MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME VII CAPITOLO 465



CDLXV. A Betsaida per un incarico segreto a Porfirea e partenza affrettata da Cafarnao.

   1 agosto 1946.

   465.1«Dirigi la barca a Betsaida», ordina Gesù che è con Giovanni in una piccola barca, proprio un guscio di noce, a metà del lago che schiarisce lentamente col crescere[65] del giorno.
   Giovanni ubbidisce senza parlare. Un venticello piuttosto vibrato fa tendere la piccola vela e scorrere veloce la barca, che piega persino su un lato, tanto è veloce il suo andare. La costa orientale scorre rapidamente e la curva del lato settentrionale del lago si fa sempre più vicina.
   «Approda prima del paese. Voglio andare da Porfirea senza che altri mi veda, e tu raggiungimi poi al luogo solito e attendimi nella barca».
   «Sì, Maestro. E se alcuno mi vede?».
   «Trattieni tutti senza dire dove sono. Farò presto».
   Giovanni osserva sulla spiaggia un punto buono per approdare e lo trova in un ricordo, proprio un ricordo di torrente sabbioso, nel quale gli uomini hanno levato delle sabbie per qualche loro bisogno, di modo che fa un golfettino di pochi metri, ma nel quale una barca può accostare alla sponda alta un cinquanta centimetri dall’acqua. Va là. La barca striscia un poco sul greto ma riesce ad accostare, e Giovanni la tiene ferma alla sponda afferrando una radica che sporge fuor dalla rena.
   Gesù salta sulla sponda. Giovanni punta il remo contro la stessa, fa forza per spingere la barca di nuovo nel lago. Vi riesce. Alza il volto luminoso del suo sorriso buono e dice: «Addio, Maestro».
   «Addio, Giovanni», e Gesù si avvia fra le piante mentre Giovanni bordeggia con la sua barchetta.

   465.2Gesù piega verso l’interno, passa fra ortaglie alle spalle di Betsaida. Va lesto per evitare di entrare in paese quando questo si anima. Giunge senza fare incontri alla casa di Pietro. Bussa alla porta della cucina. Dopo qualche secondo la testa di Porfirea si affaccia guardinga al disopra del muretto del tetto. Vede e fa un «Oh!» di stupore. Raccoglie con una mano i suoi splendidi capelli — l’unica sua bellezza — che ha sciolti sulle spalle e corre giù dalla scaletta, scalza come è, nell’affrettata toletta del mattino.
   «Signore! Tu! Solo?».
   «Sì, Porfirea. Marziam dove è?».
   «Dorme. Dorme ancora. È rimasto un poco triste, un poco languido il fanciullo… e lo risparmio un poco. È anche l’età… la crescita… Mentre dorme non pensa e non piange…».
   «Piange sovente?».
   «Sì, Maestro. Io credo che sia la sua debolezza attuale. E cerco irrobustirlo… e consolarlo… Ma egli dice: “Io resto solo. Tutti quelli che amo se ne vanno. Quando non ci sarà più Gesù…”, e lo dice come Tu fossi per lasciarci… Certo… ha avuto molto dolore nella sua vita… Ma io, ma Simone, lo amiamo… Tanto, credilo, Maestro».
   «Lo so. Ma la sua anima sente… Porfirea, ho bisogno di parlarti proprio di queste cose. Per questo sono venuto, senza Simone, a quest’ora. Dove possiamo andare per parlare in modo che Marziam non ci senta e che nessuno disturbi?».
   «Signore… Non ho che… la mia stanza nuziale, oppure la stanza delle reti… Sopra c’è Marziam, c’ero io pure perché, per sfuggire il calore, siamo andati a dormire là sopra…».
   «Andiamo nella stanza delle reti. È più lontana e Marziam non ci sentirà anche se si sveglia».
   «Vieni, Signore», e Porfirea lo guida nel rustico stanzone ingombro di un po’ di tutto: reti, remi, provviste, fieno per le pecore, un telaio…
   Porfirea si affretta a sgombrare una specie di tavola addossata alla parete e spolverarla con un batuffolo di stoppa perché il Maestro si sieda.
   «Non importa, donna. Non sono stanco».
   Porfirea alza i suoi miti occhi al viso sbattuto, affaticato di Gesù, e sembra voglia dire: «Sì, che lo sei». Ma, abituata a tacere, non parla.

