MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME VII CAPITOLO 450



CDL. Miracoli nel borgo presso Ippo e guarigione del lebbroso Giovanni.

   26 giugno 1946.

   450.1Ippo non è sulla riva del lago, come io credevo vedendo quelle case sulla riva quasi al limite sud-est del lago. Me ne fanno avvisata le parole dei discepoli. Questo nucleo di case sono, dirò così, l’avanguardia di Ippo, che è più addentro nel retroterra. Come Ostia per Roma o il Lido per Venezia, rappresentano lo sbocco sul lago per la città interna, che se ne serve per via lacustre di importazione e esportazione, e anche per abbreviare i viaggi da questa zona alla sponda opposta galilea, e infine anche come luogo di svago per gli oziosi della città e di rifornimento del pesce che le procurano i molti pescatori della borgata.
   Qui, dove sbarcano nella placida sera presso il naturale porticciuolo formato dall’alveo di un torrente ora asciutto, e nel quale fiotta dolcemente per qualche metro l’onda cerula del lago non più respinta dall’acqua del torrente, sono case e casette di ortolani e pescatori, che sfruttano, i secondi, le acque ricche di pescagione, e i primi la striscia di terra grassa e umorosa, per le acque prossime, che va dal lido verso l’interno e si estende a nord più a lungo, a sud meno, finendo presto là dove si inizia l’alta scogliera, che scende quasi a picco nel lago e dalla quale si sono precipitati nello stesso i porci del miracolo[27] ai geraseni.

   450.2Data l’ora, gli abitanti sono sulle terrazze o negli orti e cenano. Ma, siccome gli orti hanno siepi basse e le terrazze pure hanno bassi muretti, presto i loro abitanti vedono la piccola flottiglia di barche che attracca al porticciuolo, e chi per curiosità, chi per conoscenza, si alzano e vanno incontro a chi arriva.
   «È la barca di Simone di Giona insieme a quella di Zebedeo. Dunque non può essere altro che il Rabbi, che viene qui coi suoi discepoli», sentenzia un pescatore.
   «Donna, prendi subito il bambino e seguimi. Forse è Lui. Egli lo guarirà. L’angelo di Dio ce lo conduce», impone un ortolano alla moglie che ha il volto bruciato dalle lacrime.
   «Io, per me, credo. Mi ricordo io quel miracolo! Tutti quei porci! I porci che spengono il calore dei demoni entrati in loro con le acque… Doveva essere un gran tormento se i porci, sempre così sdegnosi di mondezza, si sono gettati nell’acqua…», dice un uomo mentre accorre e fa propaganda al Maestro.
   «Oh! lo dici! Certo che doveva essere un tormento. C’ero anche io e ricordo. I corpi fumavano, le acque fumavano. Il lago si era fatto caldo più che alle acque di Hamatha. E dove sono passati nella corsa è rimasto bruciato bosco ed erba».
   «Io ci sono andato, ma non ho visto niente di diverso…», gli risponde un terzo.
   «Niente? Ma allora hai le scaglie agli occhi! Guarda! Si vede di qui. Vedi là? Là dove è quel fiume secco? Va’ con l’occhio poco avanti e vedi se…».
   «Ma no! Quella rovina l’hanno fatta i soldati di Roma quando cercavano quel ribaldo nelle fredde notti di tebet. Hanno fatto campo lì e hanno fatto fuoco».
   «E hanno bruciato tutto un bosco per far fuoco? Guarda quante piante mancano là!».
   «Un bosco! Due o tre querce!».
   «E ti par poco?».
   «No. Ma si sa! Per loro la nostra roba è strame. Sono i dominatori e noi gli oppressi. Ah! Fino a quando…». La disputa scivola dal terreno soprannaturale a quello politico.

