MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME VII CAPITOLO 458



CDLVIII. Una guarigione spirituale a Gherghesa e lezione sull’uso dei doni di Dio. Rientro a Cafarnao.

   16 luglio 1946.

   458.1Arrivano ai bordi del lago, nelle immediate vicinanze di Gher­ghesa, quando il tramonto roggio si muta in crepuscolo violaceo e pacato. La riva è piena di gente che prepara le barche per la pesca notturna o che si bagna con piacere nelle acque del lago, un poco mosso per il vento che lo scorre.
   Presto Gesù è visto e riconosciuto, di modo che, prima che Egli possa entrare in città, la città sa che è venuto, e c’è il solito afflusso di gente che accorre a sentirlo.
   Fra la gente si fa largo un uomo, dicendo che al mattino erano venuti a cercarlo da Cafarnao e di andarci al più presto.
   «Questa notte stessa. Non sosto qui e, poiché le barche nostre non sono qui, vi chiedo di prestarmi le vostre».
   «Come Tu vuoi, Signore. Ma ci parlerai prima di partire?».
   «Sì, anche per salutarvi. Presto lascerò la Galilea…».

   458.2Una donna piangente lo chiama di fra la folla, supplicando di lasciarla passare per andare dal Maestro.
   «È Arria, la gentile che si è fatta ebrea per amore. Tu le hai guarito una volta il marito[44]. Ma…».
   «Ricordo. Lasciatela passare!».
   La donna viene avanti. Si getta ai piedi di Gesù, piange.
   «Che hai, donna?».
   «Rabbi! Rabbi! Pietà di me! Simeone…».
   Uno di Gherghesa l’aiuta a parlare: «Maestro, la salute che gli hai data la usa male. È divenuto duro di cuore e rapace e non sembra neppur più israelita. In verità la donna è molto migliore di lui, pur essendo nata in terre pagane. E la sua durezza e rapacità gli attirano risse e odii. E per una rissa ora è molto sconciato nel capo, e il medico dice che quasi certamente diventerà cieco».
   «Ed Io che posso, in tal caso?».
   «Tu… guarisci… Ella, lo vedi, se ne dispera… Ha molti bambini, e piccoli ancora. La cecità dello sposo sarebbe miseria della casa… Vero è che è denaro mal guadagnato… Ma la morte sarebbe una sventura, perché un marito è sempre marito, e un padre è sempre un padre, anche se in luogo di amore e pane dà tradimenti e percosse…».
   «L’ho guarito una volta e gli ho detto: “Non peccare più”. Egli ha peccato più ancora. Non aveva forse promesso di non più peccare? Non aveva fatto voto di non essere più usuraio e ladro se Io lo guarivo, ma di rendere il mal preso a chi poteva e, per chi non poteva farlo, di usare il mal preso per i poveri?».
   «Maestro, è vero. Ero presente io. Ma… l’uomo non è fermo nei suoi propositi».
   «Hai detto bene. E non Simeone soltanto. Molti sono coloro che, come dice[45] Salomone, fanno doppio peso e hanno bilancia falsa, e non solo nel senso materiale ma anche nel giudicare e nell’agire e nel comportarsi verso Dio. È ancora Salomone che dice: “È rovinoso per l’uomo divorare i santi, e dopo aver fatto un voto pentirsene”. Ma troppi fanno queste cose…

