MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME VII CAPITOLO 461



CDLXI. Un complotto per l’elezione di Gesù a re. Il greco Zenone e la lettera di Sintica con la notizia della morte di Giovanni di Endor.

   23 luglio 1946.

   461.1Tiberiade ha riversato tutti i suoi abitanti sulle rive del lago o sul lago stesso per trovare refrigerio nella brezza, che scorre sulle acque e scuote le piante dei giardini lungo la sponda. Mentre i ricchi di questa città, in cui si mescolano molte razze per molti motivi lì riunite, si danno conforto su comode barche da diporto, o dalle ombre verdi dei giardini guardano le evoluzioni delle barche sulle acque di turchese, già depurate dal giallore che vi aveva messo l’acquazzone della sera avanti, i poveri, specie i bambini, ruzzano sulla spiaggia, là dove le ondette vengono a morire, e i loro stridetti per il freddo dell’acqua, che li colpisce più su che non vogliano, sembrano gridi di rondine.
   Le barche di Pietro e di Giacomo si accostano a riva e dirigono verso il moletto.
   «No. Al giardino di Giovanna», ordina Gesù.
   Pietro ubbidisce senza parlare e la barca, seguita dalla gemella, con una virata perfetta che fa una scia spumeggiante in forma di interrogativo ripiega verso l’approdo del giardino di Cusa e vi si accosta e ferma. Gesù scende per primo e dà la mano alle due Marie per aiutarle a scendere sul piccolo moletto.
   «Ora voi andate al molo grande e mettetevi a predicare il Signore. Vedrete un uomo che si avvicinerà chiedendovi dove sono. È l’uomo di Antiochia. Conducetemelo dopo avere licenziato la folla».
   «Sì… ma… Che dobbiamo dire alla gente? Predicare la tua venuta o predicare la tua dottrina?».
   «La mia venuta. Dire che all’aurora Io parlerò a Tarichea e curerò i malati. Uno di voi sorvegli le barche, o mettete qualche discepolo a farlo, perché siano pronte alla partenza. Andate e la pace sia con voi». E si avvia verso il cancello che si chiude sul pontile. Le due Marie lo seguono silenziose.

   461.2Nell’ampio giardino, dove delle pertinaci rose fioriscono ancora sebbene molto rade, non si vede nessuno. Ma si sentono i gridi felici dei due piccoli che giuocano.
   Gesù cerca con la mano passata fra i rabeschi del cancello di far scorrere il paletto. Ma non vi riesce. Cerca se c’è qualcosa che possa far rumore e richiamare l’attenzione. Ma non c’è. Allora, sentendo più vicine le vocette dei due bambini, chiama forte: «Maria!». Le due voci si ammutoliscono di colpo… Gesù ripete: «Maria!»…
   Ecco là, in mezzo al prato, tenuto rasato come un tappeto dal quale si alzino i cespi ben tenuti dei roseti, spunta a passetti brevi, circospetti, un ditino sulle labbra, gli occhi indagatori scrutanti in ogni senso, la fanciullina, e poi, qualche passo indietro, seguito da un agnellino bianco come una spuma, ecco Mattia.
   «Maria! Mattia!», grida forte Gesù.
   La voce guida gli sguardi innocenti. I due fanciulli volgono gli occhi verso il cancello e vedono Gesù col viso contro le sbarre che sorride loro.
   «Il Signore! Corri, Mattia, dalla mamma… Chiama Elia o Michea… Che vengano ad aprire…».
   «Va’ te. Io vado dal Signore…», e corrono tutti e due a braccia tese, due farfalle, una bianca, una rosata dal capino bruno.
   Ma per fortuna, nel correre, chiamano i servi e questi, armati di innaffiatoi e rastrelli, accorrono, di modo che finalmente il cancello si apre e i due bambini si rifugiano nelle braccia di Gesù, che li bacia e varca la soglia tenendoli per mano.

   461.3«La mamma è in casa con le sue amiche. Noi ci mandano via, allora, perché non ci vogliono», spiega spicciativo Mattia.
   «Non dire così male. Ci manda via la mamma perché quelle dame sono romane e parlano ancora dei loro dèi e noi, i salvati di Gesù, dobbiamo conoscere Lui solo. È per questo, Signore. Mattia è troppo piccolo e non capisce», dice, graziosa nella sua assennatezza di creatura che ha sofferto e che perciò è più matura, più adulta che non l’età comporti.
   «Ci manda via anche il padre quando vengono quelli della Corte. E mi piacerebbe perché sono quasi tutti soldati… guerrieri… La guerra! È bella la guerra! Fa vincere! Manda via i romani. Abbasso Roma! Viva il regno d’Israele», grida fieramente il piccolo.
   «Non è bella la guerra, Mattia, e tante volte non si vince la guerra, e allora da soggetti si diventa schiavi».
   «Ma il tuo Regno deve venire. E per farlo venire si farà la guerra. E si manderà via tutti, anche Erode, e Tu sarai re».
   «Ma taci, stolto. Lo sai che non devi ripetere ciò che senti. Fanno bene a cacciarti. Non sai che puoi fare del male al padre, alla madre e anche a Gesù dicendo così?», dice Maria. E poi spiega: «È venuto un giorno quello che è come un principe e parente di Erode e che è tuo discepolo, a parlare col padre. E gridavano tanto, non erano soli ma con molti altri…».
   «Tutti belli, con belle spade e parlavano di guerra…», interrompe Mattia.
   «Taci, dico! E gridavano tanto che si è sentito, e questo stolto da allora non fa che parlare di ciò. Diglielo Tu che non deve… La mamma lo ha detto e il padre ha minacciato di portarlo in cima al grande Ermon, in una grotta, con uno schiavo sordo e muto, finché non ha imparato a tacere. E là dovrebbe tacere perché, se parla con lo schiavo, quello non sente e non risponde, se urla vengono le aquile e i lupi a mangiarlo…».
   «Un castigo veramente terribile», dice Gesù sorridendo, e carezza il fanciullo che ha perduto la baldanza e si stringe a Gesù, come se già vedesse le aquile e i lupi pronti a divorarlo tutt’intero, compresa la linguetta imprudente. «Un castigo veramente terribile!», ripete.
   «Eh! sì, e io ho paura che gli tocchi e di rimanere senza Mattia, e piango… Ma lui non ha pietà né di me né della mamma e ci farà morire di dolore…».
   «Non lo faccio apposta… Ho sentito… e dico… È tanto bello… pensare che i romani siano vinti e cacciato Erode e Filippo, e Gesù sia Re d’Israele», termina in un sussurro, nascondendo il viso contro le vesti di Gesù per smorzare ancor più il suono della sua voce.

