MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME VII CAPITOLO 485



CDLXXXV. L’arrivo con gli apostoli a Betania, dove sono già alcuni discepoli con Marziam. Astuzie dell’Iscariota.

   2 settembre 1946.

   485.1I variati verdi delle campagne intorno a Betania appaiono alla vista non appena è superato uno scrimolo di monte e si pone piede sullo spiovente sud del monte, che scende con una strada a zig-zag verso Betania. Il verd’argento degli ulivi, il verde forte dei pometi, spruzzato qua e là dei primi giallori delle foglie, lo spettinato e più giallastro verde delle viti, lo scuro e compatto verde delle querce e dei carrubi, misti al marrone dei campi, già arati e in attesa di seme, e al verde fresco dei prati che rimettono l’erba novella e degli orti fertili, formano come un tappeto multicolore a chi domina Betania e i suoi dintorni dall’alto. E, svettanti sul verde più basso, i pennelli delle palme da datteri, sempre eleganti e ricordanti l’Oriente.
   La piccola città di Ensemes, accucciata in mezzo al verde e tutta accesa dal sole che inizia il tramonto, è presto superata, e dopo essa è superata la fonte larga, ricca d’acque, che è un poco al nord dove inizia Betania, e poi ecco le prime case fra il verde… Sono arrivati dopo tanto cammino, e faticoso cammino. E, per quanto stanchissimi, sembrano rinvigorirsi soltanto per essere presso la casa amica di Betania.
   La cittadina è quieta, quasi vuota. Molti abitanti devono avere già trasmigrato a Gerusalemme per la festa. Perciò Gesù passa inosservato sino nelle vicinanze della casa di Lazzaro. Soltanto quando è presso il giardino inselvatichito della casa, dove erano tutte quelle gralle, incontra due uomini che lo riconoscono e lo salutano e poi chiedono: «Vai da Lazzaro, Maestro? Fai bene. Sta tanto male. Noi ne veniamo dopo avergli portato il latte delle nostre asinelle, l’unico cibo che il suo stomaco regge ancora, insieme ad un poco di succo di frutta e miele. Le sorelle non fanno che piangere. Sono sfinite di veglia e di dolore… E lui non fa che desiderarti. Io credo che sarebbe già morto, ma l’ansia di rivederti lo ha fatto vivere sin qui».
   «Vado subito. Dio sia con voi».
   «E… lo guarisci?», chiedono incuriositi.
   «La volontà di Dio si manifesterà su lui e con essa la potenza del Signore», risponde Gesù lasciando perplessi i due, e si affretta al cancello del giardino.

   485.2Lo vede un servo e corre ad aprire, ma senza alcuna esclamazione di gioia. Appena aperto il cancello, si inginocchia a venerare Gesù e dice con voce addolorata: «Bene vieni, o Signore! E voglia la tua venuta essere segno di gioia a questa casa in pianto. Lazzaro, il mio padrone…».
   «Lo so. Siate tutti rassegnati alla volontà del Signore. Egli premierà il sacrificio della vostra volontà alla sua. Va’ e chiama Marta e Maria. Io le attendo nel giardino».
   Il servo corre via e Gesù lo segue adagio, dopo aver detto agli apostoli: «Io vado da Lazzaro. Voi riposate, che ne avete bisogno…».
   E infatti, mentre si affacciano sulla soglia le due sorelle e quasi stentano a riconoscere il Signore tanto i loro occhi sono stanchi di veglie e di lacrime, e il sole che proprio le colpisce negli occhi aumenta la difficoltà di vedere, altri servi, da una porta secondaria, escono incontro agli apostoli conducendoli con loro.
   «Marta! Maria! Sono Io. Non mi riconoscete?».
   «Oh! il Maestro!», esclamano le due sorelle e si dànno a correre verso di Lui, gettandosigli ai piedi e soffocando a stento i singhiozzi. Baci e lacrime scendono sui piedi di Gesù, come già[111] nella casa di Simone il fariseo.
   Ma questa volta Gesù non sta rigido come allora a ricevere il lavacro del pianto di Marta e Maria. Ora si china e le tocca sul capo, le carezza e benedice con quel gesto e le forza ad alzarsi dicendo: «Venite. Andiamo sotto la pergola dei gelsomini. Potete lasciare Lazzaro?».
   Più a cenni che a parole, fra i singhiozzi, esse dicono di sì. E vanno sotto il chiosco ombroso, sul cui frondame folto e scuro qualche tenace stellina di gelsomino biancheggia e odora.

