MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME VII CAPITOLO 452



CDLII. L’ex-lebbroso Giovanni diventa discepolo. Parabola dei dieci monumenti.

   29 giugno 1946.

   452.1«Il mio Signore!», grida l’ex lebbroso gettandosi in ginocchio appena vede apparire Gesù nella sodaglia che precede il luogo roccioso, dove egli visse per tanti anni. E poi, rialzandosi, grida ancora: «Come ritorni a me?».
   «Per darti il viatico della parola dopo quello della salute».
   «Il viatico si dà a chi parte, ed io infatti parto questa sera per le purificazioni. Ma parto per ritornare e unirmi ai discepoli, se mi vuoi accogliere. Non ho più casa né parenti, Signore. Sono vecchio per riprendere attività e vita. Mi rintegreranno nei beni. Ma come sarà la casa dopo quindici anni che è di nessuno? Che vi troverò? Forse mura diroccate… Sono un uccello senza nido. Lascia che mi unisca alla schiera di chi ti segue. Del resto… io non appartengo più a me stesso perché, per quel che mi hai dato, io sono tuo, non appartengo più al mondo che mi ha reciso da sé, giustamente perché impuro, per tanto tempo. Ora sono io che trovo impuro il mondo, dopo aver conosciuto Te, e fuggo il mondo per venire a Te».
   «Né Io ti respingo. Però ti dico che vorrei da te una sosta in questa regione. Aera e Arbela hanno il loro figlio discepolo che evangelizza. Tu siilo di Ippo, Gamala, Afeca e paesi vicini. Io fra poco scendo nella Giudea e non tornerò più da queste parti. Voglio in esse degli evangelizzatori».
   «La tua volontà mi fa cara ogni rinuncia. Farò ciò che Tu vuoi. Lo farò appena compiute le purificazioni. Avevo pensato di non curarmi più della mia casa. Ora invece dico che la riatterò in modo da poterla abitare per accogliere durante l’inverno in essa anime vogliose di sapere di Te, e pregherò qualche discepolo che ti segue da anni di venire con me, perché, se Tu mi vuoi piccolo maestro, io ho bisogno di essere istruito da chi lo è più di me. E a primavera andrò come gli altri predicando il tuo Nome».

   452.2«Va bene il tuo pensiero. Dio ti aiuterà a compierlo».
   «L’ho già iniziato distruggendo col fuoco tutto quanto mi apparteneva: ossia il povero giaciglio e le suppellettili che usavo, la veste portata sino a ieri, tutto quanto avevo toccato con il mio corpo malato. La grotta dove vivevo è nera del fuoco che vi ho fatto per distruggere e purificare. Nessuno si contagerà entrandovi a rifugio in una notte di tempesta. E poi… (la voce dell’uomo si fa debole, quasi si incrina, rallenta il discorso…) e poi… avevo un vecchio cofano ormai cadente… tarlato… pareva che la lebbra avesse corroso esso pure… Ma per me… era più prezioso delle ricchezze del mondo… Dentro c’erano le cose care… ricordi di mia madre… il velo di nozze della mia Anna… Ah! quando glielo levai, beato, nella sera delle nozze, e contemplai quel volto di gigli così bello e puro, chi me lo avesse detto che pochi anni dopo lo avrei visto tutto una piaga! E… le vesti dei miei bambini… i loro giocattoli… tenuti fra le piccole mani finché poterono stringere… qualcosa… e… oh! è tanto il dolore… perdona il mio pianto… La piaga duole forte ora che li ho arsi per giustizia… senza più poterli baciare… perché erano dei lebbrosi… Sono ingiusto, Signore… Ti mostro delle lacrime… Ma compatisci… Ho distrutto l’ultimo ricordo di loro… e ora sono come uno sperduto in un deserto…».
   L’uomo si accascia piangendo presso il mucchio di cenere che è il ricordo del suo passato…
   «Non sei sperduto, Giovanni, e non sei solo. Io sono con te. E i tuoi presto saranno con Me, in Cielo, ad attenderti. Quei resti te li ricordavano sfigurati dalla malattia, oppure belli di salute avanti la sciagura. Tutti ricordi di dolore. Lasciali fra le ceneri del rogo. Annientali nella certezza che Io ti do di un ritrovamento di essi felici, belli della gioia del Cielo. Il passato è morto, Giovanni. Non piangere più su quello. La luce non si attarda a guardare le tenebre della notte, ma è gioiosa di separarsene e di splendere, salendo nel cielo dietro al sole ad ogni mattino. E il sole non si attarda all’oriente ma s’alza, balza e scorre sino a raggiare dall’alto del firmamento. La tua notte è finita. Non la ricordare più. Sali con lo spirito là dove Io Luce ti porto. Là, per la dolce speranza e la bella fede, già troverai la gioia, perché la tua carità potrà effondersi in Dio e nei diletti che attendono. Non è che un rapido salire… e presto sarai nell’alto, con loro. La vita è un soffio… l’eternità è l’eterno presente».
   «Hai ragione, Signore. Tu mi conforti e mi insegni come superare quest’ora con giustizia…

