MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME VII CAPITOLO 487



CDLXXXVII. Al Tempio per la festa dei Tabernacoli. Discorso sulla natura del Cristo.

   4 settembre 1946.

   487.1Il Tempio è ancor più affollato del giorno avanti. E nella folla che empie e si agita nel primo cortile vedo molti gentili, molti più di ieri. Sono tutti in viva attesa, tanto gli israeliti come i gentili. E parlano, gentili con gentili, ebrei con ebrei fra di loro, a capannelli sparsi qua e là, senza perdere d’occhio le porte.
   I dottori, sotto i portici, si affannano ad alzare la voce per attirare e fare sfoggio di eloquenza. Ma la gente è distratta ed essi predicano a pochi allievi.
   Gamaliele c’è. Al suo posto. Ma non parla. Passeggia avanti e indietro sul suo sontuoso tappeto, con le braccia conserte, il capo chino, meditando, e la lunga veste, l’ancor più lungo mantello, che ha disciolto e che pende trattenuto da due rosoni d’argento alle spalle, gli fanno dietro uno strascico che egli respinge col piede quando torna sui suoi passi. I suoi discepoli, i più fedeli, addossati al muro, lo guardano in silenzio, intimoriti, e rispettano la meditazione del loro maestro.
   Dei farisei, dei sacerdoti, mostrano di avere un gran da fare, e vanno e vengono… La gente, che capisce le loro vere intenzioni, se li addita e qualche commento parte come un razzo bruciante a bruciare la loro ipocrisia. Ma essi fingono di non sentire. Sono pochi rispetto ai molti che non odiano Gesù e che invece odiano loro, e trovano perciò prudente non reagire.

   487.2«Eccolo! Eccolo! Viene dalla porta Dorata, oggi!».
   «Corriamo!».
   «Io resto qua. Verrà qua a parlare. Non perdo il posto».
   «Neppure io, anzi quelli che se ne vanno fanno posto a noi che restiamo».
   «Ma lo lasceranno parlare?».
   «Se lo hanno lasciato entrare!…».
   «Sì, ma è un’altra cosa. Come figlio della Legge non possono impedirgli di entrare. Ma come rabbi possono cacciarlo se vogliono».
   «Quante differenze! Se lo lasciano andare a parlare al Dio, perché non lo devono lasciar parlare a degli uomini?» (questo è un gentile che parla).
   «È vero», dice un altro gentile. «Noi perché siamo impuri non ci lasciate andare là, ma qui sì, sperando che si diventi circoncisi…».
   «Taci, Quinto. È per questo che lo lasciano parlare a noi. Sperando di potarci come fossimo alberi. Noi invece veniamo per mettere le sue idee come rami d’innesto in noi selvatici».
   «Dici bene. L’unico che non ci sdegni!».
   «Oh! per questo! Quando si va con una borsa di monete a comperare non ci sdegnano neanche gli altri».
   «Guarda! Noi gentili siamo rimasti padroni del luogo. Sentiremo bene! E vedremo meglio! Mi piace vedere i visi dei suoi nemici. Per Giove! Un combattimento di volti…».
   «Taci! Non ti far sentire a nominare Giove. È proibito qui».
   «Oh! fra Giove e Jeové non c’è che poca differenza. E fra dèi non si offenderanno… Io sono venuto per buon desiderio di ascolto. Non per deridere. Se ne parla tanto da per tutto di questo Nazareno! Ho detto: è buona la stagione e vado a sentirlo. C’è chi va più lontano a sentire gli oracoli…».
   «Da dove vieni?».
   «Da Perge. E tu?».
   «Da Tarso».
   «Io sono quasi ebreo. Mio padre era un ellenista di Iconio. Ma sposò ad Antiochia di Cilicia una romana e poi morì prima che io nascessi. Ma il seme è ebreo».
   «Tarda a venire… Che lo abbiano preso?».
   «Non temere. Ce lo direbbero gli urli della folla. Questi ebrei strillano come gazze inquiete, sempre…».
   «Oh! eccolo proprio. Verrà proprio qui?».
   «Non vedi che ad arte hanno occupato tutti i luoghi meno quest’angolo? Senti quanti ranocchi gracidano per fingersi mae­stri?».
   «Quello là tace, però. È vero che è il più grande dottore d’Israele?».
   «Sì, ma… che pedante! Lo ascoltai un giorno e per digerire la sua scienza ho dovuto bere molte coppe di falerno da Tito a Bezeta». Ridono fra loro[117].