   465.3«Ascolta, Porfirea. Tu sei una buona donna e una buona discepola. Io ti ho molto amata da quando ti conobbi e con molta gioia ti ho accolta discepola e ti ho affidato il fanciullo. Ti so prudente e virtuosa come poche. E so che sai tacere. Virtù rarissima nelle donne. Per tutte queste cose Io sono venuto a parlarti in segreto e a confidarti una cosa che nessuno sa, neppure gli apostoli, neppure Simone. Te la confido perché ti devo dire come ti devi regolare in futuro con Marziam… e con tutti… Sono sicuro che tu accontenterai il Maestro tuo in ciò che ti chiede e sarai prudente come sempre…».
   Porfirea, che è divenuta proprio di porpora sentendo l’encomio del suo Signore, non fa che assentire col capo, troppo commossa — lei così timida e abituata ad essere premuta sempre da volontà prepotenti, che impongono senza sapere se lei è disposta ad acconsentire… — troppo commossa per poter dire, con le parole, che acconsente.
   «Porfirea… Io non tornerò mai più da queste parti. Mai più sino a che tutto sia compiuto… Tu sai, non è vero, ciò che devo compiere?…».
   Porfirea, a queste parole, ha lasciato andare i suoi capelli che ancora teneva raccolti sulla nuca con la sinistra e ha, più che un grido, un singhiozzo che soffoca portandosi le due mani al volto, mentre scivola in ginocchio gemendo: «Lo so, Signore, mio Dio…», e piange con silenzioso pianto, che non si accusa che per le lacrime che stillano a terra dalle dita compresse sul volto.
   «Non piangere, Porfirea. Per questo sono venuto. Io sono pronto… e pronti sono coloro che, servendo il Male, serviranno il Bene, in verità, perché faranno sorgere l’ora della Redenzione. Potrebbe compiersi anche ora, perché tanto Io che essi siamo preparati… e ogni altra ora che scorre o evento che avverrà non saranno che… perfezionamento al loro delitto… e al mio Sacrificio. Ma anche queste ore, ancora numerose, che succederanno prima di quell’ora, serviranno… Vi è ancora qualche cosa da compiere e da dire, perché tutto ciò che era da compiersi per la mia conoscenza sia fatto… Ma Io non tornerò più qui… Guardo per l’ultima volta questo luogo… ed entro per l’ultima volta in questa casa onesta… Non piangere… Non ho voluto andarmene senza darti l’addio e la benedizione del tuo Maestro. Porterò con Me Marziam. Lo porterò con Me andando ora verso i confini fenici e poi quando scenderò in Giudea per i Tabernacoli. Non mi mancherà modo di rimandarlo prima del pieno inverno. Povero fanciullo! Godrà di Me per qualche tempo.

   465.4E poi… Porfirea, non è bene che Marziam sia presente nella mia ora. Perciò tu non lo lascerai partire per la Pasqua…».
   «Il precetto, Signore…».
   «Io lo assolvo dal precetto. Sono il Maestro, Porfirea, e sono Dio, tu lo sai. Come Dio posso assolvere, in anticipo, da una omissione che non è neppur tale, perché Io la ordino per un motivo di giustizia. L’ubbidienza al mio comando è già di suo assoluzione all’omissione del precetto, perché l’ubbidienza a Dio — e questa è anche un sacrificio per Marziam — è sempre superiore a ogni altra cosa. E sono Maestro. Non è buon Maestro chi non sa misurare le qualità e le reazioni di un suo discepolo e non sa meditare sulle conseguenze che uno sforzo, superiore a ciò che il discepolo può sopportare, può produrre nello stesso. Anche nell’imporre la virtù bisogna essere prudenti e non pretendere un massimo, che la formazione spirituale o le forze generali dell’essere non possono dare. Esigendo una virtù o un dominio spirituale troppo forti rispetto al grado di forze spirituali, morali e anche fisiche raggiunto dalla creatura, si può produrre una dispersione delle forze già accumulate e un frantumamento dell’essere nei suoi tre gradi: spirituale, morale, fisico. Marziam, povero bambino, ha troppo sofferto già e ha troppo conosciuto la brutalità dei suoi simili, sino a rasentare l’odio per essi. Non potrebbe sopportare ciò che sarà la mia Passione: mare di amor doloroso in cui laverò i peccati del mondo, e mare di odio satanico che cercherà di sommergere tutti coloro che Io ho amato e annullare tutto il mio lavoro di Maestro. In verità ti dico che anche i più forti piegheranno sotto la marea di Satana, almeno per breve tempo… Ma Io non voglio che Marziam pieghi e beva quell’onda desolante… È un innocente… e mi è caro… Io ho pietà, molta, di chi ha già sofferto più che le forze proprie non consentano… Ho richiamato all’al di là lo spirito di Giovanni di Endor…».
   «È morto Giovanni? Oh! Marziam aveva scritto molti rotoli per lui… Un altro dolore per il fanciullo!…».
   «Gli dirò Io della morte di Giovanni… Dicevo che l’ho levato dalla vita per preservare lui pure dall’urto di quell’ora. Anche Giovanni aveva troppo sofferto dagli uomini. Perché risvegliare i sentimenti sopiti? Dio è buono. Prova i suoi figli. Ma non è un incauto esperimentatore… Oh! se gli uomini sapessero fare altrettanto! Quante meno rovine di cuori, o anche semplicemente quante meno burrasche pericolose nei cuori!… Ma, tornando a Marziam, egli non deve venire alla Pasqua futura. Per ora tu non parlerai. Quando sarà il momento gli dirai così: “Il Maestro mi ha dato ordine di non mandarti a Gerusalemme. E ti promette un premio singolare se tu gli ubbidirai”. Marziam è buono e ubbidirà…