   461.4«Mattia non dirà queste cose mai più. A Me lo promette e lo manterrà. Non è vero? Così lui non sarà divorato, Giovanna e Maria non moriranno di dolore, Cusa non sarà inquieto e Io non sarò odiato. Perché, vedi, Mattia? Tu mi fai odiare dicendo queste cose. Hai piacere che Gesù sia perseguitato? Pensa che rimorso se un giorno dovessi dire a te stesso: “Io ho fatto perseguitare Gesù che mi ha salvato, e tutto per aver ripetuto quanto ho sentito per caso”. Quelli erano uomini. E gli uomini perdono sovente la vista di Dio perché sono peccatori. Non vedendo Dio, non vedono la Sapienza e fanno degli errori anche a scopo buono, o che credono tale. Ma i fanciulli sono buoni. I loro spiriti vedono Dio e Dio riposa nel loro cuore. Perciò devono capire le cose con sapienza e dire che il mio Regno non si farà con la violenza, sulla Terra, ma con l’amore, nei cuori. E devono pregare perché gli uomini capiscano questo mio Regno come lo capiscono i fanciulli. Le preghiere dei bambini vengono portate dai loro angeli in Cielo e l’Altissimo le converte in grazie. E Gesù ha bisogno di queste grazie per fare, degli uomini che pensano alla guerra e al regno temporale, degli apostoli che comprendono che Gesù è pace e che il suo Regno è spirituale e celeste. Vedi questo agnelletto? Potrebbe mai sbranare?».
   «Eh! no! Se potesse farlo, il padre non ce lo avrebbe regalato per non farci sbranare».
   «Ecco, hai detto bene. Anche il Padre che è nei Cieli non mi avrebbe mai mandato se Io avessi avuto potenza e volontà di sbranare. Io sono l’Agnello e il Pastore. E sono mite e mansueto come l’agnello e sono Colui che riunisce con amore, con verga di Pastore buono e non con lancia e spada di guerriero. Hai capito? E prometti a Me, proprio a Me, di non parlare mai più di queste cose?».
   «Sì, Gesù. Ma… aiutami Tu… perché da solo…».
   «Ti aiuterò. Guarda, ti carezzo le labbra e così sapranno stare chiuse».

   461.5«Maestro mio. Santa questa sera che mi concede di vederti!», dice Gionata accorrendo dalla casa e prostrandosi ai piedi di Gesù.
   «Pace a te, Gionata. Posso vedere Giovanna?».
   «Ella sta venendo. Ha licenziato le romane per venire da Te».
   Gesù lo guarda interrogativamente, ma non chiede nulla. Cammina in direzione della casa, ascoltando Gionata che parla di Cusa «molto disgustato con Erode» e che dice: «Per amore della mia padrona ti prego di frenarlo, perché vuole fare cose che… non farebbero bene né a Te né a lui, ma a Te soprattut­to».

   461.6Giovanna, in una splendida veste bianca, sulla quale scende dal capo un velo che pare una filigrana d’argento tanto è trapunto in argento — e non so come la leggerezza della stoffa regga quel ricamo a broccato d’argento — cinta del diadema sottile fatto un poco a punta sul davanti, come una mitria tempestata di perle, perle agli orecchi in pesanti orecchini, perle alla base del collo, perle ai polsi e alle dita — un’apparizione di bellezza, purezza e grazia — viene lesta verso il Signore e, incurante della sua bella veste, si prostra sulla polvere del vialetto e bacia i piedi di Gesù.
   «La pace a te, Giovanna».
   «Quando Tu sei con me sempre è pace in me e nella mia casa… Madre!…», e fa per baciare i piedi di Maria, ma questa l’accoglie fra le braccia baciandola. Il bacio viene scambiato anche con Maria di Alfeo.
   Gesù, dopo i saluti, dice: «Devo parlarti, Giovanna».
   «Eccomi, Maestro. Maria, la mia casa è tua. Ordina ciò che vi occorre. Io vado col Maestro…».
   Gesù si è già spostato andando nel prato, ben in vista di tutti, ma isolato tanto che nessuno lo possa ascoltare. Giovanna lo raggiunge.
   «Giovanna, devo accogliere un messo da Antiochia, da Sintica certo. Ho pensato di farlo nella tua casa. Qui, nel tuo giardino…».
   «Tu sei il padrone di tutto quanto è di Giovanna».
   «Anche del tuo cuore?». Gesù la fissa acutamente.
   «Tu sai già, Maestro! Ne ero quasi certa. Ora lo sono del tutto. Cusa… l’incoerenza degli uomini è ben grande! Il loro spirito di interesse è ben forte! E la loro pietà per le mogli è tanto poca! Noi siamo… Che siamo mai, anche noi mogli dei migliori? Un gioiello che si ostenta o si nasconde a seconda che può fare utile… Una mima che deve ridere o piangere, attirare o respingere, parlare o tacere, mostrarsi o stare nascosta secondo che l’uomo vuole… sempre per suo interesse… È triste la nostra sorte, Signore! E degradante, anche!».
   «In compenso vi è dato di saper salire più in alto nello spirito».
   «Questo è vero. Hai saputo da Te o te ne hanno parlato? Hai visto Mannaen? Ti cercava…».
   «No. Non ho visto alcuno. È qui?».
   «Sì. Tutti siamo qui… Voglio dire: tutti i cortigiani di Erode… e molti per odiarlo. Fra questi anche Cusa da quando, per volere di Erodiade, Erode si compiace di mortificare il suo intendente… Signore, ti ricordi che a Bétèr ti dissi che egli mi voleva separare da Te perché temeva lo sfavore di Erode? Non sono passati che pochi mesi… E già egli vuole ora che io… che io… Sì, Signore. Egli vorrebbe che io ti persuadessi ad accettare il suo aiuto per diventare re al posto del Tetrarca… Io lo devo dire perché sono donna, soggetta perciò all’uomo, e donna ebrea per giunta, perciò più che mai soggetta al volere dello sposo. E lo dico… E non ti consiglio… perché spero di conoscere già che Tu… oh! Tu non ti farai re col favore delle lance prezzolate. Oh!… che ho detto! Non dovevo parlare così… Dovevo lasciarti prima ascoltare Cusa e Mannaen e altri… E se tacevo, non facevo male?… Signore, aiutami a vedere il giusto…».