   452.3Ma Tu sei al sole per starmi vicino il più che ti è concesso. Ritirati, Maestro. Mi hai dato abbastanza. Potrebbe nuocerti il sole, che è forte già».
   «Sono venuto per stare con te. Tutti siamo venuti per questo. Ma spostati tu pure verso le piante e saremo vicini senza pericolo».
   L’uomo ubbidisce lasciando il masso al cui piede è il mucchio di cenere, il passato, e va verso il luogo dove si dirige Gesù, dove sono, commossi, gli apostoli e le donne e gli abitanti del borgo e quelli venuti dalle città ad ascoltare il Maestro.
   «Accendete i fuochi per cuocere il pesce. Spartiremo il cibo in banchetto d’amore», ordina Gesù.
   E mentre gli apostoli eseguiscono, Egli gira sotto le piante nate alla rinfusa in questo luogo sfuggito da tutti per la vicinanza del lebbroso. Un intrico folto, selvaggio, di piante che non conoscono roncole o scuri da quando sono nate. Dei sofferenti o degli afflitti sono sotto all’ombra propizia di questa boscaglia e raccontano a Gesù le loro angosce, e Gesù sana, consiglia o conforta, paziente e potente. Più là, in un breve prato, il bambino di Cafarnao giuoca felice coi bambini del paese, e i loro gridi di gioia gareggiano col canto di molti uccelli che sono sulle piante folte, mentre le loro vesti variopinte, agitate nella corsa sul verde dell’erba, li fanno sembrare grosse farfalle scorrenti da fiore a fiore.

   452.4Il cibo è pronto. Chiamano Gesù. Egli chiede in grazia un cesto ad un contadino che aveva portato fichi e uva e lo empie di pane, dei pesci più belli, di frutta saporose, unendovi la sua borraccia di acqua melata, e si dirige verso l’ex lebbroso.
   «Resti senza borraccia, Maestro», lo avverte Bartolomeo. «Egli non te la può più rendere».
   E Gesù sorridendo: «C’è tanta acqua ancora per la sete del Figlio dell’uomo! C’è l’acqua messa dal Padre nei pozzi profondi. E il Figlio dell’uomo ha ancora le sue mani libere per farsi di esse giumella… Un giorno verrà che non avrò né queste né quella… e non avrò più neppur l’acqua dell’amore a dar refrigerio all’Assetato… Ora ho tanto amore intorno a Me…», e prosegue portando a due mani il paniere largo, tondo e basso, e deponendolo sull’erba a qualche metro da Giovanni dicendogli: «Prendi e mangia. È il banchetto di Dio».
   Poi torna al suo posto. Offre e benedice il cibo e lo fa distribuire ai presenti che vi hanno unito quanto avevano. Tutti mangiano con gusto e con una pacifica letizia, e Maria si occupa del piccolo Alfeo con materna dolcezza. Poi, finita la refezione, Gesù si mette fra la gente e l’ex lebbroso iniziando a parlare, mentre le madri accolgono in grembo i bambini sazi di cibo e di giuochi, e li ninnano per addormentarli perché non disturbino.

