MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME VIII CAPITOLO 501



DI. Parabola dei figli lontani. Guarigione dei due figli ciechi dell’uomo di Petra.

   24 settembre 1946.

   501.1Una bella mattina di autunno. Tolte le foglie giallorosse che coprono il suolo e ricordano la stagione, è tanto verde l’erba con qualche fioretto che sboccia dai cespi rinati alle piogge di ottobre, è così serena l’aria che circola fra i rami in parte già spogli, che vien fatto di pensare ad un inizio di primavera, molto più che le piante a fogliame perenne, che si mescolano a quelle a fogliame annuale, mettono la nota allegra delle nuove fogliette smeraldine, nate ai vertici dei rametti, presso i rami spogli di altre piante, e così pare che queste gettino le prime foglie. Le pecore escono dai chiusi e belando si avviano con gli agnelli delle figliate di autunno ai pascoli. L’acqua di una fonte, messa all’inizio del paese, splende come liquido diamante al sole che la bacia e, ricadendo nello scuro bacino, fa tutto uno scintillio multicolore contro una casetta dalle mura annerite dal tempo.
   Gesù si siede su un muretto che limita la via da un lato e attende. I suoi gli stanno intorno. E anche gli abitanti del paese, mentre i pastori, obbligati dal gregge, per non dilungarsi troppo, in luogo di salire più in alto, si spargono ai due lati della via verso il piano.
   Dalla via che da valle sale al Nebo per il momento non viene alcuno.
   «Verrà poi?», interrogano gli apostoli.
   «Verrà. E noi lo attenderemo. Non voglio deludere una speranza che si forma e distruggere una futura fede», risponde Gesù.
   «Non state bene fra noi? Abbiamo dato il meglio che avevamo», dice un vecchione che si scalda al sole.
   «Meglio che altrove, padre. E la vostra bontà avrà premio da Dio», gli risponde Gesù.
   «Allora parlaci ancora. Qui vengono talora degli zelanti farisei e dei superbi scribi. Ma non hanno parole per noi. È giusto. Essi sono i separati per elevatezza da… tutto, e i sapienti. Noi… Ma non si deve allora conoscere nulla noi, perché la sorte ci ha fatto nascere qui?».
   «Nella Casa del Padre mio non ci sono separazioni e differenze per quelli che giungono a credere in Lui e a praticare la sua Legge, ché è il codice della sua volontà che l’uomo viva da giusto per avere eterno premio nel suo Regno.

   501.2Udite. Un padre aveva molti figli. Taluni erano sempre vissuti in stretto contatto con lui; altri, per ragioni diverse, erano stati relativamente più lontani dal padre. Ma però, sapendo i desideri paterni, nonostante gli fossero lontani, potevano agire come se egli fosse presente. Altri ancora, perché ancor più lontani, e fin dal primo giorno della loro nascita allevati fra servi che parlavano altre lingue e avevano altri usi, si sforzavano a servire il padre per quel poco che, più per istinto che per sapere, conoscevano a lui gradito. Un giorno il padre, che non ignorava come, nonostante i suoi ordini, i suoi servi si fossero astenuti da far conoscere i pensieri del padre a questi lontani, perché nel loro orgoglio li riputavano inferiori, disamati sol perché non coabitanti col padre, volle radunare tutta la sua prole. E la chiamò a sé. Ebbene, credete voi che giudicasse per linea di umano diritto, dando il possesso dei beni soltanto a quelli che erano stati sempre nella sua casa, o quanto meno lontani non tanto da impedir loro di sapere i suoi ordini e desideri? Egli anzi seguì tutt’altro concetto e, osservando le azioni di quelli che erano stati giusti per amore del padre, conosciuto soltanto di nome, e lo avevano onorato con tutte le loro azioni, li chiamò a sé vicino dicendo: “Doppio merito il vostro di esser giusti, poiché lo foste per sola volontà vostra e senza aiuti. Venite e circondatemi. Ne avete ben diritto! I primi mi hanno sempre avuto e ogni loro azione era regolata dal mio consiglio e premiata dal mio sorriso. Voi avete dovuto agire solo per fede ed amore. Venite. Ché nella mia casa è pronto il vostro posto, è pronto da tempo, ed ai miei occhi non costituisce differenza l’esser sempre stati della casa o l’esser stati lontani; ma differenza hanno le azioni che, vicini o lontani da me, i miei figli hanno compiuto”.
   Questa la parabola. E la sua spiegazione è questa: che scribi o farisei, viventi intorno al Tempio, possono non essere nel Giorno eterno nella Casa di Dio, e che molti, che sono tanto lontani da sapere soltanto succintamente le cose di Dio, potranno essere allora nel suo seno. Perché ciò che dà il Regno è la volontà dell’uomo tesa all’ubbidienza a Dio, e non il cumulo di pratiche e di scienza.
   Fate dunque quanto vi ho spiegato ieri. Fatelo senza eccessivo timore che paralizza, fatelo senza calcolo di sfuggire con ciò al castigo. Fatelo perciò soltanto per amore a Dio, che vi ha creati per amarvi ed essere amato da voi. E avrete posto nella Casa paterna».

