MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME VII CAPITOLO 445



CDXLV. A Tiberiade, durante una tempesta, il ritorno dell’Iscariota e due parabole. L’arrivo di Maria Ss., che intercede per Samuele di Ester.

   3 giugno 1946.

   445.1Gesù giunge con i suoi a Tiberiade in una burrascosa mattina. E vi giunge per il breve tragitto da Tarichea a Tiberiade, con le barche che ondeggiano forte sul lago, molto mosso e grigiastro come il cielo su cui scavallano nuvoloni poco promettenti.
   Pietro scruta cielo e lago e ordina ai garzoni di mettere le barche al sicuro: «Fra poco sentirete che musica! Non sono più Simone il pescatore se fra poco le ondate di acqua del cielo e quelle del lago non faranno danni. C’è nessuno sul lago?», chiede a se stesso scrutando il turbato mar di Galilea. E lo vede deserto, corso solo dai cavalloni sempre più forti, sotto la cappa del cielo sempre più minacciosa. Si consola vedendolo vuoto e pensando che non farà vittime umane, e segue più contento il Maestro, che procede fra colpi di vento così forti che gli uomini camminano a fatica fra nuvole di polvere, in un grande sbatacchio di vesti.
   In Tiberiade, in questa parte di Tiberiade che è quella popolana, fatta di famiglie di pescatori o piccoli operai dediti a lavori inerenti alla pesca, vi è un grande andare e venire per riporre nelle case ciò che il temporale potrebbe sciupare; e chi corre carico delle reti, dei remi delle barche già messe al sicuro, e chi strascina nelle case gli arnesi da lavoro, e tutto avviene fra fischi di vento e nuvoli di polvere e sbatacchiare di usci. L’altra Tiberiade, quella più a nord, dai palazzi stesi lungo il lago, dai bei parchi che si vedono sull’arco della riva, dorme oziosa. Solo dei servi o degli schiavi, a seconda che le case sono di israeliti o di romani, sono indaffarati a levare tende sull’alto delle terrazze, a ritirare le leggere barche da diporto, i sedili sparsi nei giardini…

   445.2Gesù, che ha proceduto verso questa parte, dice a Simone Zelote e al cugino Giuda: «Andate ad interrogare il portinaio di Giovanna di Cusa se nessuno dei nostri ci ha cercato. Io attendo qui».
   «Sta bene. E Giovanna?».
   «La vedremo poi. Andate e fate questo che dico».
   I due vanno lesti e, mentre gli altri attendono il loro ritorno, Gesù li manda chi qua e chi là a procurare il cibo «per loro e le donne, perché non è giusto gravare sulla famiglia del discepo­lo», dice Gesù. E resta solo, addossato al muro di un giardino dal quale viene un rumore di uragano, tanto è la lotta che le alte piante di esso sopportano col vento.
   Gesù sta raccolto in Se stesso e nelle vesti, che si è ben serrate nel manto, tirato sul capo e stretto come un cappuccio su esso, a difesa del vento che getta i capelli negli occhi. E così, polveroso, col volto seminascosto dai lembi del mantello, addossato ad un muro quasi all’angolo della via, che si incrocia con una bella arteria che procede dal lago al centro della città, sembra un mendico in attesa di oboli. Qualcuno passa e lo guarda. Ma, posto che Egli non dice nulla, non chiede nulla e sta così a capo chino, nessuno si ferma a dare nulla né a dire nulla. Intanto la burrasca aumenta di intensità e il rumore del lago cresce di violenza, empie tutta la città del suo muggito.