   452.5«Udite tutti. In un salmo[31] di David il salmista si chiede: “Chi abiterà nel Tabernacolo di Dio? Chi riposerà sul monte di Dio?”. E passa ad enumerare chi saranno i fortunati e per quali motivi lo saranno. Dice: “Colui che vive senza macchia e pratica giustizia. Colui che parla dal cuore con verità e non ordisce inganni con la sua lingua, che non danneggia il prossimo, che non accoglie parola infamante il suo simile”. E con poche righe, dopo aver detto chi entrerà nei dominii di Dio, dice cosa questi benedetti fanno di bene dopo non aver fatto il male. Ecco: “Agli occhi suoi un niente è il malvagio. Egli onora quelli che temono Dio. Giurando al suo prossimo non inganna. Non dà il suo denaro ad usura, non riceve regali a danno dell’innocente”. E termina: “Chi fa queste cose non vacillerà in eterno”. In verità, in verità vi dico che il salmista ha detto la verità e confermo con la mia sapienza che chi fa queste cose non vacillerà in eterno.

   452.6Condizione prima per entrare nel Regno dei Cieli: “Vivere senza macchia”.
   Ma può l’uomo, creatura debole, vivere senza macchia? La carne, il mondo e Satana, in un continuo ribollire di passioni, tendenze e di odio, schizzano i loro spruzzi a macchiare gli spiriti e, se il Cielo fosse aperto solo a quelli che hanno vissuto senza macchia dall’uso della ragione in poi, pochissimi di tutta l’Umanità entrerebbero in Cielo, così come pochissimi sono gli uomini che giungono alla morte senza aver conosciuto malattie più o meno gravi durante l’esistenza. E allora? Così è precluso il Cielo ai figli di Dio? E questi dovranno dirsi: “Io l’ho perduto” quando un assalto di Satana o una bufera della carne li fanno cadere e si vedono macchiati nell’anima? Non ci sarà più perdono per chi ha peccato? Nulla cancellerà la macchia che deturpa lo spirito? Non temete di un timore ingiusto il vostro Dio. Egli è Padre, e un padre tende sempre una mano ai figli vacillanti, offre aiuto perché si rialzino, conforta con mezzi soavi perché il loro avvilimento non degeneri in disperazione, ma fiorisca in umiltà vogliosa di riparare per tornare diletti al Padre.
   Ecco. Il pentimento del peccatore, la buona volontà di riparare, ambedue nati da un vero amore per il Signore, detergono la macchia della colpa e rendono degni del perdono divino. E quando Colui che vi parla avrà compiuto la sua missione sulla Terra, alle assoluzioni dell’amore, del pentimento e della buona volontà si unirà, potentissima, l’assoluzione che il Cristo vi avrà ottenuta a prezzo del suo sacrificio. Più candidi nell’anima di bambini da poco nati, molto più candidi perché a chi crederà in Me scaturiranno dal seno fiumi d’acqua viva detergenti anche la colpa d’origine, causa prima di ogni debolezza dell’uomo, potrete aspirare al Cielo, al Regno di Dio, ai suoi Tabernacoli. Perché la Grazia che Io sto per rendervi vi aiuterà a praticare la giustizia, la quale aumenta, tanto più quanto più è praticata, il diritto che vi dà uno spirito senza macchia di entrare nella gioia del Regno dei Cieli. Vi entreranno i pargoli e godranno, per la beatitudine data gratuitamente, godranno, perché il Cielo è gioia. Ma vi entreranno gli adulti, i vecchi, coloro che hanno vissuto, lottato, vinto e che alla candida corona della Grazia uniranno quella multicolore delle loro opere sante, delle loro vittorie su Satana, il mondo e la carne, e grande, grandissima sarà la loro beatitudine di vincitori, grande, quale l’uomo non può immaginare.

