MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

A A A

VOLUME VII CAPITOLO 474



CDLXXIV. Una visione che si perde in un rapimento d’amore.

   15 agosto 1946.

   474.1Come sovente fanno mentre camminano, forse per alleggerire con questa distrazione la monotonia del continuo camminare, gli apostoli parlano fra loro, riepilogando e commentando gli ultimi avvenimenti, interrogando ogni tanto il Maestro, che generalmente parla poco, tanto per non essere scortese, riserbando questa fatica solo quando è il caso di ammaestrare la gente o i suoi apostoli, correggendo idee storte, confortando degli infelici.
   Gesù era la «Parola», ma non era certo la «chiacchiera»! Paziente e gentile come nessuno, senza mostrare mai di aver noia per dovere ripetere un concetto una, due, dieci, cento volte, per farlo entrare nelle teste corazzate dai precetti farisaici e rabbinici, incurante della sua stanchezza, che talora è tanta da essere certo anche sofferenza, pur di levare la sofferenza morale o fisica ad una creatura. Ma è palese come preferisca tacere, isolarsi in un silenzio meditativo capace di durare molte ore, se non ne viene strappato da qualcuno che lo interroga. Generalmente e sempre un poco più avanti dei suoi apostoli, va allora a testa un poco china, alzandola di tanto in tanto a guardare il cielo, la campagna, le persone, gli animali. Guardare ho detto. Ma ho detto male. Devo dire: amare. Perché è sorriso, sorriso di Dio, quello che da quelle pupille si riversa a carezzare il mondo e le creature, sorriso-amore. Perché è amore che traluce, che si espande, che benedice, che purifica la luce del suo sguardo, sempre intenso, ma intensissimo quando esce da un raccoglimento…

   474.2Cosa saranno i suoi raccoglimenti? Io penso — e sono certa di non sbagliare, perché basta osservare l’espressione del suo viso per vedere ciò che sono — io penso che sono ben più delle nostre estasi, nelle quali la creatura già vive in Cielo. Sono la «riunione sensibile di Dio con Dio». Sempre presente e unita la Divinità al Cristo, che era Dio come il Padre. In Terra come in Cielo il Padre è nel Figlio e il Figlio è nel Padre, che si amano e amandosi generano la Terza Persona. La potenza del Padre è la generazione del Figlio, e l’atto di generare e di essere generato crea il Fuoco, ossia lo Spirito dello Spirito di Dio. La Potenza si volge alla Sapienza che ha generata, e questa si volge alla Potenza nella gioia di essere l’Uno per l’Altro e di conoscersi per ciò che sono. E, posto che ogni conoscenza buona reciproca crea amore — anche le nostre conoscenze imperfette — ecco lo Spirito Santo… Ecco Quello che, se fosse possibile mettere una perfezione nelle perfezioni divine, sarebbe da chiamarsi la Perfezione della Perfezione. Lo Spirito Santo! Colui che al solo pensarlo empie di luce, di gioia, di pace…
   Nelle estasi del Cristo, quando l’incomprensibile mistero dell’Unità e Trinità di Dio si rinnovava nel Ss. Cuore di Gesù, quale completa, perfetta, incandescente, santificante, gaudiosa, pacifica produzione di amore doveva generarsi ed effondersi come calore da una ardente fornace, come incenso da ardente turibolo, a baciare col bacio di Dio le cose create dal Padre, fatte per mezzo del Figlio-Verbo, fatte per l’amore, per il solo Amore, ché tutte le operazioni di Dio sono Amore? E questo è lo sguardo dell’Uomo-Dio quando, da Uomo e da Dio, alza gli occhi, che hanno contemplato in Sé il Padre, Se stesso e l’Amore, a guardare l’Universo, ammirando la potenza creativa di Dio, come Uomo; giubilando di poterla salvare nelle creature regali di essa creazione, gli uomini, come Dio.

   474.3Oh! non si può, nessuno potrà, né poeta, né artista, né pittore, rendere visibile alle folle quello sguardo di Gesù uscente dall’abbraccio, dalla riunione sensibile con la Divinità, unita ipostaticamente all’Uomo sempre, ma non sempre così profondamente sensibile all’Uomo che era Redentore e che perciò ai suoi molti dolori, ai suoi molti annichilimenti doveva aggiungere anche questo, grandissimo, di non poter più essere sempre nel Padre, nel gran vortice dell’Amore come era in Cielo: onnipotente… libero… gioioso. Splendida la potenza del suo sguardo di miracolo, dolcissima l’espressione del suo sguardo d’uomo, mestissima la luce di dolore nelle ore di dolore… Ma sono sguardi ancora umani, sebbene perfetti d’espressione. Questo, questo sguardo di Dio che si è contemplato e amato nella Triniforme Unità, non è più paragonabile, non c’è aggettivo per esso…
   E l’anima gli si prostra davanti, adorando, resa “nulla” nella conoscenza di Dio, resa beata dal contemplare il suo infinito amore. I torrenti di delizie si versano nell’anima mia… Io sono beata! Ogni dolore, ogni ricordo si annulla sotto le onde dell’a­mo­re di Gesù Dio… e queste onde mi alzano al Cielo, al Cielo, a Te!…

