MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME VII CAPITOLO 440



CDXL. Un altro sabato a Nazareth. Ostinatezza di Giuseppe d’Alfeo.

   21 maggio 1946.

   440.1Un nuovo sabato a Nazaret. Ossia un nuovo inizio di sabato, perché appena il tramonto del venerdì ha inizio quando, accaldate ma liete, giungono Mirta e Noemi insieme al giovane Abele. Smontano dai loro somarelli, che Abele conduce altrove, certo a qualche stalla amica, forse a quella dei due asinai di Nazaret divenuti discepoli, ed entrano dalla porta del laboratorio, aperta per dare ventilazione nello stanzone, dove fino a poco prima il calore del rustico camino si è messo a complice del gran calore estivo.
   Tommaso sta riponendo i suoi strumenti e Simone spazza le segature, mentre Gesù sta nettando pentoli e pentolini da colle e vernici.
   «La pace a Te, Maestro, e a voi discepoli», salutano le donne inchinandosi molto sin dal primo entrare e finendo di prostrarsi ai piedi di Gesù dopo aver traversato il laboratorio.
   «La pace a voi. Siete molto fedeli! Venire con questo cal­do!».
   «Oh! nulla! Si sta tanto bene qui, che si dimentica tutto. Tua Madre dove è?».
   «È di là che finisce una veste di Aurea. Andate pure».
   Le due vanno via leste con le loro bisacce e si sentono le loro voci tonate, piuttosto basse, fondersi alla vocetta ancora asprigna di Aurea e alla voce argentina di Maria.
   «Ora saranno felici!», dice Tommaso.
   «Sì. Sono buone donne», risponde Gesù.
   «Maestro, Mirta, oltre a conservare il figlio che aveva, ha acquistato una nuova creatura. E in poco più di un anno…», dice lo Zelote.
   «Già! In poco più di un anno! È già più di un anno che Maria di Lazzaro s’è convertita. Come passa il tempo! Mi par ieri… Quante cose anche lo scorso anno! Quel bel ritiro prima del­l’ele­zio­ne! Poi Giovanni di Endor! Poi Marziam! Poi Daniele di Naim e poi Maria di Lazzaro e poi Sintica… Ma dove sarà Sintica? Io ci penso sovente e non so capire perché…». Tommaso finisce a monologare fra sé, perché Gesù e Simone non gli rispondono, ma anzi escono a lavarsi nell’orto per poi raggiungere le discepole.
   […]

   440.2Ritorna Abele di Betlemme di Galilea e trova ancora Tommaso che pensa, davanti al posto dove generalmente lavora, smuovendo sopra pensiero i suoi minuti capolavori di orafo.
   «Hai trovato lavoro?», chiede il discepolo curvandosi su quegli oggetti minuti.
   «Oh! ho fatto felici tutte le donne di Nazaret. Non avrei mai supposto che ci fossero tante fibbie, tanti bracciali e collane e gigli da aggiustare. Ho persino dovuto pregare Matteo di portarmi del metallo da Tiberiade. Mi sono fatto una clientela… ah! ah! (ride allegro) come neppure mio padre ce l’ha. Vero è che non chiedo denaro…».
   «Ci rimetti tutto?».
   «No. Prendo solo il valore del metallo. Il lavoro lo regalo».
   «Sei generoso».
   «No. Sono saggio. Non ozio. Do esempio di operosità e di distacco dal denaro e… predico… Taci! Credo di avere più predicato facendo così, senza dire una parabola, senza aver detto una parola nella sinagoga, che se avessi parlato di continuo. E poi… Faccio tirocinio. Mi sono promesso che col lavoro farò propaganda quando dovrò andare a predicare Gesù fra gli infedeli. E mi ci addestro».
   «Sei sapiente come orafo e come apostolo».
   «Mi sforzo d’esserlo per amore a Gesù…

   440.3Sicché tu hai acquistato una sorella? Trattala bene, sai? È come una colombina di nido, te lo dico io che sono uso per il mio mestiere a trattare con le donne. Una ingenua colombina che ha avuto una gran paura dello sparviero e che cerca delle ali materne e fraterne a difesa. Se tua madre non l’avesse voluta l’avrei chiesta io, per la mia gemella. Figlio più, figlio meno! È tanto buona mia sorella, sai?».
   «Anche mia madre. Le è morta una bambina quando restò vedova. Forse il latte s’era fatto cattivo nel dolor della morte dello sposo… Io me la ricordo appena, questa sorellina… e forse non me la ricorderei neppure se mia madre non la piangesse sovente e se ogni fanciullina povera di Betlem non avesse avuto diritto a cibo e vesti dalla nostra casa, in ricordo della piccola morta… Ma cresciuto come sono con la mamma soltanto, ho finito per avere anche io un grande amore alle fanciulline… Questa sento che non è più una pargola… ma la vedrò come tale, per il suo cuore, se è come mia madre e Noemi e tu dite…».
   «Siine certo. Andiamo di là…».

