MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME VII CAPITOLO 455



CDLV. Affidamento della Chiesa alla maternità di Maria. Discorso, presso Gamala, in favore dei forzati.

   8 luglio 1946.

   455.1Sorge appena l’alba quando Gesù si desta e si alza a sedere sul suo rustico letto fatto di terra e d’erba. Poi si alza in piedi, raccatta i suoi sandali e il mantello, che si era gettato addosso a difesa dalla guazza e dal fresco notturno, e cautamente passa fra il groviglio di gambe e di braccia e di torsi e di teste degli apostoli addormentati intorno a Lui. Si dilunga di qualche metro, aguzzando la vista per vedere dove posa i piedi nel baluginio incerto dell’alba, che sotto alle piante fronzute è appena una larva di luce, e raggiunge un prato scoperto che, per uno scorcio fra alberi e rocce, mostra un piccolo lembo di lago che si ridesta e un vasto lembo di cielo che si rischiara, passando dal bigio cerulo, proprio del firmamento che esce dalla notte, al celeste, mentre a oriente già si sfuma in una pennellata giallina, che sempre più si fa decisa e carica, sino a mutarsi da un giallino ad un giallo rosato e poi ad un pallido corallo vaghissimo.
   L’alba promette una bella giornata, nonostante una lievissima nebbia che stenta a cedere alla luce il campo del cielo laggiù ad oriente, e si sfilaccia in veli di nuvole così leggere che l’azzurro del cielo non ne soffre, ma anzi se ne abbella come di un ornamento di mussola bianchissima frangiata d’oro e coralli, sempre mutevole, sempre più bella come si sforzasse di raggiungere la perfezione della sua effimera bellezza prima che il giorno la distrugga col trionfo del sole. A occidente, invece, ancor qualche astro resiste, benché già privato del brillio notturno, alla luce che cresce, e la luna, prossima a scomparire dietro le creste dei monti, veleggia pallida, senza raggio, come un pianeta morente.

   455.2Gesù, ritto in piedi, i piedi nudi nell’erba rugiadosa, le braccia conserte sul petto, il capo alzato a guardare il giorno che sorge, pensa… o parla col Padre in un colloquio di spiriti. Il silenzio è assoluto. Tale che si sentono cadere al suolo i goccioloni dell’abbondantissima guazza.
   Gesù abbassa il volto, sempre rimanendo in piedi a braccia conserte, e si sprofonda ancor più in una meditazione intensa. È concentrato totalmente in Se stesso. I suoi magnifici occhi ben aperti fissano il suolo quasi per strappare alle erbe una risposta. Ma scommetto che non vedono neppure il moto lento degli steli, che al vento fresco dell’alba hanno come un fremito, un brivido simile a quello di chi esce da un sonno e si stira, si volta, si scuote, per tornare ben desto, agile in tutti i suoi nervi e muscoli. Guarda e non vede questo destarsi dell’erbe e dei fiori selvaggi che dai rametti, dalle foglie, dalle corolle a ombrello o a grappoli, a spighe, a ciocche, quali isolati nei calici, quali a raggiere, o a bocca di leone, a cornucopia, a piumino, a bacche, talora rigidi sullo stelo, talaltra molli e penduli da un fusto non loro su cui si sono avviticchiati, quali abbandonati e striscianti al suolo, quali riuniti in famiglie di molte pianticine basse e umili, altri solitari, larghi, violenti nel colore e nel portamento, e tutti intenti a scuotersi dai petali le stille della rugiada, desiderosi ora non più di guazze ma di sole, capricciosi nel desiderare come nel disporsi… Molto simili in questo agli uomini che non sono mai soddisfatti di ciò che hanno.
   Pare che ascolti, Gesù. Ma certo non sente né il fruscio del vento che cresce e si diverte a scuotere le rugiade e a farle cadere, né il pispiglio sempre crescente degli uccellini che si destano e si raccontano i sogni della notte, o si scambiano le loro considerazioni sulla cuna tepida e concava dove, fra lanuggini e morbidi fieni, i nidiaci, sol ieri nudi, mettono le prime piume oppure spalancano gli smisurati becchi mostrando avidi le gole rosse e stridendo nella prima esigente richiesta di cibo. Pare che ascolti. E certo non sente il primo beffardo richiamo del merlo, il primo dolce canto del capinero, né la nota d’oro trillata dell’allodola che s’alza festosa incontro al primo sole, né il garrito che straccia l’aria quieta delle rondini numerose, che lasciano i roccioni dove hanno fatto nido e cominciano a tessere la loro tela di voli instancabili dalla terra al cielo. E neppure sente lo sgangherato grido di una gazza che si spenzola dal ramo del rovere presso il quale è Gesù e che pare che gli chieda: «Chi sei? Che pensi?», e lo derida. Neppure questo scuote il suo meditare.
   Ma chi non lo sa che le gazze sono dispettose? Questa, stanca di vedere un intruso sul praticello, che è forse il suo luogo di diletto, strappa al rovere due belle ghiande unite su un solo picciuolo e, con una precisione da campione di tiro, le fa cadere sul capo di Gesù. Non è un proiettile pesante, atto a ferire, ma, per l’altezza dalla quale viene, acquista sempre tanta consistenza da scuotere il Meditabondo, che guarda in su e vede l’uccello che ad ali aperte, con buffi inchini, si compiace del tiro fatto. Gesù ha un lieve sorriso, scuote il capo, sospira come a coronamento delle sue meditazioni e si sposta camminando qua e là. La gazza con una risata e un ghè-ghè di beffa scende a starnazzare, frugare, scavare fra l’erba liberata dell’Intruso.

