MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME VII CAPITOLO 468



CDLXVIII. Un ravvedimento di Giuda Iscariota e gli episodi che illustrano la sua figura.

   23 settembre 1944.

   468.1Dice Gesù:
   «Intanto ti dico che l’episodio di mercoledì (20-9)[71], se farete un’opera regolare, lo dovete collocare un anno avanti la mia morte, perché accadde al tempo della messe del mio 32° anno. Necessità di conforto e istruzione per te, diletta, e per altri, mi hanno costretto a seguire un ordine speciale nel dare le visioni e i dettati relativi. Ma vi indicherò, a suo tempo, come distribuire gli episodi dei tre anni di vita pubblica.
   L’ordine dei Vangeli è buono, ma non perfetto come ordine cronologico. Un osservatore attento lo nota. Colui che avrebbe potuto dare l’esatto ordine dei fatti, per esser stato meco dall’inizio della evangelizzazione alla mia ascesa, non lo ha fatto, perché Giovanni, figlio vero della Luce, si è occupato e preoccupato di far rifulgere la Luce attraverso la sua veste di Carne agli occhi degli eretici, che impugnavano la verità della Divinità chiusa in carne umana. Il Vangelo sublime di Giovanni ha raggiunto il suo scopo soprannaturale, ma la cronaca della mia vita pubblica non ne ha avuto aiuto. Gli altri tre evangelisti mostrano uguaglianze fra loro, come fatti, ma ne alterano l’ordine di tempo, perché di tre uno solo era stato presente a quasi tutta la mia vita pubblica: Matteo, e non l’aveva scritta che quindici anni dopo, mentre gli altri li scrissero più oltre ancora, e per averne udito il racconto da mia Madre, da Pietro, da altri apostoli e discepoli.
   Vi voglio dare una guida nel riunire i fatti del triennio, anno per anno. Ed ora vedi e scrivi. L’episodio segue quello di mercoledì (20-9)».

   
   468.2
Vedo Gesù che lentamente passeggia avanti e indietro per un sentieruolo campestre luminoso di luna. È luna piena. E splende col suo faccione ridente in un cielo serenissimo. Ma per la sua posizione nel cielo, nel quale inizia il tramonto, arguisco che deve esser oltre la mezzanotte.
   Gesù cammina pensando e pregando certo, per quanto io non oda parola. Ma non perde di vista le cose che gli sono intorno. Una volta si ferma ad ascoltare sorridendo il gran canto di un usignolo innamorato, che fa tutta una melodia di arpeggi e trilli e note da a-solo, ben tenute, così forti e lunghe che pare impossibile escano da quel piccolo essere tutto piuma. Per non turbarlo neppure col fruscio dei sandali sui piccoli ciottoli del sentiero e della veste sull’erba, Gesù si è fermato a braccia conserte e volto alzato e sorridente. Socchiude persino gli occhi per concentrarsi meglio nell’udire, e quando l’usignolo termina con un acuto che sale, che sale, sale per scala di terza (se dico bene, ricordando, non so) e finisce con una nota acutissima, tenuta finché il fiato regge, Egli approva e applaude mutamente curvando due o tre volte il capo con un sorriso contento.
   Ora invece si curva su un ciuffo di madreselva in fiore, che odora acutamente dai suoi mille e mille calici bianchi, simili a bocche sbadiglianti di serpe, nelle quali tremola la lingua dei pistilli giallognoli e brilla la ditata d’oro sul petalo inferiore. I fiori, sotto la luna, paiono ancor più bianchi, argentei quasi. Gesù li ammira e odora e li carezza con la mano.
   Torna sui suoi passi. Il luogo deve essere lievemente elevato, perché il chiaro di luna mostra a sud qualcosa che luccica come vetro bagnato di luna, uno spicchio di lago, certo, perché fiume non è e non è mare, dato che si vede che delle colline lo bordano al lato opposto a quello dove è Gesù. Gesù guarda quel placido brillio d’acque quiete nella calma della notte estiva. Poi fa un mezzo giro su Se stesso, da sud a ovest, e guarda un biancheggiare di paese, lontano al massimo un due chilometri, più meno che più. Un bel paesone. Si ferma a guardarlo e scuote il capo seguendo un pensiero che lo affligge molto.
   Poi riprende la sua passeggiata lenta ed il suo orare. Finché si siede su un grosso sasso, ai piedi di un albero molto alto, e prende la sua posizione solita, coi gomiti sulle ginocchia e gli avambracci in fuori, con le mani unite in preghiera.