   501.3«Oh! parlaci ancora!».
   «Che vi devo dire?».
   «Ieri Tu dicevi che vi sono sacrifici più graditi a Dio di quello degli agnelli e degli arieti, e anche che vi sono lebbre più vergognose di quelle della carne. Non ho capito bene il tuo pensiero», dice un pastore e termina: «Prima che un agnello sia di un anno, e sia il più bello del gregge, senza macchia e difetto, sai quanti sacrifici occorre fare, e quante volte superare la tentazione di farne il montone del gregge o venderlo per tale? Ora, se per un anno si resiste ad ogni tentazione, e lo si cura e ci si affeziona ad esso, perla della mandria, sai quanto è grande il sacrificio di immolarlo senza utile e con dolore? Può esservi sacrificio più grande da offrire al Signore?».
   «Uomo, in verità ti dico che il sacrificio non sta nella bestia immolata, ma nello sforzo che tu hai fatto di conservarla per immolarla. In verità vi dico che sta venendo il giorno in cui, come dice[1] la parola ispirata, Dio dirà: “Non ho bisogno del sacrificio degli agnelli e degli arieti”, ed esigerà un sacrificio unico e perfetto. E da quell’ora ogni sacrificio sarà spirituale. Ma già è detto da secoli quale sacrificio predilige il Signore. Davide esclama piangendo: “Se Tu avessi desiderato un sacrificio, te lo avrei offerto, ma a Te non piacciono gli olocausti. Il sacrificio a Dio è lo spirito compunto (e Io aggiungo: ubbidiente e amoroso, perché si può compiere anche sacrificio di lodi e di gaudio e d’amore, non solo di espiazione). Il sacrificio a Dio è lo spirito compunto; il cuore contrito ed umiliato Tu, o Dio, non lo disprezzi”. No. Non disprezza neppure il cuore che ha peccato e si è pentito, il Padre vostro. E allora, come accoglierà il sacrificio del cuore puro, giusto, che lo ama? Questo è il sacrificio più gradito. Il quotidiano sacrificio della volontà umana a quella divina, che vi si mostra nella Legge, nelle ispirazioni e negli avvenimenti giornalieri. E così non è la lebbra della carne la più vergognosa ed escludente dal cospetto degli uomini e dai luoghi di preghiera. Ma è la lebbra del peccato. È vero che essa passa molte volte ignorata agli uomini. Ma vivete per gli uomini o per il Signore? Tutto ha fine qui o prosegue nell’altra vita? Voi lo sapete. E allora siate santi per non essere lebbrosi agli occhi di Dio, che vedono i cuori degli uomini, e conservatevi mondi nello spirito per poter vivere in eterno».
   «E se uno ha peccato forte?».
   «Non imiti Caino, non imiti Adamo ed Eva. Ma corra ai piedi di Dio e con vero pentimento gli chieda pietà. Un malato, un ferito va al medico per guarire. Un peccatore vada a Dio per avere perdono. Io…».

