MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME VII CAPITOLO 471



CDLXXI. Filippo si esalta pensando all’èra messianica. Respinto l’invito ad andare a Giscala, Gesù illustra la nozione del peccato al levita Giuseppe detto Barnaba.

   10 agosto 1946.

   471.1È dolce la sosta sul piccolo pianoro. Ma è prudente scendere a valle mentre dura il giorno, perché la notte sarebbe precoce e oscura sotto quel folto d’alberi che copre il monte.
   Gesù si alza per il primo e va a rinfrescarsi il volto, le mani e i piedi nel minuscolo rio che crea la piccola sorgiva. Poi chiama i suoi apostoli, addormentati fra l’erba, invitandoli a prepararsi ad andare. E mentre essi lo imitano, uno dopo l’altro, lavandosi nel fresco rio e riempiendo le borracce al filo d’acqua che sgorga dal masso, Egli va ad attenderli al limite del praticello, presso i due alberi secolari che lo limitano ad est, e guarda l’orizzonte lontano.
   Lo raggiunge per primo Filippo e, guardando là dove il suo Maestro guarda, gli dice: «Bella questa vista! Tu l’ammiri…».
   «Sì. Ma non guardavo soltanto la sua bellezza».
   «E che, allora? Forse pensavi a quando sarà grande Israele, di quei luoghi oltre il Libano e l’Oronte, che nei secoli ci afflissero e ancora sono afflizione, perché là risiede il cuore della potenza che ci opprime col Legato? Tremenda è infatti la profezia su loro di uno e più profeti: “Schiaccerò l’assiro nella mia terra, lo calpesterò sulle mie montagne… Questa è la mano stesa sulle nazioni… E chi potrà trattenerla?… Ecco, Damasco cesserà di essere e resterà come un mucchio di pietre di una rovina… Questo è ciò che toccherà a coloro che ci hanno saccheggiati”. Isaia parla[74]! E parla Geremia: “Metterò il fuoco sulle mura di Damasco e divorerà le mura di Benadab”. E ciò avverrà quando il Re d’Israele, il Promesso, prenderà il suo scettro, e Dio avrà perdonato al suo popolo col dargli il Re Messia… Oh! lo dice Ezechiele! “Voi, montagne d’Israele, gettate i vostri rami, portate i vostri frutti per il mio popolo d’Israele, perché è vicino a tornare… A voi ricondurrò il mio popolo ed essi ti avranno in possesso ereditario… Non farò più sentire contro te gli oltraggi delle nazioni…”. Ed i salmi cantano con Etan Esraita: “Ho trovato il mio servo Davide e l’ho unto col mio olio santo. La mia mano l’assisterà… Nulla potrà contro lui il nemico… Nel mio nome crescerà in potenza… Stenderà sul mare la sua mano, sopra i fiumi la sua destra… E Io lo farò primogenito, il sovrano fra i re della Terra”. E Salomone canta: “Durerà quanto il sole e la luna… Dominerà da mare a mare, e dal fiume sino all’estremità della Terra… Lo adoreranno tutti i re della Terra, tutti i popoli gli saran soggetti…”. Tu, Messia perché in Te sono tutti i segni dello spirito e della carne, tutti i segni dati dai profeti. Alleluia a Te, Figlio di Davide, Re Messia, Re santo!».
   «Alleluia!», gridano in coro gli altri, che si sono riuniti a Gesù e a Filippo e hanno sentito le parole di questo. E l’alleluia si ripercuote, per eco, di gola in gola, di colle in colle…
   Gesù li guarda, mestissimo… E dice in risposta: «Ma non ricordate ciò che dice Davide del Cristo, e ciò che del Cristo dice Isaia… Prendete il dolce miele, l’inebbriante vino dai profeti… ma non pensate che per essere Re dei re il Figlio dell’uomo dovrà bere il fiele e l’aceto e vestirsi con la porpora del suo Sangue… Ma non è colpa vostra se non capite… E il vostro errore nel capire è amore. Vorrei in voi un altro amore. Ma per ora non potete… Secoli di peccato sono contro gli uomini a impedire in loro la Luce. Ma la Luce abbatterà le muraglie ed entrerà in voi…