   455.3Gesù cerca dell’acqua. Ma non ne trova. Si rassegna a tornare verso gli apostoli, ma gli uccelli gli insegnano dove trovarla. A frotte scendono verso dei larghissimi fiori a calice, i quali sono altrettante piccole coppe contenenti acqua, oppure si posano su foglie larghe, pelose, che ad ogni pelo hanno rattenuto una stilla di guazza, e là si dissetano o fanno le loro abluzioni. Gesù li imita. Raccoglie nel cavo delle mani l’acqua dei calici e se ne rinfresca il volto, coglie le larghe foglie pelose e con esse si leva la polvere dai piedi scalzi, si netta i sandali, se li allaccia, con altre si lava le mani finché le vede monde e sorride mormorando: «Le divine perfezioni del Creatore!».
   Ora è rinfrescato, ordinato, perché con la mano umida si è ravviato anche i capelli e la barba e, mentre il primo raggio di sole fa del prato una stuoia diamantata, va a destare gli apostoli e le donne.

   455.4Le une e gli altri stentano a destarsi, stanchi come sono.
   Ma Maria è desta, tenuta immobile soltanto dal bambino che le dorme avviticchiato al petto, con la testolina sotto il mento di Maria. E la Madre, vedendo apparire sulla soglia dell’antro il suo Gesù, gli sorride coi suoi dolci occhi celesti, colorandosi di rosa per la gioia di vederlo. E si libera del bambino, che frigna un poco nel sentirsi mosso, e si rizza e va da Gesù col suo tacito passo lievemente ondeggiante di colomba pudica.
   «Dio ti benedica, Figlio mio, in questo giorno».
   «Dio sia con te, Mamma. Ti è stata rigida la notte?».
   «Affatto. Anzi, ben felice. Mi pareva di aver Te piccino fra le braccia… E ho sognato che come un fiume d’oro ti uscisse dalla bocca, suonando un suono di una dolcezza che non si dice, e una voce dicesse, …oh! che voce!: “Questa è la Parola che arricchisce il mondo e dà beatitudine a chi l’ascolta e l’obbedisce. Senza limite nella potenza, nel tempo e nello spazio, Essa salverà”. Oh! Figlio mio! E sei Tu, la mia Creatura, questa Parola! Come farò a viver tanto e a fare tanto da poter ringraziare l’Eterno di avermi fatta Madre tua?».
   «Non ti metter pensiero di ciò, Mamma. Ogni battito del tuo cuore appaga Dio. Tu sei la vivente lode a Dio, e sempre lo sarai, Mamma. Tu lo ringrazi da quando sei…».
   «Non mi pare di farlo a sufficienza, Gesù. È così grande! Così grande ciò che Dio mi ha fatto! Che faccio io, infine, di più di quello che facciano tutte quelle buone che sono come Me tue discepole? Diglielo Tu, Figlio mio, al Padre nostro che mi dia modo di ringraziarlo come il dono merita».
   «Madre mia! E credi che il Padre abbia bisogno che Io chieda questo per te? Egli ti ha già preparato il sacrificio che tu dovrai consumare per questa lode perfetta. E perfetta sarai quando lo avrai compiuto…».
   «Gesù mio!… Comprendo ciò che vuoi dire… Ma sarò capace di pensare in quell’ora?… La tua povera Mamma…».
   «La beata Sposa dell’Amore eterno! Mamma, questo sei. E l’Amore penserà in te».
   «Tu lo dici, Figlio, e io mi riposo sulla tua parola. Ma Tu… prega per me, in quell’ora che nessuno di questi capisce… e che è già imminente… Non è vero? Non è forse vero?».
   Dire l’espressione del volto di Maria mentre ha questo dialogo è impossibile. Non c’è scrittore che possa tradurla in parola senza sciuparla con sdolcinature o tinte indecise. Solo chi ha cuore, e cuore buono, pur essendo cuore virile, può dare mentalmente al volto di Maria l’espressione reale che ha in questo momento.
   Gesù la guarda… Altra espressione intraducibile in povera parola. E le risponde: «E tu prega per Me nell’ora della morte…