   487.3Gesù si avvicina lentamente. Passa davanti a Gamaliele, il quale non alza neppure la testa, e poi va al posto di ieri.
   La gente, ora mista di israeliti, proseliti e gentili, capisce che sta per parlare e sussurra: «Ecco che parla pubblicamente e non gli dicono niente».
   «Forse i principi e i capi hanno riconosciuto in Lui il Cristo. Ieri Gamaliele, andato via il Galileo, ha parlato molto con degli Anziani».
   «Possibile? Come hanno fatto a riconoscerlo di un subito, se solo poco prima lo ritenevano un degno di morte?».
   «Forse Gamaliele possedeva delle prove…».
   «E che prove? Che prove volete che abbia in favore di quel­l’uomo?», investe uno.
   «Sta’ zitto, sciacallo. Non sei che l’ultimo degli scrivani. Chi ti ha interrogato?», e gli danno la baia. Egli si allontana.
   Ma ne subentrano altri, non appartenenti al Tempio, ma certo agli increduli giudei: «Le prove le abbiamo noi. Noi sappiamo di dove è costui. Ma il Cristo, quando verrà, nessuno saprà di dove sia. Di Quello non sapremo l’origine. Ma di questo!!! È figlio di un falegname di Nazaret, e tutto il suo paese può portare qui testimonianza contro noi se mentiamo…».
   Intanto si sente la voce di un gentile che dice: «Maestro, parla un poco a noi, oggi. Ci è stato detto che Tu asserisci essere tutti gli uomini venuti da un solo Dio, il tuo. Tanto che li chiami figli del Padre. Una simile idea ebbero anche dei poeti stoici nostri. Dissero: “Noi siamo progenie di Dio”. I tuoi connazionali ci dicono più impuri di bestie. Come concili le due tendenze?».
   La questione è posta secondo le consuetudini delle dispute filosofiche, almeno credo. E Gesù sta per rispondere, quando più forte si alza la disputa fra i giudei increduli e quelli credenti, e una voce stridula ripete: «Egli è un semplice uomo. Il Cristo non sarà tale. Tutto sarà di eccezione in Lui. Forma, natura, origine…».

   487.4Gesù si volge in quella direzione e dice forte: «Dunque conoscete Me e conoscete da dove vengo? Ne siete ben sicuri? E anche quel poco che sapete non vi dice nulla? Non vi è conferma alle profezie? Ma voi tutto di Me non conoscete. In verità, in verità vi dico che Io non sono venuto da Me e da dove voi credete che Io sia venuto. È la stessa Verità, che voi non conoscete, quella che mi ha mandato».
   Un urlo di sdegno si alza dai nemici.
   «La stessa Verità. Voi non sapete le sue opere. Voi non sapete le sue vie. Quelle vie per le quali Io sono venuto. L’odio non può conoscere le vie e le opere dell’Amore. Le tenebre non possono sostenere la vista della Luce. Ma Io conosco Colui che mi ha mandato perché Io sono suo, sua parte e un Tutto con Lui. Ed Egli mi ha mandato perché Io compia ciò che il suo Pensiero vuole».
   Avviene un tumulto. I nemici si avventano per mettergli addosso le mani, catturarlo, percuoterlo. Apostoli, discepoli, popolo, gentili, proseliti, reagiscono per difenderlo. Accorrono altri in soccorso dei primi e forse riuscirebbero, ma Gamaliele, che fino a quel momento pareva estraneo ad ogni cosa, lascia il suo tappeto e viene verso Gesù, respinto da chi lo vuole difendere sotto il porticato, e grida: «Lasciatelo stare. Voglio sentire ciò che dice». Più del drappello di legionari, che dall’Antonia accorrono a sedare il tumulto, fa la voce di Gamaliele. Il tumulto cade come un turbine che si spezza, e si cheta il clamore in un brusio. I legionari, per prudenza, restano presso la cinta esterna, ma inutili ormai.
   «Parla», ordina Gamaliele a Gesù. «Rispondi a chi ti accu­sa». Il tono è imperioso, ma non schernitore.