   471.2Andiamo».
   Ritornano sulla mulattiera, che avevano lasciata per salire al remoto pianoro, e scendono lesti verso la valle. Gli apostoli parlano fra loro sottovoce…
   Poi Filippo corre avanti, raggiunge il Maestro, chiede: «Ti ho spiaciuto, Signore? Non volevo… Sei in rancore con me?».
   «No, Filippo. Ma vorrei che almeno voi comprendeste…».
   «Guardavi là con tanto desiderio…».
   «Perché pensavo a quanti luoghi non mi hanno ancora avuto. E non mi avranno… perché il mio tempo fugge… Come è breve il tempo dell’uomo! E come è lento l’uomo nel fare!… Come lo spirito sente queste limitazioni della Terra!… Ma… Padre, sia fatta la tua volontà!».
   «Però tutte le regioni delle vecchie tribù le hai percorse, Maestro mio. Almeno una volta le hai santificate, onde si può dire che hai raccolto in pugno le dodici tribù…».
   «Ciò è vero. Voi, poi, farete ciò che il tempo non mi ha lasciato fare».
   «Tu che fermi i fiumi e calmi i mari, non potresti rallentare il tempo?».
   «Potrei. Ma il Padre in Cielo, il Figlio in Terra, l’Amore in Cielo e in Terra ardono di compiere il Perdono…», e Gesù si immerge in una meditazione profonda, che Filippo rispetta lasciandolo solo e riunendosi ai compagni, ai quali riferisce il suo dialogo.

   471.3…La valle è ormai prossima e già si vede una strada, una vera strada maestra che venendo da sud procede verso ovest, facendo curva proprio ai piedi del monte per seguirne la base e proseguire poi diritta verso un bel paese adagiato fra il verde presso un fiumiciattolo, che presentemente non è che una sassaia che fra sasso e sasso drizza qualche resistente canneto, specie al centro dove un filo, proprio un filo d’acqua, si ostina a scorrere verso mare.
   Si riuniscono tutti prima di prendere la via maestra, ma non hanno fatto che pochi metri quando due uomini vengono loro incontro con cenni di saluto.
   «Due discepoli dei rabbi, e uno è levita. Che vogliono?», dicono fra loro gli apostoli per nulla contenti dell’incontro. Io non so da che deducano che sono discepoli e che uno è levita. Non capisco ancora bene il linguaggio dei fiocchi e delle frange e altri segreti del vestiario israelita.
   Gesù, quando è a due metri circa dai due e quando non è possibile nessun equivoco, perché la via è ormai libera dei viandanti che a piedi o su cavalcature si affrettavano verso il paese, risponde al saluto ripetuto e si ferma in attesa.
   «La pace a Te, Rabbi», dice ora a voce il levita che prima si era limitato a profondi inchini.
   «La pace a te. E a te», dice Gesù rivolgendosi all’altro.
   «Sei Tu il Rabbi di nome Gesù?».
   «Lo sono».
   «Una donna è entrata avanti sesta in città e ha detto di aver parlato per via con un rabbi più grande di Gamaliele, perché oltre che sapiente è buono. La cosa è giunta a noi e i maestri ci hanno mandato, tutti quanti eravamo e sospendendo la partenza verso Gerusalemme, per trovarti. Due ad ogni strada che da Giscala scende sulle vie del piano. A loro nome e a nostro mezzo ti dicono: “Vieni nella città, ché ti vogliamo interrogare”».
   «E per qual motivo?».
   «Perché Tu sentenzi su un fatto accaduto in Giscala, del quale durano le conseguenze».
   «E non avete i grandi dottori d’Israele per sentenziare? Perché rivolgersi al Rabbi sconosciuto?».
   «Se sei Colui che dicono i rabbi, Tu non sei sconosciuto. Non sei Tu Gesù di Nazaret?».
   «Lo sono».
   «La tua sapienza è nota ai rabbi».
   «E a Me è noto il loro astio verso di Me».
   «Non in tutti, Maestro. Il più grande e giusto non ti odia».
   «Lo so. Neppure mi ama. Mi studia. Ma rabbi Gamaliele è in Giscala?».
   «No. È già partito per essere a Sefori avanti il sabato. Partito subito dopo il giudizio».
   «E allora perché mi cercate? Io pure devo rispettare il sabato e appena posso giungere in tempo a quel luogo. Non mi trattenete oltre».
   «Hai paura, Maestro?».
   «Non ho paura, perché so che nessuna potestà è data per ora ai miei nemici. Ma lascio ai sapienti la gioia di giudicare».
   «Che vuoi dire?».
   «Che Io non giudico. Io perdono».
   «Tu sai giudicare meglio d’ogni altro. Gamaliele lo ha detto. Ha detto: “Solo Gesù di Nazaret giudicherebbe con giustizia qui”».
   «Sta bene. Ma ormai avete giudicato. E la cosa non ha più riparo. Io avrei dato giudizio di far calmare le passioni prima di colpire. Se c’era colpa, il colpevole poteva pentirsi e redimersi. Se colpa non c’era, non sarebbe accaduto il supplizio che per qualcuno è, agli occhi di Dio, uguale ad omicidio premeditato».
   «Maestro! Ma come sai? La donna ha giurato che hai parlato con lei solo delle sue cose… e… Tu sai… Sei allora veramente profeta?».
   «Io son chi sono. Addio. La pace a te. Il sole si curva verso occidente», e gli volge le spalle andando verso il paese.
   «Bene hai fatto, Maestro! Certo ti insidiavano!». Gli apostoli sono solidali col Maestro.

