MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME VII CAPITOLO 456



CDLVI. Commiato da Gamala e arrivo ad Afeca. Monito alla vedova Sara e miracolo nella sua casa.

   13 luglio 1946.

   456.1Devono avere pernottato in Gamala perché ora è mattina, una ventilata mattina. Forse anche per la sua posizione e costruzione a scaglioni, che scendono dal sommo della città sino al limite delle mura, molto massicce e fornite di porte pure massicce, ferrate, proprio porte di fortezza, questa città gode di questo vento, così benigno in terre d’oriente. Se bella mi parve ieri nell’ora ormai assolata, bellissima mi appare ora. Le case, disposte come sono, non ostacolano la vista del vasto panorama, perché il terrazzo di una è al livello del terreno di quella della via superiore, di modo che ogni strada sembra una lunga terrazza dalla quale si può vedere l’orizzonte. E un orizzonte che sul culmine del monte è visibile a circolo, più in basso a semicerchio, ma sempre vasto e bellissimo.
   Ai piedi del monte, il verde dei querceti o delle campagne fa un castone di smeraldo oltre l’arido vallone che circonda la montagnola di Gamala. Poi, ad oriente, a perdita d’occhio, le colture dell’altipiano, dell’acrocòro. (Mi pare si dicano così queste vaste e basse sopraelevazioni della crosta terrestre, ma se sbaglio prego correggere in mio nome, non avendo io un vocabolario a portata di mano ed essendo sola nella mia stanza, impossibilitata perciò ad avere il vocabolario che è sulla scrivania a meno di tre metri da me. Tanto dico per ricordare che chi scrive è una crocifissa in letto).
   Oltre il vasto acrocòro, i monti dell’Auranite e, oltre ancora, le più alte vette del Basan e, a sud, la striscia ubertosa fra l’azzurro Giordano e l’elevazione compatta e continua che è a oriente del fiume e che è come il contrafforte del vasto acrocòro, e a nord i monti lontani della catena libanese, sui quali troneggia l’imponente Ermon sfumato di mille colori in quest’ora mattutina.
   E giù, nell’immediato occidente, la gemma del mar di Galilea. Proprio una gemma legata ad un monile azzurro, di un azzurro diverso del suo, del Giordano immissario ed emissario del lago, più sottile là dove si immette, più nutrito là dove riprende la sua corsa verso mezzogiorno, brillante al sole, placido fra le sue rive verdi, veramente biblico. Il piccolo lago di Meron, invece, non si vede, nascosto dietro i colli che sono a nord di Betsaida, ma si indovina per il nutrito verde della campagna circostante, che poi si dilunga a nord ovest fra il mar di Galilea e quello di Meron, nella pianura dove sorge Corozim; mi pare aver sentito dire altre volte dagli apostoli che è la pianura di Genezaret.

   456.2Gesù si accomiata dai cittadini che, con orgoglio cittadino, si danno da fare a mostrargli le bellezze dell’orizzonte e quelle della città dotata di acquedotti, di terme, di belli edifici: «Tutta fatica e denaro nostro. Perché noi abbiamo imparato dai romani e abbiamo voluto prendere da essi ciò che è comodo, ma non siamo come gli altri della Decapoli, noi! Noi paghiamo, ed essi, i romani, ci servono. Ma poi! Basta. Siamo fedeli noi. Anche questo isolarci è fedeltà…».
   «Fate che la fedeltà non sia formale, ma reale, intima, giusta. Altrimenti non gioveranno le opere di difesa. Ve lo ripeto. Vedete? Voi avete costruito questo acquedotto. Robusto, utile. Ma se non fosse alimentato da una sorgente lontana, vi darebbe forse acqua per le fontane e le terme?».
   «No. Non darebbe nulla. Sarebbe una costruzione inutile».
   «Lo avete detto. Inutile. Ugualmente le difese naturali o materiali sono inutili se chi le fa costruire non le rende potenti con l’aiuto di Dio, e Dio non aiuta se non si è suoi amici».
   «Maestro, Tu parli come se sapessi che abbiamo molto bisogno di Dio…».
   «Tutti gli uomini hanno bisogno di Dio, e per tutte le cose».
   «Sì, Maestro. Ma… sembra che noi se ne debba avere più bisogno di tutte le altre città di Palestina e…».
   «Oh!…», un “oh!” così doloroso…
   Quei di Gamala lo guardano interdetti. Il più ardito chiede: «Che pensi? Che conosceremo ancora gli orrori antichi?».
   «Sì, e più gravi ancora, e più lunghi… lunghi… oh! Patria mia! Lunghi tanto… E questo se non accogli il Signore!».
   «Noi ti abbiamo accolto. Siamo salvi allora! L’altra volta fummo stolti, ma Tu hai perdonato…».
   «Fate di conservarvi nella giustizia di oggi verso di Me e di crescere in giustizia secondo la Legge».
   «Lo faremo, Signore».

