare così. Andate svelte a prendere quanto occorre, e svelte tornate. Io resto con la Madre mia».
   Le discepole ubbidiscono senza discutere.

   365.6Restano soli Gesù con Maria e passeggiano lenti sotto l’intrico delle ramaglie, dalle quali filtrano aghi di sole a mettere cerchiolini d’oro sull’erbetta verde e fiorita.
   «Andrò dopo il pasto a Betania. Con Simone».
   «Simone di Giona?».
   «No. Con Simone Zelote. E porterò meco Marziam…». Gesù tace pensieroso.
   Maria l’osserva. Poi chiede: «Hai dispiaceri da Marziam?».
   «No, Mamma. Tutt’altro! Perché lo pensi?».
   «Perché sei pensieroso?… Perché lo chiamavi con imperio? E perché lui ti ha lasciato? Perché si è staccato da Te come vergognoso? Neppure è venuto a salutare sua madre e me!».
   «Il fanciullo è fuggito per una mia domanda».
   «Oh!…», lo stupore di Maria è profondissimo. Tace per un poco e poi mormora, come parlando a se stessa: «I due nel terrestre Paradiso fuggirono, dopo il peccato, udendo la voce di Dio… Ma, o Figlio mio, bisogna avere pietà del fanciullo. Comincia ad essere uomo… e forse… Figlio mio, Satana morde tutti gli uomini…». Maria è tutta pietosa e supplichevole…
   Gesù la guarda e le dice: «Come sei madre! Come sei “la Madre”! Ma non credere che il fanciullo abbia peccato. Anzi devi credere che soffra per la scottatura di una rivelazione. È molto puro. È molto buono… Lo porterò con Me, oggi. Per fargli capire, senza parole, che lo capisco. Ogni parola sarebbe di troppo… e non ne troverei una per scusare il violatore di un’innocenza». Gesù è severo in queste ultime parole.
   «Oh! Figlio! A questo siamo! Non ti chiedo nomi. Ma se uno ci fu capace, fra noi, di turbare il fanciullo, uno solo può essere stato… Che demonio!».

   365.7«Andiamo a cercare Marziam, Mamma. Egli non fuggirà davanti a te».
   Vanno e lo scovano dietro un cespuglio di biancospini.
   «Coglievi dei fiori per me, figlio mio?», chiede Maria andandogli davanti ed abbracciandolo…
   «No. Ma ti desideravo», dice Marziam con ancora delle lacrime sul viso.
   «Ed io sono venuta. Su, presto! Ché oggi devi andare col mio Gesù a Betania! E devi essere ravviato come si conviene».
   Marziam splende nel viso, già sviato dal suo turbamento di prima, e dice: «Io solo con Lui?».
   «E con Simone Zelote».
   Marziam, molto fanciullo ancora, fa un salto di gioia e corre fuori dal suo nascondiglio andando a cadere sul petto di Gesù… Si trova confuso.
   Ma Gesù ride e lo eccita dicendo: «Corri a vedere se è venuto tuo padre». E mentre Marziam parte di corsa, Gesù osserva: «È un vero fanciullo pur essendo già assennato nel pensiero. Turbargli il cuore è un gran delitto. Ma provvederò», e intanto cammina verso casa con Maria.
   Ma non fanno a tempo ad arrivare che vedono Marziam che galoppa indietro. «Maestro… Madre… Ci sono persone… persone di quelle che erano nel Tempio… I proseliti… C’è una donna… Una donna che vuole vedere te, o Madre… Dice che ti ha conosciuta a Betlemme… Si chiama Noemi».
   «Ne ho conosciute tante, allora! Ma andiamo…».