   461.7«Il giusto è nel tuo cuore, Giovanna. Né con le coorti romane, né con le lance israelite, Io mi farò re, anche se Roma e Israele volessero pacificare questa regione col mio mezzo. Ho già capito abbastanza per ricostruire le cose. Mattia ha avuto imprudenti parole. Gionata ha accennato a disgusti. Tu dici il resto. Io completo così: una folle idea del regno mio spinge i buoni, non ancora giusti, come Mannaen, a creare moti capaci di instaurare il regno d’Israele secondo l’idea fissa dei più. Un pungente, ardente bisogno di vendicarsi di un affronto spinge altri, fra i quali il tuo sposo, alla stessa cosa. Su questi due motivi fa leva l’astuzia farisaica, sadducea, scriba e anche erodiana, per riuscire a disfarsi di Me facendomi apparire agli occhi di chi ci domina quale non sono. Tu hai licenziato le romane per dirmi questo, per non tradire Cusa, né Mannaen, né altri. Ma ti dico in verità che chi mi ha capito più di tutti sono i gentili. Mi chiamano il filosofo, forse mi giudicano un sognatore, un irrealista, un infelice, secondo loro per i quali tutto è nella violenza. Ma hanno capito, almeno essi lo hanno capito, che Io non sono di questa Terra e che il mio Regno non è di questa Terra. Non temono di Me, ma dei miei seguaci. Hanno ragione. Essi, chi per amore, chi per orgoglio, sarebbero capaci di qualunque atto pur di raggiungere la loro idea: fare di Me — il Re dei re, il Re universale — un povero re di un piccolo stato… E in verità Io devo più guardarmi da questa insidia che lavora nell’ombra, aizzata dai miei veri nemici, che non sono nel palazzo proconsolare di Cesarea, né in quello del Legato in
   Antiochia, e neppure nell’Antonia, ma sono sotto i tefilim, le fimbrie e gli zizit[53] delle vesti ebraiche e specie sotto gli ampi tefilim ed i fioccosi zizit messi alle ampie vesti dei farisei e scribi per dimostrare ancor più ampia aderenza alla Legge. Ma la Legge è nel cuore, non sulle vesti… Se fosse nel cuore, costoro che si odiano, ma che ora si riuniscono dimenticando l’odio per nuocere — l’odio che scavava profondi burroni fra l’una e l’altra casta d’Israele e che ora non è separato più ma è livellato, perché i burroni sono colmi dell’odio per Me — se fosse nel cuore di costoro la Legge, e non appesa e legata alle vesti, alla fronte, alla mano, così come un selvaggio si attacca amuleti, conchiglie, ossa, rostri d’avvoltoi per superstizione e ornamento, se fosse nel cuore questa Legge, se la Sapienza non fosse scritta dentro i tefilim ma sulle fibre del cuore, essi comprenderebbero chi Io sono e che contro di Me, per distruggermi come Verbo e come Uomo, non possono andare. Io devo perciò difendermi dagli amici e dai nemici, ingiusti ugualmente nei loro odi come nei loro amori. Io devo cercare di guidare gli amori e sopire gli odi. Io lo faccio, per fare il mio dovere. E lo farò sinché avrò edificato il Regno, bagnando le pietre col mio Sangue perché si cementino. Quando vi avrò aspersi del mio Sangue, i vostri cuori non vacilleranno più. Parlo dei cuori a Me fedeli. Del tuo, Giovanna, così in lotta fra le due forze e i due amori che sono su te e in te: Io - Cusa».
   «Ma vincerai Tu, Signore».
   «Vincerò Io. Sì».
   «Cerca però di salvare anche Cusa… Ama chi amo».
   «Amo chi ti ama».
   «Ama Cusa che ti ama…».
   «La menzogna non è per quella fronte, pura come le perle che la cingono e che ora arrossa nello sforzo di volersi e volermi persuadere di un amore di Cusa».
   «Eppure egli ti ama».
   «Sì. Per il suo interesse. Come per il suo interesse non mi amava a zio e a sivam…

   461.8Ma ecco Simone di Giona con lo straniero. Andiamo da loro…».
   Vanno sino all’ampio vestibolo che è sul dietro della casa, più un portico semitondo: aperto sul parco che un vestibolo; e il parco si prolunga nella casa, in questo vestibolo a semicerchio, aperto sul giardino e ornato di colonne con rami di roseti ora senza fiori e ramaglie gentili di gelsomini, stellate di fiori e di altri arrampicanti porpurei dei quali ignoro il nome.
   «La pace sia con te, straniero. Mi volevi?».
   «Salute e gloria, Signore. Ti volevo. Ho una lettera per Te. Me l’ha data una donna greca ad Antiochia. Sono… No, non sono più greco perché ho preso cittadinanza romana per continuare il mio appalto. Sono fornitore delle milizie romane. Li odio. Ma vettovagliarli è fruttuoso. Per quanto ci hanno fatto, cicuta dovrei mescolare alle farine. Ma bisognerebbe avvelenarli tutti. Pochi non serve. Farebbero peggio… Si credono lecito tutto perché sono forti. Dei barbari sono, rispetto ai greci. Ci hanno rubato tutto per ornarsi del nostro e fingersi civili. Ma gratta la crosta, che è tinta della nostra civiltà, e scopri sempre un Amulio, un Romolo, un Tarquinio… Scopri sempre un Bruto uccisore di chi lo benefica. Ora hanno Tiberio! Poco ancora per loro! Hanno Seiano. Hanno ciò che sta loro bene. Il ferro, le catene, i delitti che hanno fatto si rivoltano contro loro stessi e mordono le carni dei bruti romani. Poco, ancor troppo poco. Ma ciò che è legge avverrà. Quando il mostro sarà divenuto enorme per suo proprio peso, precipiterà e imputridirà. E i vinti rideranno sull’enorme cadavere e diventeranno di nuovo i vincitori. Così sia. Tutti i piedi dei conquistatori a premere colei che ha tutto schiacciato con la sua espansione brutale… Ma perdona, Signore. Il perpetuo dolore mi ha travolto
   ancora una volta…