   468.3Sta così qualche tempo e vi starebbe di più se un uomo, un’ombra, non avanzasse dal folto verso di Lui e lo chiamasse: «Maestro?».
   Gesù si volge, poiché chi avanza viene da dietro a Gesù, e dice: «Giuda? Che vuoi?».
   «Dove sei, Maestro?».
   «Ai piedi del noce. Vieni avanti». E Gesù si alza e si fa sul sentiero, nel chiaro di luna, perché Giuda lo possa vedere. «Sei venuto, Giuda, a fare un poco di compagnia al tuo Maestro?». Ora sono vicini, e Gesù pone con affetto un braccio sulla spalla del discepolo. «Oppure vi è bisogno di Me in Corazim?».
   «No, Maestro. Nessun bisogno. Ho avuto desiderio di venire da Te».
   «Vieni allora. C’è posto per tutti e due su questo sasso».
   Si siedono ben vicini. Silenzio. Giuda non parla. Guarda Gesù. Lotta. Gesù lo vuole aiutare. Lo guarda dolcemente, ma acutamente.
   «Che bella notte, Giuda! Guarda come tutto è puro! Io credo che più pura non fu la prima notte che rise sulla Terra e sul sonno di Adamo nel terrestre Paradiso. Senti come odorano quei fiori. Fiutali. Ma non ne cogliere. Sono tanto belli e puri! Me ne sono astenuto Io pure, perché coglierli è profanarli. È sempre male usare violenza. Alla pianta come all’animale. All’animale come all’uomo. Perché levare la vita? Così bella la vita quando è spesa bene!… E quei fiori la spendono bene perché odorano, rallegrano coi loro aspetti e profumi, dànno miele alle api e alle farfalle e cedono a queste l’oro dei loro pistilli per mettere delle piccole gocce di topazio sulla perla delle ali, e fanno da letto ai nidi… Se eri qui poco fa sentivi un usignolo cantare così dolcemente la sua gioia di vivere e di lodare il Signore. Cari uccellini! Come sono d’esempio agli uomini! Di poco si appagano, e solo di ciò che è lecito e santo. Un granello e un vermolino perché il Padre Creatore lo dà loro; e se non c’è non sentono ira o sdegno, ma ingannano la fame della carne coll’empito del cuore, che li fa cantare le lodi del Signore e le gioie della speranza. Son felici di esser stanchi per aver volato dall’alba a sera per farsi un nido, tepido, morbido, sicuro, non per egoismo, ma per amor di prole. E cantano per la gioia di amarsi con onestà. L’usignolo per l’usignola e ambi per i figli. Gli animali sono sempre felici, perché non hanno rimorsi e rimproveri nel loro cuore. Noi li facciamo infelici perché l’uomo è cattivo, irrispettoso, prepotente, crudele. E non gli basta esserlo coi suoi simili. Trabocca la sua cattiveria sugli inferiori. E più ha dentro dei rimorsi, più la sua coscienza lo punge, e più incrudelisce sugli altri. Sono certo, per esempio, che quel cavaliere che oggi spronava a sangue il suo cavallo così sudato e stanco, e lo frustava sino a fargli alzare il pelo a righe sul collo e sui fianchi, e fin su quelle così morbide froge e sulle scure palpebre che si chiudevano dolenti sugli occhi così rassegnati e dolci, non aveva l’anima tranquilla. O andava a un delitto verso l’onestà o ne veniva». Gesù tace e pensa.