   487.5Gesù si fa avanti, verso il cortile. Pacato, riprende a parlare. Gamaliele resta dove è, e i suoi discepoli si affannano a portargli tappeto e sgabello perché stia comodo. Ma egli rimane in piedi, con le sue braccia conserte, il capo chino, gli occhi chiusi, concentrato ad ascoltare.
   «Mi avete accusato senza ragione come se avessi bestemmiato in luogo di aver detto la verità. Io, non per difendermi, ma per darvi la luce acciò possiate conoscere la Verità, parlo. E non parlo per Me stesso. Ma parlo ricordando le parole nelle quali credete e sulle quali giurate. Esse testimoniano di Me. Voi, lo so, non vedete in Me che un uomo simile a voi, inferiore a voi. E vi pare che sia impossibile che un uomo possa essere il Messia. Almeno pensate che avesse ad essere un angelo, questo Messia, che deve essere di un’origine talmente misteriosa da poter essere re solo per l’autorità che il mistero della sua origine suscita. Ma quando mai nella storia del nostro popolo, nei libri che formano questa storia e che saranno libri eterni quanto il mondo, perché ad essi dottori di ogni paese e di ogni tempo attingeranno per corroborare la loro scienza e le loro ricerche sul passato con le luci della verità, quando mai in questi libri è detto che Dio abbia parlato ad un suo angelo per dirgli[118]: “Tu mi sarai d’ora in poi Figlio perché Io ti ho generato”?».
   Vedo Gamaliele che si fa dare una tavoletta e delle pergamene e si siede scrivendo…

   487.6«Gli angeli, creature spirituali, serve dell’Altissimo e sue messaggere, sono state create da Lui come l’uomo, come gli animali, come tutto ciò che fu creato. Ma non sono state generate da Lui. Perché Dio genera unicamente un altro Se stesso, non potendo il Perfetto generare altro che un Perfetto, un altro Essere pari a Se stesso, per non avvilire la sua perfezione col generare una creatura di Sé inferiore. Or dunque, se Dio non può generare gli angeli e neppure elevarli alla dignità di suoi figli, quale sarà il Figlio al quale Egli dice[119]: “Tu sei mio Figlio. Oggi ti ho generato”? E di che natura sarà se, generandolo, Egli dice indicandolo ai suoi angeli: “E Lui adorino tutti gli angeli di Dio”? E come sarà questo Figlio, per meritare di sentirsi dire dal Padre, da Colui che è per sua grazia se gli uomini lo possono nominare col cuore che si annichila adorando: “Siedi alla mia destra finché Io faccia dei tuoi nemici sgabello ai tuoi piedi”? Quel Figlio non potrà essere che Dio come il Padre, del quale divide gli attributi e le potenze, e col quale gode della Carità che li letifica negli ineffabili e inconoscibili amori della Perfezione per Se stessa.
   Ma, se Dio non ha giudicato conveniente elevare al grado di Figlio un angelo, avrebbe mai potuto dire di un uomo ciò che disse di Colui che qui vi parla — e molti fra voi che mi combattete eravate presenti quando lo disse — là al guado di Betabara, al finire di tre anni da questo? Voi lo udiste e tremaste. Perché la voce di Dio è inconfondibile, e senza una sua speciale grazia atterra chi la ode e ne scrolla il cuore.
   Cosa è dunque l’Uomo che vi parla? È forse uno nato da seme e da volere d’uomo come tutti voi? E potrebbe l’Altissimo aver posto lo Spirito suo ad abitare una carne priva di grazia, quale è quella degli uomini nati da voler carnale? E potrebbe l’Altissimo, a soddisfare la gran Colpa, essere pago del sacrificio di un uomo? Pensate. Egli non elegge un angelo ad esser Messia e Redentore, può mai allora eleggere un uomo ad esserlo? E poteva il Redentore essere soltanto Figlio del Padre senza assumere natura umana, ma con mezzi e poteri che superano le umane deduzioni? E il Primogenito di Dio poteva mai aver dei genitori, se Egli è il Primogenito eterno? Non vi si sconvolge il superbo pensiero davanti a questi interrogativi, che salgono verso i regni della Verità, sempre più vicini ad essa, e che trovano risposta solo in un cuore umile e pieno di fede?
   Chi deve essere il Cristo? Un angelo? Più che un angelo. Un uomo? Più che un uomo. Un Dio? Sì, un Dio. Ma con unita una Carne, perché essa possa compiere l’espiazione della carne colpevole. Ogni cosa va redenta attraverso la materia con cui peccò. Dio avrebbe perciò dovuto mandare un angelo per espiare le colpe degli angeli decaduti, e che espiasse per Lucifero e i suoi seguaci angelici. Perché, lo sapete, anche Lucifero peccò. Ma Dio non manda uno spirito angelico a redimere gli angeli tenebrosi. Essi non hanno adorato il Figlio di Dio, e Dio non perdona il peccato contro il suo Verbo generato dal suo Amore. Però Dio ama l’uomo e manda l’Uomo, l’Unico perfetto, a redimere l’uomo e a ottenere pace con Dio. E giusto è che solo un Uomo-Dio possa compiere la redenzione dell’uomo e placare Dio.