   440.4Di là, ossia nella stanzetta dei pasti, sono le donne, Gesù e lo Zelote. E Mirta, venuta già con una grande speranza, sta conquistando Aurea provandole una veste di lino che ha cucito per la fanciulla.
   «Va proprio bene», dice sfilandogliela e carezzandola, mentre le raggiusta la veste che si è scomposta mettendo l’altra nuova. «Va proprio bene. Ma tutto andrà bene. Vedrai, figlia mia… Oh! ecco il mio Abele. Vieni avanti, figlio. Ecco Aurea. Ora sarà nostra, lo sai?».
   «Lo so, madre, e sono contento con te». Guarda la fanciulla… la studia… i suoi occhi scuri si fissano e perdono nelle larghe iridi di pallido cielo. L’esame lo soddisfa. Le sorride. Le dice: «Ci ameremo nel Signore che ci ha salvati e lo ameremo e faremo amare. E ti sarò fratello nello spirito e nell’affetto. Lo prometto davanti al Maestro e a mia madre», e con un bel sorriso limpido di giovane puro, già avviato all’alta spiritualità, le tende la mano forte e bruna.
   Aurea resta esitante e poi, arrossendo, mette la sua mano sinistra nella destra che le viene porta e dice: «Così faremo. Nel Signore».
   Gli adulti sorridono fra di loro…

   440.5«Qui si può entrare senza bussare alle porte…».
   «Ecco Simone di Giona! Questa volta non ha resistito alla tentazione…», ride Tommaso correndo fuori.
   «Già! non ho resistito… La pace a Te, Maestro!». Bacia Gesù e ne è baciato. «Chi può resistere?». Vede Maria e si curva salutando, poi riprende: «Però, per scrupolo, siamo passati da Tiberiade e abbiamo cercato Giuda. Perché… ci siamo tutti, eh?! Gli altri stanno venendo. Anche Marziam… Dunque dicevo che siamo passati da Tiberiade. Umh! già! a cercare di Giuda per il caso che… pensasse, almeno al quarto sabato, di venire a Cafarnao… Sarebbe stato brutto che fossimo tutti via… E lo abbiamo trovato… già! Anzi lo ha trovato Isacco, andato a salutare Gionata… Perché Isacco ha finito per venire a Cafarnao ad attenderti con non so quanti, rimasti là a farsi più sapienti sotto la guida di Erma e Stefano, di tuo figlio, Noemi, e del sacerdote Giovanni… Ma Isacco è venuto con noi, perché anche lui muore se non ti vede… E, povero Isacco! non è stato molto bene accolto da Giuda. Ma Isacco deve aver distrutto le impazienze, i risentimenti, le furie nella lunga malattia… Non reagisce mai! Anche se lo prendono a schiaffi sorride… Che uomo di pace! Bene. Ci ha detto: “Giuda l’ho visto io. Non viene. Non insistete”. Io ho capito. Ho detto: “Ti ha risposto male? Dillo. Sono il capo e devo sapere…”. “Oh! no”, ha risposto. “Non ha risposto male lui, ma il suo male. Va compatito…”… E compatiamolo… Eccoci qui, insomma. E ben felici di…

   440.6Ecco gli altri…».
   E con gli altri sono anche Giuda e Giacomo d’Alfeo con la madre e i discepoli di Nazaret: Aser, Ismaele e Simone d’Alfeo e, caso raro, anche Giuseppe d’Alfeo.
   Si scaricano delle loro borse. Natanaele ha portato del miele e Filippo un cestino d’uva bionda come i capelli di Aurea. Pietro del pesce marinato e così i figli di Zebedeo. Matteo, che non ha una casa tenuta da donne e perciò non ha nulla di buono, ha portato una giara piena di terra e con dentro un esile tronco che direi, dal fogliame, un limone o un arancio o qualche altro agrume, e spiega: «Una primizia… Soltanto chi è stato a Cirene può averne, e io conosco uno che fu a Cirene, uno del fisco come me un tempo. Ora si è messo in riposo a Ippo. Sono andato a farmi dare la piantina, perché a luna nuova va messa a dimora. Sono frutti buoni, belli, e il fiore ha un profumo soave e pare una stella di cera, una stella come il tuo nome… Ecco», e offre la pianta a Maria.
   «Ma quanto hai faticato con questo peso, Matteo! Io ti sono grata. Il mio orto si fa sempre più bello per voi. La canfora di Porfirea, le rose di Giovanna, la tua pianta rara, Matteo, le altre da fiore portate da Giuda di Keriot… Quante belle cose, quanto siete buoni tutti con la Madre di Gesù!».
   Gli apostoli sono tutti commossi; soltanto si sbirciano fra loro quando Maria nomina Giuda.

