MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME VII CAPITOLO 479



CDLXXIX. Con Giovanni presso la torre di Jezrael in attesa dei contadini di Giocana.

   24 agosto 1946.

   479.1«Sei molto stanco, Giovanni. Eppure bisognerebbe giungere ad Engannim avanti il tramonto di domani».
   «Ci arriveremo, Signore», dice Giovanni e sorride, benché sia persino pallido di stanchezza, lui che ha camminato più di tutti. E cerca di prendere un passo più spedito per persuadere il Maestro che non è molto stanco. Ma presto ricade nell’andatura di chi non ne può più, spalle curve, capo che pende in avanti come fosse oppresso da un giogo, piedi che trascinano e incespicano sovente.
   «Dammi almeno le sacche. La mia è pesante».
   «No, Maestro. Tu non sei meno stanco di me».
   «Tu lo sei di più, perché da Nazaret sei venuto nel bosco di Matatia e poi sei tornato a Nazaret».
   «E ho dormito in un letto. Tu no. Tu hai vegliato nel bosco e presto sei partito».
   «Anche tu. Lo ha detto Giuseppe. Siete partiti con le stel­le».
   «Oh! ma le stelle durano sino all’alba!…», sorride Giovanni.

   479.2Poi aggiunge, facendosi serio: «E non è il poco sonno che dà dolore…».
   «Che altro, Giovanni? Che ti ha dato dolore? Forse che i miei fratelli…».
   «Oh! no, Signore! Anche quelli… Ma ciò che mi fa pesante… no, non pesante… Ciò che mi fa vecchio è che ho visto piangere tua Madre… Non mi ha detto perché piangeva e io non gliel’ho chiesto, benché ne avessi voglia. Ma l’ho tanto guardata che mi ha detto: “A casa ti parlerò. Ora no, perché piangerei più forte”. E a casa mi ha parlato così dolce e così triste che ho pianto anche io».
   «Che ti ha detto?».
   «Mi ha detto di volerti un gran bene, di non darti mai neanche un piccolo dolore, perché dopo ne avrei tanto rimorso. Mi ha detto: “Facciamo tutto il nostro dovere nei mesi che ci restano, e più che il dovere”. Perché il dovere soltanto è poco per Te che sei Dio. E mi ha detto anche — e questo mi ha fatto soffrire tanto e, non lo avesse detto Lei, non potrei crederlo — e mi ha detto: “Ed è anche poco fare soltanto il dovere verso uno che se ne va, che non potremo poi più servire… Per poter stare rassegnati poi, quando Egli non sarà più fra noi, bisogna aver fatto più che il dovere. Bisogna aver dato tutto, tutto l’amore, le cure, l’ubbidienza, tutto, tutto. Allora nello strazio della separazione si dice: ‘Oh! io posso dire che, finché fu volontà di Dio che io lo avessi, io non ho trascurato un attimo di amarlo e servirlo’”. E io ho detto: “Ma proprio se ne va il Maestro? Ha ancora tanto da fare! Ci sarà tempo…”. E Lei ha scosso il capo dicendo, e due grandi lacrime le scendevano dagli occhi: “La Manna vera, il vivo Pane tornerà al Padre quando l’uomo si felicita di rigustare il sapore del grano novello… E noi saremo soli, allora, Giovanni”. Io, per confortarla, ho detto: “Un gran dolore. Ma se Egli torna al Padre noi ne dobbiamo gioire. Nessuno gli potrà fare più del male”. E Lei ha gemuto: “Oh! ma prima!”, e io ho creduto di capire.

   479.3Ma sarà proprio così, Signore? Proprio, proprio? Vedi, non è che noi non si creda alle tue parole. Ma è che noi ti amiamo e… Io non ti dirò come Simone[96] un giorno: questo non ti può accadere. Io credo, tutti crediamo… Ma ti amiamo e… Oh! Signor mio! I peccati dell’amore sono proprio peccati?».
   «L’amore non pecca mai, Giovanni».
   «E allora noi, che ti amiamo, siamo pronti a combattere e uccidere per difenderti. I galilei non sono amati dagli altri proprio perché ci dicono rissosi. Ebbene, giustificheremo la fama che abbiamo difendendoti. Siamo sui luoghi[97] dove, al tempo di Debora, Barac distrusse l’esercito di Sisara, coi suoi diecimila. E quei diecimila erano di Neftali e Zabulon. E noi veniamo da quelli. Il nome ora è diverso, ma il cuore è uguale».
   «Erano diecimila… Ma ora, foste anche dieci volte diecimila, che potreste?».
   «Che? Temi le coorti? Non sono tante, e poi… Essi non ti odiano. Non dài noia. Non pensi al regno, ad un regno che strappi una preda alle aquile romane. Non interverranno fra noi e i tuoi nemici, ed essi saranno presto vinti».
   «Mille, diecimila, centomila foste, che sarebbe contro la volontà del Padre? Io la devo compire…».
   Giovanni, accasciato, non parla più. È strana questa cocciutaggine, questa incapacità mentale, anche nei migliori seguaci di Gesù, a comprendere la sua più grande missione! Lo accettano come Maestro, come Messia. Credono alla sua facoltà di salvare e redimere. Ma quando si trovano di fronte al modo come redimerà, ecco che il loro intelletto si chiude. Sembra persino che per loro perdano valore le profezie. Ed è tutto dire in israeliti, che si può dire che respirano e camminano e si nutrono e vivono per mezzo delle profezie! Tutto è vero di ciò che portano i libri sacri, meno questo: che il Messia debba patire e morire, essere vinto dagli uomini. Questo non lo possono accettare. Mi sembrano dei ciechi e dei sordi ai quali Gesù si affanni a mostrare quadri della sua futura Passione perché vi possano leggere ciò che essa sarà. Ma essi chiudono gli occhi. Non vedono e non capiscono perciò.

