MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME VIII CAPITOLO 550



DL. Euforia tra gli apostoli. Missione d'amore per Lazzaro e di contemplazione assoluta per la sorella Maria. Gesù deve fuggire in Samaria.

   30 dicembre 1946.

   550.1È bello stare così, in riposo, fra l’amore degli amici e presso il Maestro nelle giornate solari che già risentono di un primo precoce sorridere di primavera, guardando i campi che aprono le loro zolle ad un verzicare innocente di grani che spuntano, guardando i prati che rompono il verde uniforme dell’inverno con i primi fioretti multicolori, guardando le siepi che nei posti più solari hanno già dei sorrisi di gemme che si schiudono, guardando i mandorli che già spumano nelle cime per i primi fiori che sbocciano. E Gesù ne gode, e ne godono gli apostoli, e ne godono i tre amici di Betania. Sembra così lontano il malanimo, il dolore, la tristezza, la malattia, la morte, l’odio, l’invidia, tutto quanto è pena, tormento, preoccupazione sulla Terra.
   Gli apostoli, tutti, sono gongolanti e lo dicono. Dicono la loro persuasione — oh!, così certa, così trionfante! — che ormai Gesù ha vinto tutti i nemici, che la sua missione procederà ormai senza ostacoli, che Egli sarà riconosciuto per Messia anche dai più tenaci a negarlo. E parlano, un poco esaltati, ringiovaniti tanto sono felici, facendo progetti per l’avvenire, sognando… sognando tanto… e umanamente.

   550.2Il più esaltato, per la sua psiche che lo porta sempre agli estremi, è Giuda di Keriot. Si felicita di aver saputo attendere e di aver saputo fare, si felicita della sua lunga fede nel trionfo del Maestro, si felicita di avere sfidato le minacce del Sinedrio… È tanto esaltato che finisce col dire anche quello che ha sempre tenuto celato sin qui, fra lo stupore attonito dei compagni.
   «Sì. Mi volevano comperare, sedurre mi volevano con blandizie e, vedendo che non servivano queste, con minacce. Se sapeste! Ma io! Io li ho pagati con uguale moneta. Ho finto amore a loro come essi a me. Li ho lusingati come essi mi lusingavano e li ho traditi come essi mi volevano tradire… Perché questo volevano. Farmi credere che con spirito buono provavano il Maestro per poterlo proclamare solennemente il Santo di Dio. Ma io li conosco! Io li conosco. E in tutte le cose che essi mi dicevano di voler fare mi destreggiavo in modo che la santità di Gesù veramente apparisse più lucente del sole meridiano in un cielo senza nubi… Un giuoco pericoloso il mio! Se lo avessero capito! Ma ero pronto a tutto, anche alla morte, per servire Dio nel mio Maestro. E così sapevo tutto… Eh! delle volte vi sarò sembrato pazzo, cattivo, scontroso. Se aveste saputo! Io solo so le mie notti, le cure che dovevo avere per fare del bene senza dare nell’occhio a nessuno! Tutti sospettaste un poco di me. Lo so. Ma non ve ne ho rancore. Il mio modo di fare… sì… poteva dar luogo a sospetti. Ma il fine era buono, e io non mi preoccupavo che di quello. Gesù non sa nulla. Ossia credo che Egli pure sospetti di me. Ma saprò tacere senza esigere una sua lode. E tacete anche voi. Un giorno, ai primi tempi che ero con Lui — e tu, Simone Zelote, e tu, Giovanni di Zebedeo, eravate con me — Egli mi rimproverò perché mi ero vantato di avere il senso pratico. Da allora io… non gliel’ho mai fatta risaltare questa qualità, ma l’ho continuata ad usare, per suo bene. Ho fatto come una madre per il suo bambino inesperto. Ella gli leva gli ostacoli dal cammino, gli curva il ramo senza spine e alza quello che può ferire, o con atti avveduti lo porta a fare ciò che deve saper fare e a schivare ciò che è male senza che neppure il figlio se ne avveda. Anzi, il figlio crede di esserci arrivato da sé a camminare senza inciampare, a cogliere il bel fiore per la mamma, a fare questo e quello spontaneamente. Io ho fatto uguale col Maestro. Perché la santità non basta in un mondo di uomini e di satana. Bisogna anche combattere con armi pari, almeno da uomini… e qualche volta… anche un pizzico di furbizia d’inferno non è male mettercela fra le altre armi. È la mia idea. Ma Lui non la vuole sentire… È troppo buono… Bene. Io capisco tutto e tutti, e scuso tutti dei mali pensieri che potete aver avuto su di me. Ora sapete. Ora ci amiamo da buoni compagni, tutto per suo amore e a sua gloria», e accenna a Gesù che passeggia molto più lontano in un viale pieno di sole parlando con Lazzaro, che lo ascolta con un sorriso d’estasi sul viso.

