MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME VII CAPITOLO 489



CDLXXXIX. A Nobe. Parabola del re incompreso dai sudditi e miracolo sul vento.

   6 settembre 1946.

   489.1È un paese raccolto, abbastanza ben tenuto. Gli abitanti sono nelle case perché c’è un gran vento. Ma quando i discepoli vanno ad avvertire che c’è Gesù, ecco che tutte le donne ed i bambini e i vecchi, che l’età ha fatto rimanere in paese, si affollano intorno a Gesù che si è fermato sulla piazzetta principale. Il paese, essendo su un’altura, ha aria e luce anche nella giornata fosca e l’occhio spazia da esso verso Gerusalemme a sud e verso Rama a nord (dico Rama perché è scritto su un cippo con l’indicazione delle miglia).
   La gente è molto commossa. Essere divenuti coloro che ospitano il Signore è per loro una cosa così nuova e commovente!… Un vecchio, un vero patriarca, lo dice per tutti, e le donne col capo assentono, assentono. Abituati ad essere schiacciati dalla superbia sacerdotale e farisaica, sono timorosi…
   Ma Gesù li mette subito a loro agio, prendendo in braccio una bambinella che fa i primi passetti, accarezzando il vecchione, dicendo: «Non mi avevate ancora visto?».
   «Da lontano… Passare sulla via… Qualche uomo al Tempio. Ma per noi, tanto vicini alla città, è ancor più difficile avere ciò che altri hanno venendo da lontano», dice il vecchione.
   «È sempre così, padre. Ciò che sembra facilitare le cose, le fa difficili, perché tutti si appoggiano all’idea che sia facile.
   Ma ora ci conosceremo.

   489.2Ritirati, padre. L’autunno spira i suoi venti, ed essi non sono propizi ai patriarchi».
   «Oh! sono rimasto solo! Non ha più valore il giorno per me…».
   «La figlia è sposata lontano e la moglie gli è morta alle Encenie», spiega una donna.
   «Giovanni, non devi dire così, oggi che hai il Rabbi con te. Lo desideravi tanto!», gli dice una vecchierella.
   «È vero. Ma… Tu sei il Messia, non è vero?».
   «Sì, padre».
   «E allora che posso desiderare di più, ora che l’ho visto e che vedo compiuta la promessa fatta ad Abramo? Un vecchio, allora il vecchio era lui, cantò un giorno nel Tempio — io c’ero perché quel giorno la mia Lia si purificava del suo unico parto, e io ero presso di lei, e prima di noi aveva compiuto il rito Una poco più che fanciulla… — un vecchio cantò baciando il Nato di quella Fanciulla: “Ora lascia, o Signore, che il tuo servo se ne vada in pace, perché i miei occhi hanno visto il Salvatore”. Quel Neonato eri Tu, allora. Oh! me! me beato! Io allora ho pregato il Signore dicendo: “Fa’ che io pure possa morire dopo averlo conosciuto”. Ora ti conosco. Sei qui. La mano del mio Signore è posata sulla mia testa. La sua voce mi ha parlato. L’Eterno mi ha esaudito. E che dirò se non le parole del vecchio Simeone dotto e giusto? Le dico: “Lascia, o Signore, che il tuo servo se ne vada in pace, perché gli occhi miei hanno conosciuto il tuo Cristo!”».
   «Non vuoi attendere di vedere il suo Regno?», dice una donna.
   «No, Maria. Le feste non sono per i vecchi. E io non credo ciò che i più dicono. Io ricordo le parole di Simeone… Ha promesso una spada nel cuore di quella Fanciulla perché il mondo non amerà tutto il Salvatore… Ha detto che rovina o risurrezione verrà a molti per Lui… e c’è Isaia… e c’è Davide… No. Preferisco morire e attendere la sua grazia di là… E di là il suo Regno…».
   «Padre, tu vedi meglio dei giovani. Il mio Regno è quello dei Cieli. Ma per te la mia venuta non è rovina, perché tu sai credere in Me.