   455.5Sì. Nessuno di questi capisce… Non è colpa loro. È Satana che crea i fumi perché non vedano, e siano come ebbri e non intendano, e perciò impreparati… e più facili ad essere piegati… Ma Io e te li salveremo nonostante l’insidia di Satana. Sin da ora te li affido, Madre mia. Ricordati queste mie parole: te li affido. Ti do la mia eredità. Non ho nulla sulla Terra fuorché una Madre, e questa l’offro a Dio: Ostia con l’Ostia; e la mia Chiesa, e questa l’affido a te. Siile Nutrice. Poco fa pensavo in quanti, nei secoli, sarà rivivente l’uomo di Keriot con tutte le sue tare. E pensavo che uno che non fosse Gesù lo respingerebbe, questo essere tarato. Ma Io non lo respingerò. Sono Gesù.
   Tu, nel tempo che resterai sulla Terra, seconda a Pietro come gerarchia ecclesiastica[38], egli capo e tu fedele, prima a tutti come Madre della Chiesa avendo partorito Me, Capo di questo Corpo mistico, tu non respingere i molti Giuda, ma soccorri e insegna a Pietro, ai fratelli, a Giovanni, Giacomo, Simone, Filippo, Bartolomeo, Andrea, Toma e Matteo a non respingere e a soccorrere. Difendimi nei miei seguaci e difendimi contro coloro che vorranno disperdere e smembrare la nascente Chiesa. E nei secoli, o Madre, sempre tu sii Colei che intercede e protegge, difende, aiuta la mia Chiesa, i miei sacerdoti, i miei fedeli, dal Male e dal Castigo, da loro stessi… Quanti Giuda, o Madre, nei secoli! E quanti simili a deficienti che non sanno capire, o a ciechi e sordi che non sanno vedere e udire, o a storpi e paralitici che non sanno venire… Madre, tutti sotto il tuo manto! Tu sola puoi e potrai mutare i decreti di castigo dell’Eterno per uno o per molti. Perché nulla la Triade potrà mai negare al suo Fiore».
   «Così farò, Figlio. Per quanto sta in me, va’ in pace alla tua mèta. La tua Mamma è qui per difendere Te nella tua Chiesa, sempre».
   «Dio ti benedica, Mamma…

   455.6Vieni! Ti coglierò dei calici di fiori pieni di rugiada profumata e te ne rinfrescherai il volto come ho fatto Io. Ce li ha preparati il Padre nostro Ss., e gli uccelli me li hanno indicati. Guarda come tutto serve nella ordinata Creazione di Dio! Questo pianoro sopraelevato e prossimo al lago, così fertile per le nebbie che salgono dal mar galileo e per le alte piante che attirano le rugiade, permettendo questo rigoglio di erbe e fiori, anche fra l’arsione dell’estate. Questo piovere abbondante di rugiade per empire questi calici perché i suoi figli diletti possano lavarsi il volto… Ecco quanto il Padre ha predisposto per chi lo ama. Tieni. Acqua di Dio, in calici di Dio, per rinfrescare l’Eva del nuovo Paradiso».
   E Gesù coglie questi larghissimi fiori, non so come si chiamano, e versa nelle mani di Maria l’acqua raccolta nel fondo…

