MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME VII CAPITOLO 498



CDXCVIII. Esortazione al Taddeo e a Giacomo di Zebedeo a seguito di un diverbio con l'Iscariota.

   21 settembre 1946.

   498.1«Ma vuoi proprio andare per questa via? Non mi pare prudente per molte ragioni…», obbietta l’Iscariota.
   «Quali? Non sono forse venuti a Me, sino a Cafarnao, uomini di questi paesi, cercando salute e sapienza? Non sono anche essi creature di Dio?».
   «Sì… Ma… Non è prudente per Te andare troppo vicino a Macheronte… È un luogo infausto ai nemici di Erode».
   «Macheronte è lontana. E non ho tempo di andare sin là. Vorrei andare fino a Petra ed oltre… Ma non giungerò che a mezza via e meno ancora. Ad ogni modo andiamo…».
   «Giuseppe ti ha consigliato…».
   «Di stare su vie sorvegliate. Questa è appunto la via d’Oltre Giordano che i romani vigilano fortemente. Non sono vile, Giuda, e neppure imprudente».
   «Io non mi fiderei. Io non mi allontanerei da Gerusalemme. Io…».
   «Ma lascialo fare, il Maestro. Lui è il Maestro e noi i suoi discepoli. Quando mai si è visto che è il discepolo a consigliare il Maestro?», dice Giacomo di Zebedeo.
   «Quando? Non sono passati anni che tuo fratello ha detto[137] al Maestro di non andare ad Acor e Lui lo ha ascoltato. Adesso ascolti me».
   «Sei geloso e prepotente. Se mio fratello ha parlato ed è stato ascoltato, segno è che era giusta parola e andava ascoltata. Bastava guardarlo Giovanni quel giorno per capire che era giustizia ascoltarlo!».
   «Oh! con tutta la sua sapienza non lo ha mai saputo difendere, e mai lo saprà fare. È recente invece ciò che ho fatto io venendo a Gerusalemme».
   «Hai fatto il tuo dovere. Anche mio fratello lo avrebbe fatto all’occasione, con altri modi, perché egli non sa mentire neppure per cose buone, e ne sono lieto…».
   «Tu mi offendi. Mi dici menzognero…».
   «Eh! vuoi che ti dica sincero, se hai mentito così abilmente senza mutar colore?».
   «Lo facevo…».
   «Sì. Lo so. Lo so! Per salvare il Maestro. Ma non mi va, e non va a nessuno di noi. Preferiamo la semplice risposta del vecchio[138]. Preferiamo tacere ed essere detti stolti, malmenati anche, ma non mentire. Si incomincia per una cosa buona e si finisce con una cosa non buona».
   «Chi è malvagio. Non io. Chi è stolto. Non io».

   498.2«Basta! Avendo ragione, finite ad avere torto, un torto diverso da quello che vi rinfacciate, perché è torto contro la carità. Ciò che Io penso sulla sincerità tutti lo sapete. Ciò che esigo nella carità anche. Andiamo. Queste vostre dispute mi sono più penose degli insulti dei nemici».
   E Gesù, palesemente inquieto, si dà a camminare velocemente, da solo, per una via che, senza bisogno di essere archeologi, si capisce essere costruita dai romani. Va verso sud, quasi diritta a perdita d’occhio fra due catene di monti non indifferenti. Strada monotona, cupa per le coste boschive che la serrano impedendo di spaziare sull’orizzonte, ma ben tenuta. Ogni tanto qualche ponte romano gettato su torrenti e fiumiciattoli, che certo scendono al Giordano o al mar Morto. Non so di preciso, perché i monti mi impediscono di vedere ad occidente, dove devono essere fiume e mare. E qualche carovana sulla strada, carovana che risale forse dal mar Rosso e va chissà mai dove, con molti cammelli e cammellieri e mercanti di razza palesemente diversa da quella ebraica.
   Gesù è sempre avanti, solo. Dietro, divisi in due gruppi, gli apostoli parlottanti fra loro. I galilei avanti. Dietro, i giudei più Andrea e Giovanni e i due discepoli che si sono uniti ad essi. I due gruppi cercano, uno di consolare Giacomo, rimasto depresso dal severo rimprovero del Maestro, l’altro di persuadere Giuda a non essere sempre così ostinato e aggressivo. E tutti e due i gruppi sono concordi nel consigliare i due rimproverati ad andare dal Maestro e far pace con Lui.
   «Io? Ma io ci vado subito. So di aver ragione. So le mie azioni. Non sono io che ho insinuato del male. E vado», dice l’Iscariota. È baldanzoso, direi sfrontato. Accelera il passo per raggiungere Gesù. Mi domando una volta di più se egli in quei giorni era già pronto a tradire e cospirava già con i nemici del Cristo…
   Giacomo, invece, che in fondo è il meno colpevole, è così accasciato di aver dato dolore al Maestro che non ha il coraggio di andare avanti. Lo guarda, il suo Maestro, che ora parla con Giuda… Lo guarda, e il desiderio della sua parola di perdono è vivo sul suo volto. Ma il suo stesso amore, sincero, costante, forte, gli fa sembrare imperdonabile il suo malfatto.