   452.7Come si pratica la giustizia? Come si conquista la vittoria? Con onestà di parole e di azioni, con carità di prossimo. Riconoscendo che Dio è Dio e non mettendo gli idoli delle creature, del denaro, del potere, al posto del Dio Ss. Con dare ad ognuno il posto che gli spetta senza cercare di dare più o di dare meno di ciò che è doveroso. Colui che, perché uno gli è amico o parente potente, lo onora e serve anche nelle opere non buone, non è giusto. Colui, all’opposto, che danneggia il suo prossimo perché da esso non può sperare utile di sorta e giura contro di lui, o si fa comperare con regali per deporre contro l’innocente o giudicare con partigianeria, non secondo giustizia ma secondo il calcolo di ciò che quell’ingiusto giudizio gli può ottenere da chi è il più potente fra i contendenti, non è giusto, e vane sono le sue orazioni, le sue offerte, perché macchiate di ingiustizia agli occhi di Dio.
   Voi vedete che ciò che dico è ancora Decalogo. Sempre è Decalogo la parola del Rabbi. Perché il bene, la giustizia, la gloria è nel compiere ciò che il Decalogo insegna e ordina di fare. Non c’è altra dottrina. Allora data fra le folgori del Sinai, ora data fra i fulgori della Misericordia, ma la Dottrina è quella. E non muta. E non può mutare. Molti, a loro scusa, diranno in Israele, per giustificare di non essere santi anche dopo il passaggio sulla Terra del Salvatore: “Io non ho avuto modo di seguirlo e ascoltarlo”. Ma la loro scusa non ha nessun valore. Perché il Salvatore non è venuto a mettere una nuova Legge, ma a riconfermare la prima, l’ unica Legge. Anzi, a riconfermarla proprio nella sua nudità santa, nella sua semplicità perfetta. A riconfermare con amore, e con promesse di certo amore di Dio, ciò che prima era stato detto con rigore da una parte e ascoltato con timore dall’altra.

   452.8Per farvi ben capire ciò che sono i dieci comandamenti e quale importanza ha il seguirli, vi dico questa parabola.
   Un padre di famiglia aveva due figli, ugualmente amati e dei quali egli voleva essere in uguale misura il benefattore. Questo padre aveva, oltre alla dimora dove erano i figli, dei possessi dove erano grandi tesori nascosti. I figli sapevano di questi tesori ma non sapevano la via per andarvi, perché il padre, per motivi suoi propri, non aveva rivelato ai figli la via per giungervi, e ciò per molti e molti anni.
   Però, ad un certo momento, chiamò i suoi due figli e disse: “È bene che ormai voi conosciate dove sono i tesori che il padre vostro ha messo da parte per voi, per poterli raggiungere quando io ve lo dirò. Intanto conoscetene la strada e i segnali che ho messo in essa, perché voi non smarriate la via giusta. Sentitemi dunque. I tesori non sono in pianura dove stagnano le acque, arde il solleone, sciupa la polvere, soffocano gli spini e i triboli, e dove facilmente i ladri possono giungere per derubarvi. I tesori sono in cima a quell’alto monte, alto e scabro. Io li ho collocati là in cima e là vi attendono. Il monte ha più di un sentiero, anzi ha molti sentieri. Ma uno solo è buono. Gli altri, quali finiscono in precipizi, quali in caverne senza uscita, quali in fosse di acqua melmosa, quali in serpai di vipere, quali in crateri di zolfo acceso, quali contro muraglie insuperabili. Quello buono, invece, è faticoso, ma giunge alla vetta senza interruzione di precipizi o altri ostacoli. Perché voi lo possiate riconoscere, io ho messo lungo di esso a distanze regolari dieci monumenti di pietra con sopra incise queste tre parole di riconoscimento: amore, ubbidienza, vittoria. Andate seguendo questo sentiero e raggiungete il luogo del tesoro. Io, poi, per altra via, nota a me solo, verrò e ve ne aprirò le porte perché siate felici”.