   445.3Un uomo alto, che procede curvo per difendersi dal vento, anche lui tutto fasciato nel mantello tenuto stretto sotto la gola con la mano, viene dalla strada dell’interno verso questa litoranea e, nell’alzare lo sguardo da terra per schivare una fila di asinelli di ortolani che, depositate le verdure ai mercati, tornano alle loro ortaglie, vede Gesù (ed io vedo che il giovane è Giuda di Keriot).
   «Oh! Maestro!», dice dall’al di là della fila asinina. «Venivo proprio da Giovanna a cercare di Te. Sono stato a Cafarnao a cercarti, ma…». L’ultimo asino è passato e Giuda si affretta a raggiungere il Maestro finendo il discorso: «… ma a Cafarnao non c’era nessuno. Ho atteso dei giorni e poi sono tornato qui, e tutti i giorni andavo da Giuseppe e da Giovanna a cercarti…».
   Gesù lo guarda coi suoi occhi penetranti e ferma questa irruenza di parole dicendo soltanto: «La pace sia con te».
   «È vero! Non ti ho neppure salutato! La pace sia con Te, Maestro. Ma Tu ce l’hai sempre questa pace!».
   «E tu no?».
   «Io sono un uomo, Maestro».
   «L’uomo giusto ha la pace. È soltanto l’uomo colpevole che è turbato. Sei tu tale?».
   «Io?… No, no, Maestro. Almeno… Certo, se devo dire il vero, l’esserti lontano non mi faceva felice… ma ciò non era ancora essere privo di pace. Era nostalgia di Te, per l’affetto che per Te ho… Ma la pace è un’altra cosa, non è vero?…».
   «Sì. È un’altra cosa. Le separazioni non ledono la pace del cuore, se il cuore del separato non fa cose che la sua coscienza gli dice tali da addolorare l’amato, se le sapesse».
   «Ma gli assenti non sanno… A meno che ci sia chi li infor­mi».
   Gesù lo guarda e tace.

   445.4«Sei solo, Maestro?», chiede Giuda cercando di girare il discorso verso argomenti più banali.
   «Attendo quelli che ho mandato da Giovanna per sentire se mia Madre è venuta da Nazaret».
   «Tua Madre? Fai venire qui tua Madre?».
   «Sì. Starò con Lei a Cafarnao per tutta la luna, andando con le barche ai paesi della sponda, ma tornando ogni giorno a Cafarnao. Vi devono essere molti discepoli…».
   «Sì… Molti…». Giuda ha perso la parlantina. È pensieroso…
   «Non hai nulla da dirmi, Giuda? Siamo noi due soli… Nulla ti è accaduto, in questo tempo di separazione, nessun fatto sul quale tu senta necessario avere la parola del tuo Gesù?», dice Gesù dolcemente, come per aiutare il discepolo a confessare facendogli sentire tutto il suo misericorde amore.
   «E Tu sai nulla che in me necessiti della tua parola? Se lo sai — io invero non so cosa che meriti questa parola — parla. È pesante per un uomo dover ricercare le colpe e i difetti e confessarli ad un altro…».
   «Io che ti parlo non sono un altro uomo, ma…».
   «No. Sei Dio. Lo so. Per questo non è neppure necessario che sia io quello che parla. Tu sai…».
   «Io non sono un altro uomo, dicevo, ma sono l’amico tuo più amoroso. Non ti dico il Maestro, il superiore, ma ti dico: l’amico…».
   «È sempre la stessa cosa. Ed è sempre noiosa ricerca quella di ciò che si è fatto in passato e sulla cui confessione potrebbero aversi rimproveri. Ma poi, più che per i rimproveri, è di decadere nella stima dell’amico che duole…».

   445.5«A Nazaret, l’ultimo sabato che fui là, Simon Pietro disse ad un compagno, inavvertitamente, una cosa che doveva tacere. Non era disubbidienza volontaria, non era maldicenza, non era cosa atta a danneggiare il prossimo. Simon Pietro l’aveva detta ad un cuore onesto e ad un uomo serio, il quale, vedendo di essere, senza volere né suo né di Pietro, a conoscenza di una cosa segreta, giurò che non avrebbe ripetuto ad altri il segreto. Simone poteva mettersi calmo… Ma non si mise calmo sinché non mi confessò la colpa. Subito… Povero Simone! La chiamava colpa! Ma se nel cuore dei miei discepoli non ci fossero altro che colpe uguali a quella, e tanta, tanta umiltà, tanta confidenza, tanto amore, come ne ha Pietro, oh! dovrei proclamarmi Maestro di una turba di santi!…».
   «E con questo vuoi dirmi che Pietro è santo ed io no. È vero. Non sono un santo. Scacciami, allora…».
   «Non sei un umile, Giuda. La superbia ti rovina. E non mi conosci ancora…», termina Gesù mestissimamente.
   Giuda sente questa pena e mormora: «Perdonami, Maestro!…».
   «Sempre. Ma sii buono, figlio! Sii buono! Perché vuoi fare del male a te stesso?».
   Giuda, vere o false che siano non so, ha delle lacrime sulle ciglia e si rifugia fra le braccia di Gesù, piangendogli sulla spalla.
   E Gesù lo carezza sui capelli mormorando: «Povero Giuda! Povero, povero Giuda che va cercando altrove, dove non può trovarla, la sua pace e chi lo possa comprendere…».
   «Sì. È vero. Hai ragione, Maestro. La pace è qui… Fra le tue braccia… Sono un disgraziato… Tu solo mi capisci e ami… Tu solo… Lo stolto sono io… Perdonami, Maestro».
   «Sì, sii buono, sii umile. Se caschi, vieni a Me e ti solleverò. Se sei tentato, corri a Me. Ti difenderò, da te stesso, da chi ti odia, da tutto…