   465.5Porfirea, questo Io voglio da te. Il tuo silenzio, la tua fedeltà, il tuo amore».
   «Tutto ciò che vuoi, mio Signore. Tu onori troppo la tua povera serva… Non merito tanto… Va’ in pace, Maestro e Dio. Io farò ciò che Tu vuoi…». Ma il dolore la vince e si abbatte col viso a terra — prima era sempre rimasta in ginocchio, rilassata sui calcagni, cogli occhi fissi sul volto di Gesù — si abbatte a terra, tutta coperta dal mantello dei suoi capelli corvini, e singhiozza forte: «Ma che dolore, Maestro! Oh! che dolore! Cosa finisce! Cosa finisce per il mondo! Cosa per noi che ti amiamo! Cosa per la tua serva! L’Unico! L’Unico che mi ha proprio amata! che non mi ha mai sprezzata! che non ha fatto il prepotente con me! che mi ha trattata come le altre, io così ignorante, povera, stolta! Oh! io e Marziam, perché a me lo ha detto Marziam per il primo, ci eravamo poi messi in pace… Tutti dicevano che non poteva esser vero… Tutti: Simone, Natanaele, Filippo… le loro donne… e loro sanno, loro sono sapienti… e Simone… eh! il mio Simone, se Tu lo hai scelto deve valere qualcosa!… e tutti! tutti dicevano che non può essere… Ma ora Tu lo dici, Tu lo dici… e non si può dubitare della tua paro­la…». È proprio desolata e commovente nel suo dolore.
   Gesù si curva sino a metterle una mano sul capo: «Non piangere così… Marziam sentirà… Lo so… Nessuno ci crede, nessuno vuol giungere a credere… e la stessa loro sapienza e lo stesso loro amore sono causa del loro non credere… Ma così è… Porfirea, Io me ne vado. Prima di lasciarti ti benedico per ora e per sempre. Pensa sempre che ti ho amata e che sono stato contento del tuo amore per Me. Non ti dico: persevera in esso. So che lo farai, perché il ricordo del tuo Maestro sarà sempre la tua dolcezza e in essa ti rifugerai. La tua dolcezza e la tua pace, anche nell’ora della morte. Pensa allora che il tuo Maestro è morto per aprirti il Paradiso e che ti attende là… Su, alzati. Io vado a svegliare Marziam e a trattenerlo. Tu cancella le tracce del tuo pianto e poi raggiungici. Giovanni mi attende per portarmi a Cafarnao. Se hai cose da mandare a Simone, preparale. Ricordati che egli necessiterà delle sue vesti pesanti….».
   Porfirea, vera creatura di sommissione e pronta ubbidienza, bacia i piedi di Gesù e fa l’atto di alzarsi; poi un’onda di amore le fa perdere la testa e, arrossendo vivamente, prende le due mani di Gesù e le bacia una, due, dieci volte. Poi si alza e lo lascia andare…

