MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME VII CAPITOLO 441



CDXLI. Un dono di Tommaso alla Vergine e partenza da Nazareth. Miracolo su un incendio che diventa il tema di due parabole.

   22 maggio 1946.

   441.1È la sera del vero sabato e la vita riprende dopo il riposo sabatico. Qui, nella casetta di Nazaret, riprende dopo il riposo con i preparativi della partenza. Provviste che si ripongono, vesti stipate nelle bisacce, bisacce alle quali si stringono saldamente i lacci, sandali osservati se sono ben sicuri nelle corregge di cuoio e nelle fibbie, asinelli abbeverati e pasciuti presso la siepe dell’orto… e saluti, e qualche lacrima fra i sorrisi e benedizioni, e promesse di ritrovarsi presto… E, inaspettata, l’offerta di Tommaso a Maria: una fibbia, noi diremmo spilla, per tenere raccolta la veste allo scollo, fatta di tre esili, aerei, perfetti steli di mughetto, raccolti in due foglie la cui esattezza con le vere è data dal metallo trattato da mano maestra.
   «Tu non la porterai, Madre, lo so, ma accettala ugualmente. Mi è venuta voglia di farti questo da quando un giorno il mio Signore parlò di te[13] paragonandoti ai gigli delle convalli… Io non ho fatto nulla per la tua casa… ma ho fatto questo per te, perché la lode del tuo Figlio fosse tradotta in simbolo per te che la meriti più di ogni donna. E se non ho potuto dare al metallo la morbidezza dello stelo vivo e la fragranza del fiore, il mio sincero, venerabondo amore per te lo ammorbidiscano come una carezza e lo profumino della mia devozione per te, Madre del mio Signore».
   «Oh! Toma! È vero. Io non porto gioielli, parendomi cosa vana. Ma questo non è tale. Questo è amore del mio Gesù e del suo apostolo, e caro mi è. Lo guarderò ogni giorno e penserò al buon Toma, che tanto ama il suo Maestro da ritenere non solo la Dottrina sua, ma anche le sue più umili parole sulle cose più umili e sulle più umili, insignificanti persone. Grazie, Toma. Non per il valore, ma per il tuo amore, grazie!».
   Tutti ammirano il lavoro perfetto,

   441.2e Toma, tutto felice, tira fuori un più piccolo lavoretto: tre stelline di gelsomino con una minuscola fronda, legate in un cerchio sottile, e lo dà ad Aurea. «Perché non sei stata civetta a volerlo, perché sei stata qui mentre il gelsomino è in fiore, e perché queste stelline ti ricordino la Stella nostra. Però, bada! Tu, con le tue virtù, devi profumare i fiori ed essere un fiore tu pure, candido, bello, puro, che profuma verso il Cielo. Se non fai così, mi faccio rendere il fermaglio. Su, non piangere… ché tutto passa… e… e presto torneremo da Maria o Lei verrà da noi… e…».
   Ma Tommaso, davanti alle lacrime che aumentano in Aurea, sente che è meglio non proseguire, ed esce mortificato dicendo a Pietro: «Se avessi pensato che… si metteva a piangere di più, non le davo nulla… L’ho proprio fatto quel fermaglio per consolarla in quest’ora… Non l’ho indovinata…».