   445.6Ma sta’ su. Vengono gli altri…».
   «Un bacio, Maestro… Un bacio…».
   E Gesù lo bacia… e Giuda si ricompone… Sì, ma intanto non ha per nulla confessato le sue colpe, io penso…
   «Abbiamo tardato alquanto perché Giovanna era già alzata e il portinaio l’ha voluta avvertire. Verrà entro il giorno, a venerarti, da Giuseppe», dice il Taddeo.
   «Da Giuseppe? Se viene tutta l’acqua che il cielo promette, quelle vie saranno pantani. Giovanna non verrà certo in quella stamberga e per quelle vie. Sarebbe meglio andare noi da lei…», dice Giuda che si è già rifatto sicuro.
   Gesù non gli risponde, ma risponde a suo cugino chiedendo: «Nessuno dei nostri ci cercò da Giovanna?».
   «Nessuno ancora».
   «Va bene. Andiamo da Giuseppe. Gli altri ci raggiungeranno…».
   «Ad essere certi che le nostre madri sono per via, andrei loro incontro…», dice Giuda d’Alfeo.
   «Sarebbe bene. Ma più vie vengono a Tiberiade. E forse esse non hanno preso la principale…».
   «È vero, Gesù… Andiamo…».

   445.7Vanno lesti, fra i primi tuoni e lampi solcanti il cielo livido e rombanti forte nelle gole dei colli che circondano il lago quasi completamente. Entrano nella povera casa di Giuseppe che, nell’aria tempestosa, pare ancor più povera e scura. Di luminoso non c’è che il volto del discepolo e dei suoi famigliari, beati di avere in casa loro il Maestro.
   «Ma capiti male, Signore», si scusa il barcaiuolo. «Con questo lago non ho potuto pescare e… ho solo degli erbaggi…».
   «E il tuo buon cuore. Ma ho provveduto. Verranno ora i compagni con quanto serve. Non ti affaticare, donna… Possiamo sedere anche per terra. C’è tanto pulito. Tu sei una brava donna, lo so. Ma l’ordine che qui vedo lo conferma».
   «Oh! la mia sposa! Una vera donna forte! La mia, la nostra gioia», proclama il barcaiuolo, in sollucchero per l’elogio del Signore, che si è seduto tranquillamente sull’orlo basso del focolare spento, quasi per terra, prendendosi fra i ginocchi un fanciullino che lo osserva stupito.
   Entrano, fra il primo scroscio d’acqua, quelli andati per gli acquisti e sulla soglia scrollano i mantelli e i sandali per non portare acqua e fango nella casa. È un finimondo di tuoni, di lampi, di pioggia, di vento. Il boato del lago è di accompagnamento agli a-soli delle saette e agli urli del vento.
   «Salute! L’estate si bagna le penne e ammolla il focolare… Dopo si starà meglio… Purché non faccia danni alle viti…

   445.8Posso andare sopra a guardare il lago? Voglio vedere che umore ha…».
   «Va’, va’. La casa è vostra», risponde il discepolo a Pietro.
   E Pietro, con la sola tunica, esce beato a godersi la tempesta, monta la scaletta esterna e rimane sul terrazzo a rinfrescarsi e a dare i suoi responsi a quelli di dentro, come fosse sul ponte della sua barca e comandasse le manovre.
   Gli altri sono seduti qua e là nella cucina, dove appena ci si vede, perché devono tenere la porta socchiusa per il piovasco e dalla fessura entra un filo di luce verdastra, interrotta dalle luminosità brevi e abbaglianti dei lampi…
   Rientra Pietro, bagnato come fosse caduto nel lago, e sentenzia: «Adesso l’abbiamo sopra il capo. Si allontana verso la Samaria. Va a bagnare là…».
   «Te ti ha già bagnato! Grondi come una fontana», osserva Tommaso.
   «Sì. Ma sto tanto bene dopo tanto calore».
   «Vieni dentro. Così bagnato, stare sulla porta ti farà male», consiglia Bartolomeo.
   «Noooh! Sono legno stagionato… Ho cominciato che non sapevo ancora dire bene “padre” a star nell’umido. Ah! come si respira facilmente!… Però… la strada… è un fiume… Vedeste il lago! È di tutti i colori e bolle come una pentola. Non si capisce neppur più dove vanno le onde. Bollono sul posto… Ci voleva però…».
   «Sì, ci voleva. I muri non si raffreddavano più, tanto erano arsi dal sole.