   450.3«Chi mi conduce dal Rabbi? Pietà di un cieco! Dove è? Ditemelo. L’ho cercato a Gerusalemme, a Nazaret, a Cafarnao. Era sempre partito prima che io giungessi… Dove è? Oh! pietà di me!», si lagna un uomo di un quarant’anni, tastando intorno a sé con un bastone. Raccoglie improperi di chi piglia sulle gambe o sulle spalle il colpo, ma nessuno si muove a pietà e tutti lo urtano passando senza che una mano si tenda a guidarlo. Il povero cieco si ferma spaurito e sconfortato…
   «Il Rabbi! Il Rabbi! Ahc-Ach, il il lèee!» (mi sforzo di rendere… parola il grido acuto delle donne che lo modulano. Ma è un grido, non è una parola! Ha più dello strido di certi uccelli che della parola umana).
   «Ci benedirà i figli!».
   «La sua parola farà trasalire il frutto che ho nel seno. Godi, creatura mia! Il Salvatore ti parla», dice una florida sposa carezzandosi il ventre gonfio sotto la veste sciolta.
   «Oh! forse a me lo renderà fecondo! Sarebbe la gioia e la pace fra me ed Eliseo. Sono andata in tutti i luoghi dove si dice che la donna acquista fecondità. Ho bevuto l’acqua del pozzo presso la tomba di Rachele e quella del rio della grotta dove la Madre lo partorì… Sono andata a Ebron a prendere per tre giorni la terra del luogo dove nacque il Battista… Mi sono pasciuta dei frutti della quercia di Abramo e ho pianto invocando Abele nel luogo dove fu partorito e ucciso… Tutte le cose sante, tutte le cose miracolose del suolo e del Cielo ho provato, e medici, e medicine, e voti, e preghiere, e offerte… ma non si è aperto il mio grembo al seme, e appena mi sopporta Eliseo, a fatica non mi odia!!! Ohimè!», geme una donna già appassita.
   «Sei vecchia ormai, Sella! Rassegnati!», le dicono con una pietà mista a un lieve sprezzo e a un palese trionfo quelle che passano col seno gonfio di maternità o con i poppanti attaccati alle floride mammelle.
   «No! Non lo dite! Egli ha fatto risuscitare i morti! Non potrà dar vita alle mie viscere?».
   «Largo! Largo! Fate largo alla mia madre malata», grida un giovane che sorregge le stanghe di una improvvisata barella retta, dall’altro lato, da una fanciulla molto afflitta. Sulla barella è una donna ancor giovane ma ridotta a scheletro giallognolo.
   «Bisognerà dirgli dell’infelice Giovanni. Mostrargli il luogo dove è. È il più infelice di tutti, perché lui, lebbroso, non può andare cercando il Maestro…», dice un autorevole vecchione.
   «Prima noi! Prima noi! Se si inoltra verso Ippo è finita. Quelli della città lo prendono per loro e noi si resta come sempre indietro».

   450.4«Ma che avviene là? Perché gridano così le donne, là sulla riva?».
   «Perché sono stolte!».
   «No. Gridano a festa! Corriamo…».
   La via è un fiume di popolo che si incanala verso il greto del lago e del torrente, là dove Gesù e i suoi sono rimasti bloccati dai primi accorsi.
   «Miracolo! Miracolo! Il figlio di Elisa, spedito dai medici, ecco, è guarito! Il Rabbi lo ha guarito mettendogli della saliva nella gola».
   Gli «Ahc-Ahc-il-il-lèee» delle donne si fanno ancor più trillanti e acuti, mescolati ai forti osanna maschili.
   Gesù è letteralmente sopraffatto, nonostante la sua statura. Gli apostoli fanno di tutto per fargli largo. Ma sì! Le discepole con Maria al centro sono separate dal gruppo apostolico. Il bambino, fra le braccia di Maria d’Alfeo, piange spaurito. E il suo pianto fa convergere sul gruppo delle discepole l’attenzione di molti, e c’è il solito bene informato che dice: «Oh! c’è anche la Madre del Rabbi e le madri dei discepoli!…».
   «Quali? Quali sono?».
   «La Madre è quella pallida e bionda vestita di lino, e le altre quelle vecchie che hanno una il bimbo e l’altra quel cesto sul capo».
   «E il bambino chi è?».
   «Il figlio, eh! Non sentite che chiama mamma?».
   «Figlio di chi? Della vecchia? Non può essere!».
   «Della giovane. Vedi che vuole andare da lei?».
   «No. Il Rabbi non ha fratelli. Lo so di sicuro».