   365.8Giungono al piazzaletto dove è la casa. Un gruppo di persone attende e, appena vede Gesù, si prostra. Ma subito una donna si alza e corre a gettarsi ai piedi di Maria salutandola a nome.
   «Chi sei? Io non ti ricordo. Alzati».
   La donna si alza e sta per parlare quando giungono trafelati gli apostoli.
   «Ma Signore! Ma perché? Abbiamo corso come pazzi per Gerusalemme. Ti credevamo andato da Giovanna o da Annalia… Perché non ti sei fermato?», domandano e informano confusamente.
   «Ora siamo insieme. Inutile spiegare il perché. Lasciate che questa donna parli in pace».
   Tutti si affollano ad ascoltare.
   «Tu non ti ricordi di me, o Maria di Betlemme. Ma io da trentuno anni ricordo il tuo nome e il tuo viso come quello della pietà. Ero venuta anche io da lontano, da Perge, per l’Editto. Ed ero gravida. Ma speravo tornare in tempo. Il marito si ammalò per via, e a Betlemme languì fino a morire. Io avevo partorito da venti giorni quando egli morì. E le mie grida forarono il cielo e mi seccarono il latte o lo fecero veleno. Io mi coprii di pustole e di pustole si coprì il figlio mio… E fummo gettati in una spelonca a morire… Ebbene… Tu, tu sola venisti, guardinga, ogni poco per tutta una luna, portandomi cibo e medicando le mie piaghe, piangendo con me, dando latte alla mia creatura che è viva per te, per te sola… Hai rischiato di essere uccisa a colpi di pietra, perché mi chiamavano “la lebbrosa”… Oh! mia stella soave! Non ho dimenticato questo. Sono partita dopo la guarigione. E ho saputo della strage a Efeso. Ti ho cercata tanto! Tanto! Tanto! Non potevo crederti uccisa col Figlio nella notte tremenda. Ma non ti ho mai trovata. Nella scorsa estate uno di Efeso udì tuo Figlio, seppe chi era, lo seguì alcun tempo, fu con altri al suo seguito ai Tabernacoli… E tornando ha detto. Io sono venuta per vederti, o Santa, prima di morire. Per benedirti tante volte quante sono le stille del latte che hai dato al mio Giovanni, levandolo al Figlio tuo benedetto…». La donna piange, stando in posa riverente, un poco curva, con le mani strette alle braccia di Maria…
   «Il latte non si nega mai, sorella. E…».
   «Oh! no. Io non sorella tua! Tu, Madre del Salvatore; io, povera donna sperduta, lontana dalla sua casa, vedova con un figlio al seno, al seno arido come torrente in estate… Senza te sarei morta. Tu tutto mi hai dato, ed ho potuto tornare dai fratelli miei, mercanti ad Efeso, per te».
   «Eravamo due madri, due povere madri, con due bambini, per il mondo. E tu avevi il tuo dolore di vedova, io quello di dover essere trafitta nel mio Figlio, come diceva nel Tempio il vecchio Simeone. Non ho fatto che il mio dovere di sorella dandoti ciò che tu non avevi più.

   365.9E il figlio tuo vive?».
   «Egli è là. E il tuo Figlio santo me lo ha guarito questa mattina. Che ne sia benedetto!». E la donna si prostra al Salvatore gridando: «Vieni, Giovanni, a ringraziare il Signore».
   Viene avanti, lasciando i compagni, un uomo dell’età di Gesù, robusto, dal volto leale se non bello. Di bello ha l’espressione degli occhi profondi.
   «La pace a te, fratello di Betlem. Di che ti ho guarito?».
   «Dalla cecità, Signore. Un occhio perduto, l’altro prossimo a perdersi. Ero sinagogo, ma non potevo più leggere i sacri rotoli».
   «Ora li leggerai con maggior fede».
   «No, Signore. Ora leggerò Te. Voglio rimanere come discepolo. E senza vantare diritti per le gocce del latte succhiate al seno dove Tu ti nutrivi. Non sono niente i giorni di una luna per creare un legame. Ma tutto è la pietà di tua Madre, allora, e la tua di questa mattina».
   Gesù si volge alla donna: «E tu che ne pensi?».
   «Che mio figlio ti appartiene per due volte. Accettalo, Signore. E il sogno della povera Noemi sarà compiuto».
   «Sta bene. Sarai del Cristo. A voi: ricevete il compagno in nome del Signore», dice volgendosi agli apostoli.
   I proseliti sono esaltati di emozione. Gli uomini vorrebbero subito rimanere. Tutti. Ma Gesù fermamente dice: «No. Voi restate ciò che siete. Tornate alle vostre case conservando la fede e attendendo l’ora della chiamata. E il Signore sia sempre con voi. Andate».
   «Potremo trovarti ancora qui?», chiedono.
   «No. Come un uccello che vola di ramo in ramo, Io andrò senza sosta. Non mi troverete qui. Non ho itinerario e dimora. Ma, se giusto sarà, ci vedremo e mi udrete. Andate. Resti la donna col nuovo discepolo». Ed entra in casa seguito dalle donne e dagli apostoli, che commentano commossi l’episodio, ignorato fino ad allora, e la carità profonda di Maria.