   456.3Vorrebbero seguirlo ancora e trattenerlo ancora, ma Gesù vuole raggiungere le donne, andate avanti su degli asinelli, e si strappa alle loro insistenze scendendo svelto per la strada fatta ieri per venire. E rallenta soltanto quando è nel luogo dei lavori per alzare la mano a benedire gli infelici, che lo guardano come si guarda Dio.
   La strada, giunta ai piedi del monte, si biforca in due rami, uno verso il lago, l’altro verso l’interno. Su quest’ultima sono i quattro somarelli che trotterellano, sollevando polvere dalla strada bruciata dall’estate e scuotendo le lunghe orecchie. Ogni tanto una delle donne si volge a guardare se Gesù le raggiunge, e vorrebbero fermarsi per essere con Lui, ma Gesù fa cenno con la mano di proseguire, per sfuggire al pezzo di strada scoperta già invasa dal sole e giungere presto ai boschi che salgono verso Afeca. Refrigeranti boschi che intrecciano una volta verde sulla carovaniera. Ci si ficcano sotto allegri, con una esclamazione di sollievo. Afeca è molto più nell’interno di Gamala. Fra i monti. Perciò non si vede più il lago di Galilea. Anzi, non si vede più nulla, perché la strada sale fra due dossi di colli che fanno da paravento.

   456.4La vedova va avanti indicando la via più breve, ossia lascia la carovaniera per una stradetta che si inerpica per il monte, ancor più fresca e ombrosa. Ma comprendo il motivo della deviazione quando, volgendosi sulla sella, Sara dice: «Ecco, questi boschi sono miei. Di piante pregiate. Vengono a comprarne sin da Gerusalemme per i cofani dei ricchi. E queste sono le piante antiche; ma poi ho vivai sempre rinnovati. Venite. Vedete…», e spinge il ciuchino giù per le balze, su per le creste, e poi giù di nuovo, seguendo la stradetta fra i suoi boschi, dove infatti sono zone ad alberi adulti, già pronti al taglio, e zone dove le piante sono ancor tenerelle, talora alte pochi centimetri da terra, fra erbe verdi, odorose di tutti gli aromi montani.
   «Belli questi luoghi. E ben tenuti. Sei saggia», encomia Gesù.
   «Oh!… Ma per me sola… Più volentieri li curerei per un figlio…».
   Gesù non risponde. Proseguono la via. Già si vede Afeca fra un cerchio di pometi e altri alberi da frutto.
   «Anche quel frutteto è mio. Troppo ho per me sola!… Era già troppo quando avevo ancora lo sposo e a sera ci guardavamo nella casa troppo vuota, troppo grande, davanti alle troppe monete, ai conti delle troppe derrate, e ci dicevamo: “E per chi?”. E ora più ancora lo dico…». Tutta la tristezza di un matrimonio sterile balza dalle parole della donna.
   «I poveri ci sono sempre…», dice Gesù.
   «Oh! sì! E la mia casa si apre ad essi ogni giorno. Ma dopo…».
   «Vuoi dire quando sarai morta?».
   «Sì, Signore. Sarà un dolore lasciare, a chi?… le cose tanto curate…».