   468.4Giuda tace. Pensa anche lui. Poi parla: «Come è bello, Maestro, udirti parlare così! Tutto si illumina agli occhi, alla mente, al cuore… e tutto torna facile. Anche dire: “Voglio esser buono!”. Anche dirti… anche dirti… dirti: “Maestro, io pure sono con l’anima turbata! Non aver ribrezzo di me, Maestro, Tu che ami tanto chi è puro!”».
   «Oh, mio Giuda! Io ribrezzo? Amico, figlio, che hai che ti turba?».
   «Tienimi con Te, Maestro. Tienimi stretto… Ho giurato d’esser buono dopo che Tu mi hai così dolcemente parlato. Ho giurato di tornare il Giuda dei primi giorni, che ti seguivo e che ti amavo come sposo ama la sua sposa, e non vagheggiavo che Te, trovando in Te ogni appagamento. Ti amavo così, Gesù…».
   «Lo so… e ti ho amato per questo… Ma ti amo ancora, o mio povero amico ferito…».
   «Come sai che lo sono? Sai di che?…».
   Silenzio. Gesù guarda Giuda con un occhio così dolce… Pare che un pianto lo faccia più largo e dolce, temperandone il fulgore. Un occhio di bimbo innocente e inerme che si dona tutto nell’amore.
   Giuda gli scivola ai piedi, col volto sulle ginocchia e le braccia strette ai fianchi, e geme: «Tienimi con Te, Maestro… tienimi… La mia carne urla come un demonio… e se cedo ecco che viene tutto il male… So che Tu sai e che però attendi che io dica… Ma è duro, Maestro, dire: “Ho peccato”».
   «Lo so, amico. Per questo bisognerebbe agire bene. Per non dover poi avvilirsi a dire: “Ho peccato”. Ma però, Giuda, è anche in questo una grande medicina. Il dover fare sforzo nel dire la colpa trattiene dalla stessa; e se si è compiuta, la pena dell’accusarsi è già penitenza che redime. Se poi uno soffre non tanto per orgoglio di sé e per paura del castigo, ma perché sa che mancando ha dato dolore, allora, Io te lo dico, la colpa si annulla. È l’amore che salva».
   «Io ti amo, Maestro. Ma sono tanto debole… Oh! Tu non mi puoi amare! Tu sei puro e ami i puri… Non mi puoi amare, perché io sono… io sono…

   468.5Oh! Gesù, levami la fame del senso! Lo sai che demonio è?».
   «Lo so. Non l’ho esaudita, ma so che voci ha».
   «Lo vedi? Lo vedi? Ne hai tanto ribrezzo che solo nel dirlo il tuo volto si sconvolge…… Oh! non mi puoi perdonare!».
   «Giuda. E non ricordi Maria? E non Matteo? E non quel pubblicano divenuto lebbroso? E non quella donna, meretrice romana, alla quale profetizzai sorte nel Cielo, perché dopo il mio perdono avrà forza di vita santa?».
   «Maestro… Maestro… Maestro… Oh! che male ho in cuore!… Questa sera sono fuggito… fuggito da Corazim… perché se rimanevo… se rimanevo… ero perduto. Sai… è come chi beve e diviene malato… Il medico gli leva il vino e ogni bevanda inebbriante, e colui guarisce e sta sano finché non risente quel sapore… Ma se cede, una volta sola, e ne risente sapore… gli viene una sete… una sete di quel bere… che non resiste più… e beve e beve… e torna malato… malato per sempre… folle… posseduto… posseduto da quel suo demone… da quel suo demone… Oh! Gesù, Gesù, Gesù!… Non lo dire agli altri… Non lo dire… Ho vergogna di tutti…».
   «Ma non di Me».
   Giuda capisce male. «È vero! Perdono! Dovrei aver più vergogna di Te che d’ogni altro, perché Tu sei perfetto…».
   «No, figlio. Non dicevo questo. Il tuo dolore, la tua angoscia, il tuo avvilimento non ti facciano velo. Ho detto che di tutti ti puoi vergognare. Ma non di Me. Un figlio non ha paura e vergogna del padre buono, e un malato di un medico valente. E all’uno e all’altro va la confessione senza timore, poiché uno ama e perdona, l’altro capisce e guarisce. Io ti amo e capisco. Perciò ti perdono e guarisco. Ma dimmi, Giuda. Cosa è che ti dà nelle mani del tuo demone? Io? I fratelli? Le donne di vizio? No. È la tua volontà. Ora Io ti perdono e guarisco… Che gioia mi hai data, o mio Giuda! Già tanto gioivo di questa notte serena, profumata, lieta di canti, e ne lodavo il Signore. Ma ora la gioia che tu mi dài supera questo chiaro di luna, questi profumi, questa pace, questi canti. Senti? L’usignolo pare si unisca per dirti con Me che è felice del tuo buon volere, lui, il piccolo canoro, così pieno di buon volere per fare ciò per cui fu creato. E anche questo primo vento del mattino, che passa sui fiori e li desta, facendo scivolare nel cavo del calice un diamante di rugiada perché la trovino fra poco la farfalla e il raggio di sole, ed una se ne faccia ristoro e l’altro esiguo specchio al suo gran fulgore. Guarda: la luna tramonta. L’alba si annuncia con questo canto lontano di gallo. Le tenebre della notte e le fantasime della notte dileguano. Vedi come è passato veloce e dolce il tempo che, se non fossi venuto a Me, sarebbe passato fra disgusto e rimorso? Vieni sempre, quando hai paura di te. Il proprio io!!! Grande amico, grande tentatore, grande nemico e grande giudice, Giuda! E, vedi? Mentre è amico sincero e fedele se fosti buono, sa essere amico insincero se buono non sei, e dopo esserti stato complice si eleva a giudice inesorabile e ti tortura coi suoi rimproveri… Lui è feroce nel
   rimproverare… Non Io!