   461.9Dicevo che una greca mi ha dato una lettera per Te e mi ha detto che Tu sei il Virtuoso perfetto. Virtuoso… Sei giovane per esserlo… I grandi spiriti dell’Ellade spesero la vita per diventarlo un poco… Eppure la donna mi ha detto la tua Idea. Se veramente credi in ciò che insegni, Tu sei grande… È vero che Tu vivi per prepararti alla morte per dare al mondo la sapienza del vivere da dèi e non da bruti, siccome ora gli uomini fanno? È vero che Tu asserisci esservi solo una ricchezza degna di essere raggiunta: quella delle virtù? È vero che sei venuto per redimere, ma che la redenzione si inizia in noi stessi, seguendo i tuoi insegnamenti? È vero che noi possediamo l’anima e dobbiamo averne cura essendo cosa divina, imperitura, incorruttibile per sua natura, ma che noi, noi soli vivendo da bruti possiamo sdivinizzare pur non potendola distruggere? Rispondi, o Grande!».
   «È vero. Tutto è vero».
   «Per Zeus! Questo diceva anche il sommo Nostro. Ma pareva una musica alla quale mancasse una nota, una lira alla quale mancasse una corda. Ogni tanto si sentiva un vuoto, invalicato dal filosofo. Tu lo hai colmato, se realmente sei venuto non soltanto per insegnare ma anche per morire, non costretto a ciò da alcuno, ma per volontà propria di ubbidienza al Dio, ciò che cambia la tua morte da suicidio in sacrificio… Per la divina Pallade! Nessuno dei nostri dèi fece mai questo. Dunque deduco esser Tu più di essi. La greca dice che essi non sono, e Tu solo sei… Parlo io dunque ad un dio? E può un dio ascoltare così un vettovagliatore ladro e astioso del nemico, un miserabile uomo? Perché mi ascolti?».
   «Perché vedo la tua anima».
   «La vedi?!!! Come è?».
   «Contorta, sporca, anguicrinita, amara, ignorante, nonostante che il tuo intelletto sia ben diverso da quello di un barbaro. Ma dentro del tempio brutto hai un altare che attende, come quello che è nell’Areopago e attende la stessa cosa. Attende il Dio vero».
   «Te allora, perché la greca dice che Tu sei il Dio vero. Ma, per Zeus, è vero ciò che dici della mia anima. Sei più chiaro e sicuro dell’oracolo delfico. Ma Tu predichi pace e amore e perdono. Difficili virtù. E continenza predichi, e onestà d’ogni specie… Esser ciò è esser dèi più grandi degli dèi, perché essi… oh! non sono pacifici, onesti, magnanimi!… Essi sono la perfezione delle passioni male dell’uomo, eccetto Minerva che è almeno sapiente… La stessa Diana!… Pura, ma crudele… Sì, esser ciò che Tu predichi è esser più degli dèi. Se lo divenissi… per il bellissimo Ganimede! Lui, da giovanetto ad aquila olimpica e divo coppiere. Ma Zenone, da fornitor di biade ai barbari padroni a dio…

   461.10Ma lascia che io mi ci interni in questo pensiero, e leggi la lettera della donna, intanto…», e l’uomo si dà a passeggiare come un peripatetico.
   Pietro, stanco, vedendo che il discorso era lungo, si era comodamente seduto su un sedile dell’atrio e nel fresco dell’ambiente, nel morbido dei cuscini gettati sul sedile, si è messo tranquillamente a sonnecchiare… Però deve aver tenuto un orecchio vigile, perché lo desta il rumore del sigillo spezzato e della pergamena svoltolata, e sorge in piedi, strofinandosi gli occhi assonnati. Si accosta al Maestro che legge, ritto in piedi sotto un lampadario di lastre di mica delicatamente violacea. La luce essendo tenue, adatta a illuminare il luogo senza levargli l’incanto della luna nelle notti serene, Gesù tiene alto il foglio per leggere le parole, e Pietro, molto più basso del Maestro, standogli al fianco, cerca di allungare il collo, di alzarsi in punta di piedi per vedere, ma non può.
   «È Sintica, eh? Che dice?», chiede due volte e supplica: «Leggi forte, Maestro!».
   Ma Gesù risponde: «Sì. È lei… Dopo…», e legge, legge e finito il primo foglio lo piega e se lo mette nelle pieghe della cintura e riprende la lettura sul secondo foglio.
   «Quanto ha scritto, eh?! Come sta Giovanni? E chi è quel­l’uomo?». Pietro è insistente come un bambino.
   Gesù è talmente assorto che non lo ascolta più. Anche il secondo foglio è finito e segue la sorte del primo.
   «Si sciupano lì. Dàlli a me da tenere….», e certo pensa: «e da sbirciare». Ma, alzando gli occhi per seguire le mani del Maestro che svolgono il terzo e ultimo foglio, vede brillare una lacrima sospesa sulle ciglia bionde di Gesù. «Maestro?! Piangi?! Perché, Maestro mio?», dice e gli si stringe contro abbracciandolo alla vita col suo braccio muscoloso e corto.
   «È morto Giovanni…».
   «Oh! poveretto! Quando?».
   «Ai primi grandi calori… desiderandoci tanto…».
   «Oh! povero Giovanni!… Ma già… era finito!… E il dolore di separarsi… Tutto per dei serpenti! Li conoscessi per nome!… Leggi forte, Signore. Volevo bene, io, a Giovanni!».
   «Dopo. Dopo leggerò. Taci ora».
   Gesù legge attento… Pietro si allunga ancor più per vedere… La lettura è finita. Gesù ripiega il foglio e dice: «Chiama mia Madre».
   «Non leggi?».
   «Attendo gli altri… Intanto congederò quell’uomo».

   461.11E mentre Pietro entra in casa, dove sono le discepole con Giovanna, Gesù va dal greco: «Quando parti?».
   «Oh! devo andare a Cesarea dal Proconsole e poi a Joppe dopo aver acquistato merci. Partirò fra un mese, in tempo per evitare le tempeste di novembre. Partirò per mare. Hai bisogno di me?».
   «Sì, per rispondere. La greca dice che mi posso fidare di te».
   «Ci dicono falsi. Ma abbiamo anche la capacità di non esserlo. Fidati di me. Puoi preparare lo scritto e cercarmi per i Tabernacoli presso Cleante, quello che mi fornisce di formaggi di Giudea per le tavole dei romani. Terza casa dopo la fonte del villaggio di Betfage. Non puoi sbagliare».
   «Anche tu non puoi sbagliare se prosegui la via in cui hai messo piede. Addio, uomo. La civiltà greca ti porti a quella cristiana».
   «Non mi rimproveri di odiare?».
   «Senti che dovrei farlo?».
   «Sì. Perché Tu riprovi l’odio come passione indegna e abborri la vendetta».
   «E tu che ne pensi?».
   «Che colui che non odia e perdona è più grande di Giove».
   «Raggiungi allora quella grandezza… Addio, uomo. La tua famiglia ami Sintica e nell’esilio in cui siete prendete le vie della Patria immortale: il Cielo. Chi crede in Me e pratica le mie parole avrà quella Patria. La Luce ti illumini. Va’ in pace».
   L’uomo saluta e si avvia. Poi si ferma, torna indietro, chiede: «Non ti sentirò parlare?».
   «All’aurora parlerò a Tarichea. Ma dopo vado verso la Siro-fenicia e poi, non so per che strada, a Gerusalemme».
   «Ti cercherò. E domani sarò a Tarichea per giudicare se sei eloquente come saggio». Se ne va definitivamente.