   450.5Delle donne sentono e, mentre Gesù, muovendosi a fatica, riesce a raggiungere la barella dove è la malata portata dai figli e la guarisce, si dirigono a Maria, curiose.
   Ma una non è curiosa. Una si prostra ai suoi piedi dicendo: «Per la tua maternità, abbi pietà di me», ed è la sterile.
   Maria si curva e le dice: «Che vuoi, sorella?».
   «Esser madre… Un bambino!… Uno solo!… Sono odiata perché sterile. Io credo che tuo Figlio possa tutto, ma ho una fede tanto grande in Lui che penso che, per essere nato da te, ti abbia fatta santa e potente come Lui. Ora io te ne prego… per le tue delizie di madre te ne prego: fammi feconda. Toccami con la tua mano ed io sarò felice…».
   «La tua fede è grande, donna. Ma la fede va data a chi ne ha il diritto: a Dio. Vieni, dunque, dal mio Gesù…», e la prende per mano chiedendo con grazia pressante di poter passare sino a raggiungere Gesù.
   Le altre discepole la seguono nella scia che si apre fra la gente, e così le donne accorse verso Maria, e intanto chiedono a Maria d’Alfeo chi è il piccolo che tiene alto sulla folla.
   «Un bambino che la madre non ama più. Ed egli è venuto a cercare amore dal Rabbi…».
   «Un bambino che la madre non ama più!?!».
   «Hai sentito, Susanna?».
   «Chi questa iena?».
   «Ohimè! Ed io che spasimo per non averne! Da’, da’, che mi baci almeno una volta un figlio!…», e Sella, la sterile, strappa quasi dalle braccia di Maria d’Alfeo il piccino e se lo stringe al cuore mentre cerca di seguire Maria, già separatasi da lei nell’at­ti­mo che Sella ha abbandonato la mano di Maria per prendere il piccolo.

   450.6«Gesù, ascolta. Vi è una donna che chiede grazia. È sterile…».
   «Non disturbare il Maestro per lei, donna. Le sue viscere sono morte», dice uno che non sa di parlare alla Madre di Dio. E poi, confuso del suo sbaglio di cui viene avvertito, cerca farsi piccino e scomparire, mentre Gesù risponde a lui e alla supplice insieme dicendo:
   «Io sono la Vita. Donna, ti sia fatto ciò che chiedi», e posa per un attimo la mano sul capo di Sella.
   «Gesù! Figlio di Davide, abbi pietà di me!», grida il cieco di prima, che lentamente è giunto presso la folla e dai margini di essa getta il suo grido di invocazione.
   Gesù, che aveva il capo chino per ascoltare le parole di supplica di Sella, rialza il volto e guarda verso il punto da dove, sincopata come il grido di un naufrago, viene la voce del cieco.
   «Che vuoi che Io ti faccia?», grida.
   «Che io veda. Sono nelle tenebre».
   «Io sono la Luce. Voglio!».
   «Ah! Vedo! Vedo! Di nuovo vedo! Lasciatemi passare! Che io baci i piedi del mio Signore!».

