MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME VII CAPITOLO 473



CDLXXIII. Guarigione di un bambino cieco di Sidone e un insegnamento per le mogli di oggi.

   15 agosto 1944.
   […]

   473.1Vedo Gesù che, circondato dagli apostoli e da popolo, esce da una sinagoga. Capisco che è una sinagoga perché dalla porta spalancata vedo lo stesso ammobigliamento che ho visto in quella di Nazareth, in una delle visioni preparatorie alla Passione.
   La sinagoga è sulla piazza centrale del paese. Una piazza nuda, senza altro che case intorno, una vasca al centro, alimentata da una fontana che getta una bell’acqua limpida da un’unica bocca fatta di una pietra scavata a tegolo. La vasca serve ad abbeverare i quadrupedi e i molti colombi che svolazzano da casa a casa, la fonte ad empire le brocche delle donne, belle anfore di rame, molte lavorate a martello, altre lisce, che splendono al sole. Perché vi è sole e caldo. La terra della piazza è asciutta, giallognola come è quando un gran sole la secca. Non vi è neanche un albero sulla piazza. Ma ciuffi di fichi e tralci d’uva traboccano dai muretti degli orti, che si allungano nelle quattro vie che sboccano sulla piazza. Deve essere una fine d’estate e una fine di giornata. Perché sulle pergole vi è uva matura e il sole non cade a perpendicolo ma ha i raggi obliqui del tramonto.
   Sulla piazza dei malati attendono Gesù. Non vedo però fra questi nessun miracolo. Egli passa, si curva su loro, li benedice e conforta, ma non li risana, almeno in quel momento. Vi sono anche donne con dei bambini e uomini di ogni età. Paiono noti al Salvatore, perché Egli li saluta a nome ed essi gli si affollano intorno con confidenza. Gesù carezza i bambini curvandosi amo­rosamente su loro.

   473.2In un angolo della piazza è una donna con un bambino o bambina (sono vestiti tutti di una uguale tunichella a colori chiari). Non pare del luogo. Direi che è di condizione sociale più elevata degli altri. La veste è più lavorata, con galloni e pieghe; non è la semplice tunica delle popolane, che ha un cordone alla vita per unico ornamento e modellatura della veste. Questa donna ha invece un abito più complicato che, senza essere il capolavoro di vestiario che erano quelli della Maddalena, è già molto aggraziato. In testa un velo leggero, molto più di quello che hanno le altre, il quale non è che un lino sottile, mentre questo invece è quasi una mussola tanto è lieve. Esso è appuntato a metà testa, con grazia, e lascia vedere e intravvedere la capigliatura castana ben pettinata, con ciocche intrecciate semplicemente ma con una cura più esperta di quella delle altre donne, che hanno delle trecce in groppo sulla nuca o passate a cerchio sul capo. Sulle spalle un mantello vero e proprio, ossia una stoffa non so se cucita o tessuta in tondo, che intorno al collo ha un gallone finito in una fermatura d’argento. La stoffa del mantello cade ampia sino al malleolo con belle pieghe.
   La donna ha per mano il bambino o bambina che ho detto. Un bel bambino di un sette anni circa. È anche robusto, ma per niente vivace. Sta quieto quieto, a capo chino, per mano della mamma, senza occuparsi di quanto avviene.
   La donna guarda, ma non osa avvicinarsi al gruppo che si è stretto intorno a Gesù. Pare indecisa, in contrasto fra la voglia di andare e la tema di farsi avanti. Ma poi decide una cosa di mezzo: attirare l’attenzione di Gesù. Vede che Questo ha preso fra le braccia un bambolone tutto roseo e ridente che una madre gli ha offerto e che, parlando ad un vecchietto, se lo stringe al cuore con moto di cuna. Si curva sul suo bambino e gli dice qualche cosa.
   Il bambino alza il capo. Vedo allora un visetto triste, dagli occhi chiusi. È cieco. «Pietà di me, Gesù!», dice. La vocina infantile incrina l’aria ferma della piazza e va, col suo lamento, sino al gruppo.