   445.9La mia vite aveva le foglie accartocciate, polverose… La bagnavo al piede… ma sì!… Che fa un po’ d’acqua quando tutto il resto è fuoco?», dice Giuseppe.
   «Più male che bene, amico», sentenzia Bartolomeo. «Le piante hanno bisogno dell’acqua del cielo, perché bevono anche con le foglie, eh?! Sembra che no, ma è così. Le radici, le radici! Sta bene. Ma anche le fronde ci sono per qualche cosa e hanno i loro diritti…».
   «Non ti pare, Maestro, che Bartolomeo proponga il soggetto di una bella parabola?», dice lo Zelote stuzzicando Gesù a parlare.
   Ma Gesù, che sta ninnando il fanciullino che ha paura delle saette, non dice la parabola, ma assente dicendo: «E tu come la proporresti?».
   «Male certo, Maestro. Io non sono Te…».
   «Dilla come la sai. Vi servirà molto il predicare con parabole. Abituatevi. Ti ascolto, Simone…».
   «Oh!… Tu Maestro, io… stolto… Ma ubbidisco. Direi così: “Un uomo aveva una bella pianta di vite. Ma non essendo quell’uomo possessore di una vigna, la sua vite l’aveva messa nel piccolo orto di casa, perché salisse sul terrazzo a fare ombra e a dare grappoli, e molte cure dava alla sua vite. Ma essa cresceva in mezzo alle case, presso la via, perciò fumo di cucine e forni e polvere dalla strada salivano a molestare la vite. E, finché ancora dal cielo scendevano le piogge di nisam, le foglie della vite si detergevano dalle impurità e godevano del sole e dell’aria senza avere sulla superficie una brutta crosta di sudiciume ad impedirlo. Ma, quando venne l’estate e l’acqua non scese più dal cielo, fumo, polvere, escrementi di uccelli si depositarono in spessi strati sulle foglie, mentre il sole troppo rovente le prosciugava. Il padrone della vite dava acqua alle radici sprofondate nel suolo, e perciò la pianta non moriva, ma vegetava stenta, perché l’acqua dalle radici succhiata non saliva che per l’interno, e le misere fronde non ne godevano. Anzi, dal suolo torrido, bagnato con poca acqua, salivano ribollimenti ed esalazioni che sciupavano le foglie macchiandole come per pustole maligne. Ma infine venne una grande pioggia dal cielo e scese sulle fronde, corse lungo i rami, i grappoli, il tronco, spense l’ardore delle muraglie e del suolo e, passata la tempesta, il padrone della vite vide la sua pianta pulita, fresca, godere e dare godimento sotto il cielo sereno”. Ecco la parabola».
   «Va bene.

   445.10Ma il paragone con l’uomo?…».
   «Maestro, questo fallo Tu».
   «No. Tu. Siamo tra fratelli, non devi temere di fare brutte figure».
   «Se è per le brutte figure, non le temo come cose penose. Anzi le amo, perché servono a tenermi umile. È che non vorrei dire delle cose errate…».
   «Io te le correggerò».
   «Oh! allora! Ecco. Io direi: “Così avviene dell’uomo che non vive isolato negli orti di Dio, ma vive in mezzo alla polvere e al fumo delle cose del mondo. Le quali lo ingrommano lentamente, quasi inavvertitamente, ed egli si trova sterilito nello spirito, sotto una crosta di umanità tanto spessa che l’aura di Dio e il sole della Sapienza più non possono giovargli. E inutilmente cerca sopperire con un poco di acqua, attinta alle pratiche e data con tanta umanità alla parte inferiore, di modo che la parte superiore non ne gode… Guai all’uomo che non si deterge con l’acqua del Cielo che monda dalle impurità, che spegne gli ardori delle passioni, che veramente nutre l’ io tutto”. Ho detto».
   «Hai detto bene. Io direi anche che, a differenza della pianta, creatura priva di libero arbitrio e confitta nella terra, e perciò non libera di andare in cerca di ciò che le giova e di sfuggire ciò che le nuoce, l’uomo può andare a cercare l’acqua del Cielo e sfuggire la polvere, il fumo e l’ardore della carne e del mondo e del demonio. Sarebbe più completo l’insegnamento».
   «Grazie, Maestro. Lo ricorderò», risponde lo Zelote.