   455.7Gli altri intanto si sono messi in ordine e vengono cercando Gesù, che si è allontanato di qualche metro dal luogo di sosta.
   «Siamo pronti, Maestro».
   «Va bene. Andiamo da questa parte».
   «Ma è quella buona? I boschi qui cessano, e noi si era sotto i boschi l’altra volta…», obbietta Giacomo di Zebedeo.
   «Perché salivamo dal lago. Ma ora possiamo prendere la via giusta. Vedete? Gamala è là, fra oriente e mezzogiorno, e l’unica via è questa. Perché gli altri tre lati sono imprendibili a chi non è una capra selvatica».
   «Hai ragione. Eviteremo il vallone arido dal quale vedemmo venire gli indemoniati», dice Filippo.
   Vanno lesti, lasciando presto il bosco, sotto il quale hanno dormito, per una via pietrosa messa al di là di un valloncello, che sempre più si accentua più si avvicina al bizzarro monte su cui è aggrappata Gamala, scosceso da tre parti, ossia a est, nord e ovest, e congiunto al resto della regione per quest’unica strada diretta da sud a nord, alta fra due sassose e selvagge valli, che la separano dalle campagne di oriente e dai boschi di querce di occidente.

   455.8Molti mandriani di porci passano fra la grufolante mandria, diretti ai querceti. Carri carichi di pietre squadrate passano cigolando, tirati da lenti buoi aggiogati. Qualche cavaliere passa al trotto sollevando nuvoli di polvere. Squadre di sterratori, credo per la più parte schiavi o condannati ai lavori per qualche ragione, passano laceri e smunti, diretti ai lavori sotto la sorveglianza dura dei soprastanti.
   Man mano che il monte si avvicina, e già la strada sale, si vedono fossati fortificati incidere il monte come tanti anelli stretti ai suoi fianchi. Scavare quelle opere lì non deve essere facile, specie in certi luoghi quasi a strapiombo. Eppure uomini e uomini lavorano a riattare fortificazioni già esistenti, ad approntarne altre, a portare sulle spalle nude cubi di pietra che fanno piegare gli infelici e lasciano solchi sanguinanti sulle spalle nude.
   «Ma che fanno questi cittadini? È forse tempo di guerra per lavorare così? Folli sono!», dicono fra loro gli apostoli, mentre le donne compiangono gli infelici seminudi, mal nutriti, costretti a fatiche superiori alle loro forze.
   «Ma chi li fa lavorare? Il Tetrarca o i romani?», chiedono ancora gli apostoli e discutono fra loro, perché pare che Gamala sia, dirò così, indipendente da tetrarchia di Filippo e da tetrarchia di Erode, e perché pare impossibile a diversi apostoli che i romani si diano da fare a costruire in casa d’altri fortificazioni che domani potrebbero essere usate contro di loro. E l’eterna idea, fissa come una idea maniaca, del regno temporale del Messia, viene agitata come un’insegna di già sicura vittoria e di gloria e indipendenza nazionale.

   455.9Urlano tanto che dei soprastanti si accostano e ascoltano. Sono uomini rudi, di razza visibilmente non ebraica, molti attempati, diversi di loro hanno cicatrici sul corpo. Ma quello che sono lo dice l’uscita sprezzante di uno di questi: «“Il nostro regno”! Hai sentito, Tito? O nasuti! Il vostro regno è schiacciato già sotto queste pietre. Chi si serve del nemico per costruire contro il nemico serve il nemico. Parola di Publio Corfinio. E se non capite, campate; e le pietre vi spiegheranno l’enigma», e ride alzando la frusta, perché vede che un lavoratore, sfinito, vacilla e si siede, e lo percuoterebbe se Gesù non lo fermasse facendosi avanti e dicendo: «Non ti è lecito. È uomo tuo pari».
   «Chi sei che t’immischi e difendi uno schiavo?».
   «Io sono la Misericordia. Il mio nome d’uomo non ti direbbe nulla. Ma il mio attributo ti ricorda di essere misericordioso. Hai detto: “Chi si serve del nemico per costruire contro il nemico serve il nemico”. Hai detto una dolorosa verità. Ma Io te ne dico una luminosa: “Chi non usa misericordia non troverà misericordia”».
   «Sei un retore?».
   «Sono la Misericordia, te l’ho detto».
   Alcuni, di Gamala, o diretti alla stessa, dicono: «È il Rabbi di Galilea. Colui che comanda ai morbi, ai venti, alle acque e ai demoni, e muta le pietre in pane e nulla gli resiste. Corriamo a dirlo nella città. Che vengano i malati! Che si abbia la sua parola. Siamo noi pure di Israele!», e parte di essi corre via, altra si stringe al Maestro.
   Il soprastante di prima dice: «È vero ciò che questi dicono di Te?».
   «È vero».
   «Fa’ un miracolo e crederò».
   «Non si chiedono miracoli per credere. Si chiede fede per credere, e ottenere così il miracolo. Fede e pietà di prossimo».
   «Sono pagano io…».
   «Non è ragione valida. Vivi in Israele che ti dà denaro…».
   «Perché lavoro».
   «No. Perché fai lavorare».
   «So fare lavorare io».
   «Sì, senza pietà. Ma non hai mai riflettuto che, se invece d’essere romano fossi stato d’Israele, avresti potuto essere al posto di un di questi?».
   «Eh!… Certo… Ma non lo sono, per protezione degli dèi».
   «Non potrebbero difenderti, i tuoi idoli vani, se il vero Dio volesse colpirti. Non sei morto ancora. Sii dunque misericordioso per avere misericordia…».
   L’uomo vorrebbe ribattere, discutere, ma poi fa una spallucciata sprezzante e, voltate le spalle, se ne va a percuotere uno che si è fermato di lavorare di piccone in un filone tenace di roccia.
   Gesù guarda l’infelice percosso e guarda il percotitore. Due sguardi di uguale, e diversa insieme, pietà. E di una tristezza così profonda che mi ricorda certi sguardi di Cristo durante la Passione. Ma che può fare? Impotente ad intervenire, riprende il cammino, col peso delle sventure viste a gravargli il cuore.