   461.12Le donne sono nell’atrio e con Pietro commentano la morte di Giovanni. Ma sono venuti anche gli altri rimasti per la città ad avvisare che domani mattina il Rabbi sarà a Tarichea. E tutti parlano del povero Giovanni di Endor e sono ansiosi di sapere.
   «Egli è morto, Figlio?», domanda Maria[54].
   «Sì. È nella pace».
   «Veramente ha finito di soffrire», sospira Pietro.
   «È uscito dalla carcere definitivamente».
   «Sarebbe stato giusto non avesse sofferto l’ultimo dolore del­l’esilio», osserva con impeto Giuda d’Alfeo.
   «Una purificazione di più».
   «Oh! io non vorrei per me questa purificazione. Ogni altra, ma non morire lontano dal Maestro!», grida Giacomo di Zebedeo.
   «Eppure… moriremo tutti così… Maestro… portaci via con Te!», dice Andrea dopo gli altri.
   «Non sai ciò che chiedi, Andrea. Questo è il posto vostro fino alla mia chiamata.

   461.13Ma sentite ciò che scrive Sintica.
   “Sintica di Cristo al Cristo Gesù, salute.
   L’uomo che ti porterà questi fogli è un mio connazionale, mi ha promesso di cercarti sinché non ti ha trovato, riserbando per ultimo luogo Betania dove lascerà la lettera presso Lazzaro se non avesse potuto trovarti in nessun luogo. Egli è uno che si rifà come può di tutto il male che ha ricevuto, egli e i suoi avi, da parte di Roma. Per tre volte Roma li ha colpiti, e in molti modi, e sempre coi suoi metodi. Egli, con arguzia greca, dice che ora munge le vacche tiberine per far loro sputare le capre elleniche. È fornitore della casa del Legato e di molte case romane di questa piccola Roma, e grande città regina d’Oriente. Inoltre, dopo le raffinatezze per i ricchi, è riuscito a carpire, con astuta maniera fatta di omaggi servili che coprono odio insanabile, le forniture per le coorti d’Oriente. Il suo metodo non lo ap­provo. Ma ognuno ha il suo modo. Io avrei preferito il pane mendicato per la via agli scrigni d’oro avuti dall’oppressore. E così avrei fatto sempre se ora un altro motivo, che non è l’utile per me, non mi avesse spinta ad imitare il greco per il mio scopo.
   Ma in fondo è un buon uomo, e buona è sua moglie e le tre figlie e un figlio. Li ho conosciuti nella piccola scuola di Antigonio, ed essendosi ammalata all’inizio della primavera la madre, l’ho curata col balsamo e così sono entrata in casa loro. Molte case mi avrebbero ricevuta con piacere come maestra e ricamatrice. Case nobili e case commerciali, ma io ho preferito questa per un motivo che non è l’essere casa di greci. Ora ti spiegherò.
   Io ti prego di compatire Zenone anche se Tu non puoi approvare il suo pensiero. Egli è come certi terreni aridi, quarziferi alla superficie ma ottimi sotto la crosta dura. Io spero riuscire a levare questa crosta creata da tanto dolore e mettere a nudo il buon terreno. Sarebbe un grande aiuto per la tua Chiesa, essendo Zenone noto e collegato con tanti dell’Asia minore e della Grecia, oltre Cipro, Malta, e persino in Iberia, dove in ogni luogo ha parenti e amici, come lui greci e perseguitati, oppure anche romani delle milizie, o delle magistrature, utilissimi un giorno alla tua causa.

   461.14Signore, mentre scrivo, da una delle terrazze della casa vedo Antiochia coi suoi moli sul fiume, il palazzo del Legato nell’isola, le sue vie regali, le sue mura dalle cento e cento torri poderose, e se mi volgo vedo la cresta del Sulpio che mi sovrasta con le sue caserme, e l’altro palazzo del Legato. Sono così fra le due manifestazioni della potenza romana, io povera donna soggetta, sola. Ma non mi dànno paura. Anzi penso che ciò che non può l’ira degli elementi e la forza di tutto un popolo in rivolta, farà la debolezza che non dà ombra, la apparente debolezza, spregevole ai potenti, di chi è una forza perché possiede Dio: Te.
   Penso, e te lo dico, che questa forza romana sarà la forza cristiana quando ti avrà conosciuto, e che dalle cittadelle della romanità pagana occorrerà iniziare il lavoro, perché esse saranno sempre le padrone del mondo e una romanità cristiana vorrà dire una cristianità universale. Quando questo? Non so. Ma sento che sarà. Onde guardo con un sorriso queste testimonianze di potenza romana, pensando a quel giorno che metteranno le insegne e la loro forza a servizio del Re dei re. Le guardo come si guardano amici utili che ancora non sanno di esserlo, che faranno soffrire prima di essere conquistati, ma che, conquistati che siano, porteranno Te, la conoscenza di Te sino ai confini del mondo.
   Io, povera donna, oso dire ai miei grandi fratelli in Te che, quando sarà l’ora della conquista del mondo al tuo Regno, non da Israele, troppo chiuso nel suo rigorismo mosaico inasprito da quello fariseo e delle altre caste per essere conquistato, ma da qui, dal mondo romano, dalle propaggini di esso — i tentacoli con cui essa Roma strozza ogni fede, ogni amore, ogni libertà che non sia quale essa vuole, ad essa utile — da qui dovrà iniziarsi la conquista degli spiriti alla Verità.
   Tu lo sai, Signore. Ma io parlo per i fratelli che non possono credere che anche noi, i gentili, si abbia anelito al Bene. Ai fratelli dico che sotto la corazza pagana vi sono cuori delusi del vuoto pagano, nauseati della vita che conducono perché così si usa, stanchi di odio, di vizio, di durezza. Vi sono spiriti onesti, ma che non sanno dove appoggiarsi per trovare appagamento al loro anelito al Bene. Date ad essi una Fede che li appaghi. Morranno per essa portandola sempre più avanti come una fiaccola fra le tenebre, come gli atleti dei giuochi ellenici”».