   445.11«Non si è solitari… Viviamo nel mondo… Perciò…», dice Giuda di Keriot.
   «Cosa: perciò? Vuoi dire che Simone ha parlato da stolto?», gli chiede Giuda d’Alfeo.
   «Non dico questo. Dico che, non potendoci isolare…, dobbiamo essere coperti per forza di ciò che è del mondo».
   «Il Maestro e Simone dicono appunto che si deve cercare l’acqua del Cielo per conservarsi puliti, nonostante il mondo che è intorno a noi», dice Giacomo d’Alfeo.
   «Già! Ma è sempre pronta l’acqua del Cielo a detergerci?».
   «Sì», dice sicuro Giovanni.
   «Sì? E dove la trovi?».
   «Nell’amore».
   «L’amore è fuoco. Ti arde di più».
   «È fuoco, sì. Ma è anche acqua che lava. Perché porta via tutto ciò che è della Terra e dà tutto quanto è del Cielo».
   «…Operazioni che non capisco. Leva, mette…».
   «Sì. Non sono folle. Dico che ti leva ciò che è umanità e ti dà ciò che da Dio viene, e perciò divino è. E cosa divina non può che nutrire e santificare. Giorno per giorno l’amore ti deterge da ciò che il mondo ti ha dato».

   445.12Giuda sta per ribattere, ma il piccolo che è in grembo a Gesù dice: «Un’altra parabola, bella, bella… per me…», e questo crea un diversivo alla discussione.
   «Su che, fanciullo?», chiede condiscendente Gesù.
   Il bambinello si guarda intorno e poi trova. Punta un ditino verso la madre e dice: «Sulla mamma».
   «La mamma è per l’anima e per il corpo ciò che per gli stessi è Dio. La mamma che ti fa? Ti veglia, ti cura, ti insegna, ti ama, guarda che tu non ti faccia del male, ti tiene, come fa la colomba coi suoi nati, sotto le ali del suo amore. E la mamma va ubbidita e amata, perché tutto quello che fa lo fa per nostro bene. Anche il buon Dio, e molto più perfettamente della più perfetta delle mamme, tiene i suoi figli sotto le ali del suo amore, li protegge, li ammaestra, li aiuta, notte e giorno pensa a loro. Ma anche il buon Dio, come e molto più della mamma — perché la mamma è il più grande amore della Terra, ma Dio è il più grande ed eterno amore della Terra e del Cielo — va ubbidito e amato, perché tutto quello che fa lo fa per nostro bene…».
   «Anche le saette?», interrompe il piccolo che ne ha una grande paura.
   «Anche».
   «Perché?».
   «Perché ripuliscono cielo e aria e…».
   «E dopo viene l’arcobaleno!…», esclama Pietro che, mezzo fuori e mezzo dentro, ha ascoltato e taciuto. E aggiunge: «Vieni, tortorino, che te lo faccio vedere. Guarda che bello!…».
   E infatti la luce schiarisce perché la tempesta è passata, e un ampio arcobaleno, partendo dalle rive di Ippo, getta il suo nastro ad arco sul lago, sperdendosi oltre i monti alle spalle di Magdala.
   Si fanno tutti sulla soglia, ma per vedere il lago devono scalzarsi, perché il cortile è un piccolo stagno d’acqua giallognola che decresce lentamente. Della tempesta resta a ricordo il lago fatto giallastro, con ancora un sommovimento d’acque che tende a calmarsi. Ma il cielo è sereno. Ma l’aria è leggera. Ma le fronde hanno ripreso colore.