   489.3Andiamo nella tua casa. Io resto con te», e guidato dal vecchio va ad una casetta bianca in una stradina fra orti, che si spogliano di foglie per la rapina del vento, e vi entra con Pietro e i due figli di Alfeo e Giovanni.
   Gli altri si spargono per le altre case… per tornare dopo qualche tempo a stipare la casetta, l’orto, il terrazzo sul tetto, fino a salire sul muretto a secco che separa un lato di orto dalla via, su un noce potente e su un melo parimente robusto, incuranti del vento che cresce sempre e solleva il polverone. Vogliono sentire Gesù. E Gesù tergiversa per qualche tempo, sinché inizia a parlare stando sulla soglia della cucina, di modo che la voce si sparga entro e fuori la casa.

   489.4«Un re potente, il cui regno era molto vasto, volle venire un giorno a visitare i suoi sudditi. Egli abitava in una reggia eccelsa dalla quale, per mezzo dei suoi servi e messaggeri, mandava i suoi ordini e i suoi benefici ai sudditi che perciò sapevano della sua esistenza, dell’amore che aveva per essi, dei suoi propositi, ma non lo conoscevano affatto di persona, non sapevano la sua voce e il suo linguaggio. In una parola, sapevano che c’era ed era il loro Signore, ma nulla più. E, come sovente avviene, per questo fatto molte delle sue leggi e delle sue provvidenze venivano svisate, o per mala volontà o per incapacità di comprenderle, tanto che gli interessi dei sudditi e i desideri del re, che li voleva felici, ne subivano danno. Egli era costretto a punirli talora e ne soffriva più di loro. E le punizioni non cagionavano miglioramento. Disse allora: “Io andrò. Parlerò direttamente a loro. Mi farò conoscere. Mi ameranno e mi seguiranno meglio e diverranno felici”. E lasciò la sua eccelsa dimora per venire fra il suo popolo.
   Molto stupore cagionò la sua venuta. Il popolo si commosse, si agitò, chi con giubilo, chi con terrore, chi con ira, chi con diffidenza, chi con odio. Il re, paziente, senza stancarsi mai, si pose ad avvicinare tanto chi l’amava come chi lo temeva, come chi lo odiava. Si pose a spiegare la sua legge, ad ascoltare i suoi sudditi, a beneficarli, a sopportarli. E molti finirono ad amarlo, a non sfuggirlo più perché troppo grande; qualcuno, pochi, cessò anche di diffidare e di odiare. Erano i migliori. Ma molti rimasero ciò che erano, non avendo buona volontà in loro. Ma il re, che era molto saggio, sopportò anche questo rifugiandosi nell’amore dei migliori per avere premio delle sue fatiche.
   Però, che avvenne mai? Avvenne che anche fra i migliori non tutti lo compresero. Veniva da tanto lontano! Il suo linguaggio era così nuovo! Le sue volontà così diverse da quelle dei sudditi! E non fu capito da tutti… Anzi alcuni gli dettero dolore, e col dolore gli procurarono nocumento, o almeno rischiarono di procurarglielo, per averlo mal capito. E, quando compresero di avergli dato pena e danno, fuggirono desolati dal suo cospetto, né più andarono a lui temendo la sua parola.
   Ma il re aveva letto nei loro cuori e ogni giorno li chiamava col suo amore, pregava l’Eterno di concedergli di ritrovarli per dire loro: “Perché mi temete? È vero. La vostra incomprensione mi ha dato dolore, ma l’ho vista senza malizia, frutto soltanto di incapacità a comprendere il mio linguaggio tanto diverso dal vostro. Ciò che mi addolora è il vostro temermi. Ciò mi dice che non solo non mi avete capito come re, ma anche come amico. Perché non venite? Ma tornate dunque. Ciò che la gioia di amarmi non vi aveva fatto comprendere, ve lo ha reso chiaro il dolore di avermi dato dolore. Oh! venite, venite, amici miei. Non aumentate le vostre ignoranze con lo starmi lontano, le vostre caligini col nascondervi, le vostre amarezze coll’interdirvi il mio amore. Vedete? Soffriamo tanto io che voi ad essere divisi. Più ancora io che voi. Venite dunque e datemi gioia”.
   Così voleva parlare il re. E così parla. E Dio parla così anche a coloro che peccano. E così parla il Salvatore a coloro che possono aver sbagliato. E così parla il Re d’Israele ai suoi sudditi. Il vero Re d’Israele, quello che dal regno piccolo della Terra vuole portare i suoi sudditi al grande Regno dei Cieli. In esso non possono entrare quelli che non seguono il Re, quelli che non imparano a comprendere le sue parole e il suo pensiero. Ma come imparare se al primo errore si sfugge il Maestro?
   Nessuno si accasci se ha peccato e si è pentito, se ha sbagliato e riconosce l’errore. Venga alla Fonte che cancella gli errori e che dà luce e sapienza, e si disseti ad essa che arde di donarsi, ed è venuta dal Cielo per donarsi agli uomini».

