MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME VII CAPITOLO 453



CDLIII. Arrivo a Ippo e discorso in favore dei poveri che vengono sanati. Guarigione dello schiavo Aquila.

   2 luglio 1946.

   453.1Gesù entra in Ippo in una chiara mattina. Deve aver pernottato nella casa di campagna di qualche abitante della città, venuto ad ascoltarlo, per entrare nella città nelle prime ore del mattino di un rumoroso giorno di mercato. Molti di Ippo sono con Lui e molti di Ippo gli corrono incontro, perché avvisati da altri che il Rabbi è giunto. Ma non sono soltanto gli abitanti di Ippo quelli intorno a Gesù. Anche quelli della borgata sul lago sono presenti. Manca soltanto qualche donna che, per le sue condizioni fisiche o per avere dei bambini troppo piccoli, non ha potuto allontanarsi troppo da casa.
   La città, lievemente elevata dal livello del lago, stesa sulle prime ondulazioni dell’altipiano, che è oltre il lago e che va salendo verso oriente per raggiungere a sud-est i monti dell’Auranite e a nord-est il gruppo montano dove troneggia il grande Ermon, si presenta bene, come città ricca di commerci e di censi e importante anche come nodo stradale e anello di congiunzione fra molte regioni dell’oltre lago, come lo indicano i cippi stradali messi alle sue vicinanze e che portano i nomi di Gamala, Gadara, Pella, Arbela, Bozra, Gherghesa e altri ancora.
   Molto abitata e molto frequentata da forestieri venuti dai paesi vicini per acquisti o vendite o altre ragioni di affari. Vedo che molti romani, civili o militari, sono fra la folla che, non so se sia proprietà di questa città o se lo sia della regione, non mi pare così aggressiva, così respingente verso i romani. Forse gli affari li hanno stretti in legami, se non di amicizia, per lo meno di convenienza più che nelle zone dell’altra sponda.

   453.2La folla aumenta man mano che Gesù procede verso il centro cittadino, sino a fermarsi su una vasta piazza alberata, nella quale all’ombra delle piante si svolge il mercato, ossia si contrattano gli affari più importanti, perché la compra-vendita minuta di cibarie e suppellettili è oltre questa piazza, in uno sterrato dove martella già il sole, dal quale compratori e venditori si difendono con teli tirati su paletti e che gettano un piccolo spazio d’ombra sulle merci esposte per terra. Il luogo, coperto come è di teli d’ogni colore, poco alti da terra e formicolanti di gente dalle vesti variopinte, pare un prato ornato di fiori giganteschi, quali fissi, quali smuoventisi per i sentieruoli fra telo e telo. E ciò dà al luogo un aspetto ancora di bellezza, che certo non ha più quando, sbaraccate le… botteghe preistoriche, lo sterrato deve apparire nella sua giallastra desolazione di luogo sterile e deserto.
   Ora è pieno di vocìo. Ma quanto gridano questi popoli e quante parole dette urlando per contrattare, magari, una ciotola di legno, un frullone, oppure una brancata di semi! E al vocìo di chi compra e vende si unisce tutto un coro di mendicanti che sforzano la voce per essere sentiti al disopra del vocìo.
   «Ma qui non puoi parlare, Maestro!», esclama Bartolomeo. «La tua voce è potente, ma non può superare questo rumore!».
   «Attenderemo. Vedete? Il mercato è alla fine. Qualcuno leva già le sue merci. Intanto andate a dare l’obolo ai mendichi con le offerte dei ricchi di qui. Sarà il prologo e la benedizione sul discorso, perché l’elemosina data con amore passa dal grado di soccorso materiale a quello di amor di prossimo e attira gra­zie», risponde Gesù.
   Gli apostoli vanno a compiere l’ordine.