   474.4Grazie, mio adorabile Amore!… Grazie!… Ora ti servo ancora… La creatura è tornata donna, è tornata “il portavoce” dopo essere stata per un attimo “serafino”. Torna donna, torna creatura-martire, forse un altro tormento le è già alle spalle… Ma nel mio spirito brilla la luce che Tu mi hai data, la beatifica luce di averti contemplato; né torrenti di lacrime, né torture crudeli potranno spegnerla. Grazie, mio Benedetto! Tu solo mi ami!
   Comprendo Paolo[81] come mai finora! «Chi potrà separarci dal­l’amore di Cristo?… Di queste cose siamo vincitori in virtù di Colui che ci ha amati… Io sono sicuro che né la morte, né la vita, né gli angeli, né i principati, né le virtù, né le cose presenti né le future, né la potenza, né l’altezza, né la profondità, né altra cosa creata potrà separarci dalla carità di Dio che è in Gesù Cristo Signor nostro». È il peana vittorioso, giubilante, che squilla dalle schiere dei vittoriosi, degli amatori, dei salvati dall’amore, perché questa è la santità: la salvezza avuta perché si è stati amati e si è amato. Che già squilla! E lo spirito, ancor qui, prigioniero sulla Terra, lo sente e canta la sua gioia, la sua fiducia, la sua certezza… E luce, più ancora luce viene, e le parole luminose dell’Apostolo si illuminano ancor più, ancor più… «… la carità di Dio che è in Gesù Cristo Signor nostro».
   Ecco, ora comprendo le parole di Azaria, di questo inverno: «Gesù è il compendio dell’amore dei Tre». Ecco! Tutto l’Amore è in Lui. Noi possiamo trovare questo Amore di Dio, noi uomini, senza attendere il ritorno a Dio, senza attendere il Cielo, amando Gesù. Ecco! A chi crede si aprono dentro fonti d’acqua viva, fonti di luce, fonti di amore, perché chi crede va a Gesù, perché chi crede, crede che Gesù è nell’Eucarestia con il suo Corpo, Sangue, Anima, Divinità, come era in Terra, come è in Cielo, col suo Cuore, col suo Cuore! E nel Cuore di Gesù è la carità di Dio. E quando l’uomo riceve il Corpo Ss. di Gesù accoglie in sé il Cuore di Gesù. Ha perciò in sé non solo Gesù, ma ha la Carità di Dio, ossia ha Dio Padre, Figlio, Spirito Santo, perché la Carità di Dio è la Ss. Trinità che è un’unica cosa: l’Amore. L’Amore che si spartisce in tre fiamme per farci triplicemente felici. Felici di avere un Padre, un Fratello, un Amico. Felici di avere chi provvede, chi ammaestra, chi ama. Felici di avere Dio!

   474.5Oh! non posso più!… Signore, troppo grande è il tuo dono! Chi me lo ottiene dai Cieli? Sei tu, Beatissima Madre, contemplata nel tuo fulgore di Assunta Regina del Cielo? Sei tu, amoroso di Cristo, dolce Giovanni di Betsaida, amico mio? Sei tu, amabile Patriarca protettore dei perseguitati, sollecito provveditore di conforti, Giuseppe veneratissimo? Sei tu, mia grande sorellina Teresa del B. G., che mi ottieni ciò che da ventuno anni chiedo: che trabocchino nell’anima mia le onde dell’Amore? Oh! se tu sei, compi l’opera. Ottienimi di morire non in uno di questi assalti d’amore. Sono anche io una piccola anima e non desidero cose straordinarie. Ma di morire dopo uno di questi assalti d’amore, quando sono tornata “piccola anima, piccolissima”, fatta ancor più piccola dalla conoscenza di ciò che è l’Infinito Amore, dopo uno di questi assalti, perché dopo si è come ribattezzati dall’amore e non restano ombre di macchie in noi. L’amore arde… O sei tu, Azaria, buon amico, che per tutte le lacrime che hai raccolte dal mio ciglio e portate in Cielo mi hai ottenuta quest’ora di beatitudine? Se tu sei, che tu ne sia benedetto!
   Però a te, a Teresa, a Giuseppe, a Giovanni e Maria Ss., io non chiedo che questa estasi mi torni ancora, ad empirmi di gaudio e di fuoco. Ma vi chiedo, vi supplico, che vada ad altri cuori, e specie a quelli che voi sapete, a quei cuori che torturano il mio e dispiacciono a Dio, che non sanno sentire e non sanno ubbidire. Se quei cuori avranno anche un attimo solo di questi assalti d’amore, si convertiranno all’Amore, al vero Amore. Ameranno. Con tutti se stessi. Con l’intelletto soprattutto, dal quale cadranno le muraglie del razionalismo, della scienza umana, che negano e che ostacolano la fede semplice e buona e mettono confini al potere di Dio. E col cuore dove si fonderanno, come cera al fuoco, le croste dell’egoismo, dell’invidia, dell’astio… Fatelo, miei carissimi. Io accetto di non porre mai più le labbra sul calice ristoratore dell’amore, accetto di bere sempre, sino al ritorno a Dio, al calice amaro di tutte le rinunzie, ma che essi tornino sul sentiero luminoso, che essi si santifichino in ogni loro azione per meritare lo sguardo di Gesù-Dio, così come mi fu concesso di goderlo oggi. Meritarlo qui, possederlo per sempre in Cielo, così come, sperando nel mio Signore, confido possederlo io pure…
   