   461.15Gesù ripiega il primo foglio e, mentre gli ascoltatori commentano lo stile, la forza, le idee di Sintica, e si chiedono perché non è più ad Antigonio, Gesù svolge il secondo foglio.
   Pietro, finora rimasto seduto, si torna ad avvicinare come per sentire meglio e riprende a sollevarsi sulle punte dei piedi per vedere, stringendosi a Gesù.
   «Simone, fa tanto caldo e tu mi opprimi», dice sorridendo Gesù. «Torna al tuo posto. Non hai sentito fino ad ora?».
   «Sentito? Sì. Ma non ho veduto. E ora voglio vedere, perché Tu è da quel foglio lì che sei mutato e hai pianto… E non è solo per Giovanni… Che era morente si sapeva…».
   Gesù sorride ma, per impedire a Pietro di sbirciare da dietro le spalle sullo scritto, si addossa alla più vicina colonna, incurante di allontanarsi dalla luce del lampadario che, in compenso, se non illumina il foglio illumina molto il viso di Gesù.
   Pietro, ben deciso a vedere, a capire, trascina uno sgabello di fronte a Gesù e si siede tenendo gli occhi fissi sul volto del Maestro.
   «“Tanto sono convinta di questo che, rimasta sola, ho lasciato Antigonio per Antiochia, certa di potere lavorare più in questo terreno, dove come a Roma tutte le razze si fondono e mescolano, che là dove impera Israele… Non posso, io, donna, partire alla conquista di Roma. Ma se l’Urbe mi è irraggiungibile, sulla figlia più bella dell’Urbe, la più somigliante alla madre in tutto l’Orbe, io getto il seme… Su quanti cuori cadrà? In quanti germoglierà? In quanti verrà trasportato altrove e attenderà gli apostoli per germinare? Non so. Non chiedo di sapere. Faccio. Offro al Dio che ho conosciuto, e che appaga il mio spirito e il mio intelletto, il lavoro. In questo Dio credo come a Dio unico e onnipotente. So che non delude chi è di buona volontà. Questo mi basta e mi sorregge nel fare.

   461.16Maestro, Giovanni è morto il sesto giorno avanti le none di giugno secondo i romani, quasi alla neomenia di tamuz secondo gli ebrei. Signore… A che dirti ciò che sai? Eppure lo dico per i fratelli. Giovanni morì da giusto e, per la verità sulle sue sofferenze, dovrei dire da martire. Io l’ho assistito con tutta la pietà che una donna può avere, con tutto il rispetto che si ha per un eroe, con tutto l’amore che si ha per un fratello. Ma ciò non ha impedito una sofferenza tale che io, non per disgusto o stanchezza ma per compassione, pregavo l’Eterno di chiamarlo alla pace. Egli diceva: ‘alla libertà’.
   Che parole uscivano dalla sua bocca! Può mai un uomo che è sceso fino in fondo, come egli diceva, salire a tanta luce di sapienza? Oh! la morte è proprio il mistero che rivela la nostra origine, e la vita è lo scenario che nasconde il mistero. Uno scenario che ci viene dato senza disegni e sul quale noi possiamo lavorare ciò che vogliamo. Egli vi aveva scritto molte cose, non tutte belle. Ma le ultime furono sublimi. Dal cielo fosco del basso, su cui erano disegni di dolore umano e di umana violenza, come sapiente artefice era passato a sempre più luminosi segni, decorando di virtù lo scorcio della sua vita cristiana e finendo in una luminosità fulgida di anima perduta in Dio. Io te lo dico: non parlò, ma cantò il suo ultimo poema. Non morì, ma assurse. Né io potei distinguere con esattezza quando era ancora l’uomo che parlava o quando già parlava lo spirito figlio di Dio.
   Signore, ho letto, Tu lo sai, tutte le opere dei filosofi per cercare un pascolo all’anima legata dalle doppie catene della schiavitù e del paganesimo. Ma quelle erano opere d’uomo. Qui non erano più voci d’uomo, erano parole di super-uomo, di spirito regale, più, di spirito semidivino. Io ho vegliato sul mistero, che non sarebbe stato capito d’altronde da quelli che ci ospitavano, buoni con l’uomo ma israeliti nel più ampio e completo senso del nome… E quando negli ultimi tocchi dell’amore Giovanni non fu più che un amore parlante, io ho allontanato ognuno e ho raccolto io sola ciò che Tu certo sai…
   Signore… quell’uomo è morto, è ‘uscito finalmente dalla carcere, è andato nella libertà’, come egli diceva col filo di voce degli ultimi giorni e con lo sguardo acceso d’estasi, stringendomi la mano e svelandomi il Paradiso con le sue parole. Quell’uomo è morto insegnandomi a vivere, perdonare, credere, amare. È morto preparandomi all’ultimo tempo della tua vita. Signore, tutto so. Mi aveva istruito sui profeti nelle sere d’inverno. Conosco il Libro come una vera israelita. Ma so anche ciò che il Libro non specifica… Maestro mio e mio Signore… io lo imiterò. E io vorrei lo stesso favore, ma penso che sia più eroico non chiederlo, e fare la tua volontà…”».

   461.17Gesù ripiega il foglio e fa per prendere il terzo.
   «No, no, Maestro! Non può essere… C’è dell’altro. Non può essere finito così presto il foglio!», esclama Pietro. «Tu non leggi tutto! Perché, Signore? Voi! Protestate. Sintica ha scritto più per noi che per Lui, e Lui non ci legge».
   «Non insistere, Pietro!».
   «Sì che insisto! Eccome se insisto! Ho visto, sai, che il tuo occhio andava più in basso di colpo e che, c’è trasparenza, non hai letto le ultime righe. Non starò quieto che finché rileggi la fine di quel foglio. Piangevi prima!… E che? C’è forse da piangere in quello che hai letto? Dispiace, sì, saperlo morto… ma una morte così non fa piangere! Io credevo che fosse morto male, perdendo il suo spirito… Invece… Leggi, su! Madre! Giovanni! Voi che ottenete tutto…».
   «Ascoltalo, Figlio mio, e se anche è cosa penosa a sapersi berremo tutti il calice…».
   «Sia come volete…
   “Conosco il Libro come una vera israelita. Ma so anche ciò che il Libro non specifica, ossia che ormai la tua Passione non tarderà a compiersi, poiché Giovanni è morto e Tu gli hai promesso breve sosta nel Limbo. Egli me lo ha detto. Egli mi ha detto che Tu avevi promesso di levarlo prima che conoscesse come e dove può giungere l’odio d’Israele verso Te, e ciò per impedire che per amore di Te egli odiasse i tuoi torturatori. Ora egli è morto… e Tu sei dunque prossimo a morire… No. A vivere. Veramente a vivere con la tua Dottrina, con Te stesso in noi, con la Divinità in noi dopo che il tuo Sacrificio ci renderà la vita dell’anima, la Grazia, l’unione col Padre, col Figlio, con lo Spirito Santo.
   Maestro, mio Salvatore, mio Re, mio Dio… forte è la mia tentazione, anzi è stata forte, di raggiungerti ora che Giovanni dorme col corpo nel sepolcro e riposa con lo spirito nell’attesa. Raggiungerti per essere con le altre presso la tua ara. Ma le are vanno ornate non solo della vittima, ma di ghirlande in onore del Dio per il cui onore si celebra il sacrificio. Io metto la mia violacea ghirlanda di discepola lontana ai piedi della tua ara. Vi metto l’ubbidienza, il lavoro, il sacrificio di non vederti e ascoltarti… Ah! sarà ben duro! È ben duro ora che sono finiti i tuoi colloqui soprannaturali con Giovanni e io non ne godo più!… Signore, alza la tua mano sulla tua serva perché ella sappia fare solo la tua volontà e ti sappia servire”».