   453.3Gesù prosegue a parlare fra la folla attenta: «La città è ricca e prospera. Almeno in questa parte. Vedo voi vestiti con vesti monde e belle. I vostri volti sono pasciuti. Tutto mi dice che voi non soffrite miseria. Ora Io vi chiedo se quelli che là si lamentano sono di Ippo o sono mendicanti occasionali, venuti qui da altri luoghi per avere soccorsi. Siate sinceri…».
   «Ecco. Ti diremo, benché il rimprovero già balzi dalle tue parole. Alcuni sono venuti da fuori, i più sono di Ippo».
   «E non c’è lavoro per loro? Ho visto che molto si costruisce qui e ci dovrebbe essere lavoro per tutti…».
   «Sono quasi sempre i romani quelli che assoldano per il lavoro…».
   «Quasi sempre. Hai detto bene. Perché Io ho visto anche degli abitanti di qui sopraintendere ai lavori. E fra questi ho visto molti che hanno gente non di qui. Perché non soccorrere prima i cittadini?».
   «Perché… È difficile lavorare qui perché, soprattutto anni or sono, prima che i romani facessero belle vie, era faticoso portare qui i massi e aprire le vie… E molti si sono ammalati o sconciati… e ora sono mendichi perché non possono più lavorare».
   «Ma voi godete del lavoro che hanno fatto?».
   «Certo, Maestro! Vedi che bella, comoda città, con acque abbondanti in cisterne profonde e belle vie che vanno ad allacciarsi ad altre città ricche. Vedi che costruzioni salde. Vedi quanti laboratori. Vedi…».
   «Vedo tutto. E queste cose vi hanno aiutato a costruirle quelli che ora vi chiedono lamentosamente un pane? Sì, voi dite? E allora perché, se voi godete di ciò che essi vi hanno aiutato ad avere, non date a loro un briciolo di godimento? Il pane, senza che lo chiedano. Un giaciglio, senza che siano costretti a dividere le tane con gli animali selvatici. Un soccorso alle loro malattie che, curate, potrebbero dare loro modo di fare ancora qualcosa, in luogo di avvilirsi in un ozio forzato e mortificante. Come potete sedervi contenti alla mensa e spartire con gioia l’abbondante cibo fra i figli ridenti, sapendo che, poco lontano, dei vostri fratelli hanno fame? Come andare al riposo nel letto ben riparato quando sapete che fuori, nella notte, ci sono degli uomini senza un giaciglio e un riparo? Non vi bruciano la coscienza quelle monete che riponete nei forzieri, sapendo che molti non hanno uno spicciolo per comperarsi un pane?

   453.4Mi avete detto che credete nel Signore altissimo e osservate la Legge, che conoscete i Profeti e i libri della Sapienza. Mi avete detto che credete in Me e siete avidi della mia dottrina. Ma allora dovete farvi il cuore buono, perché Dio è Amore e prescrive amore, perché la Legge è amore, perché i Profeti e i libri della Sapienza consigliano l’amore, e la mia dottrina è dottrina di amore. I sacrifici e le preghiere sono vani se non fa loro da base e da altare l’amore del prossimo, e specie del povero indigente, al quale è possibile dare tutte le forme d’amore con il pane, il letto, le vesti, con il conforto e l’insegnamento, con il condurlo a Dio. La miseria, avvilendo, porta lo spirito a perdita di quella fede nella Provvidenza che è salutare per resistere nelle prove della vita. Come potete pretendere che il misero sia sempre buono, paziente, pio, quando esso vede che coloro che sono i beneficati della vita e perciò, secondo il concetto comune, della Provvidenza, sono duri di cuore, senza vera religione — perché alla loro religione manca la prima e la più essenziale delle parti: l’amore — sono senza pazienza e, loro che tutto hanno, non sanno sopportare neppure la supplica di chi ha fame? Talora imprecano a Dio e a voi? Ma chi li conduce a questo peccato? Non meditate mai, voi, ricchi cittadini di una ricca città, che avete un grande dovere: quello di ammaestrare alla Sapienza i derelitti col vostro modo di agire?
   Mi sono sentito dire: “Tutti vorremmo essere tuoi discepoli per predicarti”. A tutti Io dico: ecco che lo potete. Questi che vengono timorosi, vergognosi nelle loro vesti lacere, nei loro volti smunti, sono coloro che attendono la Buona Novella, quella che è data soprattutto per i poveri, perché abbiano un con­forto soprannaturale nella speranza di una vita gloriosa dopo la realtà della loro triste vita presente. Voi la potete praticare con minore fatica materiale, ma con maggiore fatica spirituale — perché le ricchezze sono pericolose alla santità e giustizia — questa mia dottrina. Essi con fatiche di ogni sorta lo possono fare. Il pane che manca, la veste insufficiente, il tetto inesistente, muovono costoro a chiedersi: “Come posso credere che Dio mi è Padre se io non ho ciò che ha l’uccello dell’aria?”. Le durezze del prossimo come possono far credere a costoro che bisogna amarsi come fratelli? Voi avete l’obbligo di farli certi che Dio è Padre e voi siete fratelli col vostro operante amore. La Provvidenza c’è, e voi ne siete i ministri, voi, i ricchi del mondo. Considerate questo esserne i mezzi come il più grande onore che Dio vi fa e come l’unico mezzo per rendere sante le ricchezze pericolose.

