MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME VII CAPITOLO 462



CDLXII. Discorso e guarigioni alle sorgenti termali di Emmaus di Tiberiade.

   26 luglio 1946.

   462.1Il lago non è che un enorme sardonico fra il castone dei colli, appena visibile sotto il chiarore delle stelle, essendo già tramontata la luna. Gesù è solo nel chiosco verde, col capo reclinato sugli avambracci posati sul tavolo presso la lampada, che dà gli ultimi guizzi. Ma non dorme. Ogni tanto alza il capo, guarda ancora i fogli spiegati sul tavolo, tenuti stesi dalla lampada messa sull’alto del foglio e dagli avambracci messi sul basso del foglio, e poi reclina nuovamente il capo.
   Il silenzio è assoluto. Sembra dormire anche il lago nella calmeria afosa. Poi ecco, contemporanei, un fruscio di vento fra le fronde, un solitario schiaffo d’onda sulla riva, un mutamento nella natura, direi uno scricchiolio di elementi che si ridestano. La non-luce della primissima alba è già una luce, per quanto l’occhio non se ne avveda ancora girando lo sguardo sul giardino deserto. È lo specchio del lago che dà indizio di questo rinascere della luce, perché il suo sardonico nero, plumbeo, si fa più chiaro, e lentamente, riflettendo il cielo che inalba, da plumbeo si fa grigio-ardesia e poi grigio-ferro, poi diviene un opale e infine eccolo riflettere il cielo con un azzurreggiare d’acque paradisiaco.

   462.2Gesù si alza in piedi, raccoglie i fogli, prende la lampada, spentasi al primo soffio di brezza, e si dirige verso la casa. Incontra una serva che si inchina. Poi un giardiniere che si dirige alle aiuole, col quale scambia il saluto. Entra nell’atrio dove altri servi compiono le prime faccende.
   «La pace a voi. Potreste chiamare i miei?».
   «Sono già alzati, Signore. E il carro per le donne è già pronto. Anche Giovanna è alzata. È nell’atrio interno».
   Gesù va, attraverso la casa, all’atrio che è dalla parte della via. Là infatti sono tutti raccolti.
   «Andiamo. Madre, il Signore sia con te. Maria, con te pure, e la mia pace vi accompagni. Addio, Simone. Porta la mia pace a Salome e ai bambini».
   Gionata apre il pesante portone. Nella via è il carro coperto. La via fra le case non è ancor molto in luce ed è deserta affatto. Le donne salgono col parente e il carro si avvia.
   «Andiamo subito noi pure. Andrea, corri avanti, dove sono le barche, e di’ ai garzoni di raggiungerci a Tarichea».
   «Come? Andiamo a piedi? Faremo tardi…».
   «Non importa. Precedetemi mentre mi accomiato da Giovanna».
   Gli apostoli si avviano…
   «Io ti seguo, Signore. O, meglio, ti precedo, perché verrò con la barca».
   «Dovrai attendere a lungo…».
   «Non conta. Lasciami venire».
   «Sia come tu vuoi. Cusa non c’è?».
   «Non è rincasato, Signore».
   «Gli dirai che lo saluto e lo esorto ad essere giusto. Carezza per Me i bambini. E… tu che hai compreso il tuo Maestro convinci Cusa che è in errore, e con lui tutti quelli che vogliono fare del Cristo un re temporale».
   Anche Gesù esce nella via e raggiunge lesto gli apostoli.
   «Andiamo per la via di Emmaus. Molti infelici vanno alle sorgenti, chi per ottenere guarigione, chi per ottenere soccor­si».
   «Ma noi non abbiamo uno spicciolo…», obbietta Giacomo di Zebedeo. Gesù non risponde.

   462.3Le vie si popolano di minuto in minuto e di due classi di persone molto diverse. Ossia di ortolani, venditori, servi, schiavi, popolani che si affrettano ai mercati, e di ricchi gaudenti che in lettighe o su cavalcature vanno essi pure verso le sorgenti, suppongo termali se devono dare guarigione.
   Tiberiade deve essere proprio un poco cosmopolita, perché fra i gitanti si vedono persone di nazioni diverse. Romani appesantiti dalla vita oziosa e viziosa, greci azzimati e certo non meno licenziosi dei romani, ma con una maschera lasciata dal vizio diversa nell’espressione da quella dei latini, gente della costa fenicia, ebrei per lo più anziani, cadenze, lingue, vesti diverse, e qualche pallido volto di malato e di malata, o stanchi volti di patrizie… e anche volti di gaudenti dei due sessi che procedono in gruppi, chi a cavallo presso le lettighe, chi in lettiga, scherzando, discutendo di futili argomenti, facendo scommesse…
   La via è bella. Un viale ombroso che fra gli intercolunni dei fusti lascia vedere il lago da un lato, la campagna dall’altro. Il sole, ormai sorto, ravviva le tinte delle acque e dei vegetali.
   Molti si volgono a guardare Gesù e un sussurro lo segue. Parole ammirative di donne, satire di uomini, scherni talora, brontolii altre volte, qualche supplica di sofferente che Gesù raccoglie, le uniche raccolte fra le molte, e che esaudisce.
   Quando rende agili le membra anchilosate dall’artrite di uno di Tiro, l’indifferenza ironica di molti gentili si scuote.
   «Euhè!», esclama un vecchio romano dal volto borsuto di gozzovigliatore. «Euhè! Guarire così è bello. Io lo chiamo».
   «Non fa per te, vecchio Sileno. Che vorresti fare, guarito che fossi?».
   «Tornare a godere!».
   «Allora inutile andare dal triste Nazareno».
   «Io vado, e scommetto ciò che ho che…».
   «Non scommettere. Perdi».
   «Lascialo scommettere. È ancor ubbriaco. Ci godremo i suoi denari».