   452.9I due figli salutarono il padre che, finché poté essere udito da loro, ripeté: “Seguite la via che vi ho detto. È per vostro bene. Non lasciatevi tentare dalle altre, anche se vi sembrano migliori. Perdereste il tesoro e me con esso…”.
   Eccoli giunti ai piedi del monte. Un primo monumento era alla base, proprio all’inizio del sentiero che era al centro di una raggiera di sentieri che salivano alla conquista del monte in ogni senso. I due fratelli iniziarono la salita sul sentiero buono. Era ancora molto buono nel primo tempo, benché senza un filo d’ombra. Dall’alto del cielo il sole vi scendeva a picco innondandolo di luce e di calore. La candida roccia in cui era tagliato, il terso cielo sul loro capo, il caldo sole ad abbraccio delle loro membra: ecco ciò che vedevano e sentivano i fratelli. Ma, ancora animati da buona volontà, dal ricordo del padre e delle sue raccomandazioni, salivano gioiosi verso la cima. Ecco un secondo monumento… e poi ecco il terzo. Il sentiero era sempre più faticoso, solitario, ardente. Non si vedevano neppur più gli altri sentieri, nei quali erano erbe e piante o acque chiare e soprattutto salita più dolce, perché meno ripida e tracciata nel suolo, non già sulla roccia.
   “Nostro padre ci vuol far giungere morti”, disse un figlio giungendo al quarto monumento. E cominciò a rallentare il passo. L’altro lo confortò a proseguire dicendo: “Egli ci ama come altri se stessi e più ancora, perché ci ha salvato il tesoro così meravigliosamente. Questo sentiero nella roccia, che senza smarrimenti sale dal basso alla cima, lo ha scavato lui. Questi monumenti li ha fatti lui per guida nostra. Pensa, fratello mio! Lui, da solo, ha fatto tutto questo, per amore! Per darlo a noi! Per fare che vi giungiamo senza sbaglio possibile e senza pericolo”.
   Camminarono ancora. Ma i sentieri lasciati a valle ogni tanto si riaccostavano al sentiero nella roccia, e sempre più lo facevano più il monte, avvicinandosi alla cima, si faceva più stretto nel suo cono. E come erano belli, ombrosi, invitanti!…
   “Io quasi prendo uno di quelli”, disse il malcontento giungendo al sesto monumento. “Tanto, anche quello va alla cima”.
   “Tu non lo puoi dire… Non vedi se sale o se scende…”.
   “Eccolo lassù!”.
   “Non sai se è questo. E poi il padre lo ha detto di non lasciare l’onesto sentiero…”.
   Di mala voglia lo svogliato proseguì. Ecco il settimo monumento: “Oh! io me ne vado proprio”.
   “Non lo fare, fratello!”.
   Su per il sentiero veramente difficilissimo, ormai. Ma la cima era ormai prossima…
   Ecco l’ottavo monumento e vicino, proprio rasente il sentiero fiorito. “Oh! lo vedi che, se non in linea retta, va proprio su anche questo?”.
   “Non sai se è quello”.
   “Sì. Lo riconosco”.
   “Ti inganni”.
   “No. Vado”.
   “Non lo fare. Pensa al padre, ai pericoli, al tesoro”.
   “Ma vadano in perdita tutti! Che me ne faccio del tesoro se giungo in cima morente? Quale pericolo più grande di questa via? E quale odio più grande di questo del padre che ci ha beffati con questo sentiero per farci morire? Addio. Giungerò prima di te, e vivo…”, e si gettò nel sentiero attiguo scomparendo con una esclamazione di gioia dietro i tronchi che l’ombreggiavano.