   455.10Ma da Gamala scendono a corsa dei cittadini, dei notabili certo, e raggiungono Gesù, che inchinano profondamente invitandolo ad entrare nella città per parlare ai cittadini che, per loro conto, stanno venendo a frotte.
   «Voi potete andare dove volete. Essi (e indica i lavoratori) non possono. L’ora è ancor fresca e la posizione ci salva dal sole. Andiamo presso quegli infelici, perché anche essi abbiano la parola di Vita», risponde Gesù.
   E si avvia per il primo, tornando sui suoi passi e poi prendendo un sentiero accidentato che va proprio sotto monte, là dove più penoso è il lavoro. Si volge allora ai notabili e dice: «Se è in vostro potere di farlo, comandate che il lavoro sia sospeso».
   «Certo che lo possiamo! Siamo noi quelli che paghiamo, e se pagheremo delle ore a vuoto nessuno potrà alzare lamento», dicono quei di Gamala e vanno a parlamentare coi soprastanti, che vedo, dopo qualche momento, alzare le spalle come per dire: «Contenti voi, a noi che importa?». E poi fischiano alle squadre un segnale certo di riposo.
   Gesù, intanto, ha parlato con altri di Gamala, che vedo fare cenni di assenso e partire a passo rapido ritornando verso la città.
   I lavoranti accorrono paurosi intorno ai soprastanti. «Cessate il lavoro. Il frastuono dà noia al filosofo», ordina uno di questi, forse il capo di tutti. I lavoranti guardano con occhi stanchi quello indicato per «filosofo», che fa loro il dono di una sosta.
   E questo «filosofo», guardandoli con pietà, risponde al loro sguardo e alle parole del soprastante dicendo: «Non mi dà noia il frastuono, ma mi dà pena la loro miseria. Venite, figli. Riposate le membra e più il cuore presso il Cristo di Dio».
   Popolo, schiavi, condannati, apostoli, discepoli si pigiano nello spazio libero fra il monte e le trincee, e chi non trova posto lì si arrampica all’ordine di trincee più alte, o si sistema sui massi rovesciati al suolo, e i meno fortunati si rassegnano ad andare sulla via, dove già arrivano i raggi del sole. E sempre nuova gente viene da Gamala, o si fermano quelli che venendo da altrove erano diretti a Gamala.
   Molta folla. E fra essa si fanno largo quelli andati via poco prima. Portano ceste e recipienti pesanti. Si fanno strada sino a Gesù, che ha ordinato agli apostoli di condurre in prima fila i lavoranti. Depongono cesti e anfore ai piedi di Gesù.
   «Date a questi le offerte della carità», ordina Gesù.
   «Hanno avuto il loro cibo e là c’è ancora posca e pane. Se mangiano troppo sono pesanti al lavoro», grida un soprastante.
   Gesù lo guarda e ripete l’ordine: «Date a questi un cibo da uomini e portate a Me il loro cibo».
   Gli apostoli, aiutati da volonterosi, eseguiscono.
   Il loro cibo! Una specie di crosta scura, dura, indegna di esser data agli animali, poca acqua mescolata ad aceto. Ecco il nutrimento di questi forzati! Gesù guarda e fa mettere contro il monte questo miserabile cibo. E guarda quelli che dovevano consumarlo, corpi denutriti nei quali soltanto i muscoli, supersviluppati per delle fatiche superiori alle comuni, resistono con fasci di fibre sporgenti dalla pelle floscia, occhi febbrili e impauriti, bocche avide, persino animalesche nel mordere il cibo buono, abbondante, inaspettato, nel bere il vino, il vero vino corroborante, fresco…
   Gesù attende paziente che finiscano il pasto. E non ha molto da attendere, perché l’avidità è tale che presto tutto è finito.