   441.3E Pietro, nella confusione del momento, perde il controllo e dice: «Ma è sempre così negli addii… Avessi visto Sintica allor…». Si accorge di aver parlato, vuole riprendersi, diventa paonazzo… ma ormai è fatta…
   Tommaso capisce e, bonario, gli getta un braccio intorno al collo dicendo: «Non ti affliggere, Simone. So tacere. E capisco perché avete taciuto… Per Giuda di Simone. Io, sul Dio dei nostri padri, ti giuro che ciò che involontariamente ho saputo è dimenticato. Non soffrire, Simone!…».
   «È che il Maestro non voleva…».
   «E certo aveva tutte le ragioni per farlo. Io non me ne ho a male».
   «Lo so. Ma che dirà?…».
   «Nulla, perché nulla saprà. Fidati di me».
   «Ah! no! Un sotterfugio al Maestro non lo faccio. Ho sbagliato. Merito il rimprovero. E subito. Non avrò pace se non confesso a Lui il mio errore. Toma, sii buono. Va’ a chiamarlo… Io vado nel laboratorio. Va’, torna con Lui. Io sono troppo turbato per farlo e gli altri se ne accorgerebbero».
   Tommaso lo guarda con ammirata compassione e rientra in casa per chiamare Gesù: «Maestro, vieni un momento. Ti devo dire una cosa».
   Gesù, che stava salutando Maria d’Alfeo, lo segue subito. «Che vuoi?», chiede mentre cammina al suo fianco.
   «Io nulla. È Simone che ti deve parlare. Eccolo…».
   «Simone! Che hai, che sei così turbato?».
   Pietro si getta ai piedi di Gesù gemendo: «Ho peccato! Assolvimi!».
   «Peccato? In che? Eri lì con noi, lieto, quieto…».
   «Ah! Maestro, ti ho disubbidito. Ho detto a Toma di Sintica… Mi ero turbato per le lacrime e lui lo era più di me; credeva di averle aumentate lui… per consolarlo ho detto: “È sempre così negli addii… Avessi visto Sintica…”, e lui ha capito!…». Pietro alza un volto sconvolto, il suo sguardo è proprio umiliato, desolato.
   «Sia lode a Dio, mio Simone! Credevo avessi fatto cose ben più gravi di questa. E la tua sincerità annulla anche questa. Hai parlato senza malizia, hai parlato ad un tuo compagno. Toma è buono e non propalerà…».
   «Me lo ha giurato infatti… Ma vedi? Ora io ho paura di essere troppo stolto e di non saper custodire un segreto».
   «Lo hai fatto fino ad ora».
   «Sì. Ma pensa! Mai una parola a Filippo e Natanaele! E ora…».
   «Su, alzati! L’uomo è sempre imperfetto. Ma quando lo è senza malizia non fa peccato. Sorvegliati. Ma non ti affliggere più. Il tuo Gesù non ha che un bacio per te. Tommaso, vieni qui». Tommaso accorre. «Tu certo hai compreso le ragioni del silenzio».
   «Sì, Maestro. E ho giurato di rispettarlo per la mia parte e per la mia capacità. L’ho già detto a Simone…».
   «Allo stolto Simone», sospira Pietro.
   «No, amico. Tu mi hai edificato per la tua umiltà e sincerità perfette. Mi hai dato una grande lezione e la ricorderò. Non potrò farla conoscere per prudenza, e di ciò ho dolore, perché pochi fra noi hanno e avrebbero la giustizia che tu hai avuto…