   498.3Ora i due gruppi si sono riuniti, e anche Simone Zelote, Andrea, Tommaso e Giovanni dicono: «Ma via! Non lo conoscessi! Egli ti ha già perdonato!»; e con molta acutezza di giudizio Bartolomeo, anziano e saggio, dice posando la mano sulla spalla di Giacomo: «Io te lo dico: per non suscitare altre tempeste Egli ha dato imparzialmente rimprovero a voi due. Ma il suo cuore lo diceva a Giuda soltanto».
   «È così, Tolmai! Mio fratello consuma Se stesso nel sopportare quell’uomo che si ostina a voler ravvedere, e si stanca nel cercare di farcelo apparire… come noi siamo. Egli è il Maestro, e io… sono io… Ma fossi io Lui, oh! l’uomo di Keriot non sarebbe con noi!», dice il Taddeo con dei lampi negli occhi bellissimi che ricordano quelli di Cristo.
   «Tu credi? Tu sospetti? Cosa?», dicono in diversi.
   «Nulla. Nulla di preciso. Ma quell’uomo non mi piace».
   «Non ti è mai piaciuto, fratello. Una ripulsione irragionevole perché sorta al primo incontro. Tu me lo hai confessato. È contraria all’amore. Dovresti vincerla, non fosse altro che per dar gioia a Gesù», dice calmo e persuasivo Giacomo d’Alfeo.
   «Hai ragione, ma… non ci riesco.

   498.4Vieni, Giacomo, andiamo insieme da mio Fratello», e Giuda di Alfeo prende risolutamente il braccio di Giacomo di Zebedeo e lo trascina con sé.
   Giuda li sente venire e si volta, e poi dice a Gesù qualche cosa. Gesù si ferma e li attende. Giuda, malizioso nello sguardo, osserva il mortificato apostolo.
   «Scusa, scansati un poco. Ho bisogno di parlare con mio Fratello», dice il Taddeo. La frase è cortese, ma molto asciutto ne è il tono.
   L’Iscariota ha un risolino, poi con una scrollatina di spalle torna sui suoi passi unendosi agli altri.
   «Gesù, noi siamo peccatori…», dice Giuda Taddeo.
   «Io sono peccatore, non te», mormora Giacomo a capo chino.
   «Noi siamo peccatori, Giacomo, perché ciò che tu hai detto io l’ho pensato, l’ho approvato, ce l’ho in cuore. Perciò io pure sono in peccato. Perché dal mio cuore esce il giudizio verso Giuda a contaminare la mia carità… Gesù, non dici nulla ai tuoi discepoli che riconoscono il loro peccato?».
   «Che devo dire che già non sappiate? Vi mutate forse verso il compagno per le mie parole?».
   «No. Non più di quanto egli si muti per quelle che Tu gli dici», gli risponde, sincero per sé e per gli altri, suo cugino.
   «Lascia fare, Giuda, lascia fare! Io ho sbagliato. Di me si tratta e devo occuparmi di me, non di altri. Maestro, non essere inquieto con me…».