   471.4Ma le loro lodi, le loro ragioni sono troncate dai due di prima, che li raggiungono supplicando Gesù di risalire a Giscala.
   «No. Il tramonto mi coglierebbe per via. Dite a chi vi manda che Io osservo la Legge, sempre, quando l’osservarla non lede il comandamento più grande di quello sabatico: quello dell’amo­re».
   «Maestro, Maestro, te ne supplichiamo. Qui proprio è caso di amore e giustizia. Vieni con noi, Maestro».
   «Non posso. E neppur voi potete risalire in tempo».
   «Abbiamo licenza di farlo per questo caso».
   «E che? Si è alzata la voce se Io guarivo un malato e lo assolvevo in sabato, e a voi è concesso di violare il sabato per un’oziosa disputa? Ci sono forse due misure in Israele? Andate! Andate! E lasciatemi andare».
   «Maestro, Tu sei profeta. Tu sai perciò. Io lo credo e costui lo crede. Perché ci respingi?».
   «Perché!…». Gesù li guarda fisso fisso, fermandosi. I suoi occhi severi, che trafiggono e penetrano oltre i veli della carne a leggere i cuori, guardano dominatori i due che ha davanti. E poi i suoi occhi, così insostenibili nel rigore, così dolci nell’a­mo­re, cambiano sguardo e prendono una espressione così amorosa, così misericordiosa che, se prima il cuore tremava di timore per lo sguardo potente, ora trema di emozione davanti al brillare dell’amore del Cristo. «Perché!», ripete… «Non Io, ma gli uomini respingono il Figlio dell’uomo, e questo deve diffidare dei suoi fratelli. Ma a chi non ha malizia nel cuore Io dico: “Venite”, e dico anche: “Amatemi” a coloro che mi odiano…».
   «E allora, Maestro…».
   «E allora Io vado al paese per il sabato».
   «Attendici, almeno».
   «Al tramonto del sabato parto. Non posso attendere».