   455.11Gesù apre le braccia nel gesto abituale di quando sta per parlare, per attirare l’attenzione e imporre silenzio. Dice:
   «In questo luogo che cosa mirano gli occhi dell’uomo? Valli scavate più profondamente che natura non le abbia create, colline create con massicci e terrapieni fabbricati dall’uomo, vie sinuose e penetranti nel monte come tane di animali. E tutto ciò perché? Per arrestare un pericolo che non si sa donde venga, ma si sente incombere come una grandinata da un cielo tempestoso.
   In verità qui si è proceduto umanamente, con forze umane e mezzi umani, e anche disumani, a difendersi e a preparare mezzi di offesa, dimentichi delle parole[39] del Profeta, il quale insegna al suo popolo come si può difendersi dalle sventure umane con mezzi sovrumani, i più validi. Egli grida: “Consolatevi… racconsolate Gerusalemme perché la sua schiavitù è finita, la sua iniquità è espiata, avendo ricevuto dalla mano del Signore il doppio dei suoi peccati”. E dopo la promessa dice la forma da seguirsi per tradurla in realtà: “Preparate le vie del Signore, raddrizzate nella solitudine i sentieri di Dio. Ogni valle sarà colmata, ogni montagna abbassata, le vie storte diverranno diritte, le malagevoli piane. Allora apparirà la gloria del Signore e tutti gli uomini senza eccezione la vedranno, perché la bocca del Signore ha parlato”. Parole riprese dall’uomo di Dio, Giovanni il Battezzatore, e solo dalla morte spente sulle sue labbra.
   Ecco, o uomini, la vera difesa contro le sventure dell’uomo. Non armi contro armi, difesa contro offesa, non orgogli, non ferocie. Ma armi soprannaturali, ma virtù conquistate nella solitudine, ossia nell’interno dell’individuo, solo con se stesso, che lavora a santificarsi elevando monti di carità, abbassando cime di superbia, raddrizzando vie storte di concupiscenza, levando ostacoli di senso dal suo cammino. Allora apparirà la gloria del Signore, e l’uomo avrà la difesa di Dio contro le insidie dei nemici spirituali e materiali. Cosa volete che siano poche trincee, cosa pochi spalti, cosa pochi fortilizi contro il castigo di Dio attirato dalle iniquità o anche soltanto dalle tiepidezze dell’uomo? Contro questi castighi che avranno nome di romani, come lo ebbero un tempo di babilonesi, o filistei, o egizi, ma che in realtà sono punizione divina, e questa solo, e punizione attirata da troppi orgogli, sensualità, cupidigie, menzogne, egoismi, disubbidienze alla Legge santa del Decalogo. L’uomo anche il più forte può essere ucciso da una mosca, la città anche meglio munita può esser espugnata, quando per l’uno o per l’altra non c’è più protezione di Dio, fuggita protezione, scacciata protezione, per causa dei peccati dell’uomo o della città.