   453.5E agite come se in ognuno di questi vedeste Me stesso. Io sono in loro. Ho voluto essere povero e perseguitato per essere come loro e perché il ricordo del Cristo povero e perseguitato durasse nei secoli, gettando una luce soprannaturale sui poveri e perseguitati come il Cristo, una luce che ve li facesse amare come altri Me stesso. Ed Io infatti sono nel mendico sfamato, dissetato, vestito, alloggiato. Io sono nell’orfano raccolto per amore, nel vegliardo soccorso, nella vedova aiutata, nel pellegrino ospitato, nell’infermo curato. E sono nell’afflitto confortato, nel dubbioso fatto sicuro, nell’ignorante ammaestrato. Sono dove si riceve amore. E ogni cosa fatta ad un fratello povero, o di mezzi materiali o di mezzi spirituali, è fatta a Me. Perché Io sono il Povero, l’Afflitto, l’Uomo dei dolori, e lo sono per dare ricchezza, gioia, vita soprannaturale a tutti gli uomini che molte volte — non lo sanno ma così è — sono ricchi solo in apparenza e gioiosi di gioie solo apparenti, e sono tutti poveri di ricchezze e gioie vere, perché sono senza la Grazia per la Colpa d’origine che li priva di essa.
   Voi lo sapete: senza la Redenzione non c’è Grazia, senza Grazia non c’è gioia e vita. E Io, per darvi Grazia e Vita, non ho voluto nascere re o potente, ma povero, ma popolano, ma umile, perché nulla è la corona, nulla il trono, la potenza, per Chi viene dal Cielo per condurre al Cielo, mentre tutto è l’esempio che un vero Maestro deve dare per dare forza alla sua dottrina. Perché i più sono i poveri e gli infelici, mentre i potenti e i felici sono i meno. Perché la Bontà è Pietà. Per questo Io sono venuto e il Signore ha unto il suo Cristo: perché Io annunciassi la Buona Novella ai mansueti e curassi quelli che hanno il cuore infranto, perché predicassi la libertà agli schiavi, la liberazione ai prigionieri, perché consolassi quelli che piangono e per mettere ai figli di Dio, ai figli che sanno rimanere tali sia nella gioia che nel dolore, il loro diadema, la veste di giustizia, e tramutarli da alberi selvatici in piante del Signore, in suoi campioni, in glorie sue.