   445.13E Tiberiade si rianima… E presto si vede, per la strada ancor piena d’acqua e di fango, venire Giovanna con Gionata, e alzare il viso a salutare il Maestro che è sulla terrazza, e salire lesta per prostrarsi, felice… Gli apostoli parlano fra loro, e solo Giuda, a metà via fra Gesù e Giovanna da un lato e gli apostoli dall’altro, si astrae come pensieroso. Ci scommetto che è tutto teso ad ascoltare le parole di Giovanna, il cui pensiero riguardo Giuda non è stato decifrabile, perché ella ha salutato tutti gli apostoli con un unico: «La pace a voi». Ma Giovanna parla unicamente dei bimbi e del permesso che Cusa le ha dato di andare con la barca a Cafarnao mentre vi è il Maestro. E il sospetto di Giuda si calma. Si riunisce allora agli altri compagni…
   Fangose nel basso delle vesti, ma asciutte nel resto del corpo, ecco avanzarsi Maria Ss. e Maria d’Alfeo insieme ai cinque andati a prenderle. Il sorriso di Maria, mentre sale la breve scaletta, è più vago dell’arcobaleno che persiste nel cielo.
   «Tua Madre, Maestro!», avvisa Tommaso.
   Gesù le va incontro e tutti gli altri con Lui. E si felicitano perché le donne sono senza altra noia che un po’ di fango sull’orlo delle vesti.
   «Ci siamo fermati alle prime gocce presso un ortolano», spiega Matteo. E chiede: «Ci attendete da molto?».
   «No. Siamo giunti all’aurora».
   «Abbiamo tardato per causa di un infelice…», dice Andrea.

   445.14«Bene. Ora che ci siete tutti e che il tempo si fa buono, direi di partire a sera per Cafarnao», dice Pietro.
   Maria, sempre consenziente, questa volta dice: «No, Simone. Non possiamo partire se prima… Figlio mio, una madre mi si è raccomandata perché Tu, Tu che solo lo puoi fare, converta l’anima del suo unico maschio. Io te ne prego, ascoltami, perché l’ho promesso… Perdonalo… Il tuo perdono…».
   «È già dato, Maria. Ho già parlato io al Maestro…», interrompe l’Iscariota credendo che Maria parli di lui.
   «Non parlo di te, Giuda di Simone. Parlo di Ester di Levi, nazarena, madre uccisa dai comportamenti del figlio suo. Gesù, ella è morta nella notte che Tu partisti. E le sue invocazioni a Te non erano per lei, povera madre martire di un figlio infame, ma per il figlio suo… ché noi madri di voi figli, non di noi, siamo sollecite… Ella lo vuole salvo il suo Samuele… Ma ora, ora che è morta, Samuele, preda del rimorso, pare folle, né intende ragione di sorta… Ma Tu puoi, Figlio, sanargli intelletto e spirito…».
   «È pentito?».
   «Come vuoi che lo sia se è disperato?».
   «Infatti l’aver ucciso la madre col continuo darle dolore deve fare disperati. Non si infrange impunemente il primo dei comandamenti d’amore verso il prossimo. Madre, come vuoi che Io perdoni e Dio dia pace al matricida impenitente?».
   «Figlio mio, quella madre chiede pace dall’altra vita… Era buona… ha sofferto tanto…».
   «La pace sarà sua…».
   «No, Gesù. Non può aver pace uno spirito di madre se vede la sua creatura priva di Dio…».
   «Giusto è che ne sia privo».
   «Sì, Figlio. Sì. Ma per la povera Ester… L’ultima parola fu preghiera per suo figlio… E mi ha detto di dirtelo. Gesù, Ester nella vita non ha mai avuto una gioia, Tu lo sai. Dàlle questa, ora che è morta, dàlla al suo spirito che soffre per il figlio suo».
   «Madre, Io ho cercato di convertire Samuele nelle mie soste a Nazaret. Ma inutilmente ho parlato, perché in lui era spento l’amore…».
   «Lo so. Ma Ester ha offerto il suo perdono, le sue sofferenze, perché rinascesse l’amore in Samuele. E, chissà? Questo suo tormento attuale non potrebbe essere amore che risorge? Un doloroso amore e, qualcuno potrebbe dire, un inutile amore, posto che la madre non ne può più godere. Ma Tu, ma io, sappiamo, io per fede, Tu per conoscenza, che la carità dei trapassati è vigile e vicina. Essi non si disinteressano e non ignorano ciò che avviene nei diletti che hanno qui lasciati… Ed Ester può ancora godere di questo tardivo amore per lei del figlio ingrato ed ora sconvolto dal rimorso. O mio Gesù, lo so, questo uomo ti fa ribrezzo per l’enormità della sua colpa. Un figlio che odia sua madre! Un mostro per Te che sei tutto amore per la tua. Ma appunto perché sei tutto amore per me, ascoltami. Torniamo insieme a Nazaret, subito. Non mi pesa la via, nessuna cosa mi pesa se serve a salvare un’anima…».
   «Va bene. Hai vinto, Madre…