   465.6Gesù esce, sale sulla terrazza, penetra sotto una specie di padiglione fatto di vele tese su corde, sotto il quale sono i due giacigli. Marziam dorme ancora quasi a viso in giù, premuto sul piccolo guanciale. Non si vede che uno zigomo del viso brunetto e un braccio lungo e magro uscire dal lenzuolo che lo copre. Gesù si siede in terra presso il lettuccio e carezza lievemente le ciocche scomposte che ricadono sulla guancia pallida del dormente, il quale fa un movimento ma non si sveglia ancora. Gesù ripete l’atto e poi si china a baciare sulla fronte il volto che ora è scoperto. Marziam apre gli occhi e vede Gesù al suo fianco, curvo su di lui. Quasi non crede, forse pensa di sognare, ma Gesù lo chiama e allora il giovinetto sorge a sedere e si getta fra le braccia di Gesù, vi si rifugia…
   «Tu qui, Maestro?».
   «Sono venuto a prenderti per portarti con Me per qualche mese. Sei contento?».
   «Oh! E Simone?».
   «È a Cafarnao. Sono venuto Io e Giovanni…».
   «È tornato anche lui? Sarà felice! Gli darò ciò che ho scrit­to».
   «Non parlo di Giovanni di Endor, ma di Giovanni di Zebedeo. Non sei contento?».
   «Sì. Gli voglio bene. Ma anche all’altro… quasi di più…».
   «Perché, Marziam? Giovanni di Zebedeo è tanto buono».
   «Sì, ma l’altro è tanto infelice e io pure lo sono stato e un poco lo sono ancora… Fra gente che soffre ci si intende e ci si ama…».
   «Saresti contento di sapere che non soffre più e che è molto felice?».
   «Sì che lo sarei. Ma egli non può essere felice altro che se è con Te. Oppure… È forse morto, Signore?».
   «È nella pace e bisogna essere contenti di questo, senza egoismi, perché egli è morto da giusto e perché ora non c’è più separazione fra il suo spirito e il nostro. Abbiamo un amico di più che prega per noi».
   Marziam ha due lacrimoni sul viso, veramente molto smagrito e pallido, ma mormora: «È vero».
   Gesù non dice altro in merito, né fa osservazioni sullo stato fisico e morale di Marziam, che è visibilmente indebolito. Ma anzi dice: «Su, andiamo. Ho già parlato con Porfirea. Certo ha preparato le tue vesti. Mettiti in ordine tu pure, ché Giovanni ci attende. Faremo una sorpresa a Simone. Non è quella la sua barca che torna a Cafarnao? Forse ha pescato nel ritorno…».
   «È quella, sì. Dove andiamo, Signore?».
   «A settentrione e poi in Giudea».
   «Per tanto?».
   «Per tanto».
   Marziam, animato dall’idea di stare con Gesù, si alza lesto e scende di corsa a lavarsi nel lago, e torna con ancora i capelli umidi, gridando: «Ho visto Giovanni. Mi ha fatto un cenno di saluto. È alla foce, fra le canne…».
   «Andiamo».

   465.7Scendono. Porfirea sta finendo di chiudere due sacche e spiega: «Ho pensato di mandare poi le vesti pesanti. Per mio fratello, per i Tabernacoli, al Getsemani. Camminerete più spediti tanto te che il padre», e mentre finisce di legare le cinghie accenna a quanto ha preparato: latte, pane, frutta…
   «Prenderemo tutto e mangeremo in barca. Voglio andare prima che la riva si affolli. Addio, Porfirea. Dio ti benedica sempre e la pace dei giusti sia sempre in te. Vieni, Marziam»…
   Traversano presto il breve tratto di strada e, mentre Marziam va da Giovanni, Gesù va alla barca, subito raggiunto dai due che corrono fra i canneti e saltano in barca puntando subito il remo per mettersi in acqua fonda.
   Il breve tragitto è presto compiuto e si fermano sulla spiaggetta di Cafarnao, in attesa della barca di Pietro che sta per giungere. L’ora li salva dall’assedio della gente e possono mangiare in pace il loro pane e frutta, stesi sulla rena all’ombra della barca.
   Simone non conosce la barchetta e perciò, solo quando mette piede sulla riva e vede alzarsi da dietro la barca Gesù, si accorge di Lui.
   «Maestro! e tu, Marziam! Ma da quando?».
   «Da ora. Sono passato da Betsaida. Fa’ presto. Bisogna partire subito…».
   Pietro lo guarda e non dice nulla. Lui e i compagni scaricano la barca del pesce preso, delle sacche delle vesti, compresa quella di Giovanni che si può finalmente rivestire. E Simone chiede qualcosa al compagno, che gli fa cenno come dire: «Aspetta…».
   Vanno alla casa. Entrano. Gli apostoli rimasti accorrono.
   «Fate presto. Si va via subito. Prendete tutto perché non si torna qui», ordina Gesù.
   Gli apostoli si sbirciano fra loro e c’è una mimica di segni fra l’uno e l’altro gruppo. Ma ubbidiscono. Anzi io credo che lo facciano sollecitamente per poter parlare fra loro nelle altre stanze…