   452.10L’altro proseguì tristamente… Oh! la via nel suo ultimo tratto era proprio tremenda! Il viandante non ne poteva più. Era come ubbriaco di fatica, di sole! Al nono monumento si fermò ansante, appoggiandosi alla pietra scolpita e leggendo macchinalmente le parole incise. Vicino era un sentiero d’ombra, d’acque, di fiori… “Quasi quasi… Ma no! No. Lì è scritto, e l’ha scritto mio padre: amore, ubbidienza, vittoria. Devo credere. Al suo amore, alla sua verità, e devo ubbidire per mostrare il mio amore… Andiamo… L’amore mi sorregga…”. Ecco il decimo monumento… Il viandante esausto, arso dal sole, camminava curvo come sotto un giogo… Era l’amoroso e santo giogo della fedeltà che è amore, ubbidienza, fortezza, speranza, giustizia, prudenza, tutto… Invece di appoggiarsi, si gettò seduto a quella larva d’ombra che il monumento faceva al suolo. Si sentiva morire… Dal sentiero accosto veniva un rumore di ruscelli e odor di bosco… “Padre, padre, aiutami col tuo spirito, nella tentazione…, aiutami a essere fedele sino alla fine!…”.
   Da lontano, ridente, la voce del fratello: “Vieni, ti aspetto. Qui è un eden… Vieni…”.
   “Se andassi?…”, e gridando forte: “Si sale proprio alla vetta?”.
   “Sì, vieni. C’è una galleria fresca che porta su. Vieni! La vedo già, la vetta, oltre la galleria nel masso…”.
   “Vado? Non vado?… Chi mi soccorre?… Vado…”. Puntò le mani per rialzarsi e, mentre lo faceva, notò che le parole scolpite non erano più sicure come quelle del primo monumento: “Ogni monumento, le parole erano più leggere… come se il padre mio, spossato, avesse faticato a inciderle. E… guarda!… Anche qui quel segno rosso bruno che già era visibile dal quinto monumento… Solo che qui esso empie il cavo di ogni parola ed è scolato fuori, rigando il masso come di lacrime scure, come… di sangue…”. Grattò col dito là dove era una macchia vasta quanto due mani. E la macchia si sfarinò lasciando scoperte, fresche, queste parole: “Così vi ho amato. Sino a spargere il sangue per condurvi al Tesoro”.
   “Oh! oh! Padre mio! E io potevo pensare a non fare il tuo comando?! Perdono, padre mio! Perdono”. Il figlio pianse contro il masso, e il sangue che empiva le parole si rifece fresco splendendo come rubino, e le lacrime furono cibo e bevanda al figlio buono, e forza… Si alzò… per amore chiamò il fratello, forte, forte… Voleva dirgli la sua scoperta… l’amore del padre, dirgli: “Torna”. Nessuno rispose…
   Il giovane riprese l’andare, quasi a ginocchi sulla pietra rovente, perché era proprio sfinito nella carne dalla fatica, ma lo spirito era sereno.
   Ecco la vetta… E là, ecco il padre. “Padre mio!”, “Figlio diletto!”. Il giovane si abbandonò sul petto paterno, il padre lo accolse coprendolo di baci.
   “Sei solo?”.
   “Sì… Ma presto giungerà il fratello…”.
   “No. Non giungerà più. Ha lasciato la via dei dieci monumenti. Non vi è tornato dopo i primi disinganni ammonitori. Vuoi vederlo? Eccolo là. Nel baratro di fuoco… È stato pertinace nella colpa. Lo avrei ancora perdonato e atteso se, dopo aver conosciuto l’errore, fosse tornato sui suoi passi e, sebbene con ritardo, fosse passato per dove l’amore è passato per primo, soffrendo sino a spargere il suo sangue migliore, la parte più cara di se stesso, per voi”.
   “Egli non sapeva…”.
   “Se egli avesse guardato con amore le parole scolpite nei dieci monumenti avrebbe letto il loro vero significato. Tu lo hai letto sin dal quinto monumento e lo hai fatto notare all’altro dicendo: ‘Il padre qui deve essersi ferito!’, e lo hai letto nel sesto, settimo, ottavo, nono… sempre più chiaro, sinché hai avuto l’istinto di scoprire ciò che era sotto il sangue mio. Sai il nome di quell’istinto? ‘Tua vera unione con me’. Le fibre del tuo cuore, fuse alle mie fibre, hanno trasalito e ti hanno detto: ‘Qui avrai la misura di come ti ama il padre’. Ora entra nel possesso del Tesoro e di me stesso, tu, amoroso, ubbidiente, vittorioso in eterno”.
   Questa la parabola.

   452.11I dieci monumenti sono i dieci comandamenti. Il vostro Dio li ha scolpiti e messi sul sentiero che porta al Tesoro eterno, e ha sofferto per condurvi a quel sentiero. Voi soffrite? Anche Dio. Voi dovete forzare voi stessi? Anche Dio. Sapete sino a che punto? Soffrendo di separarsi da Se stesso e di forzarsi a conoscere l’essere Uomo con tutte le miserie che l’umanità porta seco: il nascere, il patire freddo, fame, fatica e sarcasmi, affronti, odii, insidie e infine la morte dando tutto il Sangue per darvi il Tesoro. Questo soffre Dio sceso a salvarvi. Questo soffre Dio nell’alto del Cielo permettendo a Se stesso di soffrirlo.
   In verità vi dico che nessun uomo, per faticoso che sia il suo sentiero per giungere al Cielo, non farà mai un sentiero più faticoso e doloroso di quello che il Figlio dell’uomo percorre per venire dal Cielo alla Terra e dalla Terra al Sacrificio per aprirvi le porte del Tesoro.
   Nelle tavole della Legge è già il mio Sangue. Nella Via che vi traccio è il mio Sangue. La porta del Tesoro si apre sotto l’onda del mio Sangue. La vostra anima si fa candida e forte per il lavacro e il nutrimento del mio Sangue. Ma voi, perché non sia sparso invano, dovete battere la via immutabile dei dieci comandamenti.
   Ora riposiamo. Al tramonto Io andrò verso Ippo, Giovanni alla purificazione, voi alle vostre case. La pace del Signore sia con voi».

[31] un salmo, che è il Salmo 15 .