   Alle 12 dello stesso giorno.

   474.6Rileggo. Penso ai teologi che leggeranno queste pagine. Forse troveranno degli errori nel mio parlare sull’estasi, sui raccoglimenti di Gesù. Ricordino che io sono una povera ignorante, che non so di teologia né di termini teologici, e che mi sforzo di dire ciò che vedo così come posso e con quelle frasi che la mia povera mente può formare…
   16 agosto 1946.

   474.7Dico a Gesù: «Signore, ieri Tu mi hai travolta e tutto si è smarrito in Te. La visione…».
   Sorride con dolce e divina letizia e risponde accarezzandomi: «Hai cantato invece che raccontato. Hai cantato. Tutto il Paradiso cantava ieri le glorie di mia Madre, e tu hai cantato insieme al Paradiso, e il Paradiso ha ascoltato ad un certo momento il tuo “a solo”. Sai quando? Quando tu hai chiesto di non godere, ma che “essi” siano invasi dall’amore per essere salvati. Il Cielo amante ha ascoltato te, perché rinunciare alla beatitudine perché altri abbiano la Vita è concesso solo a chi è sulla Terra essendo già cittadino dei Cieli. I Santi per il tuo canto si sono ricordati di quando essi erano i cantori sulla Terra. Gli Angeli hanno ascoltato guardando con fraterno compiacimento il tuo Azaria. Maria ha sorriso offrendo il tuo canto all’Amore. E l’Amore, oh! mia Maria! e l’Amore ti ha baciata… e ti bacia ancora. Sta’ nel gaudio. Tu hai compreso l’Amore. Io sono in te, e in Me c’è Dio Uno e Trino come hai compreso. Percorri le vie della gioia soprannaturale oggi, invece delle strade di Palestina incontro al dolore di Gesù… Maria, non sei felice di essere nelle condizioni che erano le mie nell’ultimo mio anno? È un dono anche questo, e una luce per capirmi. Senza un’esperienza propria, e proporzionata, la creatura non potrebbe capire ciò che fu la mia lunga Passione. Ma oggi, come ieri, percorri le vie della gioia celeste. Dio è con te. Sta’ in pace».

   474.8E così, i discorsi degli apostoli sull’episodio di Giscala, sul miracolo del bambino cieco, su Tolemaide alla quale sono diretti, sulla strada a gradini tagliati nella roccia, dove si sono spinti per giungere all’ultimo paese di confine fra la Siro-Fenicia e la Galilea — e deve essere quella vista[82] da me quando andavano ad Alessandroscene — su Gamaliele ecc., se ne sono andati. Ossia sono rimasti, per quanto ne ho sentito, nel mio cuore.
   Dico solo che volevo dire questo. Che gli apostoli, che nei primi tempi, meno spiritualmente formati, disturbavano il Maestro facilmente, ora, più spiritualmente evoluti, rispettano i suoi isolamenti e preferiscono parlare fra loro, più indietro di due o tre metri. Soltanto quando necessita loro un’informazione, un giudizio, oppure diventa imperioso il loro amore per il Maestro, allora si accostano a Lui.

[81] Paolo, nel brano di Romani 8, 35-39; le parole di Azaria, scritte il 20 gennaio 1946 e riportate nel volume “I quaderni dal 1945 al 1950”.
[82] vista, in 328.1. È la cosiddetta “scala di Tiro”, menzionata anche in 330.5 e 331.9.