   468.6Ebbene, andiamo. La notte è passata…».
   «Maestro, io non ti ho lasciato riposo… e oggi dovrai tanto parlare…».
   «Ho riposato nella gioia che tu mi hai dato. Non ho riposo migliore di quello di dire: “Oggi ho salvato un che periva”. Vieni, vieni… Scendiamo a Corazin! Oh! se questa città sapesse imitarti, Giuda!».
   «Maestro… che dirai ai miei compagni?».
   «Nulla se non chiedono… Se chiedono dirò che parlammo delle misericordie di Dio… È argomento vero e così sconfinato che la più lunga vita non basta a svolgerlo. Andiamo…». E scendono, alti, diversamente belli ma ugualmente giovani, l’Uno presso l’altro, e scompaiono dietro ad un gruppo d’alberi…

   468.7Dice Gesù:
   «È episodio di misericordia come quelli[72] della Maddalena. Ma, se farete un libro, meglio sarà se mettete ordinatamente di fila le epoche anziché le categorie, limitandovi a dire in testa o in calce ad ogni episodio a quale categoria appartiene.
   Perché illustro la figura di Giuda? Molti se lo chiederanno. Rispondo.
   La figura di Giuda è stata troppo svisata nei secoli. E ultimamente snaturata del tutto. Ne hanno, in certe scuole, fatto quasi l’apoteosi come dell’artefice secondo e indispensabile della Redenzione.
   Molti, poi, pensano che egli piegò ad un improvviso, feroce assalto del Tentatore. No. Ogni caduta ha premesse nel tempo. Più la caduta è grave e più ha una preparazione. Gli antefatti spiegano il fatto. Non si precipita e non si sale d’improvviso. Né nel bene. Né nel male. Vi sono coefficienti lunghi e insidiosi alle discese, e pazienti e santi alle ascese. E lo sventurato dramma di Giuda può darvi tanti insegnamenti per salvarvi, e conoscere il metodo di Dio e le sue misericordie per salvare e perdonare coloro che scendono verso l’Abisso. Non si arriva al delirio satanico, in cui hai visto dibattersi Giuda dopo il Delitto, se non si è tutti corrotti da aliti di Inferno, aspirati per anni con voluttà. Quando uno compie anche un delitto, ma tratto ad esso da un improvviso evento che ne sconvolge ragione, soffre ma sa espiare; perché ancor delle parti del cuore sono sane da veleno infernale.
   Al mondo che nega Satana, perché l’ha tanto in sé da non accorgersi più di esso, l’ha aspirato ed è divenuto parte dell’ io, Io mostro che Satana è. Eterno e immutabile nel metodo usato per fare di voi le sue vittime.
   Basta ora. Tu sta’ con la mia pace».

[71] l’episodio di mercoledì (20-9) è riportato al capitolo 406. Quello del presente capitolo lo segue (come si legge più sotto) nella serie di alcuni episodi dati per illustrare la figura di Giuda Iscariota, ma non lo segue immediatamente nella narrazione completa dei fatti della vita pubblica di Gesù. Della personalità di Giuda si parla, per esempio, in: 70.8 - 81.7 - 85.5 - 101.2/3 - 113.4 - 121.4 - 122.3 - 139.2 - 214.6 - 216.4 - 262.7 - 296.4 - 313.3 - 365.16 - 565.16.
[72] quelli, che sono segnalati in nota a 174.11.