   462.4Il vecchio traballante scende di lettiga e raggiunge Gesù, che ascolta una madre ebrea che gli parla di sua figlia, un’esangue fanciulla che conduce per mano.
   «Non temere, donna. Tua figlia non morirà. Torna a casa. Non la condurre alle sorgenti. Non vi acquisterebbe la salute del corpo e perderebbe la purezza dell’anima. Sono luoghi di licenza degradante», e lo dice ben forte, in modo che tutti sentano.
   «Ho fede, Rabbi. Torno a casa mia. Benedici le tue serve, Maestro».
   Gesù le benedice e fa per avviarsi.
   Il romano lo tira per la veste: «Guariscimi», ordina.
   Gesù lo guarda e chiede: «Dove?».
   I romani, e con essi dei greci e dei fenici, si sono radunati e sogghignano e scommettono. Degli israeliti, che si sono scostati mormorando: «Profanazione! Anatema!», e altre parole del genere, si fermano, però, curiosi…
   «Dove?», chiede Gesù.
   «Da per tutto. Sono malato… ih! ih! ih!». Non so se rida o pianga, tanto è strano il verso che gli esce dalla bocca. Sembra che il grasso flaccido, lasciatogli da anni di vizi, opprima persino le corde vocali. L’uomo enumera i suoi malanni e dice la sua paura di morire.
   Gesù lo guarda severo e risponde: «Devi infatti temere la morte poiché hai ucciso te stesso», e gli volge le spalle. L’altro cerca di riprenderlo per le vesti, mentre i presenti sghignazzano. Ma Gesù si libera dalla stretta e va via.
   «Pollice verso, Appio Fabio! Pollice verso! Il detto re degli ebrei non ti ha graziato. Dàcci la borsa. Scommessa perduta».
   Greci e romani fanno un baccano attorniando il deluso, che con un urtone li scansa e si dà a correre, per quanto può, così obeso, tenendosi alta la veste, traballando con tutta la sua massa segosa. Ma inciampa e cade nella polvere fra le risa altissime dei suoi amici, che lo strascicano presso un albero contro il cui tronco l’ebbro si stringe, piangendo del pianto sciocco degli ubbriachi.

   462.5Le sorgenti sono prossime certo, perché la folla è folta sempre più, rifluendo da molte vie verso un luogo solo. Odor di acque solforose stagna nell’aria.
   «Scendiamo verso riva per evitare questi immondi?», chiede Pietro.
   «Non sono tutti immondi, Simone. Anche molti di Israele sono fra essi», dice Gesù.
   Le terme sono raggiunte. Una serie di edifici bianchi di marmi, separati da viali, in faccia al lago, separati da esso da una specie di vasto piazzale alberato, sotto il quale passeggiano i convenuti in attesa del bagno, o per reazione dopo lo stesso. Delle teste di medusa in bronzo, sporgenti dal muro di un edificio, gettano acque fumanti in una vasca di marmo che, bianca all’esterno, è rossastra nel suo interno come se fosse ricoperta di ferro rugginoso. Molti ebrei vanno alle fonti e con dei calici bevono l’acqua minerale. Non vedo che ebrei fare questo e a questo padiglione. Credo indovinare che gli israeliti osservanti abbiano voluto un loro proprio luogo per evitare contatti con i gentili.
   Molti malati sono nelle portantine in attesa della cura e vedendo Gesù molti gridano: «Gesù, Figlio di Davide, abbi pietà di me».
   Gesù si dirige a questi. Paralitici, artritici, anchilosati, fratturati le cui ossa non si saldano, malati di anemie, di ghiandole, donne avvizzite avanti tempo, fanciulli anzitempo adulti. E poi, sotto agli alberi, mendichi che si lagnano chiedendo l’obolo.
   Gesù si ferma presso i malati. Si sparge la voce che il Rabbi parlerà e guarirà. La gente, anche quella delle altre razze, si avvicina per vedere.
   Gesù si volge intorno. Sorride vedendo uscire, con ancora i capelli umidi della doccia fatta, il greco mandato da Sintica. Alza subito la voce per farsi sentire: «La misericordia apre le porte alla grazia. Siate misericordiosi per ottenere misericordia. Tutti gli uomini sono poveri in qualche cosa: chi nelle monete, chi negli affetti, chi nella libertà, chi nella salute. E tutti gli uomini hanno bisogno di aiuto dal Dio che ha creato l’universo e che può, unico Padre, soccorrere i suoi figli».
   Fa una pausa come per dare tempo alla gente di scegliere se venire ad ascoltare o se recarsi ai bagni. Ma i bagni sono dimenticati dai più. Israeliti o gentili si affollano a sentire, e dei romani, scettici, nascondono la loro curiosità sotto lo scherzo:
   «Oggi non manca il retore a fare di questo luogo una terme romana», dicono.
   Il greco Zenone fende la folla gridando: «Per Zeus! Stavo per recarmi a Tarichea e qui ti trovo!».