   450.7«Maestro, hai guarito tutti qui. Ma c’è un lebbroso in una capanna fra il bosco. Ci prega sempre di portarti a lui…».
   «Andiamo! Suvvia! Lasciatemi andare. Non vi fate del male! Io sono qui per tutti… Su, fate largo. Nuocete alle donne e ai bambini. Non parto già. Resto domani e poi sarò nella regione per cinque giorni. Mi potrete seguire, se volete…».
   Gesù cerca di disciplinare la ressa, di fare che per avere beneficio della sua venuta i cittadini non si facciano del male. Ma la folla è come una sostanza molliccia che si sposta ma poi torna a stringersi intorno a Lui, è come una valanga che per legge naturale non può che farsi sempre più compatta più procede, è come particelle di ferro attratte dalla calamita… E l’andare è lento, inceppato, faticoso… Tutti sudano, gli apostoli sbraitano, lavorano di gomiti nei petti e di calci negli stinchi per fare strada… Inutile ogni sforzo! Per fare dieci metri ci vuole un quarto d’ora.
   Una donna sui quarant’anni riesce a suon di costanza a farsi strada fino a Gesù e lo tocca in un gomito.
   «Che vuoi, donna?».
   «Quel bimbo… ho saputo… Io sono vedova e senza figli… Ricordati di me. Sono Sara di Afeca, la vedova del venditore di stuoie. Ricorda. Ho casa presso la piazza della fonte rossa. Ma ho anche qualche vigna e bosco. Ho da dare a chi è solo… e sarei felice…».
   «Ricorderò, donna. La tua pietà sia benedetta».

   450.8Il paese, più parallelo al lago che verticale allo stesso, viene presto attraversato e la campagna, dolce, silenziosa nel crepuscolo che scende e non fa ombra notturna, perché fra la luce diurna e la notturna di luna non è che un trapasso inavvertibile, li accoglie. Vanno verso le propaggini dell’alta scogliera che, più verso sud, borda il lago. Delle grotte, non so se naturali o a bella posta fabbricate nella roccia, molte murate e imbiancate al di fuori, certo sepolcri, sono nel balzo.
   «Eccoci! Fermiamoci per non contaminarci. Siamo presso alla tomba del vivo, e questa è l’ora in cui egli viene a quel masso a ritirare le offerte. Era ricco, sai? Noi lo ricordiamo. Era buono anche. Ma ora è un santo. Più lo ha percosso il dolore e più egli si è fatto giusto. Non sappiamo come fu. Si dice per dei pellegrini che egli ospitò. Erano diretti a Gerusalemme, così dicevano. Parevano sani, ma certo erano lebbrosi. Il fatto è che, dopo il loro passaggio, per prima la moglie e i servi, poi i figli, ultimo lui, presero la lebbra. Tutti. Per primi e dalle mani quelli che avevano lavato i piedi e le vesti ai pellegrini, perciò diciamo che dovettero esser loro causa di tutto. I bambini, tre, morti presto presto. Poi la moglie, e più di dolore che di malattia… Egli… Quando il sacerdote dichiarò tutti lebbrosi, si comprò questo pezzo di monte con le sue ormai inutili sostanze e vi fece mettere provvigioni per sé e i suoi… servi compresi, e zappe e picconi… e cominciò a scavare i sepolcri… e uno per uno vi collocò tutti: i figliolini, poi la moglie, i servi… È rimasto lui, e solo, e povero, perché tutto finisce col tempo… e sono quindici anni che dura… Eppure… mai un lamento. Era dotto: a memoria si ripete la Scrittura. La dice alle stelle, alle erbe, alle piante, agli uccelli, la dice a noi che abbiamo tanto da imparare da lui, e consola i nostri dolori… lui, capisci? consola i nostri dolori. Vengono da Ippo e Gamala e fin da Gherghesa e Afec a sentirlo. Quando ha saputo del miracolo dei due indemoniati… oh! si è messo a predicare la fede in Te. Signore, se gli uomini ti hanno salutato col tuo nome di Messia, se le donne ti hanno salutato come il vincitore e re, se i bambini nostri sanno il tuo Nome e che Tu sei il Santo d’Israele, è per il povero lebbroso», narra per tutti il vecchione che per primo ha parlato di Giovanni.
   «Lo guarirai?», chiedono in molti.
   «E lo chiedete? Ho pietà dei peccatori, ma che avrò per un giusto?