   455.12Dice ancora il Profeta: “Ogni uomo è come l’erba e tutta la sua gloria come il fiore del campo. Secca l’erba, cade il fiore appena lo tocca il soffio del Signore”.
   Voi, per mio volere, guardate oggi con pietà questi che sino a ieri avevate guardato come macchine obbligate a lavorare per voi. Oggi, perché ve li ho messi, fratelli fra i fratelli, poveri fratelli in mezzo a voi ricchi e felici, oggi li vedete per quello che sono: uomini. Lo sprezzo o l’indifferenza sono caduti da molti cuori ed è subentrata la pietà. Ma considerateli più addentro, oltre la carne oppressa. Dentro a questa, dentro a loro, vi è un’anima, un pensiero, dei sentimenti come in voi. Un giorno erano come voi: sani, liberi, felici. Poi non lo furono più. Perché, se è come erba che secca la vita dell’uomo, ancor più fragile è il suo benessere. Quelli che oggi sono sani, domani possono essere malati; quelli che oggi sono liberi, domani possono esser schiavi; quelli che oggi sono felici, domani possono esser infelici. Fra questi ci sono certo dei colpevoli. Ma non giudicate la loro colpa e non gioite della loro espiazione. Domani, per molte cause, potreste essere colpevoli voi pure e costretti a dure espiazioni. Siate misericordiosi perciò, perché non sapete il vostro domani, che potrebbe essere bisognoso di ogni misericordia divina e umana, tanto potrebbe essere diverso da questo presente. Siate inclini all’amore e al perdono. Non vi è uomo sulla Terra che non abbia bisogno di perdono da Dio e da qualche suo simile. Abbiate dunque del perdono per essere perdonati.

   455.13Dice ancora il Profeta: “L’erba secca, il fiore cade; ma la parola del Signore resta in eterno”.
   Ecco l’arma e la difesa: la Parola eterna, divenuta legge di ogni vostra azione. Alzate questo baluardo vero contro il pericolo che incombe e sarete salvi. Accogliete perciò la Parola, Colui che vi parla, ma non accoglietela materialmente, per un’ora fra le mura della città, sibbene nel vostro cuore, per sempre, perché Io sono Colui che sa e che opera e regge con possanza. E sono il Pastore buono che pasce il gregge che a Lui si affida, e nessuno trascuro, né chi è piccolo, né chi è stanco, né chi è ferito o percosso dalla sorte, né chi piange sui suoi errori, né chi, ricco e felice, trascura tutto per la vera ricchezza e felicità: quella di servire Dio sino alla morte.
   Lo Spirito del Signore è sopra di Me, perché il Signore mi ha mandato ad annunziare la Buona Novella ai mansueti, a curare quelli dal cuore infranto, a predicare la libertà agli schiavi, la liberazione ai prigionieri. Né mi si può dire sobillatore, perché Io non incito a rivolta, né consiglio evasioni agli schiavi e prigionieri, ma all’uomo in catene, all’uomo in schiavitù insegno la vera libertà, la vera liberazione, quella che non può essere tolta e neppure limitata, quella che tanto più cresce più l’uomo ad essa si abbandona: la libertà spirituale, la liberazione dal peccato, la mansuetudine nel dolore, il saper vedere Dio al di là degli uomini che incatenano, il saper credere che Dio ama chi lo ama e perdona là dove l’uomo non perdona, il saper sperare in un luogo eterno, di premio per chi sa essere buono nella sventura, pentito dei suoi peccati, fedele al Signore.
   Non piangete, voi per cui Io particolarmente parlo. Io sono venuto a consolare, a raccogliere i reietti, a mettere luce nelle loro tenebre, pace nelle loro anime, a promettere una dimora di gioia a chi si pente come a chi è incolpevole. Né vi è passato che impedisca questo Presente, che attende in Cielo coloro che sanno servire il Signore nella sorte in cui si trovano.

   455.14Non è difficile, o poveri figli, servire il Signore. Egli vi ha dato un modo facile di servirlo perché vi vuole felici nel Cielo. Servire il Signore è amare. Amare la volontà di Dio perché amate Dio. La volontà di Dio si cela anche nelle cose più apparentemente umane. Perché — parlo a voi che forse avete sparso sangue di fratelli — perché, se certo non era volontà di Dio che voi foste violenti, ora è volontà sua che nella espiazione annulliate i vostri debiti verso l’Amore. Perché, se non era volontà di Dio che voi vi ribellaste ai nemici, è ora volontà che voi vi facciate umili come un tempo foste superbi per vostro danno. Perché, se non era volontà di Dio che con frode, grande o piccina, voi vi appropriaste di ciò che non era vostro, ora è volontà di Dio che voi siate puniti per non giungere a Dio col vostro peccato sul cuore.
   E questo non devono dimenticare i felici di ora, quelli che si credono sicuri, quelli che, per questa stolta sicurezza, non preparano in sé il Regno di Dio e saranno nell’ora della prova come figli lontani dalla casa del Padre, in balìa della tempesta, sotto la sferza del dolore.