   458.3Donna, non piangere. Ma ascolta e sii giusta, poiché hai scelto religione di giustizia. Cosa sceglieresti se Io ti proponessi due cose? Queste: guarire il tuo sposo e lasciarlo vivere perché egli continui ad irridere Dio e ad accumulare peccati sulla sua anima, o convertirlo, perdonarlo e poi lasciarlo morire? Scegli. Ciò che sceglierai farò».
   La povera donna è in un ben aspro combattimento. L’amore naturale, la necessità di un uomo che bene o male guadagni per i figli, la spingerebbero a chiedere «vita». Il suo amore soprannaturale verso lo sposo la spinge a chiedere «perdono e morte». La gente tace, attenta, commossa, in attesa della decisione.
   Infine la povera donna, gettandosi al suolo di nuovo, abbrancandosi alla veste di Gesù come per attingere forza, geme: «La vita eterna… Ma aiutami, o Signore…», e pare che muoia, tanto si abbatte col viso a terra.
   «Hai scelto la parte migliore. Che tu sia benedetta. Pochi in Israele ti sarebbero uguali in timor di Dio e giustizia. Alzati. Andiamo da lui».
   «Ma lo farai morire proprio, Signore? E come farò io?». La creatura umana risorge dal fuoco dello spirito come la fenice mitologica, e soffre e si sgomenta umanamente…
   «Non temere, donna. Io, te, tutti affidiamo al Padre dei Cieli ogni cosa, ed Egli farà col suo amore. Sei capace di credere così?».
   «Sì, mio Signore…».
   «Allora andiamo, dicendo la preghiera di tutte le petizioni e di tutti i conforti».
   E, mentre cammina, attorniato da un branco di gente e seguito da un codazzo di popolo, dice lentamente il Pater. Il gruppo apostolico lo imita e, con un coro ben ordinato, le frasi della preghiera si elevano sul brusio della folla che, presa dal desiderio di sentire pregare il Maestro, tace poco a poco, di modo che le ultime petizioni si sentono benissimo in mezzo a un silenzio solenne.
   «Il pane quotidiano il Padre te lo darà. Lo assicuro in suo Nome», dice Gesù alla donna e prosegue, rivolto non a lei sola ma a tutti: «E vi saranno perdonate le colpe se voi perdonerete a questo che vi ha offeso e danneggiato. Egli ha bisogno del vostro perdono per avere quello di Dio. E tutti hanno bisogno della protezione di Dio per non cadere in peccato come Simeone. Ricordatelo».

   458.4Sono giunti alla casa e Gesù vi entra con la donna, con Pietro, Bartolomeo e lo Zelote.
   L’uomo, steso sul lettuccio, col volto fra bende e pezze bagnate, smania e delira. Ma la voce, o il volere di Gesù, lo riconducono in sé e grida: «Perdono! Perdono! Non ricadrò più nel peccato. Il tuo perdono come l’altra volta! Ma guarire anche, come l’altra volta. Arria! Arria! Te lo giuro. Sarò buono. Non userò più violenza e frode, non…», l’uomo è pronto a tutte le promesse per paura di morire…
   «Perché vuoi tutto questo?», chiede Gesù. «Per espiare o perché temi il giudizio di Dio?».
   «Quello, quello! Morire ora, no! L’inferno!… Ho rubato, il denaro del povero ho rubato! Ho usato menzogna. Ho percosso il prossimo e fatto soffrire i famigliari. Oh!…».
   «La paura non è buona. Pentimento ci vuole. Vero. Fermo».
   «La morte o la cecità! Oh! castigo! Non vedere più! Tenebre! Tenebre! No!…».
   «Se brutta è la tenebra negli occhi, non ti è orrenda quella del cuore? E non temi quella dell’inferno, eterna, orrenda? La privazione continua di Dio? I rimorsi continui? Lo spasimo di aver ucciso te stesso, per sempre, nel tuo spirito? Non ami costei? E i figli non li ami? E tuo padre, tua madre, i fratelli, non li ami? Ebbene, non pensi che non li avrai più con te se muori dannato?».
   «No! No! Perdono! Perdono! Espiare, qui, sì, qui… Anche la cecità, Signore… Ma l’inferno no… Non mi maledica Iddio! Signore! Signore! Tu scacci i demoni e perdoni le colpe. Non alzare la mano a guarirmi, ma a perdonarmi e a liberarmi dal demonio che mi tiene… Mettimi una mano sul cuore, sul capo… Liberami, Signore…».
   «Non posso fare due miracoli. Rifletti. Se ti libero dal demonio, ti lascerò la malattia…».
   «Non importa! Sii Salvatore».
   «Sia come tu vuoi. Sappi approfittare della mia grazia, che è l’ultima che ti faccio. Addio».
   «Non mi hai toccato! La tua mano! La tua mano!».
   Gesù lo accontenta e posa la mano sul capo e sul petto dell’uomo che, fasciato come è, acciecato dalle bende e dalla ferita, brancica convulso per afferrare la mano di Gesù e, trovatala, piange su essa, senza volerla lasciare andare finché, come un bambino stanco, si assopisce tenendo ancora la mano di Gesù premuta contro la sua guancia febbrile.
   Gesù sfila cautamente la mano ed esce senza rumore dalla stanza, seguito dalla donna e dai tre apostoli.
   «Dio ti compensi, Signore. Prega per la tua serva».
   «Continua a crescere nella giustizia, donna, e Dio sarà sempre con te». Alza la mano a benedire la casa e la donna, ed esce sulla strada.