   471.5I due si guardano, si consultano restando indietro; poi uno, quello dal volto più aperto e che ha quasi sempre parlato lui, torna di corsa. «Maestro, io resto con Te sino a dopo il sabato».
   Pietro, che è a fianco di Gesù, gli tira la veste obbligandolo a voltarsi dalla sua parte e gli sussurra: «No. Una spia». Giuda Taddeo alle spalle del cugino sibila: «Diffida». Natanaele, che è andato avanti con Simone e Filippo, si volta e fa gli occhiacci per dire: «No». Persino i due più fidenti, Andrea e Giovanni, fanno cenno di no col capo da dietro le spalle dell’importuno.
   Ma Gesù non tiene conto delle loro sospettose paure e risponde brevemente: «Resta», e gli altri si devono rassegnare.
   L’uomo, contento, si sente meno estraneo, sente il bisogno di dire il suo nome, chi è, perché è in Palestina, lui nato nella Diaspora, ma consacrato a Dio dalla nascita perché fu «consolazione ai parenti» che, grati al Signore d’averlo, lo affidarono ai parenti in Gerusalemme perché fosse del Tempio, e là, servendo la Casa di Dio, conobbe il rabbi Gamaliele e ne divenne discepolo attento e amato: «Mi hanno chiamato Giuseppe perché come l’antico[75] ho levato alla madre la pena di esser sterile. Ma la madre sempre mi diceva “mia consolazione” mentre mi nutriva, e Barnaba son divenuto, per tutti. Anche il grande rabbi mi chiama così, perché egli si consola nei discepoli migliori».
   «Fa’ che tale ti dica anche Dio, anzi soprattutto ti chiami così Dio», dice Gesù.

   471.6Entrano in paese.
   «Sei pratico?», chiede Gesù.
   «No. Non ci sono mai stato. È la prima volta che vengo qui, in Neftali. Mi ha portato seco, con altri, il rabbi, perché sono rimasto solo…».
   «Hai Dio ad amico?».
   «Lo spero. Cerco di servirlo come meglio posso».
   «Allora non sei solo. Solo è il peccatore».
   «Posso peccare io pure…».
   «Tu, discepolo di un grande rabbi, sai certo le condizioni per cui un’azione diviene peccato».
   «Tutto, Signore, è peccato. L’uomo pecca continuamente. Perché sono più i precetti dei momenti del giorno. E non sempre il pensiero e le circostanze ci aiutano a non peccare».
   «In verità anzi le circostanze, soprattutto esse, sovente ci inducono a peccare. Ma hai chiaro il concetto del principale attributo di Dio?».
   «Giustizia».
   «No».
   «Potenza».
   «Neppure».
   «…Rigore».
   «Men che mai».
   «Eppure… ciò fu sul Sinai e poi ancora…».
   «Allora fu visto l’Altissimo fra i fulmini. Essi cingevano di aureole tremende il volto del Padre e Creatore. In verità voi non conoscete il vero volto di Dio. Se lo conosceste, e se ne conosceste lo spirito, sapreste che il principale attributo di Dio è l’Amore, e Amore misericordioso».
   «So che l’Altissimo ci ha amati. Siamo il popolo eletto. Ma servirlo è tremendo!».
   «Se tu conosci che Dio è Amore, come puoi dirlo tremen­do?».
   «Perché peccando noi perdiamo il suo amore».
   «Ti ho chiesto avanti se tu sai le condizioni per cui un’azione diviene peccato».
   «Quando non è azione dei seicentotredici precetti, delle tradizioni, delle decisioni, consuetudini, benedizioni e preghiere, oltre le dieci imposizioni della Legge, oppure non è come gli scribi insegnano queste cose, allora è peccato».
   «Anche se l’uomo non lo fa con piena avvertenza e perfetto consenso della volontà?».
   «Anche. Perciò chi può dire: “io non pecco”? Chi può sperare di aver pace in Abramo alla sua morte?».