   456.5Gesù ha un’ombra di sorriso pieno di compatimento. Ma risponde con bontà: «Sei più saggia per le cose della Terra che per quelle del Cielo, donna. Ti preoccupi perché le tue piante crescano bene e non si formino radure nei tuoi boschi. Ti affliggi pensando che dopo non saranno più curate come ora. Ma questi pensieri sono poco saggi, anzi sono stolti affatto. Credi tu che nell’altra vita abbiano valore le povere cose che hanno nome piante, frutta, denaro, case? E che sarà afflizione vederle trascurate? Raddrizza il tuo pensiero, donna. Là non sono i pensieri di qui, in nessuno dei tre regni. Nell’Inferno l’odio e la punizione acciecano ferocemente. Nel Purgatorio la sete di espiare annulla ogni altro pensiero. Nel Limbo la beata attesa dei giusti non è profanata da sensualità alcuna. La Terra è lontana, con le sue miserie; è invece vicina solo con i suoi bisogni soprannaturali, bisogni di anime, non bisogni di oggetti. I trapassati, che dannati non siano, solo per amore soprannaturale volgono alla Terra il loro spirito, e a Dio le loro preghiere, per coloro che sono sulla Terra. Non per altro. E quando poi i giusti entreranno nel Regno di Dio, che vuoi che sia più, per uno che contempla Iddio, questa misera carcere, questo esilio che ha nome Terra? Che, le cose lasciate in essa? Potrebbe il giorno rimpiangere una lampada fumigante, quando lo illumina il sole?».
   «Oh! no!».
   «E allora? Perché sospiri su ciò che lascerai?».
   «Ma vorrei che un erede continuasse a…».
   «A godere delle ricchezze terrene per averne ostacolo a divenire perfetto, mentre il distacco dalle ricchezze è scala per possedere le ricchezze eterne? Vedi, o donna? Il maggior ostacolo ad ottenere questo innocente non è la madre di lui, coi suoi diritti sul figlio, ma il tuo cuore. Egli è un innocente, un triste innocente, ma sempre un innocente che, per il suo stesso soffrire, è caro a Dio. Ma se tu lo facessi un avaro, cupido, forse vizioso, per i mezzi che hai, non lo priveresti tu della predilezione di Dio? E potrei, Io che ho cura di questi innocenti, essere uno sbadato maestro che, senza riflettere, permette che un suo innocente discepolo si travii? Cura prima te stessa, spogliati dell’umanità ancor troppo viva, libera la tua giustizia da questa crosta di umanità che la deprime, e allora meriterai di esser madre. Perché non è madre solo chi genera o chi ama un figlio adottivo e lo cura e segue nei suoi bisogni di creatura animale. Anche la madre di questo lo ha generato. Ma non è madre perché non ha cura né della sua carne, né del suo spirito. Madre si è quando ci si cura soprattutto di ciò che non muore più, ossia dello spirito, non soltanto di quello che muore, ossia della materia. E credi, o donna, che chi amerà lo spirito, amerà anche il corpo, perché possederà un amore giusto e perciò sarà giusto».
   «Ho perduto il figlio, lo comprendo…».
   «Non è detto. Il tuo desiderio ti spinga a santità e Dio ti esaudirà. Sempre ci saranno orfani nel mondo».

   456.6Sono alle prime case. Afeca non è una città che possa competere con Gamala o Ippo. È più rurale che altro ma, forse perché su un nodo stradale importante, non è povera. Luogo di passaggio di carovane dirette dall’interno al lago, o dal nord verso il sud, è costretta ad essere attrezzata per fornire ai pellegrini alloggi e vesti, sandali e derrate, e perciò vi sono empori numerosi e numerosi alberghi.
   La casa della vedova è presso uno di questi, su una piazza, ed è occupata, al terreno, da un vasto emporio dove c’è un po’ di tutto, gestito da un vecchio nasuto e barbuto, che sta sbraitando come un dannato con dei compratori tirchi.
   «Samuele!», chiama la donna.
   «Padrona!», risponde il vecchio inchinandosi tanto quanto le balle di mercanzia accatastate davanti a lui lo concedono.
   «Manda qui Elia o Filippo e raggiungimi in casa», comanda la vedova e poi, rivolta al Maestro: «Vieni. Entra nella mia casa e siine l’ospite benvenuto».
   Entrano tutti, passando dal fondaco, mentre i ciuchini non so dove vengano portati da un ragazzotto accorso. Dopo il fondaco, che dà alla casa un aspetto non troppo artistico, è una bella corte con due lati a portici. In mezzo, la fonte, o per lo meno una vasca, perché non c’è getto d’acqua. Ai lati, platani robusti a dare ombra alle muraglie bianche di calcina. Una scala sale al terrazzo. Delle stanze si aprono dai lati senza portici, i più lontani dal fondaco.
   «Prima, ai tempi dello sposo, c’era pieno qui e si alloggiavano anche dei mercanti sorpresi qui dalla notte. Portici per le merci, stalle per gli animali, e là la vasca per abbeverare. Vieni nelle stanze», e traversa in diagonale la corte andando verso la parte più bella della casa. Chiama: «Maria! Giovanna!».
   Accorrono due serve, l’una con le mani intrise di pasta da pane, l’altra con una scopa in mano.
   «Padrona! La pace sia con te e con noi, ora che sei tornata».
   «E con voi. Nessuna cosa penosa in questi giorni?».
   «Giuseppe, quello sventato, ha spezzato il rosaio che amavi tanto. L’ho picchiato forte. Tu picchia me che sono stata stolta a lasciarlo andare presso la pianta».
   «Non ha valore…», ma lacrime vengono agli occhi di Sara, che le spiega dicendo: «Me lo aveva portato lo sposo l’ultima primavera che fu sano…».
   «E Elia si è troncato una gamba, cosa che rende furioso Samuele perché gli manca l’aiuto in questi tempi di gran mercati… È caduto dalla scala dell’altra parte, mentre si spenzolava per farti trovare imbiancate le mura», dice l’altra donna e termina: «Soffre molto e resterà sciancato. E tu, padrona, fosti felice nel tuo viaggio?».
   «Come mai avrei sperato. Torno col Rabbi di Galilea. Presto! Preparate per chi è con me. Entra, Maestro!».
   Entrano nella casa passando davanti alle due serve stupefatte.
   Una vasta, fresca stanza, in penombra, con sedili e cassapanche, li accoglie. La vedova esce per dare ordini, Gesù chiama gli apostoli per mandarli per la città per preparare gli animi alla sua venuta. Entra Samuele, tramutato da venditore in maestro di casa, seguito dalle serve con anfore e bacili per le abluzioni avanti il cibo, portato su larghi vassoi: pane, frutta, latte.