   450.9Ma è forse lui che viene? Là, fra quei cespugli…».
   «Certo è lui. Ma che vista hai mai, Signore! Noi sentiamo fruscio, ma nulla vediamo…».
   Anche il fruscio cessa. Tutto è silenzioso e attesa…
   Gesù è bene in luce, solo, un poco avanti, perché si è avanzato sino al masso dove sono deposte delle provviste; gli altri, nella penombra di alcuni alberi, scompaiono confondendosi ai tronchi e ai cespugli della sodaglia. Anche i bambini tacciono, o perché assonnati in braccio alle madri, o perché spauriti del silenzio, dei sepolcri, delle bizzarre ombrie che trae la luna dalle piante e dalle rocce.
   Ma il lebbroso deve vedere, dal suo nascondiglio, e vedere bene. Vedere l’alta e solenne persona del Signore, tutto bianco nel bianco della luna, bellissimo. Gli sguardi stanchi del lebbroso certo si incrociano con lo sguardo splendente di Gesù. Che linguaggio uscirà da quelle pupille divine, larghe, fulgide come stelle? Che, dalla bocca disserrata su un sorriso d’amore? Che dal cuore, soprattutto dal cuore del Cristo? Mistero. Uno dei tanti misteri fra Dio e le anime nei loro rapporti spirituali.
   Certo il lebbroso capisce, perché grida: «Ecco l’Agnello di Dio! Ecco Colui che è venuto a sanare tutto il dolore del mondo! Gesù, Messia benedetto, Re nostro e nostro Salvatore, pietà di me!».
   «Che vuoi? Come puoi credere nello Sconosciuto e vedere in Lui l’Atteso? Che sono Io per te? L’Ignoto…».
   «No. Tu sei il Figlio del Dio vivente. Come lo so e lo vedo? Non so. Qui, dentro di me, una voce ha gridato: “Eccolo l’Atteso! E venuto a premiare la tua fede”. Ignoto? Sì. Nessuno ha noto il volto di Dio. Perciò sei “l’Ignoto” nella tua apparenza. Ma il Noto sei per la tua Natura, per la tua Realtà. Gesù, Figlio del Padre, Verbo incarnato e Dio come il Padre. Ecco chi sei, e io ti saluto e prego, credendo in Te».
   «E se Io non potessi nulla e la tua fede andasse delusa?».
   «Direi che ciò è volontà dell’Altissimo e continuerei a credere e ad amare, sperando sempre nel Signore».

   450.10Gesù si volge alla folla, che ascolta il dialogo sospesa, e dice: «In verità, in verità vi dico che quest’uomo ha la fede che smuove le montagne. In verità, in verità vi dico che la vera carità, fede e speranza si provano nel dolore più che nella gioia, benché l’eccesso di gioia sia talora rovina ad uno spirito informe ancora. Facile è credere ed essere buoni quando la vita non è che un placido, se non gioioso, scorrere di giorni uguali. Ma colui che sa persistere nella fede, speranza e carità, anche quando malattie, miserie, morti, sventure lo fanno solo, abbandonato, sfuggito da tutti, e non fa che dire: “Sia fatto ciò che l’Altissimo crede utile per me”, in verità costui non solo merita aiuto da Dio, ma, Io ve lo dico, nel Regno dei Cieli è pronto il suo posto e non conoscerà sosta nella purgazione, perché la sua giustizia ha annullato ogni debito della vita passata. Uomo, Io te lo dico: “Va’ in pace, ché Dio è con te!”».
   Si volge, nel dirlo, e tende le braccia verso il lebbroso, lo attira quasi col suo atto e, quando è ben vicino, ben visibile, ordina: «Voglio! Sii mondato!…», e sembra che la luna deterga e trasporti via, col suo raggio d’argento, le pustole, le piaghe, i noduli e le croste della orrenda malattia. Il corpo si ricompone e modella in sanità.
   È un vecchio dignitoso, ascetico nella sua magrezza, colui che, reso edotto del miracolo dai gridi osannanti della folla, si curva a baciare il suolo, non potendo toccare Gesù né alcun uomo prima del tempo prescritto dalla Legge.
   «Alzati. Ti porteranno una veste monda, perché tu possa andare davanti al sacerdote. Ma sappi andare sempre con la mondezza dello spirito davanti al tuo Dio. Addio, uomo. La pace sia con te!».
   E Gesù si riunisce alla gente e torna lentamente nel paese per il riposo.

[27] miracolo, in 186.5.