   458.5Il brusio si alza di tono per mille domande curiose. Ma Gesù fa cenno di tacere e di seguirlo. Torna sulla riva. La notte scende lentamente. Gesù monta su una barca che si dondola presso la riva e parla di là.
   «No. Non è morto e non è guarito, secondo la carne. Il suo spirito ha riflettuto sulle sue colpe, ha dato giusta direzione al suo pensiero, è stato perdonato perché ha chiesto espiazione per avere perdono. Voi, tutti, sorreggetelo nel suo cammino verso Dio.
   Pensate che tutti abbiamo una responsabilità verso l’anima del prossimo nostro. Guai a chi dà scandalo! Ma guai anche a chi, col suo tratto intransigente, impaurisce uno appena nato al Bene respingendolo coll’intransigenza dal cammino in cui si è messo. Tutti possono essere un poco maestri, e maestri buoni del loro prossimo, e tanto più esserlo quanto più uno del prossimo è debole e ignorante della sapienza del Bene.
   Vi esorto ad essere pazienti, dolci, longanimi con Simeone. Non mostrate odio, rancore, sprezzo, ironie. Non ricordate il passato, né in voi, né a lui. L’uomo che sorge dopo un perdono, dopo un pentimento, dopo un proponimento sincero, ha una volontà, ma ha anche il peso, il retaggio delle passioni e abitudini del passato. Bisogna saperlo aiutare a liberarsene. E con molta discrezione. Senza fare allusioni al passato. Sono imprudenti verso la carità e verso la creatura umana. Ricordare al colpevole pentito la colpa è avvilirlo. Basta la sua coscienza risvegliata a far questo. Ricordare alla creatura il suo passato è suscitare dei risvegli di passioni e, delle volte, dei ritorni a passioni superate, dei consentimenti. Nel migliore dei casi è sempre dare delle tentazioni.
   Non tentate il vostro prossimo. Siate prudenti e caritatevoli. Dio vi ha risparmiato da certi peccati? Lodatelo. Ma non fate ostentazione della vostra giustizia per mortificare chi non fu giusto. Sappiate comprendere lo sguardo implorante del pentito che vorrebbe che voi dimenticaste e che, posto che sa che non dimenticate, almeno vi supplica di non mortificarlo ricordando il passato. Non dite: “Fu lebbroso nello spirito” per giustificare i vostri abbandoni. Il lebbroso per malattia, dopo le purificazioni a guarigione ottenuta, viene riammesso fra il popolo. Uguale avvenga per chi è guarito dal peccato. Non siate come coloro che si credono i perfetti, e tali non sono perché non hanno carità verso i fratelli. Circondate anzi col vostro amore i fratelli risorti alla grazia, perché la buona compagnia impedisca nuove cadute.
   Non vogliate essere da più di Dio, che non respinge il peccatore che si pente e lo perdona e riammette in sua compagnia. E, se anche quel peccatore vi ha fatto un male che non è più riparabile, non vendicatevi ora che non è più un prepotente che si teme; ma perdonate e abbiate una grande pietà, perché egli fu povero del tesoro che ogni uomo può avere sol che voglia: la bontà. Amatelo perché, col dolore che vi ha dato, vi ha dato un mezzo di meritare un premio più grande in Cielo. Unite al suo mezzo il vostro: il perdono, e il vostro premio crescerà ancora di più in Cielo. E non disprezzate alcuno, neanche se è di altra razza. Voi vedete che, quando Dio attira uno spirito, anche se è di pagano, lo trasforma in modo tale da superare molti del popolo eletto nella giustizia.
   Io vado. Ricordate ora e sempre queste e le altre mie paro­le».