   461.18Gesù piega il foglio e guarda i volti degli ascoltatori. Sono pallidi. Ma Pietro mormora: «Non capisco perché piangevi… Credevo ci fosse altro…».
   «Piangevo perché confrontavo l’uxoricida, il galeotto di un tempo e la schiava pagana con troppi in Israele».
   «Ho capito! Ti angoscia che gli ebrei siano inferiori ai gentili, e i sacerdoti e principi ai galeotti. Hai ragione. Ero stolto! Che donna questa donna! Peccato che abbia dovuto andar via!…».
   Gesù spiega il terzo foglio.
   «“E sappia imitare in tutto il discepolo e fratello che è già nella pace, che vi è andato dopo aver compiuto ogni purificazione… in tuo onore e per alleviare le tue sofferenze”».
   «Ah! no, poi!». Pietro è saltato con agilità sul sedile prima che Gesù possa scostarsi e vede che non è possibile esser già là dove Gesù guarda. Occorre tenere presente che la cartapecora si arrotola su se stessa man mano che è lasciata libera in alto, e perciò molte righe sono ormai nascoste nell’alto del foglio.
   Gesù alza la testa e, con volto più mesto che triste, dolce ma fermo, respinge il suo apostolo e dice: «Pietro, il tuo Maestro sa ciò che ti fa bene! Lascia che Io ti dia ciò che ti è buono…».
   Pietro è tocco da quelle parole, e più dallo sguardo di Gesù, così implorante, lucido di una lacrima che sta per cadere. Scende dal sedile dicendo: «Ubbidisco… Ma che ci sarà mai lì?!».

   461.19Gesù riprende a leggere:
   «“Ed ora che ho parlato di altri, parlo di me. Ho lasciato Antigonio dopo la sepoltura di Giovanni. Non perché mi trattassero male. Ma perché sentivo che non era il mio posto. Perché lo sentivo? Non so. Lo sentivo. Come ti ho detto, avevo conosciuto molte famiglie perché molti erano venuti a noi. Ho preferito sistemarmi presso quella di Zenone, proprio perché è nell’ambiente dove conto lavorare.
   Una donna romana mi voleva nella sua splendida casa presso i Colonnati di Erode. Una ricchissima siriana mi invitava a maestra nel laboratorio di stoffe che il marito, di Tiro, ha impiantato in Seleucia. Una vedova proselite, madre di sette fanciulle, abitante presso il ponte Seleucio, mi voleva per rispetto a Giovanni, maestro dei fanciulli. Una famiglia greco-assira, con empori in una via presso il Circo, chiedeva che io andassi da essa perché nel tempo dei giuochi potevo essere utile. Infine un romano, già centurione, credo, certo militare, qui rimasto con non so quale preciso impegno, guarito lui pure con il balsamo, insisteva per avermi. No. Non volevo i ricchi, non i mercanti. Volevo anime, e anime greche e romane, perché sento che da queste deve iniziarsi l’espansione della tua Dottrina nel mondo.
   Ed eccomi in casa di Zenone sulle pendici del Sulpio, presso le caserme. La cittadella incombe minacciosa dalla vetta. Eppure, così arcigna come è, è migliore dei ricchi palazzi dell’Onfolo e del Ninfeo, e vi ho amici. Un milite che ti conosce, di nome Alessandro. Un semplice cuore di fanciullo chiuso in un gran corpo di soldato. E lo stesso tribuno, da poco giunto qui da Cesarea, sotto la sua clamide ha un retto cuore. Nella sua semplicità rozza si avvicina più alla Verità Alessandro. Ma anche il tribuno, che ti ammira come un retore perfetto, un filosofo ‘divino’, come egli dice, non è ostile alla Sapienza, se anche ancora non può accogliere la Verità. Ma conquistare questi e le loro famiglie con un minimo di tua conoscenza vuol dire gettare il seme di questa conoscenza a settentrione e mezzogiorno, a oriente e occidente, perché le milizie sono come dei grani agitati dal ventilabro, meglio, delle pule che il mulinello del vento, in questo nostro caso il volere dei Cesari e le necessità di dominio, sparge per ogni dove.
   Quando verrà un giorno che i tuoi apostoli, come uccelli lanciati a volo, si spargeranno sulla Terra, grande aiuto sarà per loro trovare nei luoghi di apostolato uno, uno solo, anche uno solo che non ignori che Tu fosti. Per questa idea curo anche le membra dolenti dei vecchi gladiatori e quelle ferite dei giovani gladiatori. Per questo non sfuggo più le donne romane, per questo sopporto quelli che mi erano dolore… Tutto. Per Te. Se sbaglio, consigliami con la tua sapienza. Sappi solo, ma lo sai, che i miei sbagli vengono da incapacità, ma non da malizia.
   Signore, la tua serva ti ha detto tanto… un niente del tanto che ho in cuore. Ma Tu vedi il mio spirito. Signore… Quando vedrò il tuo volto? Quando rivedrò tua Madre, i fratelli?… La vita è un sogno che passa. Passerà la separazione. Sarò in Te, e con loro, e sarà la gioia e la libertà per me, anche per me, come per Giovanni.
   Mi prostro ai tuoi piedi, mio Salvatore. Benedicimi con la tua pace. A Maria di Nazaret, alle discepole, pace e benedizione. Agli apostoli e ai discepoli, pace e benedizione. A Te, Signore, gloria e amore”.