   501.4«Tu qui, Maestro?», grida uno che sale per la via, tutto ammantellato e fra molti altri. Gesù si volta a guardarlo. «Non mi riconosci? Sono rabbi Sadoc. Ogni tanto ci incontriamo».
   «Il mondo è sempre piccolo quando Dio vuol fare incontrare le persone. Ci incontreremo ancora, rabbi. Intanto, la pace sia con te».
   L’altro non rende il saluto di pace, ma chiede: «Che fai qui?».
   «Ciò che tu stai per fare, ho fatto. Non ti è sacro questo monte?».
   «Lo hai detto. E ci vengo coi miei discepoli. Ma io sono uno scriba!».
   «E Io sono un figlio della Legge. Venero dunque Mosè come tu lo veneri».
   «Ciò è menzogna. Tu annulli la sua parola con la tua e pretendi alla tua ubbidienza, non più alla nostra».
   «Alla vostra no. Essa è vostra. Ma non è necessaria…».
   «Non è necessaria? Orrore!».
   «No, non più che nelle tue vesti non sono necessari, a ripararti dalle arie autunnali, i fluenti e abbondanti zizit che ti ornano la veste. È la veste quella che ti protegge. Così, delle molte parole che vengono insegnate, Io accetto le necessarie e sante, quelle mosaiche, e non curo le altre».
   «Samaritano! Non credi ai profeti!».
   «I profeti voi neppure li osservate. Se li osservaste, non mi direste samaritano».
   «Ma lascialo stare, Sadoc. Vuoi parlare con un demonio?», dice un altro pellegrino sopraggiungente con altre persone. E, volgendo lo sguardo duro sul gruppo intorno a Gesù, vede Giuda di Keriot e lo saluta beffardamente.

   501.5Forse succederebbe qualche incidente, perché i paesani vogliono difendere Gesù. Ma si fa largo urlando l’uomo di Petra, seguito da un servo. Sia lui che il servo hanno un bimbo fra le braccia. «Lasciatemi passare. Signore, mi sono fatto attendere troppo?».
   «No, uomo. Vieni a Me».
   La gente si apre per lasciarlo passare. Egli viene a Gesù e si inginocchia, deponendo per terra una fanciullina dal capo fasciato di lino. Il servo lo imita mettendo a terra un fanciullo dagli occhi opachi.
   «I miei figli, Maestro Signore!», dice e nella breve frase trema tutto il dolore e la speranza di un padre.
   «Hai avuto molta fede, uomo. E se ti avessi deluso? Se non mi avessi trovato? Se ti dicessi che non te li posso guarire?».
   «Non ti crederei. E non crederei neppure all’evidenza di non vederti. Direi che ti sei nascosto per provare la mia fede e ti cercherei finché ti avessi trovato».
   «E la carovana? Il tuo guadagno?».
   «Queste cose? E che sono rispetto a Te, che puoi guarire i miei figli e darmi una fede sicura in Te?».