   465.8Gesù resta nella cucina con Marziam e si accomiata dai padroni di casa. Ma non dice loro: «Non torno più», e neppure lo dice, passando per la via, a chi di Cafarnao lo vede e saluta. Li saluta semplicemente, come fa tutte le volte che se ne va. Si ferma soltanto alla casa di Giairo. Ma Giairo non è ancora tornato…
   Incontra presso la fonte la vecchietta che abita vicino alla casa della madre del piccolo Alfeo, e le dice: «Fra poco verrà qui una vedova. Ti cercherà. Si stabilisce qui. Siile amica e amate molto il bambino e i suoi fratelli… Fatelo santamente, in nome mio…».
   Riprende ad andare dicendo: «Avrei voluto salutare tutti i bambini…».
   «Puoi farlo, Maestro. Perché non ti sei riposato? Sei molto stanco. Il tuo volto è pallido e hai l’occhio stanco. Ti farà male… Fa ancora caldo e Tu non hai certo dormito né a Tiberiade né là da Cusa…».
   «Non posso, Simone. Devo andare in alcuni luoghi e poco tempo c’è…».
   Sono presso la riva. Gesù chiama i garzoni di Pietro e li saluta, dando ordine che la barchetta sia riportata nel paese avanti Ippo e resa a Saul di Zaccaria.
   Prende la via ombrosa che costeggia il fiume. La segue sino ad un bivio e si inoltra per questa parte.
   «Dove andiamo, Signore?», chiede Simone che aveva parlato sottovoce sino allora con i compagni.
   «Da Giuda e Anna, e poi a Corozim. Voglio salutare i miei buoni amici…».
   Altra occhiata degli apostoli fra loro e altro parlottio sottovoce.

   465.9Infine Giacomo d’Alfeo si fa avanti e raggiunge Gesù, che è avanti a tutti con Marziam. «Fratello, non torniamo più da queste parti, che dici che vuoi salutare gli amici? Noi desideriamo saperlo».
   «Certo che ci tornerete. Ma fra molti mesi».
   «E Tu?».
   Gesù fa un gesto evasivo… Marziam si ritira discretamente, riunendosi agli altri. Ossia a tutti meno Giacomo d’Alfeo che è con Gesù e all’Iscariota che è solo, in coda, piuttosto cupo, come svogliato.
   «Fratello, che ti è accaduto?», dice Giacomo posando una mano sulla spalla di Gesù.
   «Perché lo chiedi?».
   «Perché… Non so. Tutti ce lo chiediamo. Ci sembri diverso… Sei venuto solo con Giovanni… Simone ha detto che eri stato ospite di Cusa… Non riposi… Non saluti che pochi… Sembra che Tu non voglia tornare qui… E il tuo volto… Non meritiamo più di sapere? Neppure io… Tu mi amavi… Mi hai detto cose che solo io so…».
   «Ti amo ancora. Ma non ho nulla da dire. Ho perduto un giorno più del previsto. Lo riguadagno».
   «Era necessario andare al settentrione?».
   «Sì, fratello».
   «Allora… Oh! Tu hai sofferto. Lo sento…».
   Gesù lo abbraccia, passando un braccio dietro le spalle del cugino: «È morto Giovanni di Endor. Lo sai?».
   «Me lo ha detto Simone mentre preparavo le vesti. E poi?…».
   «Mi sono separato da mia Madre».
   «E poi?». Giacomo, più basso di Gesù, lo guarda da sotto in su, insistente, indagatore.
   «E poi sono contento di essere con te, con voi, con Marziam. Lo terrò con Me qualche mese. Ne ha bisogno. È triste e sofferente. Lo hai visto?».
   «Sì. Ma non è nulla di questo… Non lo vuoi dire. Non importa. Ti voglio bene anche se non mi tratti da amico».
   «Giacomo, tu mi sei più che amico. Ma il mio cuore ha bisogno di riposare…».
   «E perciò di non parlare di ciò che ti è dolore. Ho capito. È Giuda che ti addolora?».
   «Giuda? Tuo fratello?».
   «No. L’altro».
   «Perché questa domanda?».
   «Non so. Mentre Tu eri via, Giuda è stato cercato più volte da un messo di non sappiamo chi. Egli lo ha sempre respinto, ma…».
   «In voi ogni atto di Giuda è sempre un delitto. Perché mancare alla carità?…».
   «Perché egli è così torvo, turbato. Sfugge i compagni. È svogliato…».
   «Lascialo fare. Da più di due anni è con noi e sempre è stato così… Pensa come saranno felici i due vecchi. E sai perché vado là? Voglio raccomandare loro il piccolo falegname di Corozim…».
   Si allontanano parlando. Dietro di loro, in gruppo, vengono gli apostoli, che hanno atteso Giuda per non lasciarlo indietro solo, nonostante sia così palesemente annoiato da non incitare proprio ad averlo seco.

[65] col crescere, invece di col schiarire, è correzione di MV su una copia dattiloscritta.