   550.3Gli apostoli si allontanano verso la casa di Simone. Gesù si avvicina invece con l’amico. Li ascolto.
   Dice Lazzaro: «Sì. Lo avevo capito che c’era un grande scopo, e certo di bontà, nel lasciarmi morire. Pensavo che fosse per risparmiarmi la vista della persecuzione che ti fanno. E, Tu sai se dico il vero, ero contento di morire per non vederla. Mi inasprisce. Mi turba. Vedi, Maestro. Io ho perdonato tante cose a quelli che sono i capi del nostro popolo. Ho dovuto perdonare sino agli ultimi giorni… Elchia… Ma la morte e la risurrezione hanno annullato ciò che era prima di esse. A che ricordare le loro ultime azioni per darmi dolore? Io ho perdonato tutto a Maria. Ella sembra dubitarne. Anzi, non so perché, da quando sono risorto ha preso con me un atteggiamento così… non so come definirlo. È di una dolcezza e di una sommissione così strana nella mia Maria… Neppure nei primi momenti in cui tornò qui, redenta da Te, era così… Anzi, forse Tu sai e me ne puoi dire qualcosa, perché Maria tutto ti dice… Sai se quelli che sono qui venuti l’hanno forse rimproverata troppo. Io ho sempre cercato di sminuire il ricordo del suo fallo, quando la vedevo assorta nel pensiero del passato, per medicare il suo soffrire. Non se ne sa dare pace. Sembra così… al di sopra di ciò che potrebbe essere avvilimento. A certuni potrà parere anche poco pentita… Ma io comprendo… Io so. Tutto fa per espiare. Io credo che faccia grandi penitenze, di ogni specie. Non mi stupirei che sotto le vesti avesse il cilicio e che le sue carni conoscessero il morso dei flagelli… Ma l’amore fraterno che ho io, e che la vuole sorreggere facendo velo fra il passato e il presente, non ce l’hanno gli altri… Sai se, forse, ella fu maltrattata da chi non sa perdonare… ed è così bisognevole di perdono?».
   «Non so, Lazzaro. Maria non me ne ha parlato. Mi ha detto solo di aver molto sofferto sentendo l’insinuazione dei farisei che Io non ero il Messia perché non ti guarivo o non ti risuscitavo».
   «E… non ti ha detto nulla di me? Sai… Avevo tanto male… Ricordo che mia madre nelle ultime ore svelò cose che erano passate inosservate a Marta e a me. Fu come se il fondo della sua anima e del suo passato rigalleggiassero negli ultimi sommovimenti del cuore. Io non vorrei… Ha tanto sofferto il mio cuore per Maria… e ha fatto tanto sforzo per non darle mai la sensazione di ciò che per lei ho sofferto… Non vorrei averla colpita ora che è buona mentre, per amore di fratello prima, per tuo amore poi, non l’ho mai colpita nel tempo infame, quando era un obbrobrio. Che ti ha detto di me, Maestro?».
   «Il suo dolore di avere avuto troppo poco tempo per darti il suo santo amore di sorella e condiscepola. Nella tua perdita ha misurato tutta l’estensione dei tesori di affetto che ella aveva calpestato un tempo… ed ora è felice di poterti dare tutto l’amore che ella vuole darti, per dirti che tu per lei sei il santo, amato fratello».
   «Ah! ecco! Lo avevo intuito! Di questo ne godo. Ma temevo di averla offesa… Da ieri penso, penso… mi sforzo a ricordare… ma non ci riesco…».