   456.7Ritorna la padrona: «Ho detto al mio servo che Tu sei qui. Egli ti prega di usargli misericordia. Io ti dico di usarla a me pure. Per i Tabernacoli molta gente passa di qui. E il passaggio principia appena passata la neomenia di tisri. Come faremo, se egli è malato, non so…».
   «Digli che venga qui».
   «Non può. Non si regge».
   «Digli che il Rabbi non va da lui, ma vuole vederlo».
   «Lo farò portare da Samuele e Giuseppe».
   «Ci manca altro! Io sono vecchio e stanco», brontola Samuele.
   «Di’ a Elia di venire con le sue gambe. Lo voglio Io».
   «Un povero rabbi! Neppur Gamaliele potrebbe tanto», brontola ancora il vecchio servo.
   «Taci, Samuele!… Perdonalo, Maestro! È un servo fedele. Nato qui da servi della casa dello sposo, solerte, onesto… ma cocciuto nelle sue idee di vecchio israelita…», lo scusa sottovoce la vedova.
   «Capisco il suo spirito. Ma il miracolo lo muterà. Va’ tu a dire a Elia di venire e verrà».
   La vedova va e torna: «L’ho detto. E son corsa via per non vederlo mettere al suolo quella gamba tutta nera e gonfia».
   «Non credi al miracolo?».
   «Io sì. Ma quella gamba fa orrore… Temo che marcisca tutta per cancrena. È lucida, lucida… orrenda e… Oh!».
   L’interruzione, l’esclamazione viene dal vedere il servo Elia correre meglio di un sano verso loro e gettarsi ai piedi di Gesù dicendo: «Sia lode al Re d’Israele».
   «Sia lode a Dio solo. Come venisti? Come osasti?».
   «Ubbidii. Pensai: “Il Santo non può mentire. E non può comandare cose stolte. Ho fede. Credo”, e ho mosso la gamba. Non doleva più, si muoveva. L’ho messa a terra, mi reggeva. Ho mosso il passo. Potevo farlo. Sono corso. Dio non delude chi crede in Lui».
   «Alzati, uomo. In verità vi dico che pochi hanno la fede di costui. Da che ti venne?».
   «Da tuoi discepoli passati qui a predicarti».
   «Li sentisti tu solo?».
   «No. Tutti, perché furono ospitati qui dopo Pentecoste».
   «E tu solo hai creduto… Il tuo spirito è molto avanti nelle vie del Signore. Procedi».
   Il vecchio Samuele è molto combattuto da opposti sentimenti… Ma, come molti in Israele, non sa staccarsi dal vecchio per il nuovo e si irrigidisce dicendo: «Magia! Magia! È detto[41]: “Il mio popolo non si contamini coi maghi e gli indovini. Se uno lo farà, rivolgerò da lui il mio volto e lo sterminerò”. Trema, o padrona, di essere infedele alle leggi!», e se ne va severo, scandalizzato come avesse visto il demonio insediato nella casa.
   «Non lo punire, Maestro! È vecchio! Ha sempre creduto così…».
   «Non temere. Se dovessi punire tutti coloro che mi dicono demonio, molti sepolcri si aprirebbero ad ingoiare la preda. Io so attendere… Parlerò verso il tramonto. Poi lascerò Afeca. Ora accetto la sosta sotto il tuo tetto».

[41] È detto, in: Levitico 20, 6 .