   487.7Il Padre e il Figlio si sono amati e compresi. E il Padre ha detto: “Voglio”. E il Figlio ha detto: “Voglio”. E poi il Figlio ha detto: “Dammi”. E il Padre ha detto: “Prendi”, e il Verbo ebbe una Carne la cui formazione è misteriosa, e questa Carne si chiamò Gesù Cristo, Messia, Colui che deve redimere gli uomini, portarli al Regno, vincere il demonio, infrangere le schiavitù.
   Vincere il demonio! Non poteva un angelo, non può compiere ciò che il Figlio dell’uomo può. E per questo, alla grande opera ecco che Dio non chiama gli angeli ma l’Uomo. Ecco l’Uomo della cui origine voi siete incerti, negatori o pensosi. Ecco l’Uomo. L’Uomo accettevole a Dio. L’Uomo rappresentante di tutti i suoi fratelli. L’Uomo come voi nella somiglianza, l’Uomo superiore e diverso a voi per la provenienza, il quale, non da uomo ma da Dio generato e consacrato al suo ministero, sta davanti all’eccelso altare per essere Sacerdote e Vittima per i peccati del mondo, eterno e supremo Pontefice, Sommo Sacerdote secondo l’ordine di Melchisedecco.
   Non tremate! Io non tendo le mani alla tiara ponteficale. Un altro serto mi aspetta. Non tremate! Io non vi toglierò il razionale. Un altro è già pronto per Me. Ma tremate soltanto che per voi non serva il sacrificio dell’Uomo e la misericordia del Cristo. Vi ho tanto amati, vi amo tanto che ho ottenuto dal Padre di annichilire Me stesso. Vi ho tanto amati e vi amo tanto che ho chiesto di consumare tutto il dolore del mondo per darvi la salute eterna.

   487.8Perché non mi volete credere? Non potete credere ancora? Non è detto[120] del Cristo: “Tu sei Sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedecco”? Ma quando si è iniziato il sacerdozio? Forse ai tempi di Abramo? No. E voi lo sapete. Il re di giustizia e di pace che appare ad annunciarmi, con figura profetica, all’aurora del nostro popolo, non vi ammonisce che c’è un sacerdozio più perfetto, che viene direttamente da Dio, così come Melchisedec di cui nessuno poté mai dare le origini e che viene chiamato “il sacerdote” e sacerdote rimarrà in eterno? Non credete più alle parole ispirate? E, se ci credete, come mai, o dottori, non sapete dare una spiegazione accettabile alle parole che dicono, e di Me parlano: “Tu sei Sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedech”? Vi è dunque un altro sacerdozio, oltre, prima di quello di Aronne. E di questo è detto “ sei”. Non “fosti”. Non “sarai”. Sei sacerdote in eterno. Ecco allora che questa frase preannuncia che l’eterno Sacerdote non sarà della nota stirpe di Aronne, non sarà di nessuna stirpe sacerdotale. Ma sarà di provenienza nuova, misteriosa come Melchisedec. È di questa provenienza. E se la potenza di Dio lo manda, segno è che vuole rinnovare il Sacerdozio e il rito perché divenga giovevole all’Umanità.
   Conoscete voi la mia origine? No. Sapete voi le mie opere? No. Intuite voi i frutti di esse? No. Nulla conoscete di Me. Vedete dunque che anche in questo sono il “Cristo”, la cui origine e natura e missione devono essere sconosciute fin quando a Dio non piaccia svelarle agli uomini. Beati quelli che sapranno, che sanno credere prima che la rivelazione tremenda di Dio non li schiacci col suo peso al suolo e ve li inchiodi e stritoli sotto la folgorante, potente verità tuonata dai Cieli, urlata dalla terra: “Costui era il Cristo di Dio”.
   Voi dite: “Egli è di Nazaret. Suo padre era Giuseppe. Sua madre è Maria”. No. Io non ho padre che mi abbia generato uomo. Io non ho madre che mi abbia generato Dio. Eppure ho una carne e l’ho assunta per misteriosa opera dello Spirito, e sono venuto fra voi passando per un tabernacolo santo. E vi salverò, dopo avere formato Me stesso per volere di Dio, vi salverò facendo uscire il vero Me stesso dal tabernacolo del mio Corpo per consumare il grande Sacrificio di un Dio che si immola per la salvezza dell’uomo.