   455.15Tutti operate con giustizia, e alzate gli occhi alla Casa paterna, al Regno dei Cieli che, quando avrà avute spalancate le porte da Colui che è venuto ad aprirle, non si ricuserà di accogliere alcuno che abbia raggiunto giustizia. Mutilati nelle carni, storpiati, eunuchi; o mutilati nello spirito, storpiati, eunuchi nelle potenze dello spirito, esclusi in Israele[40], non temete di non aver posto nel Regno dei Cieli. Le mutilazioni, storpiature, le menomazioni della carne cessano con la carne. Quelle morali, quali la prigione e la schiavitù, cessano pure un giorno; quelle dello spirito, ossia i frutti delle colpe passate, si riparano col buon volere. E le mutilazioni materiali non contano agli occhi di Dio, e quelle spirituali si annullano al suo occhio quando le copre il pentimento amoroso.
   E l’essere stranieri al Popolo santo non è più impedimento a servire il Signore. Perché è venuto il tempo in cui le frontiere della Terra cessano davanti all’unico Re, al Re di tutti i re e popoli, che riunisce ogni popolo in uno solo per farne il suo popolo nuovo. Quel popolo dal quale saranno esclusi soltanto quelli che cercano di ingannare il Signore con un bugiardo ossequio al suo Decalogo, che tutti gli uomini di buona volontà possono seguire, siano ebrei o gentili o idolatri. Perché dove è buona volontà è tendenza naturale alla giustizia, e chi tende alla giustizia non trova difficoltà ad adorare il Dio vero quando pervenga a conoscerlo, a rispettarne il Nome, a santificare le sue feste, ad onorare i genitori, a non ammazzare, rubare, testimoniare il falso, a non essere adultero e fornicatore, a non esser avido di ciò che non è suo. E se fino ad ora non lo ha fatto, d’ora in poi lo faccia, onde sia salva la sua anima e conquistato il suo posto nel Cielo. È detto: “Io darò loro un posto nella mia Casa se mantengono il mio patto, e li farò lieti”. E questo è detto a tutti gli uomini di santa volontà, essendo il Santo dei santi Padre comune di tutti gli uomini.

   455.16Ho detto. Non ho denaro per questi. Né sarebbe utile a loro. Ma dico a voi di Gamala, che tanto avete progredito nella via del Signore dalla prima volta che ci incontrammo, di alzare la più valida difesa alla città vostra, quella dell’amore fra voi, e per questi col soccorrerli in mio Nome mentre faticano per voi. Lo farete?».
   «Sì, o Signore», urla la folla.
   «Allora andiamo. Non sarei entrato nelle vostre mura se la durezza dei cuori avesse risposto “no” al mio pregare. Voi che restate siate benedetti… Andiamo…».
   E torna sulla via, ormai tutta piena di sole, e sale alla città costruita quasi nella roccia come una città troglodita, dotata però di case ben tenute e di un panorama bellissimo e variato, a seconda del punto che si guarda sui monti dell’Auranite o sul mar galileo, sul lontano Grande Ermon o sulla verde valle giordanica. La città è fresca per come è costruita, in alto, e con vie che riparano dal gran sole. Sembra più un enorme castello che una città, un susseguirsi di fortezze, tanto le case, metà muratura, metà montagna scavata, hanno l’aspetto di fortilizi.
   Nella piazza maggiore, la più alta di tutte, il punto più alto della città — e perciò l’occhio si bea nel vasto orizzonte di monti, di selve, di laghi, di fiumi che ha sotto il suo sguardo — sono i malati di Gamala. E Gesù passa guarendo…

[38] seconda a Pietro come gerarchia ecclesiastica deve intendersi: sottoposta a Pietro per quanto attiene alla gerarchia ecclesiastica, dalla quale Maria resta subito esclusa: egli capo e tu fedele . Gesù predice, in 199.6, che la Chiesa nascente sarà affidata come un pargolo all’autorità paterna di Pietro e all’amore materno di Maria.
[39] parole, che sono nel capitolo 40 del libro di Isaia, secondo il rinvio inserito da MV sul manoscritto originale. Le citazioni del discorso di Gesù sono di: Isaia 40, 1-8; 56, 4-7; 61, 1 .
[40] esclusi in Israele, che appunto escludeva deformi ed eunuchi dal servizio all’altare (come già ricordato in 96.6 e 419.7) e dalle assemblee di culto (come in 211.7).