   473.3Gesù si volge e vede. Si muove subito. Con una sollecitudine amorosa. Non consegna neppure il pargolo, che ha in braccio, alla madre. Va, alto e bellissimo, verso il povero ciechino, che dopo il suo grido ha riabbassato il capo, inutilmente sollecitato dalla madre a ripetere il grido.
   Gesù è di fronte alla donna. La guarda. Anche lei lo guarda; poi, timidamente, china lo sguardo. Gesù l’aiuta. Ha reso l’infante, che aveva in braccio, alla donna che glielo aveva porto.
   «Donna, è tuo questo figlio?».
   «Sì, Maestro, è il mio primogenito».
   Gesù lo accarezza sulla testolina chinata. Gesù pare non abbia visto la cecità del piccolo. Ma penso che lo faccia di proposito per far formulare alla madre la sua richiesta.
   «L’Altissimo ha dunque benedetto la tua casa con numerosa prole e dandoti per primo il maschio sacro al Signore».
   «Ho un maschio solo, questo, e tre altre bambine. E non ne avrò altri…». Un singhiozzo.
   «Perché piangi, donna?».
   «Perché il mio maschio è cieco, Maestro!».
   «E tu vorresti che egli vedesse. Puoi credere?».
   «Credo, Maestro. Mi hanno detto che Tu hai aperto gli occhi che erano chiusi. Ma il mio bambino è nato con occhi seccati. Guardalo, Gesù. Sotto le palpebre non c’è nulla…».
   Gesù alza verso di Sé il visetto precocemente serio e guarda sollevando col pollice le palpebre. Un vuoto è di sotto. Torna a parlare tenendo alzato con una mano il visetto verso di Sé.
   «Perché sei venuta, allora, donna?».
   «Perché… lo so che è più difficile per il mio bambino… ma se è vero che Tu sei l’Atteso, Tu lo puoi fare. Il Padre tuo ha fatto i mondi… Non potresti Tu fare due pupille alla mia creatura?».
   «Tu credi che Io vengo dal Padre, Signore altissimo?».
   «Credo questo e che Tu tutto possa».

   473.4Gesù la guarda come per valutare quanta fede sia in lei e di che purezza sia tal fede. Ha un sorriso. Poi dice: «Bambino, vieni a Me», e lo conduce per mano su un muretto alto un mezzo metro, che si alza dalla strada a una casa, una specie di spalletta per riparare questa dalla via che ha una svolta in quel punto.
   Quando il bambino è ben sicuro su quel rialzo, Gesù si fa serio, imponente. La folla si accalca intorno a Lui, al bambino e alla madre trepidante. Io vedo Gesù di lato, di profilo. Tutto paludato nel suo mantello blu scurissimo sulla veste appena un poco più chiara, ha un viso ispirato. Pare più alto e fin più robusto, come sempre quando sprigiona una potenza di miracolo. E questa volta è una delle volte che mi pare più imponente. Pone le mani sul capo del bambino, le mani aperte, ma coi due pollici si appoggia alle orbite vuote. Alza il capo e prega intensamente ma senza muovere labbro. Un colloquio, certo, col Padre suo. Poi dice: «Vedi! Lo voglio! E loda il Signore!», e alla donna: «Sia premiata la tua fede. Eccoti il figlio che sarà il tuo onore e la tua pace. Mostralo a tuo marito. Egli tornerà al tuo amore e nuovi giorni felici conoscerà la tua casa».