   441.4Ma ci chiamano! Andiamo».
   Infatti molti sono già sulla via e le tre donne — Noemi, Mirta e Aurea — sono sui ciuchini. Maria è insieme alla cognata presso Aurea e la baciano ancora e, quando vedono venire Gesù, baciano le due condiscepole e per ultimo salutano Gesù, che le benedice prima di mettersi in cammino…
   E Maria e Maria Cleofe rientrano in casa… Nella casa dove restano, a ricordo di ciò che vi era poco prima, seggiole smosse, stoviglie ancora sparse… il disordine che segue ad una partenza.
   Maria carezza sopra pensiero il piccolo telaio sul quale insegnava ad Aurea a lavorare… Ha gli occhi lucidi di pianto trattenuto.
   «Tu soffri, Maria!», le dice Maria Cleofe che piange senza far sforzo per non farlo. «Ti eri affezionata!… Qui vengono… poi vanno… e noi si soffre…».
   «La nostra vita di discepole. Lo hai sentito oggi cosa diceva Gesù: “Così farete in futuro; vedendo in tutte le creature delle anime fraterne sarete ospitali, soprannaturalmente ospitali, sentendovi pellegrine voi che accogliete come pellegrini gli accolti. Darete aiuto, ristoro, consiglio, e poi lascerete che i fratelli vadano ai loro destini senza trattenerli con amori gelosi, sicure che oltre la morte vi ritroverete con essi. Verranno le persecuzioni e molti vi lasceranno per andare al martirio. Non siate vili e non consigliate a viltà. Rimanete oranti nelle case vuote per sostenere il coraggio dei martiri, serene per fortificare i più deboli, forti per essere pronte ad imitare gli eroi. Avvezzatevi ai distacchi, agli eroismi, all’apostolato della carità fraterna da ora…”. E noi lo facciamo. Soffrendo, …è certo! Siamo creature di carne… Ma lo spirito gode di una sua spirituale letizia, che è fare la volontà del Signore e cooperare alla sua gloria. D’altronde… Io sono la Madre di tutti… e non devo esserlo di uno solo. Non lo sono esclusivamente neppure di Gesù… Tu vedi come lo lascio andare senza trattenerlo… Vorrei essere con Lui, questo sì. Ma Egli giudica che io devo restare qui finché Egli non dica: “Vieni”. Ed io resto. Le sue soste qui? Le mie gioie di mamma. Le mie peregrinazioni con Lui? Le mie gioie di discepola. Le mie solitudini qui? Le mie gioie di fedele che fa la volontà del suo Signore».
   «Quel Signore ti è Figlio, Maria…».
   «Sì. Ma è sempre il mio Signore…

   441.5Resti con me, Maria?».
   «Sì, se mi ci lasci… È così triste la mia casa nelle prime ore che è vuota dei miei figli!… Domani è già un’altra cosa… E questa volta, poi, piangerei più ancora…».
   «Perché, Maria?».
   «Perché è da ieri che sono piena di pianto… Una cisterna sono… Una cisterna nel tempo delle piogge».
   «Ma perché, cara?».
   «Per Giuseppe… ieri… Oh! Io non so se andare e rimproverarlo acerbamente, perché infine egli è mio figlio perché questo seno lo ha portato e queste mammelle lo hanno allattato, e non c’è primogenitura che sia superiore ad una madre, … oppure se non parlargli più, mai più a questo bastardo che mi è nato e che offende il mio Gesù e te e…». «Non farai nulla di questo. Tu sarai per lui sempre “la mamma”. La mamma che compatisce il figlio ostinato, malato, sviato, e lo ammansisce con la bontà, e lo porta a Dio con la preghiera e la pazienza… Suvvia, non piangere!… Vieni piuttosto con me. Pregheremo nella mia stanza per lui, per quelli che vanno, per la fanciulla, che soffra poco e cresca santa… Vieni, vieni, Maria mia», e la porta con sé…