   365.10­E Gesù, con passo sollecito, va a Betania. Sono ai suoi lati Simone Zelote e Marziam. Felici di essere loro due i prescelti per questa visita.
   Marziam, completamente rasserenato, fa mille domande sulla donna venuta da Efeso, chiede se Gesù sapeva questo fatto, e così via.
   «Non lo sapevo. Le bontà di mia Madre sono infinite e fatte con così mite silenzio che restano per lo più ignote».
   «È molto bello, però, l’episodio», dice lo Zelote.
   «Sì. Tanto che lo voglio far sapere a Giovanni di Endor. Che dici, Maestro? Troveremo sue lettere a Betania?».
   «Ne sono quasi certo».
   «Dovremmo trovare anche la donna guarita dalla lebbra», osserva lo Zelote.
   «Sì. Ha osservato con fedeltà i precetti. Ma ormai il tempo della purificazione deve essere compiuto».

   365.11Betania appare sul suo pianoro. Passano davanti alla casa dove un tempo erano i pavoni, fenicotteri e gralle. Ora è abbandonata e chiusa. Simone lo nota.
   Ma la sua osservazione è interrotta dal giulivo saluto di Massimino che sbuca fuor dal cancello. «Oh! Maestro santo! Che felicità in tanto dolore!».
   «Pace a te. Perché dolore?».
   «Perché Lazzaro spasima per le sue gambe ulcerate. E non sappiamo che fare per sollevare quella pena. Ma vedendo Te starà meglio, di spirito almeno».
   Entrano nel giardino e, mentre Massimino corre avanti, loro procedono adagio verso la casa.
   Corre fuori Maria di Magdala col suo grido adorante: «Rabbomi!», e la segue più calma Marta. Sono entrambe pallide come chi ha sofferto e vegliato.
   «Alzatevi. Andiamo subito da Lazzaro».
   «Oh! Maestro! Maestro che puoi tutto, guariscimi il fratello mio!», supplica Marta.
   «Sì, Maestro buono! Egli soffre più che non possa! Si emunge, geme. Certo morirà se così dura. Abbi pietà di lui, Si­gno­re!», incalza Maria.
   «Ho tutta la pietà. Ma non è per lui ora di miracolo. Sia forte, e voi con lui. Sostenetelo a fare la volontà del Signore».
   «Ah! Tu vuoi dire che egli deve morire?!», geme e chiede Marta in lacrime.
   E Maria, con gli occhi nuotanti nel pianto e la passione, la duplice passione per Gesù e per il fratello, nella voce: «Oh! Maestro, ma così facendo mi impedisci di seguirti e servirti, e impedisci al fratello di godere della mia risurrezione. Non vuoi dunque che in casa di Lazzaro si giubili per una risurrezio­ne?».
   Gesù la guarda con un sorriso buono e arguto, e dice: «Per una? Una sola? Suvvia! Mi credete ben poca cosa, se credete che possa una cosa sola! Siate buone e forti. Andiamo. E non piangete così. Lo accascereste di penosi sospetti». E si avvia per il primo.