   473.5La donna, che ha già avuto un grido acutissimo di gioia vedendo che, levati i pollici divini, dalle occhiaie vuote due splendidi occhi azzurro cupo come quelli del Maestro la fissano stupiti e felici sotto la frangia dei morati capelli, ha un altro grido e, pur tenendo il figlio serrato contro il cuore, si inginocchia ai piedi di Gesù dicendo: «Anche questo sai? Ah! Tu sei veramente il Figlio di Dio», e gli bacia la veste e i sandali, e poi si alza trasfigurata di gioia e dice: «Udite tutti. Io vengo dalla lontana terra di Sidone. Sono venuta perché un’altra madre mi ha parlato del Rabbi di Nazareth. Mio marito, giudeo e mercante, ha in quella città i suoi empori per il commercio con Roma. Ricco e fedele alla Legge, non mi amò più da quando io, dopo avergli dato un maschio infelice, gli ho partorito tre femmine e poi sono divenuta sterile. Egli si è allontanato dalla sua casa ed io, senza essere ripudiata, ero nelle stesse condizioni di una ripudiata, e già sapevo che egli voleva disfarsi di me per avere da altra donna un erede capace di continuare il commercio e godere delle ricchezze paterne. Prima di partire sono andata dallo sposo e gli ho detto: “Attendi, signore. Attendi che io torni. Se tornerò col figlio ancor cieco, ripudiami. Ma altrimenti non ferire a morte il cuor mio e negare un padre ai figli tuoi”. Ed egli mi ha giurato: “Per la gloria del Signore, donna, io ti giuro che se mi riporti il figlio sano — non so come potrai fare, poiché il tuo ventre non seppe dargli occhi — io tornerò a te come ai giorni del primo amore”. Il Maestro non poteva sapere nulla del mio dolore di sposa, eppure mi ha consolata anche in questo. Gloria a Dio e a Te, Maestro e Re». La donna è daccapo in ginocchio e piange di gioia.

   473.6«Va’. Di’ a Daniele, tuo marito, che Colui che ha creato i mondi ha dato due chiare stelle per pupille al piccolo sacro al Signore. Perché Dio è fedele alle sue promesse ed ha giurato che chi crede in Lui vedrà ogni sorta di prodigio. Sia ora fedele lui al giuramento che ha fatto e non commetta peccato di adulterio. Di’ questo a Daniele. Va’. Sii felice. Benedico te e questo fanciullo, e con te chi ti è caro».
   La folla ha un coro di lodi e di felicitazioni, e Gesù entra in una casa vicina come per riposare. La visione cessa così. E le assicuro che mi ha profondamente colpita.
   17 agosto 1944.

   473.7Dice Gesù:
   «Dio, per coloro che hanno fede in Lui, supera sempre le richieste dei figli e dà più ancora. Credilo questo e credetelo tutti. Alla donna che da Sidone era venuta a Me con le due spade infisse nel segreto del cuore e, poiché svelare certe intime sventure è più penoso che dire: “Sono malato”, non osa che dirmene il nome di una, Io do anche il secondo miracolo.
   Agli occhi del mondo sarà parso, e sembrerà tuttora, che sia molto più facile rendere concordia a due sposi separati da un motivo che ormai è superato, e felicemente, che non dare due pupille a due occhi nati senza pupilla. Ma no. Non è così. Fare due pupille per il Signore e Creatore è cosa semplicissima, come rendere ad un cadavere il soffio della vita. Il Padrone della vita e della morte, il Padrone di tutto quanto è nel creato, non manca certo di soffio vitale da riinfondere ai morti e di due gocce d’umore per un occhio essiccato. Basta che voglia, che può. Perché ciò dipende dal volere di Lui solo. Ma, quando si tratta di concordia fra uomini, ci vuole la “volontà” degli uomini unita al desiderio di Dio. Dio non violenta che raramente la libertà umana. In via di massima vi lascia liberi di agire come volete.
   Quella donna, vivente in paese di idolatri e rimasta credente come lo sposo nel Dio dei suoi padri, merita già benignità da Dio. Spingendo poi la sua fede oltre il limite delle misure umane, superando i dubbi e le negazioni della maggioranza dei credenti giudei — e lo prova il suo dire allo sposo: “Attendi il mio ritorno”, certa di tornare col figlio guarito — merita doppio miracolo. Merita anche questo difficile miracolo di aprire gli occhi dello spirito al suo consorte, occhi che si erano spenti a vedere l’amore e il dolore della sposa, e facevano a lei colpa di ciò che colpa non è.