   441.6Intanto i pellegrini vanno per la loro via verso sud ovest.
   Sul davanti sono le donne sui ciuchini che, ben pasciuti e riposati, trotterellano allegri, obbligando Marziam e Abele, che per prudenza stanno ai lati di Aurea che è in sella per la prima volta, ad andare quasi di corsa. E, se la cosa è faticosa, serve a distrarre la fanciulla dal dolore per il distacco da Maria. Ogni tanto, per dare fiato ai due giovinetti, Mirta arresta il suo ciuchino dando l’alt, e non si rimette in moto altro che quando sono raggiunte dal gruppo apostolico. E nelle soste, non più distratta dalle peripezie dell’equitazione, Aurea torna triste…
   Marziam, esperto delle sue traversie di orfanello raccolto per carità da una madre adottiva dopo aver conosciuto Maria, la consola dicendole come poi ci si affeziona alla madre adottiva «proprio come fosse la nostra mamma», e racconta le sue impressioni, e racconta come Maria e Mattia sono felici da Giovanna, e Anastasica da Elisa.
   Aurea ascolta queste narrazioni e, quando Marziam termina dicendo: «Credilo, le discepole sono tutte buone, e Gesù sa a chi dare noi poverini», e Abele incalza: «E tu non devi diffidare della mia mamma, che è tanto felice di averti e ha pregato tanto in questi giorni per averti da Dio», Aurea dice: «Lo credo. E le voglio bene… Ma Maria è Maria… e dovete compatire…».
   «Sì. Ma ci spiace di vederti triste…».
   «Oh! ma non sono già triste come in casa del romano e nelle prime ore dopo la liberazione… Sono soltanto… sperduta. Io non ho mai avuto, da anni, carezze… Solo Maria me le ha ridate, dopo tanti anni di padroni…».
   «Anima mia! Ma io sono qui per dartele! Sarò una seconda Maria per te. Vieni qui, vicino… Fossi più piccola, ti prenderei in sella con me, come facevo col mio Abele quando era bambino… Ma sei già una donna…», dice Mirta accostandosi e prendendole la mano. «Sei la mia piccola donna e ti insegnerò tante cose, e quando Abele andrà lontano, ad evangelizzare, io e te accoglieremo i pellegrini come dice il Signore, faremo tanto bene in suo Nome. Tu sei giovane e mi aiuterai…».

   441.7«Ma guardate che luce là, oltre quel monticello!», esclama Giacomo di Zebedeo che le ha raggiunte.
   «Brucia un bosco?».
   «O un paese?».
   «Corriamo a vedere…».
   Nessuno più è stanco, perché la curiosità annulla ogni altra sensazione. Gesù li segue benevolo, lasciando la via per una viottola che sale su un poggetto. La cima è presto raggiunta…
   Non è né un bosco né un paese quello che arde, ma una vasta conca fra due poggi, tutta a scopeti. Le eriche, arse dall’estate, hanno preso fuoco forse per qualche scintilla sfuggita ai boscaioli che hanno lavorato più su, al taglio delle piante, e ora arde: un tappeto di fiamme basse ma vivaci che si sposta, dopo aver consumato là dove si è appreso per primo, cercando nuove eriche da ardere. I boscaioli tentano il controfuoco percuotendo le fiamme. Ma è inutile. Sono pochi e, se lavorano da un lato, il fuoco si estende da un altro.
   «Se giunge al bosco è un disastro. Vi sono alberi da resine», sentenzia Filippo.

   441.8Gesù, con le braccia conserte, ritto sullo scrimolo del poggetto, guarda e sorride pensando…
   Il contrasto fra la luce bianca della luna a oriente e quella rossa delle fiamme ad occidente è vivo, e questi che guardano sono tutti bianchi di raggi lunari nella schiena e rossi del riverbero delle fiamme sul volto. E le fiamme corrono, corrono, come un’acqua che straripa e monta e dilaga… È a pochi metri dal bosco l’incendio, e già illumina le cataste di legna messe al suo limite, e il sempre più vivo chiarore mostra le casette di un paesello messo in cima al poggio su cui sale il fuoco.
   «Misera gente! Perderanno tutto!», dicono in molti. E guardano Gesù che non parla e sorride…
   Ma poi… ecco che disserra le braccia e grida: «Arrestati! Muori! Lo voglio».
   E, come se un grande moggio si abbassasse a soffocare le fiamme, ecco che prodigiosamente il fuoco cessa di fiammeggiare, la vivida, agile danza delle lingue di fiamma si muta in rosso di carboni accesi ma senza fiamme, poi il rosso si fa violaceo, grigio rosso… qualche guizzo serpeggia ancora fra la cenere… e poi non resta che la luna col suo argento a dar luce alle selve.
   Al nitido chiarore si vedono i boscaioli radunarsi gesticolando, guardandosi intorno, in alto… cercando l’angelo del miracolo…
   «Scendiamo. Lavorerò quelle anime coll’impensato motivo che mi hanno dato e sosteremo al paesello anziché alla città. Partiremo all’alba. Un posto per le donne lo avranno. Per noi basta il bosco», dice Gesù e scende svelto seguito dagli altri.
   «Ma perché sorridevi così? Parevi beato!», chiede Pietro.
   «Lo saprai dalle mie parole».