   365.12­Lazzaro, per comodità di assistenza di certo, è stato portato in una sala presso la biblioteca, di fronte alla sala maggiore dedicata ai conviti. Massimino indica la porta, ma lascia che Gesù entri solo.
   «La pace a te, Lazzaro, amico mio!».
   «Oh! Maestro santo! La pace a Te. Per me, nelle mie membra, non c’è più pace. E accasciato è lo spirito mio. Soffro tanto, Signore! Dàmmi il caro comando: “Lazzaro, vieni fuori”, ed io sorgerò guarito, per servirti…».
   «Te lo darò, Lazzaro. Ma non ora», risponde Gesù abbracciandolo.
   Lazzaro è molto magro, giallognolo, cogli occhi incavati. Palesemente molto malato e molto indebolito. Piange come un bambino nel mostrare le sue gambe gonfie, bluastre, con piaghe che direi varicose, aperte in più punti. Forse spera che, mostrando a Gesù quella rovina, Gesù si commuova e faccia miracolo. Ma Gesù si limita a ricomporre con delicatezza i lini sparsi di balsamo sulle piaghe.
   «Sei venuto per fermarti?», chiede Lazzaro deluso.
   «No. Ma verrò sovente».
   «Come? Neppure quest’anno fai la Pasqua con me? Mi sono fatto portare qui apposta. Mi avevi promesso ai Tabernacoli che saresti stato tanto con me, dopo le Encenie…».
   «E ci starò. Ma non ora. Ti do noia a sedermi qui, sulla sponda del tuo letto?».
   «Oh! no. Anzi, la frescura della tua mano pare mitigare l’ardore della mia febbre. Perché non resti, Signore?».
   «Perché, come tu sei tormentato dalle piaghe, Io lo sono dai nemici. Per quanto Betania sia considerata nei termini per la Cena, e per tutti, per Me si considererebbe peccato consumare la Pasqua qui. Tutto è cammello e trave di ciò che Io faccio, per il Sinedrio e i farisei…».
   «Ah! i farisei! È vero! Ma in una mia casa, allora… Questo almeno!».
   «Questo sì. Ma lo dirò all’ultima ora. Per prudenza».
   «Oh! sì. Non ti fidare.

   365.13­Ti è andata bene con Giovanni. Sai? Ieri è venuto Tolmai con altri e mi ha portato lettere per Te. Le hanno le sorelle. Ma dove sono rimaste Marta e Maria? Non provvedono a farti onore?». Lazzaro è inquieto come molti malati.
   «Sta’ buono. Sono fuori con Simone e Marziam. Sono venuto con loro. E non abbisogno di nulla. Ora li chiamo». E infatti chiama quelli che, prudenti, erano rimasti fuori.
   Marta esce e torna con due rotoli che dà a Gesù. Maria riferisce intanto che il servo di Nicodemo ha detto che precede il padrone che viene con Giuseppe d’Arimatea. E contemporaneamente Lazzaro si sovviene di una donna «giunta ieri a tuo nome», dice.
   «Ah! sì! Sai chi è?».
   «Ce lo ha detto. È figlia di un ricco di Gerico andato in Siria da anni, da giovane. L’ha chiamata Anastasica[6] in ricordo del fior del deserto. Non ha voluto rivelare il nome del marito, però», spiega Marta.
   «Non occorre. L’ha ripudiata e perciò ella è unicamente “la discepola”. Dove è?».
   «Dorme stanca. In questi giorni e notti è vissuta molto male. Se vuoi la chiamo».
   «No. Lasciala dormire. Provvederò domani».