   501.6«Scopri il volto della bambina», ordina Gesù.
   «Lo tengo coperto perché ella soffre molto della luce».
   «Sarà un attimo di dolore soltanto», dice Gesù.
   Ma la piccola si mette a piangere disperatamente e non vuole essere sfasciata.
   «Fa così perché crede che Tu la tormenti col fuoco come i medici», spiega il padre lottando per levare le manine della bam­bina dalle fasce.
   «Oh! non temere, fanciulla. Come ti chiami?».
   La bimba piange e non risponde. Risponde il padre per lei: «Tamar, da dove è nata. E il maschio Fara».
   «Non piangere, Tamar. Non ti faccio male. Senti le mie mani. Non hanno nulla fra le dita. Vieni in grembo a Me. Intanto guarirò tuo fratello, ed egli ti dirà ciò che ha provato. Vieni qui, fanciullo».
   Il servo gli spinge presso i ginocchi il povero ciechino dagli occhi spenti dal tracoma. Gesù lo carezza sul capo e gli chiede: «Sai chi sono?».
   «Gesù Nazareno, il Rabbi d’Israele, il Figlio di Dio».
   «Vuoi credere in Me?».
   «Sì».
   Gesù gli pone la mano sugli occhi, coprendogli più di metà volto. Dice: «Voglio! E la luce delle pupille apra la via alla luce della Fede». Leva la mano.
   Il bambino ha un grido portandosi le mani agli occhi e poi dice: «Padre! Io vedo!». Ma non corre al padre. Nella sua spontaneità di bimbo si attacca al collo di Gesù e lo bacia sulle guance e resta così, attaccato al suo collo, colla testolina rifugiata sulla spalla di Gesù a riabituare le pupille al sole.
   La folla grida al miracolo, mentre il padre vorrebbe levare il fanciullo dal collo di Gesù.
   «Lascialo. Non dà noia. Soltanto, o Fara, di’ a tua sorella ciò che ti ho fatto».
   «Una carezza, Tamar. Pareva la mano della mamma. Oh! guarisci anche tu e giuocheremo ancora!».

   501.7La bambina, con ancora un poco di riluttanza, si fa mettere sui ginocchi di Gesù, che la vorrebbe guarire senza neppur toccarle le fasce. Ma scribi e compagni urlano: «È un trucco. La bambina ci vede. Una congiura per sorprendere la buona fede vostra, o abitanti di questo luogo».
   «Mia figlia è malata. Io…».
   «Lascia stare! Tu, Tamar, ora sei buona e lasci che Io ti levi le fasce».
   La bambina, persuasa, lascia fare. Che vista quando l’ultimo lino cade! Due piaghe rosse, crostose, gonfie, sono al posto degli occhi, e lacrime e pus gocciano da esse. La gente ha un sussurro di raccapriccio e di pietà, mentre la bambina si porta le manine al viso per ripararsi dalla luce che la deve far soffrire orribilmente; sulle tempie rosseggiano recenti scottature.
   Gesù le scansa le manine e sfiora leggermente quella rovina poggiandovi sopra la mano e dicendo: «Padre, che creasti la luce per gioia dei viventi e desti pupille persino al moscerino, rendi la luce a questa tua creatura, perché ti veda e in Te creda, e dalla luce della Terra entri, con la Fede, nella luce del tuo Regno».
   Leva la mano… «Oh!», gridano tutti. Non ci sono più piaghe. Ma la piccola tiene ancora gli occhi chiusi.
   «Aprili, Tamar. Non temere. La luce non ti farà male».
   La bambina ubbidisce un poco timorosa e apre le palpebre su due vivaci occhietti neri.
   «Padre mio! Ti vedo!», ed essa pure si abbandona sulla spalla di Gesù per abituarsi lentamente alla luce.
   La folla è in un subbuglio di festa, mentre l’uomo di Petra si getta singhiozzando di gioia ai piedi di Gesù.
   «La tua fede ha avuto il suo premio. Da ora innanzi la tua riconoscenza porti la tua fede nell’Uomo alla sfera più alta: a quella nel vero Dio. Alzati e andiamo».
   E Gesù mette a terra la bambina, che sorride felice, e si stacca dal fanciullo alzandosi. Li carezza ancora e vorrebbe fendere il cerchio di gente che si affolla per vedere gli occhi risanati.