   441.9Sono già dove la sodaglia si è mutata in ceneri ancora calde e scricchiolanti sotto i sandali. La traversano. Giunti al centro, là dove la luna picchia in pieno, vengono visti dai boscaioli.
   «Oh! l’ho detto io! Egli solo poteva aver fatto questo! Corriamo a venerarlo», grida un boscaiolo, e lo fa gettandosi fra la cenere ai piedi di Gesù.
   «Come credi che Io abbia potuto?».
   «Perché soltanto il Messia può questo».
   «E come sai che Io sia il Messia? Mi conosci forse?».
   «No. Ma solo il Buono che ama i poveri può avere avuto pietà, e solo il Santo di Dio può avere comandato al fuoco ed essere ubbidito. Sia benedetto l’Altissimo che ci ha mandato il suo Messia! E il Messia che è venuto in tempo per salvarci le case!».
   «Dovreste aver più premura di salvarvi l’anima».
   «Quella si salva credendo in Te e cercando di fare ciò che Tu insegni. Ma Tu comprendi, o Signore, che la desolazione di esser spogliati di tutto può rendere deboli le nostre deboli anime… e portarle a dubitare della Provvidenza».
   «Chi vi ha istruiti su Me?».
   «Dei tuoi discepoli… Ecco le nostre famiglie… Avevamo mandato a svegliarle, temendo che tutto il colle incendiasse… Venite avanti… E poi mandammo un altro uomo a dire che c’era un miracolo e di venire a vedere. Eccole, Signore. La mia. Quella di Giacobbe, questa è quella di Gionata, questa quella di Marco, questa quella di mio fratello Tobia, questa è di mio cognato Melchia, questa è quella di Filippo e questa quella di Eleazaro. E poi le altre di quelli che sono pastori e ora sono sugli alti monti ai pascoli…».
   È un gruppo di un duecentocinquanta persone al massimo, compresi i molto piccoli, ancora poppanti o appena svezzati, che piagnucolano risvegliati a metà oppure dormono, ignari del pericolo corso.
   «La pace a voi tutti. L’angelo di Dio vi ha salvati. Lodiamo insieme il Signore».
   «Tu ci hai salvati! Tu sempre presente dove dei fedeli credono in Te!», dicono in molte donne… E gli uomini assentono gravi.
   «Sì.