   «Ma perché vuoi ricordare? Hai davanti il futuro. Il passato è rimasto nella tomba. Anzi, neppure è rimasto là. È stato bruciato insieme alle funebri bende. Ma se ti deve dar pace, ti dico le ultime parole che tu avesti per le sorelle. Per Maria in specie. Hai detto che per Maria Io sono venuto qui e ci vengo, perché Maria sa amare più di tutti. È vero. Le hai detto che ella ti ha amato più di tutti quelli che ti hanno amato. Anche questo è vero, perché ella ti ha amato rinnovandosi per amore di Dio e tuo. Le hai detto, giustamente, che tutta una vita di delizie non ti avrebbe dato la gioia che hai goduto per merito di lei. E le hai benedette, come un patriarca benediceva le sue più amate creature. Hai benedetto ugualmente Marta, che dicevi tua pace, e Maria, che dicevi tua gioia. Sei in pace, ora?».
   «Ora sì, Maestro. Sono in pace».
   «E allora, poiché la pace dà misericordia, perdona anche ai capi del popolo che mi perseguitano. Poiché questo volevi dire: che tu tutto puoi perdonare, ma non il male che fanno a Me».
   «Così, Maestro».
   «No, Lazzaro. Io li perdono. Tu li devi perdonare se vuoi essere simile a Me».
   «Oh! Simile a Te! Non posso. Sono un semplice uomo!».

   550.4
   «L’uomo è rimasto là sotto. L’uomo! Il tuo spirito…Tu sai che cosa avviene alla morte dell’uomo…».
   «No, Signore. Non ricordo nulla[114] di ciò che m’avvenne», interrompe veemente Lazzaro.
   Gesù sorride e risponde: «Non parlavo del tuo personale sapere, della tua particolare esperienza. Parlavo di ciò che ogni credente sa che gli avviene quando muore».
   «Ah! Il giudizio particolare. So. Credo. L’anima si presenta a Dio, e Dio la giudica».
   «È così. E il giudizio di Dio è giusto e inviolabile. Ed ha un infinito valore. Se l’anima giudicata è colpevole mortalmente, diviene anima dannata. Se essa è lievemente colpevole, è mandata al Purgatorio. Se essa è giusta, va nella pace del Limbo in attesa che Io apra le porte dei Cieli. Dunque, Io ti ho richiamato lo spirito dopo che esso era già giudicato da Dio. Se tu fossi stato un dannato, non ti avrei potuto richiamare alla vita, perché facendolo avrei annullato il giudizio del Padre mio. Per i dannati non ci sono mutazioni più. Sono giudicati in eterno. Dunque tu eri del numero di quelli che dannati non erano. Perciò, o della classe dei beati, o di quella che saranno beati dopo la purificazione. Ma rifletti, amico mio. Se la sincera volontà di pentimento che può avere l’uomo essendo ancora uomo, ossia carne e anima, ha valore di purificazione; se un simbolico rito di battesimo nelle acque, voluto per spirito di contrizione, dalle sozzure contratte nel mondo e per la carne, ha per noi ebrei valore di purificazione; che valore avrà il pentimento, più reale e perfetto, molto più perfetto, di un’anima liberata dalla carne, conscia di ciò che è Dio, illuminata sulla gravità dei suoi errori, illuminata sulla vastità della gioia che si è allontanata per ore, per anni, o per secoli: la gioia della pace limbale, che presto sarà la gioia del raggiunto possesso di Dio; che sarà la purificazione duplice, triplice, del pentimento perfetto, dell’amore perfetto, del bagno nell’ardore delle fiamme accese dall’amore di Dio e dall’amore degli spiriti, nel quale e dal quale gli spiriti si spogliano da ogni impurità ed emergono belli come serafini, coronati da ciò che non corona neppure i serafini: il loro martirio terreno e ultraterreno contro i vizi e per l’amore? Che sarà? Dillo, dunque, amico mio».
   «Ma… non so… una perfezione. Meglio… una ricreazione».