   461.20Ho letto. Madre, vieni con Me. Voi attendetemi, oppure riposate. Io non rientro. Resto in preghiera con mia Madre. Giovanna, se alcuno mi cerca, sono nel chiosco presso il lago».
   Pietro ha tratto in disparte Maria e le parla concitato ma sotto voce. Maria gli sorride e mormora qualcosa. Poi raggiunge suo Figlio che segue il sentiero appena visibile nella notte.
   «Che voleva Simone di Giona?».
   «Sapere, Figlio mio. È come un bambino… un grosso bambino… Ma è tanto buono».
   «Sì, è molto buono. E ha pregato te, che sei buonissima, per sapere… Ha scoperto il punto debole: te e Giovanni. Lo so. Mostro di non saperlo, ma lo so. Ma non posso sempre cedere per farlo contento… Non occorreva, Gionata. Stavamo anche al buio», dice vedendo Gionata accorrere con una lucerna d’argento e dei cuscini che dispone sulla tavola e sui sedili del chiosco.
   «Lo ha ordinato Giovanna. La pace a Te, Maestro».
   «E a te».
   Restano soli.
   «Dicevo che non sempre posso accontentarlo. Questa sera non potevo. Tu sola puoi sapere i punti che ho taciuto. Ti ho voluta per questo e anche per stare con te, Mamma… Stare con te nelle ultime ore prima di una separazione è radunare tanta dolce forza da esserne ricco per molte ore di solitudine fra il mondo, che non mi capisce o mi capisce male. E stare con te nelle prime ore di un ritorno è ritemprarsi subito nella tua dolcezza di tutti i calici che devo bere nel mondo… e che sono così disgustosi e amari».
   Maria lo carezza senza parlare. Ritta in piedi presso Lui seduto, è la Madre che conforta il Figlio. Ma Egli la fa sedere e dice: «Ascolta…»; e allora Maria, nella posa attenta, seduta di fronte a Lui, diviene la discepola che pende dalle labbra di Gesù Maestro.

   461.21«Sintica scrive parlando di Antiochia: “Qui il volere — non so distinguere dove cessa quello degli uomini e ha inizio quello di Dio, perché non sono saggia — qui il volere, più forte del mio desiderio, mi ha portata, e chissà che ciò non sia stato tutto volere di Dio. Certo è che, quasi di sicuro per una grazia del Cielo, io amo ormai questa città che, con le vette del Casio e dell’Amano a vegliarla da due lati e le creste verdi delle Montagne nere più lontano, molto mi ricorda la patria perduta. E mi pare che questo sia il primo passo di ritorno verso la mia terra, e non già passo di pellegrina stanca che torna per morire, ma di messaggera di vita che viene a dare vita a chi le fu madre. Mi pare che da qui, rondine riposata al volo e nutrita di Sapienza, io debba volare là, alla città dove vidi la luce e dalla quale voglio, vorrei salire alla Luce dopo aver dato la Luce che mi fu data.
   I miei fratelli in Te, lo so, non approverebbero questo pensiero. Vogliono solo per loro la tua sapienza. Ma sbagliano. Un giorno capiranno che il mondo aspetta, e che il mondo sprezzato sarà il migliore. Io preparo loro la via. Non qui soltanto, ma con quanti qui fanno capo e poi tornano ad altri paesi, e non distinguo tanto se sono gentili o proseliti, greci o romani, o di altre colonie dell’Impero e della Diaspora. Parlo, suscito volontà di conoscerti… Il mare non è fatto di una nuvola che si svuota. È fatto di nuvole, nuvole, nuvole che si svuotano sulla terra e si riversano in mare. Io sarò una nuvola. Il mare sarà il cristianesimo. Voglio moltiplicare la conoscenza di Te per contribuire a formare il mare del cristianesimo. Io, greca, so parlare ai greci, non tanto con l’idioma quanto con la comprensione… Io, già schiava dei romani, so lavorare i romani di cui conosco i punti sensibili. E, per quanto ho vissuto fra gli ebrei, so anche come trattare costoro, specie qui dove i proseliti sono numerosi. Giovanni è morto per la tua gloria. Io vivrò per la tua gloria. Benedici i nostri spiriti”.

   461.22E più oltre, là dove parla della morte di Giovanni, là dove non ho lasciato che Simone leggesse, è scritto: “Giovanni è morto dopo aver compiuto ogni purificazione, anche l’estrema, del perdono a coloro che col loro modo di fare lo hanno ucciso e ti hanno costretto ad allontanarlo. So il nome di costoro, almeno del principale di costoro. Giovanni me lo ha rivelato dicendo: ‘Diffida sempre di lui. È un traditore. Ha tradito me, tradirà Lui e i compagni. Ma io perdono all’Iscariota come Egli perdonerà. È già tanto grande l’abisso in cui lui giace che non voglio farlo più profondo col mio non perdonargli di avermi ucciso separandomi da Gesù. Il mio perdono non lo salverà. Nulla lo salverà, perché è un demonio. Non lo dovrei dire, io che fui assassino, ma io avevo almeno un’offesa a farmi folle. Egli inveisce su chi non gli ha fatto del male e finirà col tradire il suo Salvatore. Ma gli perdono perché la bontà di Dio ha fatto del suo livore verso di me il mio bene. Vedi? Tutto ho espiato. Egli, il Maestro, me lo ha detto ieri sera. Ho tutto espiato. Ora esco dalla carcere. Ora entro veramente nella libertà, libero anche dal peso del ricordo del peccato di Giuda di Keriot verso un infelice che aveva trovato la pace presso il suo Signore’.
   Io pure, a suo esempio, lo perdono di avermi strappata a Te, alla Madre benedetta, alle sorelle discepole, all’udirti, al seguirti sino alla morte, per essere presente al trionfo tuo di Redentore. E lo faccio per Te, in tuo onore e per alleviare le tue sofferenze. Sta’ in pace, mio Signore. Il nome dell’obbrobrio che è fra le file dei tuoi seguaci non uscirà dalle mie labbra, e con questo non uscirà niente di quanto ho sentito da Giovanni quando il suo io parlava con la tua invisibile, letificante Presenza. Sono stata in forse se venire da Te prima di sistemarmi nella nuova dimora. Ma ho sentito che mi sarei tradita col ribrezzo per l’Iscariota e che ti avrei nuociuto presso i tuoi nemici. Ho sacrificato così anche questo conforto… certa che il sacrificio non sarà senza frutto e senza premio”.

   461.23Ecco, Madre. Potevo leggere questo a Simone?».
   «No. Non a lui, non agli altri. Nel mio dolore ho la gioia di questa morte santa di Giovanni… Figlio, preghiamo perché egli senta il nostro amore e… e perché Giuda non sia l’obbrobrio… Oh! è orrendo!… Eppure… noi perdoneremo…».
   «Preghiamo…». Si alzano in piedi e pregano nella luce tremula della lampada, fra cortine di rami penduli, mentre la risacca ha un respiro sincopato contro la sponda…

[53] i tefilim, le fimbrie e gli zizit potrebbero essere vari nomi degli ornamenti che la legge prescriveva agli israeliti perché si ricordassero dei comandi del Signore, come è detto in: Numeri 15, 37-41; Deuteronomio 6, 6-8; 11, 18; 22, 12 . Li incontriamo anche in 40.7 (sotto forma di “striscioline”), 201.5 (come “frange” e “striscioline”), 381.7.9 e 501.4.
[54] domanda Maria e i successivi sospira Pietro, osserva con impeto Giuda d’Alfeo, grida Giacomo di Zebedeo, sono delle aggiunte di MV su una copia dattiloscritta.