   473.8Voglio anche, e questo per le spose, che si rifletta all’umiltà rispettosa di questa loro sorella. “Sono andata dallo sposo e gli ho detto: attendi, signore”.
   Ella era dalla parte della ragione, perché fare colpa ad una madre di un difetto di nascita è stoltezza e crudeltà. Già il suo cuore è franto dalla vista della sua creatura infelice. Doppiamente è dalla parte della ragione, perché trascurata dal marito da quando è sterile, ed è a conoscenza della sua intenzione di divorzio, eppure rimane la “moglie”. Ossia la compagna fedele e sottomessa al compagno, come è voluto da Dio e insegnato dalla Scrittura. Non ribellione né sete di vendetta o intenzione di trovare altro uomo per non essere la “donna sola”.
   “Se non tornerò col figlio guarito, ripudiami. Ma, altrimenti, non ferire a morte il cuor mio e non negare un padre ai tuoi figli”. Non sembra di sentire parlare Sara e le antiche donne ebree? Come è diverso, o mogli, il vostro linguaggio di ora! Ma, anche, come è diverso quello che voi ottenete da Dio e dallo sposo. E le famiglie si distruggono sempre più.

   473.9Come sempre, nel compiere il miracolo, ho dovuto dare un segno che lo rendesse ancor più incisivo. Avevo da persuadere tutto un mondo, chiuso nelle barriere di tutta una secolare maniera di pensare e guidato da una setta che mi era nemica. Ecco la necessità di far splendere chiaramente il mio potere soprannaturale. Ma l’insegnamento della visione non è in questo. È nella fede, nella umiltà, ma fedeltà al coniuge, nella giusta via presa, o mogli e madri che avete trovato spine dove vi promettevate delle rose, per vedere nascere sugli aculei che vi feriscono nuovi rami fioriti.
   Volgetevi al Signore Iddio vostro, che ha creato il coniugio perché l’uomo e la donna non fossero soli e si amassero formando una carne sola e indissolubile, posto che fu insieme congiunta, e che vi ha dato il Sacramento perché sulle nozze scendesse la benedizione sua, e per i meriti miei voi aveste quanto vi è necessario nella nuova via di coniugi e di procreatori. E, per volgervi a Lui con volto e animo sicuri, siate oneste, buone, rispettose, fedeli, vere compagne dello sposo, non semplici ospiti della sua casa, o, peggio ancora, estranee che un caso riunisce sotto un tetto come due che il caso riunisce in un albergo di pellegrini.
   Troppe volte questo avviene ora. L’uomo manca? Male fa. Ma questo non giustifica la maniera di agire di troppe mogli. Ancor meno la giustifica quando ad un buon compagno voi non sapete rendere bene per bene e amore per amore. Non voglio neppure contemplare il troppo comune caso di vostre carnali infedeltà, che non vi fanno dissimili dalle meretrici, con l’aggravante di fare del vizio ipocritamente e di sporcare l’altare della famiglia intorno al quale sono le anime angeliche dei vostri innocenti. Ma parlo della vostra infedeltà morale al patto d’amore giurato davanti al mio altare.
   Ebbene, Io ho detto[80]: “Colui che guarda una donna con desiderio commette adulterio nel suo cuore”; Io ho detto: “Colui che rimanda la moglie con libello di divorzio l’espone all’adulterio”. Ma ora, ora che troppe mogli sono delle estranee al marito, Io dico: “Coloro che non amano in anima, mente e carne il loro compagno, lo spingono all’adulterio, e se a costui Io chiederò il perché del suo peccato, non lo farò da meno per colei che non ne è l’esecutrice, ma la creatrice”. La Legge di Dio occorre saperla comprendere in tutta la sua estensione e profondità, e occorre saperla vivere in piena verità.
   Sta’ con la mia pace, tu cui questo non tocca, e tieni il tuo cuore fisso in Me».

[80] ho detto, in 174.13.18.19.