   485.3«Dite dunque…».
   «Oh! Maestro! Vieni in una ben triste casa! Noi siamo rese stolte dal dolore. Quando il servo ci ha detto: “Vi è uno che vi cerca”, non abbiamo pensato a Te. Quando ti abbiamo visto, non ti abbiamo riconosciuto. Ma vedi? I nostri occhi sono bruciati dal pianto. Lazzaro muore!…», e il pianto riprende interrompendo le parole delle sorelle che hanno parlato alternativamente.
   «E Io sono venuto…».
   «A guarirlo?! Oh! mio Signore!», dice Maria raggiando di speranza fra le righe delle lacrime.
   «Ah! io lo dicevo! Se Egli viene…», dice Marta congiungendo le mani con atto di gioia.
   «Oh! Marta! Marta! Che sai tu delle operazioni e dei decreti di Dio?».
   «Ohimé, Maestro! Tu non lo guarirai?!», esclamano insieme ripiombando nel dolore.
   «Io vi dico: abbiate una fede sconfinata nel Signore. Continuate ad averla nonostante ogni insinuazione e ogni evento, e vedrete grandi cose quando il vostro cuore non avrà più motivo di sperare di vederle. Che dice Lazzaro?».
   «Un’eco delle tue parole è nelle sue. Egli ci dice: “Non dubitate della bontà e potenza di Dio. Qualunque cosa avvenga, Egli interverrà per vostro e mio bene e per il bene di molti, di tutti quelli che come me e come voi sapranno rimanere fedeli al Signore”. E quando è in grado di farlo ci spiega le Scritture, non legge che quelle ormai, e ci parla di Te, e dice che egli muore in un tempo felice, perché l’èra di pace e perdono si è iniziata. Ma lo sentirai… perché dice anche altre cose, che ci fanno piangere anche più che per il fratello…», dice Marta.
   «Vieni, Signore. Ogni minuto che scorre è rubato alla speranza di Lazzaro. Egli contava le ore… Diceva: “Eppure per la festa sarà a Gerusalemme e verrà…”. Noi, noi che sappiamo molte cose, che non diciamo a Lazzaro per non dargli dolore, avevamo meno speranza, perché pensavamo che Tu non venissi per sfuggire a chi ti cerca… Marta molto pensava così. Io meno perché… io, se fossi al tuo posto, sfiderei i nemici. Non sono di quelle che ho paura degli uomini, io. E ora non ho paura più neanche di Dio. So quanto è buono per le anime pentite…», dice Maria e lo guarda col suo sguardo d’amore.
   «Di nulla hai paura, Maria?», chiede Gesù.
   «Del peccato… e di me stessa… Ho sempre paura di ricadere nel male. Penso che Satana mi deve molto odiare».
   «Hai ragione. Sei una delle anime più odiate da Satana. Ma sei anche una delle più amate da Dio. Ricordalo».
   «Oh! lo ricordo. È la mia forza questo ricordo! Ricordo ciò che dicesti in casa di Simone. Hai detto: “Molto le è perdonato perché molto ha amato”, e a me: “Ti sono perdonati i peccati. La tua fede ti ha salvata. Va’ in pace”. Hai detto “i peccati”. Non molti. Tutti. E allora penso che mi hai amata, o Dio mio, senza misura. Ora, se la mia povera fede di allora, quale poteva essere sorta in un’anima gravata di colpe, ha tanto ottenuto da Te, la mia fede di ora non potrà difendermi dal Male?».
   «Sì, Maria. Veglia e sorveglia su te stessa. È umiltà e prudenza. Ma abbi fede nel Signore. Egli è con te».