   458.6Pietro, che era pronto, punta il remo, e la barca si stacca da riva iniziando la navigazione, seguita dalle altre due. Il lago, un po’ mosso, imprime rullio alle barche, ma nessuno se ne sgomenta, perché breve è il tragitto. I fanali rossi mettono macchie di rubini sulle acque scure, o tingono di sanguigno le spume bianche.
   «Maestro, ma quell’uomo guarirà o non guarirà? Non ci ho capito nulla», chiede Pietro, senza lasciare il timone, dopo qualche tempo.
   Gesù non risponde. Pietro fa un cenno a Giovanni, che è seduto in fondo alla barca ai piedi del Maestro, con il capo abbandonato sui ginocchi di Gesù. E Giovanni ripete sottovoce la domanda.
   «Non guarirà».
   «Perché, Signore? Io credevo, per quello che ho sentito, che avesse a guarire per espiare».
   «No, Giovanni. Peccherebbe nuovamente, perché è spirito debole».
   Giovanni riappoggia il capo sui ginocchi dicendo: «Ma Tu lo potevi far forte…», e pare fare un dolce rimprovero.
   Gesù sorride insinuando le dita fra i capelli del suo Giovanni e, alzando la voce in modo che tutti sentano, dà l’ultima lezione del giorno: «In verità vi dico che anche nel concedere grazia occorre saper tenere conto dell’opportunità di essa. Non sempre la vita è un dono, non sempre la prosperità è un dono, non sempre un figlio è un dono, non sempre, sì, anche questo, non sempre un’elezione è un dono. Dono divengono e restano quando chi li riceve sa farne buon uso e per fini soprannaturali di santificazione. Ma quando della salute, della prosperità, degli affetti, della missione, se ne fa rovina del proprio spirito, meglio sarebbe non averli mai. E talora Dio fa un dono, che più grande non potrebbe farlo, non dando ciò che gli uomini vorrebbero o penserebbero giusto avere come buona cosa. Il padre di famiglia o il medico saggio sanno quali sono le cose da dare ai figli o ai malati per non farli più malati o per non farli ammalare. Così ugualmente Dio sa ciò che è bene dare per il bene di uno spirito».
   «Allora quell’uomo morirà? Infelice casa!».
   «Sarebbe forse più felice se abitata da un reprobo? E lui sarebbe più felice se, vivendo, continuasse a peccare? In verità vi dico che la morte è un dono quando serve ad impedire nuovi peccati e coglie l’uomo mentre è riconciliato col suo Signore».

   458.7La chiglia striscia già sui fondali di Cafarnao.
   «In tempo. Questa notte burrasca. Il lago bolle, il cielo è senza stelle, nero come pece. Ma sentite dietro i monti? Vedete quelle luci? Tuoni e lampi. Fra poco acqua. Presto! Mettere in salvo le barche non nostre! Via le donne e il bambino prima che piova. Oh! Date mano!», urla Pietro ad altri pescatori, che ritirano reti e ceste.
   A forza di braccia spingono la barca ben su, sulla spiaggia, mentre già i primi cavalloni vengono a schiaffeggiare le membra seminude e le ghiaie della riva. E poi, via di corsa, a casa, mentre i primi goccioloni alzano la polvere dalla terra arsa e la fanno odorare forte, e i lampi sono già sopra al lago, mentre i tuoni empiono di fragore la coppa formata dai colli delle rive.

[44] le hai guarito una volta il marito . Potrebbe trattarsi del miracolo cui Gesù accenna in 159.1.
[45] dice, in: Proverbi 11, 1; 20, 10.23.25 .