   487.9Padre, Padre mio! Io te l’ho detto all’inizio dei giorni: “Eccomi a fare la tua volontà”. Io te l’ho detto all’ora di grazia prima di lasciarti per rivestirmi di carne onde patire: “Eccomi a fare la tua volontà”. Io te lo dico ancora una volta per santificare coloro per i quali sono venuto: “Eccomi a fare la tua volontà”. E te lo dirò ancora, sempre, sinché la tua volontà sia compiuta…».
   Gesù, che ha alzato le braccia verso il cielo, pregando, ora le abbassa e le raccoglie sul petto e china la testa, chiude gli occhi e si sprofonda in una orazione segreta.
   La gente bisbiglia. Non tutti hanno capito, anzi i più (e io con loro) non hanno capito. Siamo troppo ignoranti. Ma intuiamo che Egli ha enunciato delle grandi cose. E tacciamo ammirati.
   I malevoli, che non hanno capito o non hanno voluto capire, ghignano: «È un delirante!». Ma non osano dire di più e si scostano o si avviano alle porte scuotendo il capo. Tanta prudenza io credo sia il frutto delle lance e daghe romane che brillano al sole contro la muraglia estrema.

   487.10Gamaliele si fa largo fra i rimasti. Giunge presso Gesù, che prega ancora, assorto, lontano dalla folla e dal luogo, e lo chiama: «Rabbi Gesù!».
   «Che vuoi, rabbi Gamaliele?», chiede Gesù alzando il capo, con gli occhi ancora assorti in un’interna visione.
   «Una spiegazione da Te».
   «Parla».
   «Ritiratevi tutti!», ordina Gamaliele e con un tale tono che apostoli, discepoli, seguaci, curiosi, e gli stessi discepoli di Gamaliele, si scostano alla svelta.
   Restano soli l’uno di fronte all’altro. E si guardano. Gesù sempre mite e dolce, l’altro autoritario senza volere e involontariamente superbo nell’aspetto. Espressione venutagli certo da anni di ossequio esagerato.
   «Maestro… Mi sono state riportate delle tue parole. Dette ad un convito… che io ho disapprovato perché insincero. Io combatto o non combatto, ma sempre apertamente… Ho meditato quelle parole. Le ho confrontate a quelle che sono nel mio ricordo… E ti ho atteso, qui, per interrogarti su esse… E prima ho voluto sentirti parlare… Essi non hanno capito. Io spero di poter capire. Ho scritto le tue parole mentre le dicevi. Per meditarle. E non per nuocerti. Mi credi?».
   «Ti credo. E voglia l’Altissimo farle fiammeggiare al tuo spirito».
   «Così sia. Odi. Le pietre che devono fremere sono forse quelle dei nostri cuori?».
   «No, rabbi. Queste (e indica le muraglie del Tempio con atto circolare). Perché lo chiedi?».
   «Perché il mio cuore ha fremuto quando mi furono riportate le tue parole del convito e le tue risposte ai tentatori. Credevo che quel fremito fosse il segno…».
   «No, rabbi. È troppo poco il fremito del tuo cuore e quello di pochi altri per essere il segno che non lascia dubbi… Anche se tu, con raro giudizio di umile conoscimento di te, definisci il tuo cuore: pietra. Oh! Rabbi Gamaliele, proprio non puoi far del tuo impietrito cuore un luminoso altare accogliente Iddio? Non per mio utile, rabbi. Ma perché la tua giustizia sia completa…».
   E Gesù guarda dolcemente l’anziano maestro, che si tormenta la barba e insinua le dita sotto il copricapo stringendosi la fronte e mormorando, e curva il capo per dirlo: «Non posso… Non posso ancora… Ma spero… Quel segno lo darai sempre?».
   «Lo darò».
   «Addio, rabbi Gesù».
   «Il Signore venga a te, rabbi Gamaliele».
   Si separano. Gesù fa un cenno ai suoi e con essi si avvia fuori del Tempio.