   489.5Gesù tace. Solo il vento fa sentire la sua voce sempre più forte. Sul cucuzzolo del monticello dove è Nobe si accanisce tanto che gli alberi scricchiolano paurosamente.
   La gente è costretta a ritirarsi nelle case. Ma, quando si è diradata e Gesù torna in casa chiudendo la porta, Mattia, seguito da Mannaen e Timoneo, sbuca da dietro il muretto ed entra nel­l’orticello bussando alla porta chiusa. Gesù stesso viene ad aprire.
   «Maestro, eccoli!…», dice Mattia indicando i due, che sono rimasti vergognosi sul limitare dell’orto e non osano alzare il viso a guardare Gesù.
   «Mannaen! Timoneo! Amici miei!», dice Gesù uscendo nell’orto e rinchiudendo la porta, per significare a quelli di dentro che non escano a curiosare. E va verso i due, a braccia aperte, già aperte all’abbraccio.
   I due alzano il viso, tocchi dall’amore che trema nella voce del Maestro, gli vedono il volto e l’occhio, tutti pieni d’amore, e la loro paura cade, corrono avanti con un grido roco di pianto: «Maestro!», e gli cadono ai piedi abbracciandogli le caviglie, baciando i piedi nudi, bagnandoli di lacrime.
   «Amici miei! Non lì. Qui sul cuore. Vi ho tanto atteso! E tanto capito! Suvvia!…», e cerca rialzarli.
   «Perdono! Oh! perdono!… Non negarcelo, Maestro. Abbiamo sofferto tanto!».
   «Lo so. Ma se foste venuti prima, prima vi avrei detto: “Vi amo”».
   «Ci ami? Maestro?! Come prima?!», dice per primo Timoneo alzando un volto interrogativo.
   «Più di prima, perché ora siete guariti da ogni umanità nel vostro amore per Me».
   «È vero! Oh! il mio Maestro!», e Mannaen scatta in piedi e non resiste più. Si getta sul petto di Gesù e Timoneo lo imita…
   «Vedete come si sta bene qui? Non è meglio qui che in una povera reggia? Dove avermi di più, e più potente, dolce, ricco di tesori senza fine, che avendomi Salvatore, Redentore, Re spirituale, Amico amoroso?».
   «È vero! È vero! Oh! ci avevano sedotti! E ci pareva onorarti, e che fosse giusto il loro pensiero!».
   «Non ci pensate più. È passato. Appartiene al passato. Lasciate che il tempo, scorrendo veloce come il turbine che ci percuote, lo porti lontano, lo sperda per sempre…

   489.6Ma entriamo in casa. Non è possibile rimanere qui…».
   È infatti un vero turbine quello che si avventa da nord sul paese. Rami che schiantano, tegoli che volano, qualche muretto insicuro delle terrazze sui tetti che cade con fragore. Il noce e il melo si torcono come se volessero svellersi dal suolo.
   Entrano in casa e i quattro apostoli guardano stupiti il volto ancor umido di lacrime dei due discepoli, in contrasto col sorriso che pure è sul loro viso. Ma non dicono niente.
   «Qualche sciagura si prepara», dice il vecchio Giovanni.
   «Si. Quelli che sono ancora sotto le capanne non so come faranno…», dice Pietro.
   Il vento è tale che le fiammelle di un lume a tre becchi, acceso per illuminare la stanza chiusa, vacillano nonostante le porte sbarrate.
   Al frastuono del vento, che cresce sempre più e percuote la casa con terriccio e detriti, tanto che sembra cada della grandine sottile, si mescolano urli di donne, sempre più vicini. Sono spose spaventate, madri in angoscia: «I nostri mariti! I figli nostri! Sono per via. Abbiamo paura. È crollato un muro della casa abbandonata… Signore! Gesù! Pietà!».