   «Ecco. Hai detto la giusta parola. L’anima ne viene come ricreata. L’anima diviene simile a quella di un infante. È nuova. Tutto il passato non è più. Il suo passato d’uomo. Quando cadrà la colpa d’origine, l’anima, senza più macchia e ombra di macchie, sarà supercreata e sarà degna del Paradiso. Io ho richiamato la tua anima che già si era ricreata per la volontà al Bene, per l’espiazione della sofferenza e della morte, e per il tuo perfetto pentimento e perfetto amore raggiunti oltre la morte. Tu hai dunque l’anima tutt’affatto innocente di un pargolo nato da poche ore. E se sei un fanciullino neonato, perché vuoi indossare su questa fanciullezza spirituale le grevi, pesanti vesti dell’uomo adulto? I fanciulli hanno ali e non catene al loro spirito ilare. Essi mi imitano con facilità, perché non hanno ancora preso nessuna personalità. Si fanno come Io sono, perché sulla loro anima vergine di impronte si può imprimere senza confusione di linee la mia figura e la mia dottrina. Hanno l’anima priva di umani ricordi, di risentimenti, di preconcetti. Non c’è nulla. E ci posso essere Io, perfetto, assoluto come sono in Cielo. Tu, che sei come rinato, un nato novellamente, perché nella tua vecchia carne il potere motore è nuovo, senza passato, mondo, senza tracce di ciò che fu, tu che sei tornato per servirmi, solo per questo, devi essere come Io sono, più di tutti. Guardami. Guardami bene. Specchiati in Me, e in te riflettimi. Due specchi che si guardano per riflettere uno nell’altro la figura di ciò che amano. Tu sei uomo e sei bambino. Sei uomo per età, sei bambino per mondezza di cuore. Hai sui bambini il vantaggio di conoscere già il Bene e il Male, e di aver già saputo scegliere il Bene anche prima del battesimo nelle fiamme dell’a­mo­re. Ebbene, Io ti dico, a te, uomo dallo spirito mondo dalla purificazione avuta: “Sii perfetto come lo è il Padre nostro dei Cieli e come Io lo sono. Sii perfetto, ossia sii simile a Me, che ti ho amato tanto da andare contro a tutte le leggi della vita e della morte, del Cielo e della Terra, per riavere sulla Terra un servo di Dio e un vero amico mio, e in Cielo un beato, un grande beato”. Lo dico a tutti: “Siate perfetti”. Ed essi, i più, non hanno il cuore che tu avevi, degno del miracolo, degno di essere preso per strumento ad una glorificazione di Dio nel suo Figliuolo. Ed essi non hanno il tuo debito d’amore verso Dio… Lo posso dire, lo posso esigere da te. E per prima cosa lo esigo nel non avere rancore per chi ti ha offeso e mi offende. Perdona, perdona, Lazzaro. Sei stato immerso nelle fiamme accese dall’amore. Devi essere “amore” per non conoscere mai più altro che l’amplesso di Dio».
   «E così facendo compirò la missione per la quale Tu mi hai risuscitato?».
   «Così facendo la compirai».
   «Basta così, Signore. Non ho bisogno di chiedere e di sapere di più. Servirti era il mio sogno. Se ti ho servito anche nel nulla che può fare il malato e il morto, e se potrò servirti nel molto che può fare il risanato, il mio sogno è compiuto e non chiedo di più. Che Tu sia benedetto, Gesù, Signore e Maestro mio! E con Te benedetto Colui che ti ha mandato».
   «Benedetto sempre il Signore Iddio onnipotente».

   550.5Vanno verso la casa, fermandosi ogni tanto ad osservare il risveglio degli alberi, e Gesù alza un braccio e coglie, alto come è, un ciuffettino di fiori da un mandorlo che si scalda al sole contro il muro meridionale della casa.
   Esce Maria, che li vede e si avvicina a sentire ciò che Gesù dice: «Vedi, Lazzaro? Anche a questi il Signore ha detto: “Venite fuori”. Ed essi hanno ubbidito per servire il Signore».
   «Che mistero la germinazione! Pare impossibile che dal tronco duro o dal duro seme possano uscire petali così fragili e steli così teneri e mutarsi in frutta o piante. È sbagliato, Maestro, dire che la linfa o il germe è come l’anima della pianta o del seme?».