   487.11Scribi, farisei, sacerdoti, discepoli di rabbi si precipitano come tanti avvoltoi intorno a Gamaliele, che sta mettendosi nell’alta cintura i fogli che ha scritto. «Ebbene? Che te ne pare? Un pazzo? Hai fatto bene a scrivere quei deliri. Ci serviranno. Hai deciso? Sei persuaso? Ieri… oggi… Più che non occorra per persuaderti». Parlano tumultuariamente e Gamaliele tace mentre si assetta la cintura, chiude il calamaio che vi ha appeso, rende al suo discepolo la tavoletta su cui si è appoggiato per scrivere sulle pergamene.
   «Non rispondi? Da ieri non parli…», incalza un suo collega.
   «Ascolto. Non voi. Lui. E cerco di riconoscere nelle parole di ora la parola che mi ha parlato un giorno. Qui».
   «E la trovi forse?», ridono in molti.
   «Così come un tuono, che ha diversa voce a seconda se è più vicino o più lontano. Ma è sempre rumore di tuono».
   «Suono inconcludente, allora», beffeggia uno.
   «Non ridere, Levi. Nel tuono può essere anche la voce di Dio, e noi essere tanto stolti da crederla rumor di nubi lacerate… Non ridere neppur tu, Elchia, e tu Simone, che il tuono non si abbia a cangiare in fulmine e incenerirvi…».
   «Allora… tu… quasi dici che il Galileo è quel fanciullo che con Illele credeste profeta, e che quel fanciullo e quell’uomo sono il Messia…», chiedono motteggiatori, per quanto in sordina, perché Gamaliele si fa rispettare.
   «Non dico nulla. Dico che il rumore del tuono è sempre rumore di tuono».
   «Più vicino o più lontano?».
   «Ahimè! Le parole sono più forti, come l’età lo importa. Ma i venti anni passati hanno fatto venti volte più chiuso il mio intelletto sul tesoro che possiede. E il suono penetra più debolmente…». E Gamaliele lascia cadere la testa sul petto, meditabondo.
   «Ah! Ah! Ah! Invecchi e ti fai stolto, Gamaliele! Prendi per realtà i fantasmi. Ah! Ah! Ah!», ridono tutti.
   Gamaliele ha una sdegnosa alzata di spalle. Poi raccoglie il suo manto, che gli pendeva dalle spalle, vi si avvolge a più giri tanto è ampio, e volta le spalle a tutti senza ribattere parola, sprezzante nel suo silenzio.

[117] Ridono fra loro. Sul manoscritto originale, tutte le battute del dialogo che precede sono scritte in continuazione e senza le virgolette, ma separate dal segno =. E a questo punto MV annota: (Per non sciupare troppa carta, ho diviso col segno: = le diverse frasi fra Gentili (nota mia). Tenerne nota nel copiare) . Analoghe annotazioni in 3.3 e 133.5.
[118] per dirgli, come nel Salmo 2, 7 .
[179] dice, nel Salmo 97, 7 (volgata: voi tutti, o angeli suoi; neo-volgata: tutti gli dèi ); sentirsi dire, come nel Salmo 110, 1 .
[120] è detto nel Salmo 110, 4; re di giustizia e di pace è Melchisedec, come annota MV su una copia dattiloscritta, dove aggiunge il rinvio a Genesi 14, 18-20 .