   453.6Io sono tutto a tutti, e tutti voglio con Me nel Regno dei Cieli. Esso a tutti è aperto purché si sappia vivere nella giustizia. La giustizia è nella pratica della Legge e nell’esercizio dell’amore. Ad esso Regno non si accede per diritti di censo, ma per eroismi di santità. Chi vuole entrarvi mi segua e faccia ciò che Io faccio: ami Dio sopra ogni cosa e il suo prossimo come Io lo amo, non bestemmi il Signore, santifichi le sue feste, onori i genitori, non alzi la mano violenta sul suo simile, non commetta adulterio, non rubi al suo prossimo in nessun modo, non attesti il falso, non desideri ciò che non ha e che altri hanno ma sia contento della sua sorte, pensandola sempre transitoria e via e mezzo a conquistare una sorte migliore ed eterna, ami i poveri, gli afflitti, i minimi della Terra, gli orfani, le vedove, non faccia usura. Chi farà questo, quale che sia la sua nazione e lingua, condizione e censo, potrà entrare nel Regno di Dio, del quale Io vi apro le porte.
   Venite a Me, voi tutti di retta volontà. Non vi spaventi ciò che siete o ciò che foste. Io sono Acqua che lava il passato e fortifica per l’avvenire. Venite a Me, voi che siete poveri di sapienza. Nella mia parola è sapienza. Venite a Me, rifatevi una vita nuova su altri concetti. Non temete di non sapere, di non potere fare. La mia dottrina è facile, il mio giogo è leggero. Io sono il Rabbi che dà senza chiedere compenso, senza chiedere altro compenso che il vostro amore. Se mi amerete, amerete la mia dottrina e perciò anche il prossimo vostro, e avrete la Vita e il Regno. Ricchi, spogliatevi della affezione alle ricchezze e comperate con esse il Regno con tutte le opere di misericordioso amore al prossimo. Poveri, spogliatevi del vostro avvilimento e venite sulla via del Re vostro. Con Isaia Io dico[32]: “Sitibondi, venite alle acque, e anche voi che non avete denaro venite a comprare”. Con l’amore comprerete ciò che è amore, ciò che è cibo che non perisce, cibo che veramente sazia e fortifica.

   453.7Io me ne vado, o uomini, o donne, o ricchi, o poveri di Ippo. Me ne vado per ubbidire alla volontà di Dio. Ma voglio partire da voi meno afflitto di come vi sono entrato. È la vostra promessa che solleverà la mia afflizione. Per il bene di voi ricchi, per il bene di questa città vostra, siate, promettete di essere misericordiosi in avvenire verso i minimi fra voi. Tutto bello qui. Ma, come una nube nera di temporale fa paurosa anche la città più bella, così qui incombe, come ombra che fa scomparire bellezza, la vostra durezza di cuore. Levatela e sarete benedetti. Ricordate: Dio promise[33] di non distruggere Sodoma se in essa fossero stati dieci giusti. Voi non sapete il futuro. Io lo so. E in verità vi dico che è gravido di punizione più che nuvola estiva di grandine. Salvate la vostra città con la vostra giustizia, con la vostra misericordia. Lo farete voi?».
   «Lo faremo, Signore, in nome tuo. Parlaci, parlaci ancora! Siamo stati duri e peccatori. Ma Tu ci salvi. Sei il Salvatore. Parlaci…».
   «Starò con voi fino a sera. Ma parlerò con le mie opere. Ora, mentre il sole incombe, andate ognuno alle vostre case e meditate sulle mie parole».
   «E Tu dove vai, Signore? Da me! Da me!». Tutti i ricchi di Ippo lo vogliono, e quasi si contendono per difendere ognuno il motivo per cui Gesù deve andare da questo o quello.
   Egli alza la mano imponendo silenzio. Lo ottiene a fatica. Dice: «Io resto con questi». E indica i poveri che, stretti in un mucchio ai margini della folla, lo guardano con l’occhio di chi, sempre schernito, si sente amato. E ripete: «Io resto con questi per consolarli e spartire con loro il pane. Per dar loro un anticipo della letizia del Regno dove il Re sarà seduto fra i sudditi allo stesso banchetto d’amore. E intanto, poiché la loro fede è scritta sui loro volti e nei loro cuori, Io dico a loro: “Vi sia fatto ciò che nel vostro cuore chiedete, e anima e corpo giubilino nella prima salute che vi dà il Salvatore”».
   I poveri saranno almeno un centinaio. Di questi almeno due terzi sono sciupati nelle membra, o ciechi, o malati visibilmente; l’altro terzo è di bimbi che mendicano per le madri vedove o per i nonni… Ebbene, è prodigioso vedere che le braccia storpiate, le anche sciancate, le schiene rattrappite, gli occhi spenti, le estenuazioni che si trascinano, tutta la flora dolorosa delle malattie e delle sventure, contratte per sciagure di lavoro o per eccesso di fatiche e di stenti, si restaurano, cessano di essere, e questi infelici tornano a vivere, a sentirsi capaci di bastare a loro stessi. Il gridìo empie e rimbomba nella vasta piazza.