   365.14Lazzaro guarda Marziam ammirato. E Marziam è sulle spine. Vorrebbe sapere ciò che è nei rotoli. Gesù lo comprende e li apre. Lazzaro dice: «Come? Egli sa?».
   «Sì. Egli e gli altri meno Natanaele, Filippo, Tommaso e Giu­da…».
   «Bene hai fatto a tenerlo celato a lui!», prorompe Lazzaro. «Io ho molti sospetti…».
   «Non sono imprudente, amico», lo interrompe Gesù e legge i rotoli riferendo poi le notizie principali, ossia che i due si sono acclimatati, che la scuola prospera e che, senza il declinare di Giovanni, tutto andrebbe bene.

   365.15­Ma non può dire di più perché si annuncia la venuta di Nicodemo e Giuseppe.
   «Dio ti salvi, o Maestro! Sempre, come stamane!».
   «Grazie, Giuseppe. E tu, Nicodemo, non c’eri?».
   «No. Ma, saputo che eri giunto, ho pensato venire da Lazzaro, quasi certo di trovarti. E Giuseppe si è unito a me».
   Parlano dei fatti del mattino intorno al letto di Lazzaro, che tanto se ne interessa da parere sollevato dal suo soffrire.
   «Ma quel Gamaliele, Signore! Hai sentito?», dice Giuseppe d’Arimatea.
   «Ho sentito».
   Nicodemo dice: «Io invece dico: ma quel Giuda di Keriot, Signore! Dopo la tua partenza lo trovai vociante come un demonio in mezzo a un gruppo di allievi dei rabbi. Ti accusava e difendeva insieme. E sono certo che era convinto di non fare che bene. Essi volevano trovarti in colpa, certo aizzati in ciò dai maestri. Egli controbatteva le accuse con una foga accorata dicendo: “Solo una colpa ha il Maestro mio! Di fare troppo poco risaltare la sua potenza. Lascia fuggire l’ora buona. Stanca i buoni con la sua eccessiva mitezza. Re è! E da re deve agire. Voi lo trattate da servo perché Egli è mite. Ed Egli si rovina per non essere che mite. Per voi, vili e crudeli, non c’è che la sferza di un potere assoluto e violento. Oh! perché non posso fare di Lui un violento Saulle?».
   Gesù crolla il capo senza parlare.
   «Eppure, a modo suo ti ama», osserva Nicodemo.
   «Che uomo sconcertante!», esclama Lazzaro.
   «Sì. Hai detto bene. Io non lo capisco ancora, dopo due anni che gli sto vicino», conferma lo Zelote.
   Maria di Magdala si alza con un’imponenza da regina, e con la sua splendida voce proclama: «Io l’ho capito più di tutti: è l’obbrobrio vicino alla Perfezione. E non c’è altro da dire», ed esce per qualche incombenza, portando con sé Marziam.
   «Forse Maria ha ragione», dice Lazzaro.
   «Lo penso io pure», dice Giuseppe.