   «Non è sbagliato, poiché è la parte vitale. In essi non eterna, creata per ogni specie nel primo giorno che piante e biade furono. Nell’uomo eterna, somigliante al suo Creatore, creata di volta in volta per ogni novello uomo che è concepito. Ma è per essa che la materia vive. È per questo che Io dico che solo per l’anima l’uomo vive. Non soltanto qui vive. Ma oltre. Vive per la sua anima. Noi ebrei non facciamo disegni sui sepolcri come li fanno i gentili. Ma, se li facessimo, dovremmo sempre disegnare non la face spenta, la clessidra vuota o altro simbolo di fine, sibbene il seme gettato nel solco che fiorisce in spiga. Perché è la morte della carne che libera l’anima dalla scorza e la fa fruttificare nelle aiuole di Dio. Il seme. La scintilla vitale che Dio ha messo nella nostra polvere e che diviene spiga se noi sappiamo con la volontà, e anche col dolore, far fertile la zolla che la serra. Il seme. Il simbolo della vita che si perpetua… Ma Massimino ti chiama…».
   «Vado, Maestro. Saranno venuti degli intendenti. Tutto era fermo in questi ultimi mesi. Ora essi si affrettano a rendermi i conti…».
   «Che tu approvi in anticipo, perché sei un buon padrone».
   «E perché essi sono dei buoni servi».
   «Il buon padrone fa i buoni servi».
   «Allora certo io diventerò un buon servo, perché ho Te per perfetto Padrone», e se ne va sorridendo, agile, così diverso dal povero Lazzaro che era da anni.

   550.6Maria resta con Gesù.
   «E tu, Maria, diventerai una buona serva del tuo Signore?».
   «Tu lo puoi sapere, Rabboni. Io… io so soltanto di essere stata una grande peccatrice».
   Gesù sorride: «Hai visto Lazzaro? Egli pure era un grande malato, eppure non ti sembra che ora sia ben sano?».
   «Così è, Rabboni. Tu lo hai guarito. Ciò che Tu fai è sempre totale. Lazzaro non è mai stato così forte e allegro come da quando è uscito dal sepolcro».
   «Tu lo hai detto, Maria. Ciò che Io faccio è sempre totale. Perciò anche la tua redenzione è totale perché Io l’ho compiu­ta».
   «È vero, mio amato Salvatore, Redentore, Re, Dio. È vero. E se Tu lo vorrai, sarò io pure una buona serva del mio Signore. Io per la mia parte lo voglio, Signore. Non so se Tu lo vuoi».
   «Lo voglio, Maria. Una mia buona serva. Oggi più di ieri. Domani più di oggi. Sino a che Io ti dirò: “Basta, Maria. È l’ora del tuo riposo”».
   «È detto, Signore. Io vorrei che Tu mi chiamassi, allora. Come hai chiamato mio fratello fuor dal sepolcro. Oh! chiamami Tu fuori dalla vita!».
   «No, fuori dalla vita no. Ti chiamerò alla Vita, alla vera Vita. Ti chiamerò fuori dal sepolcro che è la carne e la terra. Ti chiamerò alle nozze della tua anima col tuo Signore».
   «Le mie nozze! Tu ami i vergini, Signore…».
   «Io amo quelli che mi amano, Maria».
   «Tu sei divinamente buono, Rabboni! Per questo non sapevo darmi pace di sentirti dire cattivo perché non venivi. Era come se tutto crollasse. Che fatica dire a me stessa: “No. No! Non devi accettare questa evidenza. Questa che ti pare evidenza è un sogno. La realtà è la potenza, la bontà, la divinità del tuo Signore”. Ah! quanto ho sofferto! Tanto il dolore per la morte di Lazzaro e per le sue parole… Te ne ha detto nulla? Non ricorda? Dimmi il vero…».
   «Non mento mai, Maria. Egli teme di aver parlato e di aver detto ciò che era stato il dolore della sua vita. Ma Io l’ho rassicurato, senza mentire, ed egli ora è tranquillo».