   440.7«Sì. Ti vogliono bene. Ma anche noi te ne vogliamo», dice serio e impettito Giuseppe d’Alfeo.
   «Certo! Voi siete i cari figli di Alfeo, mio parente, e di Maria, così buona. E mi volete bene. Ma ciò è naturale. Siamo parenti… Questi invece non sono del sangue, eppure come figli mi sono, come fratelli a Gesù, tanto l’amano e lo seguono…».
   Giuseppe capisce l’antifona e si schiarisce la gola cercando le parole… Le trova… Dice: «Già! Ma se io non sono ancora con loro è perché penso anche alle conseguenze per Lui, per te… e… e… Insomma! È amore anche il mio, specie per te, povera donna, che resti sola troppo tempo… E sono venuto a dire a Gesù che sono contento che si sia ricordato anche delle necessità della Madre e abbia fatto ciò che era utile qui…», e contento di essere il “ capo” della parentela, e di poter lodare e ammonire, si benigna di encomiare Gesù per tutti i lavori di falegnameria, verniciatura e altri, fatti in quel mese: «Così va fatto! Ora si vede che questa donna ha un figlio! Ma sono lieto di poterlo dire che ritrovo il mio saggio Gesù di Giuseppe. Bravo! Bravo!».
   E il saggio Gesù di Giuseppe, il saggissimo Verbo Divino umiliato in una carne, mite ed umile, accoglie le lodi miste agli… autorevoli consigli del cugino Giuseppe con un sorriso così dolce che serve a tenere a freno ogni intempestiva reazione apostolica in favore di Gesù.
   E Giuseppe, preso l’aire, vedendosi così ascoltato, non si limita. Ma prosegue: «Voglio sperare che d’ora in avanti Nazaret non avrà più la vista di una povera madre abbandonata e di un suo figlio che, imprudente, esce dal sentiero comune per battere vie insicure nelle mète e nelle conseguenze. Parlerò con i miei amici, col sinagogo… Ti perdoneremo… Oh! Nazaret sarà ben felice di riaprirti le braccia come a figlio che torna. E che torna esempio di virtù a tutti i cittadini. Domani stesso, io stesso ti riaccompagnerò nella sinagoga e…».

   440.8Gesù alza la mano imponendo silenzio e, calmo ma ben deciso, dice: «Nella sinagoga, come fedele, certo ci verrò come vi andai gli altri sabati. Ma non occorre che tu perori in mio favore. Perché un’ora dopo il tramonto Io partirò per tornare ad evangelizzare, come è il mio dovere di ubbidienza all’Altissi­mo».
   Un grande smacco per Giuseppe!… Molto grande!… Tutta la sua bonomia si infrange e riaffiora la sua intransigenza ostile: «Va bene. Ma non mi ricercare nell’ora del bisogno. Io ho fatto il mio dovere e le tue certe sventure non ricadono su di me. Addio. Qui sono di troppo, perché io non posso comprendere voi e voi non potete comprendere me. Mi ritiro, senza rancore, ma molto afflitto… Il Signore ti protegga come protegge tutti coloro che… sono semplici di mente, incompleti… Addio, Maria! Fatti cuore, povera madre!».
   «Addio, Giuseppe. Ma non per Lui, per te mi devo far cuore. Perché tu sei quello che sei fuori della via di Dio, e mi dai dolore», dice pacata ma sicura Maria.
   «Sei uno stolto, ecco! E se non fossi ormai il capo di casa ti percuoterei, creatura del mio sangue ma non del mio spirito…», strilla Maria d’Alfeo.
   E direbbe altro, ma Maria la supplica: «Taci! Per amor mio».
   «Taccio. Sì. Ma… Ma guardate se devo vedere fra i miei figli un bastardo così!…».
   Il bastardo intanto se ne è andato, mentre la buona Maria d’Alfeo scarica tutto il suo peso per questo figlio cocciuto. E finisce in un gran pianto il suo sfogo, e fra i singhiozzi dice la più grande pena nella sua pena: «E non lo avrò con me in Cielo quello lì, non lo avrò! Lo vedrò nei tormenti! Oh! Gesù! Fàllo Tu il miracolo!».
   «Ma sì, Maria! Ma sì. Non piangere! Verrà l’ora anche per lui. L’undecima, forse. Ma verrà. Te lo assicuro. Non piangere…», la conforta Gesù… E, a pianto finito, dice agli apostoli e discepoli: «Venite nell’uliveto mentre le donne preparano le loro cose. Parleremo fra noi».