   441.10Dove è fede in Me è presente la Provvidenza. Però, così nelle cose dello spirito come in quelle della materia, bisogna agire con continua prudenza. Cosa è che ha dato fuoco alle stipe? Probabilmente la scintilla sfuggita dai vostri fuochi, oppure un rametto che uno dei fanciulli ha voluto accendere al fuoco per divertirsi ad agitarlo e lanciarlo, con la spensieratezza dell’età, giù in basso. È bello infatti vedere una freccia di fuoco solcare l’aria che imbruna. Ma vedete ciò che può un’imprudenza! Può fare gravi rovine. Una scintilla, o un ramoscello caduto sulle eriche secche, è bastato a dar fuoco ad una convalle e, se l’Eterno non mi mandava, tutto il bosco sarebbe divenuto un braciere che avrebbe consunto in una morsa di fuoco i vostri beni e le vostre vite.
   Così è delle cose dello spirito. Occorre fare continua, prudente attenzione, acciò una freccia di fuoco, una scintilla, non si apprenda alla vostra fede e la distrugga, dopo aver covato inavvertita nel cuore, in un incendio voluto da quelli che mi odiano e provocato per farmi povero di fedeli. Qui il fuoco, fermato in tempo, si è mutato da malefico in benefico, distruggendo la sodaglia inutile, che avevate lasciato prosperare nella convalle, e preparandovi, con la sua distruzione e con la concimazione delle ceneri, del terreno che, se sarete volonterosi, potrete sfruttare con utili colture. Ma nei cuori ben diverso succede! E quando tutto il Bene vi è distrutto, nulla più, fuorché i rovi per lo strame dei demoni, vi può sorgere.
   Ricordatelo e vegliate contro le insinuazioni dei miei nemici che, come scintille infernali, verranno gettate nei vostri cuori. State pronti allora al contro fuoco. E quale è questo contro fuoco? È una fede sempre più forte, una volontà incrollabile di essere di Dio. È un appartenere al Fuoco santo. Perché il fuoco non mangia il fuoco. Ora, se voi sarete fuoco di amore al Dio vero, il fuoco dell’Odio a Dio non vi potrà nuocere. Il Fuoco dell’amore vince ogni altro fuoco. La mia Dottrina è amore e chi la raccoglie entra nel Fuoco della Carità, e non può più essere torturato dal fuoco del Demonio.

   441.11Dall’alto di quel poggio, mentre guardavo ardere le stipe e sentivo le parole dei vostri spiriti al Signore Iddio loro, più ancor che non vedessi le vostre azioni, tese a spegnere le fiamme, Io sorridevo. E un mio apostolo mi ha detto: “Perché sorridi?”. Gli ho promesso: “Te lo dirò parlando ai salvati”. Lo faccio. Io sorridevo pensando che, così come le fiamme dilagavano fra le eriche della convalle, invano mortificate dalle vostre manovre, così la mia Dottrina dilagherà nel mondo, invano perseguitata da chi non vuole la Luce. E sarà luce. E sarà purificazione. E sarà bonifica. Quante serpicine sono perite fra queste ceneri, e con esse altri esseri dannosi! Voi temevate questa convalle perché troppi aspidi erano in essa. Ecco che non ne sopravvive uno solo. Ugualmente il mondo sarà liberato da tante eresie, da tanti peccati, da tanti dolori, quando mi avrà conosciuto e sarà stato mondato dal fuoco della mia Dottrina. Mondato e liberato dalle inutili vegetazioni, fatto atto al seme, fatto ricco di frutti santi.
   Ecco perché sorridevo… Vedevo nel fuoco avanzante un simbolo del dilagare della mia Dottrina nel mondo… Poi la carità del prossimo, che non va mai disgiunta da quella per il Signore, mi ha riportato il pensiero alle vostre necessità. Ed ho abbassato lo sguardo mentale dalla contemplazione degli interessi di Dio a quella degli interessi dei fratelli, e ho fermato il fuoco perché, nel vostro giubilo, voi lodaste il Signore. Vedete perciò che il mio pensiero è salito a Dio, ne è disceso, fatto ancor più potente perché l’immedesimazione con Dio aumenta sempre le nostre facoltà, e poi è risalito, insieme al vostro, a Dio. In tal modo, per la carità, Io ho fatto insieme gli interessi del Padre e dei fratelli miei. Fate anche voi il simigliante nella vita futura.

   441.12Ed ora, per queste donne vi chiedo un ricovero per la notte. La luna cala e l’incendio ci ha ritardato il cammino. Non possiamo proseguire, perciò, sino alla città vicina».
   «Vieni! Venite! C’è posto per tutti. Potevamo esser noi senza tetto! Le nostre case sono vostre. Da poveri sono, ma pulite. Venite! Venite e saranno benedette», gridano tutti.
   E lentamente risalgono la china piuttosto erta sino al paesetto miracolosamente sfuggito alla distruzione, scomparendo poi ognuno con chi l’ospita…

[13] parlò di te, in 412.2/3.