   489.7Gesù sorge in piedi, apre a stento la porta che il vento comprime con tutta la sua violenza. Delle donne, curve per resistere al vento — una vera tromba d’aria sotto un cielo pauroso — gemono tendendo le braccia.
   «Entrate. Non temete!», dice Gesù. E guarda il cielo e le piante prossime ad essere schiantate.
   «Rientra, Gesù! Vedi come si schiantano i rami e cadono embrici? Non è prudente rimanere fuori», grida Giuda d’Alfeo.
   «Poveri ulivi! Questa è grandine. Dove cade hanno finito di cogliere», sentenzia Pietro.
   Gesù non rientra. Esce anzi del tutto, fra il turbine che gli torce la veste e solleva i capelli. Apre le braccia, prega, e poi ordina: «Basta! Lo voglio!», e rientra in casa.
   Il vento ha un ultimo muggito e poi cade di colpo. È impressionante il silenzio che si fa dopo tanto fragore. È tale che dalle case sporgono visi stupiti. Restano i segni dell’aeromoto: foglie, rami spezzati, brandelli di tende. Ma tutto è quieto. Il firmamento risponde alla terra, non più sconvolta, con un alleggerirsi di nubi che da nere si fanno chiare, si spargono senza far danno, ma lasciando cadere una spruzzata di pioggia che finisce di purificare l’aria intorbidata da tanta polvere.
   «Ma che è stato?»
   «Così è finito?».
   «Pareva la fine, e ora si fa sereno?».
   Voci che interrogano da casa a casa.
   Le donne che erano corse da Gesù corrono fuori. «Il Signore! Il Signore è con noi! Ha fatto il miracolo! Ha fermato il vento! Ha rotto le nubi! Osanna! Osanna! Lode al Figlio di Davide. Pace! Benedizione! Cristo è con noi! Con noi è il Benedetto! Il Santo! Il Santo! Il Santo! Il Messia è con noi! Alleluia!».
   Il paese riversa fuori tutti i suoi abitanti reali e quelli occasionali, ossia apostoli e discepoli, che accorrono tutti alla casetta dove è Gesù. Tutti vogliono baciarlo, toccarlo, esaltarlo.
   «Lodate il Signore altissimo. Egli è il Padrone dei venti e delle acque. Se Egli ha ascoltato il suo Figlio lo è stato per premiare la fede e l’amore che voi avete avuto in Lui».
   E vorrebbe congedarli. Ma chi calma un paese in festa, agitato da un miracolo palese? Specie se è un paese pieno di donne? Gli sforzi di Gesù sono vani. Egli sorride paziente, mentre il vecchio che lo ospita gli lava di lacrime e baci la mano sinistra.

   489.8Ecco i primi uomini trafelati, impauriti, di ritorno da Gerusalemme. Temono chissà che sciagure. Vedono il popolo in festa. «Che è? Che è stato? Ma non avete avuto bufera? Dal monte si vedeva sparire la città sotto nubi di polvere. Credevamo fosse crollata. E qui è tutto salvo!».
   «Il Signore! Il Signore! Venuto in tempo per salvarci da rovina. Solo la casa maledetta è caduta, e qualche tegolo e qualche ramo. E voi? Che è successo in Gerusalemme?».
   Le domande, le risposte si incrociano. Ma gli uomini si fanno largo per andare a venerare il Salvatore. Solo dopo spiegano che la paura era in città per la bufera imminente, e tutti fuggivano dalle capanne nelle case, e i padroni degli uliveti piangevano già sul loro raccolto… quando di un tratto il vento si era calmato e il cielo schiarito con poca pioggia… e tutta la città era stupita. E, poiché la fantasia lavora subito in certi casi, gli uomini riportano che, mentre la gente fuggiva, molti che erano stati nel Tempio i giorni prima, vedendo che il Moria era il più investito dalle raffiche, tanto che i banchi dei cambiavalute erano stati rovesciati e dei danni si erano fatti nella casa del Pontefice, dicevano che era il castigo di Dio per gli insulti fatti al suo Messia. E su, e su, e su… Più uomini arrivano e più si colora il racconto. A momenti diventa più apocalittico di ciò che non è il racconto del Venerdì Santo…