   485.4Entrano in casa. Marta va dal fratello. Maria vorrebbe servire Gesù. Ma Gesù vuole prima andare da Lazzaro. Ed entrano nella stanza in penombra dove si consuma il sacrificio.
   «Maestro!».
   «Amico mio!».
   Le braccia scheletrite di Lazzaro si tendono in alto, quelle di Gesù si chinano ad abbracciare il corpo dell’amico languente. Un lungo abbraccio. Poi Gesù riadagia il malato sui guanciali e lo contempla con pietà. Ma Lazzaro sorride. È felice. Nel volto distrutto non splendono vivi che gli occhi infossati, ma fatti luminosi della gioia di avere lì Gesù.
   «Lo vedi? Sono venuto. E per stare molto con te».
   «Oh! non puoi, Signore. A me tutto non si dice. Ma so tanto da dirti che non puoi. Al dolore che ti dànno essi aggiungono il mio, la mia parte, non concedendomi di spirare fra le tue braccia. Ma io, che ti amo, non posso per egoismo tenerti presso di me, nel pericolo. Tu… io ho già provveduto… Tu devi cambiare sempre luogo. Tutte le mie case ti sono aperte. I custodi hanno ordini e così i fattori dei miei campi. Ma non andare per sostare al Getsemani. Esso è molto sorvegliato. Dico la casa. Perché fra gli ulivi, specie quelli in alto, puoi andare, e da molte vie, senza che essi lo sappiano. Marziam, lo sai che è già qui? Marziam fu interrogato da alcuni mentre era nel frantoio con Marco. Volevano sapere dove eri, se venivi. Il fanciullo ha risposto molto bene: “Egli è israelita e verrà. Per dove non so, avendolo lasciato al Meron”. Così ha impedito che ti dicessero peccatore e non ha mentito».
   «Io ti ringrazio, Lazzaro. Ti darò ascolto. Ma ci vedremo sovente lo stesso». Lo contempla ancora.
   «Mi guardi, Maestro? Lo vedi come sono ridotto? Come un albero che si spoglia di foglie in autunno, io mi spoglio ora per ora di carne, di forza e di ore di vita. Ma dico il vero dicendo che, se mi spiace non vivere tanto da vedere il tuo trionfo, giubilo di andarmene per non vedere, impotente come sono a frenarlo, l’odio che aumenta intorno a Te».
   «Non sei impotente; mai lo sei. Tu provvedi al tuo Amico prima ancora che Egli giunga. Ho due case di pace e, potrei dire, ugualmente care: quella di Nazaret e questa. Se là c’è mia Madre: l’amore celeste quasi quanto il Cielo per il Figlio di Dio, qui ho l’amore degli uomini per il Figlio dell’uomo. L’amore amico, credente, venerante… Grazie, amici miei!».
   «Tua Madre non verrà mai?».
   «All’inizio di primavera».
   «Oh! allora io non la vedrò più…».
   «No. Tu la vedrai. Io te lo dico. Mi devi credere».
   «A tutto, Signore. Anche in ciò che i fatti smentiscono».
   «Marziam dove è?».
   «A Gerusalemme coi discepoli. Ma viene qui a sera. Fra poco, ormai. E i tuoi apostoli? Non sono con Te?».
   «Sono di là con Massimino, che li soccorre nella loro stanchezza ed estenuazione».
   «Avete molto camminato?».
   «Molto. Senza tregua. Ti racconterò… Adesso riposa. Io ti benedico per ora». E Gesù lo benedice e si ritira.