   365.16­«E Tu, Maestro, che dici?».
   «Dico che Giuda è “l’uomo”. Come lo è Gamaliele. L’uomo limitato presso Dio infinito. L’uomo è così ristretto nel suo pensiero, finché non dà ad esso respiro soprannaturale, che può accogliere una sola idea, incrostarla in sé, o incrostarsi in essa, e stare lì. Anche contro l’evidenza. Cocciuto. Ostinato. Per fede, magari, alla cosa che più lo ha colpito. In fondo Gamaliele ha una fede, come pochi in Israele, nel Messia da lui intravisto e riconosciuto in un fanciullo. Ed è fedele alle parole di quel fanciullo… E così Giuda. Saturo dell’idea messianica quale il più d’Israele la coltiva, confermato in essa dal mio primo manifestarsi a lui, vede, vuol vedere nel Cristo il re. Il re temporale e potente… ed è fedele a questo suo concetto. Oh! quanti, anche in futuro, si rovineranno per una concezione di fede sbagliata, testarda ad ogni ragione! Ma che credete voi? Che sia facile seguire la verità e la giustizia in tutte le cose? Che credete voi? Che sia facile salvarsi solo perché si è un Gamaliele e un Giuda apostolo? No. In verità, in verità vi dico che è più facile si salvi un fanciullo, un comune fedele, che uno elevato a carica speciale e a speciale missione. Generalmente entra, nei vocati a sorte straordinaria, la superbia della loro vocazione, e questa superbia apre le porte a Satana, cacciando Dio. Le cadute delle stelle sono più facili di quelle dei sassi. Il Maledetto cerca di spegnere gli astri e si insinua, si insinua tortuoso a far da leva agli eletti per poterli ribaltare. Se cadono nei comuni errori mille e diecimila uomini, la loro caduta non travolge che loro stessi. Ma se cade uno eletto a straordinaria sorte, e diviene strumento di Satana anziché di Dio, sua voce anziché “mia” voce, suo discepolo anziché “mio” discepolo, allora la rovina è ben più grande e può dare origine persino ad eresie profonde che ledono un numero senza numero di spiriti. Il bene che Io do ad uno darà molto bene se cade su terreno umile e che sa rimanere tale. Ma se cade su terreno superbo o che diventa tale per il dono avuto, allora da bene diviene male. A Gamaliele fu concessa una delle prime epifanie del Cristo. Doveva essere la sua precoce chiamata al Cristo. È la ragione della sua sordità alla mia voce che lo chiama. A Giuda fu concesso di essere apostolo, uno dei dodici apostoli fra le migliaia di uomini di Israele. Doveva questo essere la sua santificazione. Ma che sarà?… Amici miei, l’uomo è l’eterno Adamo… Aveva tutto Adamo. Tutto meno una cosa. Volle quella. E purché l’uomo resti Adamo! Ma ben sovente diviene Lucifero. Ha tutto meno la divinità[7]. Vuole quella. Vuole il soprannaturale per stupire, per essere acclamato, temuto, conosciuto, celebrato… E per avere qualcosa di ciò che solo Dio può dare gratuitamente si abbranca a Satana, il quale è la Scimmia di Dio e dà simulazioni di doni soprannaturali. Oh! che orrenda sorte quella di questi insatanassati!

   365.17­Vi lascio, amici. Mi ritiro alquanto. Ho bisogno di raccogliermi in Dio…».
   Gesù, molto turbato, esce… I rimasti: Lazzaro, Giuseppe, Nicodemo e lo Zelote, si guardano.
   «Hai visto come si era turbato?», chiede sottovoce Giuseppe a Lazzaro.
   «Ho visto. Pareva vedesse uno spettacolo orrendo».
   «Che avrà nel cuore?», chiede Nicodemo.
   «Solo Lui e l’Eterno lo sanno», risponde Giuseppe.
   «Tu sai nulla, Simone?».
   «No. Certo è che da mesi Egli è molto angosciato».
   «Dio lo salvi! Ma certo è che l’odio cresce».
   «Sì, Giuseppe. L’odio cresce… Io credo che presto l’odio vincerà l’Amore».
   «Non lo dire, Simone! Se così deve essere, non chiederò più di essere guarito! Meglio morire anziché assistere al più orrendo degli errori».
   «Dei sacrilegi, devi dire, Lazzaro…».
   «Eppure… Israele è capace di questo. È maturo a ripetere il gesto di Lucifero muovendo guerra al Signore benedetto», sospira Nicodemo.
   Un silenzio penoso si forma, come una morsa che strozzi ogni gola… La sera scende nella stanza dove quattro onesti pensano ai delinquenti futuri.

[6] Anastasica (più correttamente Anastatica, come in 366.1) è la Rosa di Gerico incontrata in 360.13/14. I due nomi, appartenenti alla stessa persona, sono di una pianta che qui viene chiamata fior del deserto e che potrebbe essere la “pianta di rose in Gerico” nominata in: Siracide 24, 14.
[7] Ha tutto meno la divinità. Così spiega una nota di MV su una copia dattiloscritta: L’uomo è divinizzato dalla Grazia, ma non è Dio. Diventa simile a Dio per partecipazione ma non per natura uguale.