   462.6Gesù prosegue:
   «Ieri mi fu detto: “È difficile eseguire ciò che Tu fai”. No. Non è difficile. La mia dottrina si fonda sull’amore, e l’amore non è mai difficile ad eseguirsi. Cosa predica la mia dottrina? Il culto di un vero Dio, l’amore al prossimo nostro. L’uomo, eterno fanciullo, ha paura delle ombre e segue le chimere perché non conosce l’amore. L’amore è sapienza e luce. È sapienza perché scende ad istruire. È luce perché viene a illuminare. Là dove è luce cessano le ombre, e dove è sapienza muoiono le chimere. Fra chi mi ascolta sono dei gentili. Essi dicono: “Ove è Dio?”. Dicono: “Chi ci assicura che il tuo Dio sia il vero?”. Dicono: “Con che ci assicuri di essere veritiero nella tua parola?”. Non sono soltanto i gentili a dire questo. Anche altri mi chiedono: “Con che potere fai queste cose?”. Col potere che mi viene dal Padre, da quel Padre che ha messo tutte le cose a servizio dell’uomo sua creatura prediletta e che mi manda ad istruire gli uomini miei fratelli. Può il Padre, che ha dato potere alle viscere del suolo di fare medicamentose le acque delle sorgenti, aver limitato il potere al suo Cristo? E chi, quale Dio, se non il Dio vero, può concedere al Figlio dell’uomo di fare i prodigi che ricreano le membra distrutte? In quale tempio di idoli si vede che i ciechi ricuperino la vista e i paralitici il moto, in quale i morenti, ad un “voglio” di un uomo, sorgono sani più dei sani? Ebbene Io, per dar lode al Dio vero e per fare che sia da voi conosciuto e lodato, dico a questi qui adunati, quale che sia la loro razza e religione, che avranno la salute che chiedono a delle acque, e l’avranno da Me, Acqua viva, che do la vita del corpo e dello spirito a chi crede in Me e opera misericordia con retto cuore. Io non chiedo cose difficili. Chiedo un movimento di fede ed uno di amore. Aprite il cuore alla fede. Aprite il cuore all’amore. Date per avere. Date le povere monete per avere aiuto da Dio. Cominciate ad amare i fratelli. Sappiate avere misericordia. I due terzi fra voi sono malati perché egoisti e concupiscenti. Abbattete l’egoismo, frenate le concupiscenze. Acquisterete in salute fisica e in sapienza. Abbattete la superbia. E sarete beneficati dal vero Dio. Io vi chiedo l’obolo per i poveri e poi vi farò il dono della salute».

   462.7E Gesù alza un lembo del manto e lo tende per accogliere le monete. Le molte monete che pagani e israeliti si affrettano a gettarvi. E non sono solo monete che vengono date, ma anche anelli o altri gioielli gettati con noncuranza dalle donne romane, che nel giungere a Gesù lo guardano, e qualcuna mormora qualche parola alla quale Gesù assente o risponde brevemente.
   L’offerta è finita. Gesù chiama gli apostoli perché gli conducano i mendichi e, con la stessa rapidità con cui il gruzzolo si era formato, ecco che si disfa sino all’ultimo picciolo. Restano dei gioielli che Gesù rende alle donatrici, non essendovi sul luogo nessuno che li acquisti per mutarli in monete. E per consolare le donatrici dice loro: «Il desiderio equivale all’atto. L’offerta data è preziosa come fosse stata distribuita, perché Dio vede il pensiero dell’uomo».
   Poi si raddrizza e grida: «Da chi mi viene il potere? Dal vero Dio. Padre, fa’ risplendere Te nel Figlio tuo. In tuo nome Io ordino ai morbi: andate!».
   Ed è l’ormai molte volte visto risorgere di malati, raddrizzarsi di storpiati, muoversi di paralitici, ed è il colorirsi di volti, lo splendere di occhi, il gridio degli osanna, le felicitazioni fra loro dei romani, fra i quali vi sono due donne e un uomo risanati e che vogliono imitare i guariti d’Israele e, non giungendo ancora ad umiliarsi come gli ebrei nel bacio sui piedi del Cristo, si chinano, prendono un lembo del manto e lo baciano.
   E poi Gesù si avvia sottraendosi alla folla. Ma non vi si sottrae perché, meno qualche ostinato gentile o qualche ebreo ancor più colpevolmente ostinato, tutti lo seguono per la strada che va a Tarichea.