   453.8Un romano si fa largo a fatica fra la folla in delirio e raggiunge Gesù mentre Egli, a sua volta a fatica, si dirige ai poveri risanati che lo benedicono dal loro posto, impotenti a fendere la folla compatta.
   «Salve, o Rabbi d’Israele. Ciò che hai fatto è solo per quelli del tuo popolo?».
   «No, uomo. Né ciò che ho fatto, né ciò che ho detto. Il mio potere è universale, perché universale è il mio amore. E la mia dottrina è universale perché per essa non ci sono caste, né religioni, né nazioni a far da limite. Il Regno dei Cieli è per l’Umanità che sa credere nel Dio vero. Ed Io sono per quelli che sanno credere nel potere del Dio vero».
   «Io sono pagano. Ma credo che Tu sei un dio. Ho uno schiavo che mi è caro. Un vecchio schiavo che mi segue da quando ero bambino. Ora la paralisi lo uccide lentamente e con molto dolore. Ma è uno schiavo e forse Tu…».
   «In verità ti dico che non conosco che una vera schiavitù che mi dia ribrezzo: quella del peccato, e del peccato ostinato. Perché chi pecca e si pente incontra la mia pietà. Il tuo schiavo sarà guarito. Va’ e guarisci dal tuo errore entrando nella vera fede».
   «Non vieni a casa mia?».
   «No, uomo».
   «Invero… ho chiesto troppo. Un dio non va in case di mortali. Ciò si legge nelle favole soltanto… Ma nessuno mai ospitò Giove o Apollo».
   «Perché essi non sono. Ma Dio, il vero Dio entra nelle case dell’uomo che crede in Lui e vi porta guarigione e pace».
   «Chi è il Dio vero?».
   «Colui che è».
   «Non Tu? Non mentire! Ti sento dio…».
   «Non mento. Tu lo hai detto. Io lo sono. Io sono il Figlio di Dio venuto per salvare anche la tua anima, come ho salvato il tuo diletto schiavo. Non è quello che viene chiamando a gran voce?».

   453.9Il romano si volge, vede un vecchio, seguito da altri, che avvolto in una coperta corre gridando: «Mario! Mario! Padrone mio!».
   «Per Giove! Il mio schiavo! Corre!… Io… ho detto: Giove… No. Dico: per il Rabbi d’Israele. Io… io…», l’uomo non sa più che dire…
   La gente si apre volonterosa per far passare il vecchio guarito.
   «Sono guarito, padrone. Ho sentito un fuoco nelle membra e un comando: “Alzati!”. Mi pareva la tua voce. Mi sono alzato… stavo in piedi… Ho provato a camminare… ci riuscivo… Mi sono toccato le piaghe del letto… più piaghe. Ho urlato. Nereo e Quinto sono accorsi. Mi hanno detto dove eri. Non ho aspettato di avere vesti. Ora ti posso servire ancora…», il vecchio in ginocchio piange baciando le vesti del romano.
   «Non a me. Egli, questo Rabbi, ti ha guarito. Bisognerà credere, Aquila. Egli è il vero Dio. Ha guarito quelli con la voce e te… con non so che… Credere si deve… Signore… io sono pagano ma… ecco… No. È troppo poco. Dimmi dove vai e ti darò onore». Aveva offerto una borsa, ma la ripone.
   «Vado sotto quel portico oscuro, con essi».
   «Ti manderò per essi. Salve, o Rabbi. Lo racconterò a chi non crede…».
   «Addio. Ti attendo sulle vie di Dio».
   Il romano se ne va con i suoi schiavi. Gesù se ne va coi suoi poveri e con gli apostoli e discepole.
   Il portico, più via coperta che portico, è ombroso e fresco, e la gioia è tanta che pare bello anche il luogo, di per sé molto comune. Ogni tanto un cittadino viene e dà degli oboli. Torna lo schiavo del romano con una pesante borsa. E Gesù dà parole di luce e conforti di denaro e, tornati gli apostoli con cibarie diverse, Gesù spezza il pane e benedice il cibo e dà ai poveri, ai suoi poveri…

[32] dico, come in: Isaia 55, 1 .
[33] promise, in: Genesi 18, 32 .