   501.8«Dovresti chiedere anche tu la guarigione per i tuoi occhi velati», dice un discepolo ad un vecchio, condotto a mano tanto ha gli occhi appannati.
   «Io?! Io?! Non voglio la luce da un demonio. Anzi! A Te grido, o Dio eterno! Ascoltami. A me! A me le tenebre assolute! Ma che io non veda il volto del demonio, di quel demonio, di quel sacrilego, usurpatore, bestemmiatore, deicida! Calino le ombre sui miei occhi per sempre. Le tenebre, le tenebre per non vederlo mai, mai, mai!». Sembra un demonio lui! Nel suo parossismo si percuote le occhiaie come volesse far scoppiare gli occhi.
   «Non temere. Non mi vedrai. Le Tenebre non vogliono la Luce, e la Luce non si impone a chi la respinge. Io vado, o vecchio. Non mi vedrai più sulla Terra. Ma mi vedrai ugualmente, altrove».
   E Gesù, con un accasciamento che gli aumenta l’andatura propria dei molto alti, lievemente pendente in avanti, si avvia per la discesa. È tanto accasciato che pare già il Condannato che scende il Moria col carico della Croce… E le urla dei nemici, aizzati dal vecchio furente, molto assomigliano agli urli della folla di Gerusalemme nel venerdì santo.
   L’uomo di Petra, mortificato, con la bambina che gli piange spaurita fra le braccia, mormora: «Per me, Signore! Per causa mia! Tu tanto bene a me! E io a Te! Ho messo nella tenda sul cammello delle cose per Te. Ma che sono rispetto agli insulti che ti ho procurato? Mi vergogno di esserti venuto vicino…».
   «No, uomo. Quello è il mio pane amaro di ogni giorno. E tu sei il miele che lo temperi. Il pane è sempre più del miele. Ma basta una goccia di miele a far dolce molto pane».
   «Tu sei buono… Ma dimmi almeno: che devo fare per medicare queste ferite?».
   «Serba la fede in Me. Per ora, come e per quanto puoi. Fra non molto… Sì. I miei discepoli verranno sino a Petra e oltre. Allora segui la loro dottrina, perché Io parlerò in loro. E per il momento parla a quei di Petra di ciò che ti ho fatto, onde, quando questi che mi circondano e altri verranno in mio Nome, non sia sconosciuto ad essi questo mio Nome».

   501.9Ai piedi della discesa, sulla via romana, sono fermi tre cammelli. Uno con la sola sella, gli altri col baldacchino. Li sorveglia un servo.
   L’uomo va ad una tenda e ne prende degli involti: «Ecco», dice offrendoli a Gesù. «Ti saranno utili. Non mi ringraziare. Io solo devo benedire Te per quanto mi hai dato. Se puoi farlo su degli incirconcisi, benedici me ed i miei figli, o Signore!», e si inginocchia coi bambini. I servi lo imitano.
   Gesù stende le mani pregando sottovoce con gli occhi fissi al cielo. «Va’. Sii giusto e troverai Dio sulla tua via e lo seguirai senza più perderlo. Addio, Tamar! Addio, Fara!». Li carezza prima che salgano coi servi uno per cammello.
   Le bestie si alzano al crrr crrr dei cammellieri e si volgono prendendo il trotto per la via verso sud. Due manine brune si sporgono dalle tende e due vocine dicono: «Addio, Signore Gesù! Addio, padre!».
   L’uomo sta per montare a sua volta. Si china a terra e bacia la veste di Gesù, poi monta in sella e parte verso il nord.
   «Ed ora andiamo», dice Gesù avviandosi a sua volta verso nord.
   «Come? Non vai più dove volevi?», chiedono.
   «No. Non possiamo più andare!… Le voci del mondo avevano ragione!… E questo perché il mondo è astuto e sa le opere del demonio… Andremo a Gerico…».
   Come è triste Gesù!… Tutti lo seguono, carichi dei fagotti dati dall’uomo, accasciati e senza parola…

[1] dice, in: Isaia 1, 11Amos 5, 22; esclama, in: Salmo 51, 18-19.