   479.4La sera, un poco fosca, si avanza mentre giungono in vista di Jezrael.
   Gesù conforta Giovanni — che non ha più parlato e che va come un sonnambulo, tanto è stanco — dicendo: «Presto vi saremo. Tu vi entrerai a cercare un ricovero per te».
   «E per Te».
   «No, Giovanni. Io resterò presso la via che viene dalla pianura. Penso che essi verranno a notte, e voglio consolarli e rimandarli prima dell’alba».
   «Sei così stanco… e forse pioverà come la notte passata. Vieni almeno sino a metà della vigilia del gallo».
   «No, Giovanni».
   «Allora resto con Te. Siamo vicini alle terre dei farisei e… E poi l’ho promesso a tua Madre e a me stesso. Non voglio avere da farmi rimproveri io…».
   Delle torri, adibite non so a che uso, sono ai quattro angoli di Jezrael. Devono essere antiche già da quando le vedo io. Sembrano quattro arcigni giganti messi a far da carcerieri alla cittadina, posta su un’altura dominante la pianura, che si sta annullando nell’ombra precoce di una sera nuvolosa.
   «Saliamo su quel pendio presso la torre. Vedremo tutta la via senza essere visti. Vi è erba per stendersi, e lo scalino davanti alla porta ci accoglierà se verrà l’acqua», dice Gesù.
   Salgono. Si siedono su un bassissimo muretto, semirovinato, che è a un dieci metri dalla torre. Si direbbe un riparo che in antico fosse messo intorno a questo torrione. Ora è quasi tutto crollato e l’erba folta ne ricopre i ruderi con grandi cascate di convolvoli selvatici e un erigersi di altre erbe, proprie delle rovine, dalle larghe foglie pelose, delle quali non conosco il nome.
   Sbocconcellano all’ultima luce un poco di pane. Non hanno altro. Giovanni, benché stanchissimo, sbircia fra i rami di un fico nato fra le pietre, tutto storto e spettinato, e scopre fra le foglie che tendono a ingiallire qualche ficuzzo risparmiato dagli uccelli e dai ragazzi. Li mangiano completando così il pasto. L’acqua l’hanno nelle fiaschette. Il pasto è presto finito.

   479.5«Sarà abitata la torre?», chiede assonnato Giovanni.
   «Non credo. Non trapela né luce né voce da essa. Volevi chiedere ricovero? Non ne puoi più…».
   «Oh! no. Dicevo per dire… Ma si sta bene qui…».
   «Stenditi almeno, Giovanni. L’erba è folta e qui non deve aver piovuto ancora. Il suolo è asciutto».
   «…No… No… Signore. Non ho sonno… Parliamo. Dimmi qualche cosa… Una parabola… Mi siedo qui ai tuoi piedi. Mi basta di mettere la testa sulle tue ginocchia…», e si siede appoggiando il capo, col volto verso il cielo, sui ginocchi di Gesù.
   Fa sforzi eroici per non dormire. Cerca parlare per vincere il sonno… Cerca di interessarsi a ciò che vede… stelle in cielo, lumi sulla via. Sempre più numerose le prime, perché il vento ha soffiato via le nubi; sempre più rari i secondi, perché la notte ha sospeso il cammino dei pellegrini. Solo qualche ostinato persiste ad andare col suo carro munito di una lanterna, che sballonzola legata al tetto di stuoie o di coperte steso sugli archi del carro. Ma lo stesso silenzio sempre più fondo concilia il sonno…
   Giovanni, con una voce sempre più lontana, dice: «Quante luci in cielo! E guarda: sembra che qualcuna sia scesa sulla terra e trema e palpita come lassù… Ma sono più piccole e brutte… Noi non possiamo fare le stelle… Nelle nostre c’è fumo, c’è odor di lucignolo… e tutto le può spegnere… Lo hai detto[98] Tu, una volta, che per spegnere la luce in noi basta una farfalla e paragonavi le farfalle alle seduzioni del mondo… E poi dicevi che… mentre le farfalle possono spegnere un lume, l’ala degli angeli, e chiamavi angeli le cose spirituali, fanno più viva la luce che è in noi… Io… l’angelo… la luce…».
   Giovanni scivola piano piano nel sonno e si stende senza volere, atterrato dalla fatica. Gesù aspetta che sia proprio adagiato e poi gli insinua la sacca sotto la testa, gli stende il mantello addosso con mosse paterne. In un ultimo guizzo di lucidità Giovanni mormora ancora: «Non dormo, sai, Maestro?… È solo che così vedo più stelle e ti vedo meglio…», e passa a vedere meglio Gesù e il cielo stellato, sognandoli in un sonno profondo.
   Gesù torna a sedersi sul suo verde sedile. Appoggia il gomito destro al ginocchio, appoggia la guancia sulla palma della mano e pensa, prega, guardando la via deserta ormai, mentre ai suoi piedi il Prediletto, un braccio ripiegato sotto il capo, dorme con la placidità di un fanciullo.

[96] come Simone, in 346.6.
[97] luoghi, dove avvennero i fatti narrati in: Giudici 4, 1-16 .
[98] hai detto, qualcosa di simile in 281.6 e 411.3.