   445.15Giuda di Simone, prendi con te Giuseppe e parti per Nazaret. Mi condurrai Samuele a Cafarnao».
   «Io? Perché io?».
   «Perché tu non sei stanco. Gli altri sì. È tanto che camminano mentre tu riposavi…».
   «Ho camminato anche io. Sono stato a Nazaret a cercarti. Tua Madre lo può dire».
   «I tuoi compagni sono stati a Nazaret ogni sabato ed ora tornano da un lungo giro. Va’ e non discutere…».
   «È che… A Nazaret non mi amano… Perché mandi proprio me?».
   «Anche Me non mi amano, eppure a Nazaret ci vado. Non è necessario avere amore da un luogo per andare a quel luogo. Va’ e non discutere, ti ripeto».
   «Maestro… io ho paura dei dementi…».
   «L’uomo è sconvolto dal rimorso, ma non è demente».
   «Tua Madre lo ha detto…».
   «Ed Io ti dico per la terza volta: va’ e non discutere. Non potrà farti che bene meditare a cosa può portare il far soffrire una madre…».
   «Mi paragoni a Samuele? Mia madre è regina in casa sua. Io neppure le sono dappresso a controllarla e a pesarle col mantenimento mio…».
   «Alle madri non pesano queste cose. Ma è macigno che le schiaccia il disamore dei figli, il loro essere imperfetti agli occhi di Dio e degli uomini. Va’, ti dico».
   «Vado. E che dirò all’uomo?».
   «Che venga a Cafarnao, da Me».
   «Se non ha ubbidito mai neppure alla madre, vuoi che ubbidisca a me ora, poi, che è così disperato?».
   «E non hai ancora capito che se ti mando è segno che già ho operato sullo spirito di Samuele, traendolo fuori dal delirio del rimorso disperato?».
   «Vado. Addio, Maestro. Addio, Madre. Addio, amici». E se ne va, tutt’altro che entusiasta, seguito da Giuseppe, che invece è tutto felice di esser scelto per quella missione.

   445.16Pietro canterella qualcosa fra i denti…
   Gesù gli chiede: «Che dici, Simone di Giona?».
   «Dicevo una vecchia canzone del lago…».
   «E quale è?».
   «È: “Sempre così! Piace la pesca a chi è agricoltore, non piace pescare al pescatore!”. E in verità qui si è mostrato che ha avuto più voglia di pescare il discepolo che l’apostolo…».
   Ridono in molti. Gesù non ride, sospira.
   «Ti ho addolorato, Maestro?», chiede Pietro.
   «No. Ma non criticare sempre».
   «È per Giuda che è addolorato mio fratello», dice Giuda ­d’Alfeo.
   «Taci tu pure, e soprattutto in fondo al tuo cuore».
   «Ma veramente Samuele ha già avuto miracolo?», chiede, curioso e un poco incredulo, Tommaso.
   «Sì».
   «Allora è inutile che venga a Cafarnao».
   «È necessario. Non ho guarito del tutto il suo cuore. Esso deve da sé cercare guarigione, ossia perdono, con un pentimento santo. Ma ho fatto che sia capace di ragionare di nuovo. Ora a lui ottenere il resto con la sua libera volontà. Scendiamo. Andremo fra gli umili…».
   «Non da me, Maestro?».
   «No, Giovanna. Tu potrai venire quando vorrai da Me. Essi sono legati ai loro lavori e vado Io da loro…».
   E Gesù scende dalla terrazza ed esce nella via seguito dagli altri, anche da Giovanna, che ha mandato a casa Gionata e che è ben decisa a non separarsi da Gesù, posto che Gesù non è disposto ad andare da lei.
   Vanno fra le casette povere, diretti a luoghi sempre più poveri e periferici… E la visione cessa così.