   471.7«Sono gli uomini perfetti nello spirito?».
   «No. Perché Adamo peccò e noi abbiamo quella colpa in noi. Essa ci fa deboli. L’uomo ha perduto la Grazia del Signore, unica forza per reggerci…».
   «E il Signore lo sa?».
   «Egli tutto sa».
   «E allora credi tu che Egli non abbia misericordia tenendo conto di ciò che indebolisce l’uomo? Credi tu che Egli esiga dai colpiti ciò che poteva esigere dal primo Adamo? In ciò sta la differenza che voi non considerate. Dio è Giustizia, sì. È Potenza, sì. Può essere anche Rigore per l’impenitente che continua nel suo peccare. Ma quando Egli vede che un suo fanciullo — tutti fanciulli sulla Terra, che è un’ora di eternità per lo spirito, il quale si fa adulto al suo esame spirituale di maggiorenne eterno nel giudizio particolare — quando Egli vede che un suo fanciullo manca perché svagato, perché tardo nel saper discernere, perché poco istruito, perché debole tanto in una o in più cose, pensi tu che il Padre Ss. lo possa giudicare con inesorabile rigore? Tu lo hai detto. L’uomo ha perduto la Grazia, forza per reagire alla Tentazione e agli appetiti. E Dio lo sa. E non bisogna tremare di Dio e fuggirlo come Adamo dopo la colpa. Ma ricordarsi che Egli è Amore. Il suo volto splende sugli uomini, ma non per incenerirli. Bensì per confortarli come il sole conforta coi suoi raggi. L’amore, non il rigore raggia da Dio. Raggi di sole, non saettar di fulmini. E del resto… Cosa, di suo, ha imposto l’Amore? Una soma che non si può portare? Un codice dagli innumerabili capitoli che si possono dimenticare? No. Dieci soli comandi. Per tenere l’animale uomo imbrigliato come puledro che senza briglie va a rovina. Ma quando l’uomo sarà salvato, quando gli sarà resa la Grazia, quando sarà il Regno di Dio, ossia il Regno dell’amore, ai figli di Dio e sudditi del Re sarà dato un solo comando e in esso tutto sarà: “Ama il tuo Dio con tutto te stesso e il tuo prossimo come te stesso”. Perché credi, o uomo, che Dio-Amore non può che alleggerire il giogo e renderlo dolce, e l’amore renderà dolce il servire Dio, non più temuto, ma amato. Amato soltanto, amato per Se stesso e amato nei fratelli nostri. Come sarà semplice la Legge ultima! Così come è Dio, che è perfetto nella sua semplicità. Senti: ama Dio con tutto te stesso, ama il tuo prossimo come te stesso. Medita. I pesanti seicentotredici precetti e tutte le preghiere e benedizioni non sono già enumerate in queste due frasi, spogliandosi dei cavilli inutili che non sono religione, ma schiavitù verso Dio? Se ami Dio, certo lo onori a tutte le ore. Se ami il prossimo, certo non fai cosa a lui dolorosa. Non menti, non rubi, non uccidi o ferisci, non sei adultero. Non è così?».

   471.8«Così è… Maestro giusto, io vorrei stare con Te. Ma Gamaliele ha già perso per Te i migliori discepoli… Io…».
   «Non è ancora l’ora che tu venga a Me. Quando essa sarà, il tuo stesso maestro te lo dirà, perché egli è un giusto».
   «Lo è, vero? Tu lo dici?».
   «Lo dico perché è verità. Non sono uno che abbatte per alzarsi sull’abbattuto. Riconosco ad ognuno il suo… Ma ci chiamano… Certo hanno trovato gli alloggi per noi. Andiamo…».

[74] Isaia parla, in Isaia 14, 25-27; 17, 1.14; parla Geremia, in Geremia 49, 27; dice Ezechiele, in Ezechiele 36, 8.12.15 . Seguono, sempre per bocca di Filippo, citazioni da: Salmo 89, 21-28; Salmo 72, 5-11; e per bocca di Gesù: Salmo 69, 22; Isaia 63, 1-3 .
[75] l’antico, cioè il Giuseppe di Genesi 30, 22-24; Barnaba son divenuto, come si legge in Atti 4, 36 .