   485.5Gli apostoli sono ora con Marziam e con quasi tutti i pastori, che riferiscono delle insistenze dei farisei per sapere di Gesù e dicono che ciò li ha insospettiti, tanto che loro discepoli hanno pensato di mettersi di guardia ad ogni strada che conduce entro Gerusalemme per avvisare il Maestro.
   «Infatti», riferisce Isacco, «siamo sparsi su tutte le vie a qualche stadio dalle porte, e a turno facciamo una notte qui. Questa è la nostra».
   «Maestro», ride Giuda, «essi dicono che alla porta di Jaffa c’era oggi mezzo Sinedrio e si questionavano fra loro perché alcuni ricordavano le mie parole di Engannim, altri giuravano di aver saputo che eri stato a Dotain, altri dicevano che ti hanno visto invece presso Efraim, e ciò li faceva furenti non sapendo più dove eri…», e ride della burla giuocata ai nemici di Gesù.
   «Domani mi vedranno».
   «No. Domani andiamo noi. Abbiamo già fissato. Tutti in gruppo e mettendoci bene in vista».
   «Non voglio. Tu mentiresti».
   «Ti giuro che non mentirò. Se non mi dicono niente, non dico niente. Se ci interrogano se sei con noi, dirò: “E non vedete che non c’è?”, e se vorranno sapere dove sei risponderò: “Cercatelo voi. Come volete che io sappia dove è il Maestro in questo momento?”. Infatti io non potrò certo sapere se sei in casa, qui, o per i frutteti, o non so dove».
   «Giuda, Giuda, ti ho detto…».
   «E io ti dico che hai ragione. Ma questa mia non sarà semplicità di colomba, ma prudenza di serpente. Tu la colomba, io il serpe. E insieme formeremo quella perfezione che hai insegnato[112]». Prende il tono che ha Gesù quando insegna e dice, imitando a perfezione il Maestro: «“Io vi mando come pecore fra i lupi. Siate dunque prudenti come le serpi e semplici come le colombe… Non vi preoccupate di come rispondere, perché in quel momento vi verranno messe sulle labbra le parole, essendoché non voi parlate, ma parla in voi lo Spirito… Quando vi perseguiteranno in una città fuggite in un’altra, finché venga il Regno del Figlio dell’uomo…”. Le ricordo ed è l’ora di applicarle».
   «Non le ho dette così e non queste sole», obbietta Gesù.
   «Oh! per ora necessita ricordare queste sole e dirle così. So ciò che vuoi dire. Ma, se non si è confermata la fede in Te, e questa è pietra nel tuo Regno, non è bene darsi in mano ai nemici. Dopo… diremo e faremo il resto…». E l’espressione di Giuda è così brillante di intelligenza e di birichineria che conquista tutti, meno Gesù che sospira. È veramente l’uomo seduttore, al quale nulla manca per trionfare sugli uomini.
   Gesù sospira e pensa… Ma si arrende, sentendo che non è tutto malvagio il provvedimento di Giuda. Il quale, trionfante, formula tutto il suo piano.
   «Noi dunque andremo domani e dopo domani sino al dì dopo il sabato. E staremo in una capanna di frasche nella valle del Cedron, da perfetti israeliti. Essi si stancheranno di attenderti… e allora verrai. Intanto starai qui, in pace, in riposo. Sei esausto, Maestro mio. E noi non lo vogliamo. Chiuse le porte, uno di noi verrà a dirti ciò che essi fanno. Oh! sarà bello vederli delusi!».
   Tutti assentono e Gesù non oppone resistenza. Forse la veramente grande stanchezza, forse il desiderio di dare a Lazzaro conforto, tutto il conforto prima della lotta finale, contribuiscono a questo cedere. Forse anche la necessità reale di mantenersi libero, sinché non siano compiute tutte le opere che sono necessarie perché Israele non dubiti della sua Natura avanti di giudicarlo come reo… Certo è che dice: «E così sia. Però non cercate dispute ed evitate le menzogne. Piuttosto tacete. Ma non mentite. Ora andiamo, ché Marta ci chiama. Vieni, Marziam. Ti trovo in migliore aspetto…». Si allontana parlando con un braccio passato intorno alle spalle del discepolo giovanetto.

[111] come già in 236.2.
[112] insegnato, in 265.7/9.