   498.5«Giacomo, Io vorrei da te, da tutti, una cosa. Ho tanto dolore, per tante incomprensioni che incontro… per tante resistenze cocciute. Voi lo vedete… Su un luogo che mi dà gioia, tre non me ne danno, e mi cacciano come un malfattore. Ma quella comprensione, quell’aderenza che gli altri non mi danno, vorrei averla almeno da voi. Che il mondo non mi ami, che Io mi senta soffocato da tutto quest’odio, da questa antipatia, inimicizia, sospetto che mi circonda, dalle brutture di ogni specie, dagli egoismi, da tutto quanto solo il mio infinito amore per l’uomo mi fa sopportare, è penoso. Ma lo soffro ancora con sopportazione. Sono venuto per soffrire di questo da quelli che odiano la Salute. Ma voi! No, questo non sopporto! Questo, che voi non siate capaci di amarvi fra voi e perciò di comprendermi. Questo, che voi non aderiate al mio spirito, sforzandovi di fare ciò che Io faccio.
   Credete, potete credere voi tutti, che Io non veda gli errori di Giuda, che ignori cosa alcuna di lui? Oh! persuadetevi che non è così. Ma, se avessi voluto dei perfetti nello spirito, avrei fatto incarnare degli angeli e me ne sarei contornato. Lo avrei potuto fare. Sarebbe stato un vero bene? No. Da parte mia sarebbe stato egoismo e sprezzo. Avrei evitato il dolore che mi viene dalle vostre imperfezioni, e avrei sprezzato gli uomini creati dal Padre mio e tanto amati da Lui da mandarmi a salvarli. E da parte dell’uomo sarebbe stato nocumento per il futuro. Finita la mia missione, risalito al Cielo coi miei angeli, che sarebbe rimasto di atto a continuare la mia missione, e chi? Quale uomo avrebbe potuto sforzarsi a fare ciò che dico, se solo un Dio e degli angeli avessero dato l’esempio di una vita nuova, regolata dallo spirito?
   È stato necessario che Io vestissi una carne per persuadere l’uomo che, volendo, l’uomo può essere casto e santo in tutti i modi. Ed è stato necessario che Io prendessi degli uomini, così, quelli che col loro spirito risposero all’appello del mio spirito, senza guardare se erano ricchi o poveri, dotti o ignoranti, cittadini o paesani. Li prendessi così come li trovavo, e il mio e loro volere li trasformasse lentamente in maestri di altri uomini.
   L’uomo può credere all’uomo, all’uomo che vede. È difficile all’uomo, tanto decaduto, credere a Dio che non vede. Non erano ancora terminati i fulmini sul Sinai e già ai piedi del monte l’idolatria era sorta… Non era ancora morto Mosè, il cui volto non si poteva guardare, e già si peccava contro la Legge. Ma quando voi, trasformati in maestri, sarete come esempio, come testimonianza, come lievito fra gli uomini, essi non potranno più dire: “Sono dei discesi fra gli uomini e noi non li possiamo imitare”. Dovranno dire: “Sono uomini come noi. Certo in loro sono gli stessi istinti e stimoli nostri, le stesse reazioni, eppure essi sanno resistere agli stimoli e istinti, e avere altre reazioni ben diverse dalle nostre brutali”. E si persuaderanno che l’uomo si può divinizzare, solo che voglia entrare nelle vie di Dio.
   Osservate i gentili e gli idolatri. Tutto il loro Olimpo, tutti i loro idoli li fanno forse più buoni? No. Perché essi, se sono increduli, dicono che i loro dèi sono fola; se sono credenti, pensano: “sono dèi e io uomo”, e non si sforzano di imitarli. Voi dunque cercate di divenire altri Me. E non abbiate frette. L’uomo si evolve lentamente da animale ragionevole in essere spirituale. Compatitevi, compatitevi! Nessuno, tolto Dio, è perfetto.

   498.6E ora tutto è passato, non è vero? Trasformatevi con ferma volontà imitando Simone di Giona, che in meno di un anno ha fatto passi di gigante. Eppure… Chi era uomo fra voi più uomo di Simone con tutte le mende di un’umanità molto materiale?».
   «È vero, Gesù. È il mio studio continuo quell’uomo. E la mia ammirazione», confessa il Taddeo.
   «Sì. Io sono con lui dalla fanciullezza. Lo conosco come mi fosse un fratello. Ma ora ho di fronte un Simone nuovo. Ti confesso che quando dicesti che era il nostro capo, io, e non io solo, sono rimasto perplesso. Mi pareva il meno indicato di tutti. Simone rispetto all’altro Simone e a Natanaele! Simone rispetto a mio fratello e ai tuoi fratelli! Soprattutto a questi cinque! Mi sembrava proprio un errore… Adesso dico che Tu avevi ragio­ne».
   «E voi non vedete che la superficie di Simone! Ma Io ne vedo il profondo. Per essere perfetto ha ancora molto da fare e da patire. Ma in tutti vorrei la sua buona volontà, la sua semplicità, la sua umiltà e il suo amore…».
   Gesù guarda avanti, pare veda chissà che. È assorto in un suo pensiero e sorride a quel che vede. Poi abbassa gli occhi su Giacomo e gli sorride.
   «Allora… sono perdonato?!».
   «Vorrei poter perdonare tutti come a te… Ecco, quella città deve essere Esebon. L’uomo lo ha detto: dopo il ponte a tre archi è la città. Attendiamo gli altri per entrare insieme in città».

[137] ha detto, in 379.2 (episodio già ricordato dallo stesso Iscariota in 422.6).
[138] la semplice risposta del vecchio, cioè di Anania, in 496.3.