   «Grazie, Signore. Quelle parole… mi hanno fatto bene. Sì. Come fa bene la cura di un medico che mette a nudo le radici di un male e le brucia. Esse hanno finito di distruggere la vecchia Maria. Avevo ancora un troppo alto concetto di me. Ora… misuro il fondo della mia abbiezione e so che devo fare molta strada per risalirlo. Ma la farò, se Tu mi aiuti».

   550.7
   «Ti aiuterò, Maria. 7Anche quando me ne sarò andato, ti aiuterò».
   «Come, mio Signore?».
   «Aumentando il tuo amore a misura incalcolabile. Per te non c’è altra via che questa».
   «Troppo dolce per quello che ho da espiare! Tutti si salvano con l’amore. Tutti acquistano il Cielo. Ma ciò che è sufficiente per i puri, i giusti, non è sufficiente per la grande colpevole».
   «Non c’è altra via per te, Maria. Perché, quale che sia la via che prenderai, essa sarà sempre amore. Amore se benefichi in mio Nome. Amore se evangelizzi. Amore se ti isoli. Amore se ti martirizzi. Amore se ti farai martirizzare. Tu non sai che amare, Maria. È la tua natura. Le fiamme non possono che ardere. Sia che striscino al suolo bruciando dello strame, sia che salgano come un abbraccio di splendori intorno ad un tronco, ad una casa, o ad un altare per lanciarsi al cielo. A ognuno la sua natura. La sapienza dei maestri di spirito sta nel saper sfruttare le tendenze dell’uomo indirizzandole alla via per la quale possono svilupparsi in bene. Anche nelle piante e negli animali è questa legge, e sarebbe stolto voler pretendere che una pianta da frutto desse soltanto fiori, o desse frutti diversi da ciò che la sua natura comporta, o un animale compisse funzioni che sono proprie di un’altra specie. Potresti tu pretendere che quell’ape destinata a fare del miele divenisse uccellino che canta fra le fronde delle siepi? O che questo rametto di mandorlo che ho fra le mani, insieme a tutto il mandorlo dal quale l’ho colto, in luogo di mandorle colasse dalla scorza resine odorifere? L’ape lavora, l’uccello canta, il mandorlo dà frutto, la pianta da resine dà aromi. E tutti servono per il loro ufficio. Così le anime. Tu hai l’ufficio di amare».
   «Allora ardimi, Signore. Te lo chiedo in grazia».
   «Non ti basta la forza d’amore che possiedi?».
   «È troppo poca, Signore. Poteva servire per amare degli uomini. Non per Te che sei il Signore infinito».
   «Ma, appunto perché sono tale, sarebbe allora necessario un amore senza limiti…».
   «Sì, mio Signore. Questo voglio. Che Tu metta in me un amore senza limiti».
   «Maria, l’Altissimo, che sa cosa è l’amore, ha detto all’uomo: “Mi amerai con tutte le tue forze”. Non esige di più. Perché sa che è già martirio amare con tutte le forze…».
   «Non importa, mio Signore. Dammi un amore infinito per amarti come vai amato, per amarti come non ho amato nessuno».
   «Mi chiedi una sofferenza simile ad un rogo che brucia e consuma, Maria. Brucia e consuma lentamente… Pensaci».
   «È tanto che lo penso, mio Signore. Ma non osavo chiedertelo. Ora so quanto mi ami. Proprio ora lo so in che misura mi ami, e oso chiedertelo. Dammi questo amore infinito, Signore».
   Gesù la guarda. Ella gli è davanti, ancora smagrita dalle veglie e dal dolore, dimessa e semplice nella veste e nell’acconciatura dei capelli, come una fanciulla senza malizie, col viso pallido che si accende dal desiderio, gli occhi supplici eppure già brillanti di amore, già più serafino che donna. È veramente la contemplatrice che chiede il martirio della contemplazione assoluta.
   Gesù dice una sola parola, dopo averla ben guardata quasi per misurarne la volontà: «Sì».
   «Ah! mio Signore! Che grazia morire d’amore per Te!», cade in ginocchio baciando i piedi di Gesù.
   «Alzati, Maria. Tieni questi fiori. Saranno quelli delle tue nozze spirituali. Sii dolce come il frutto del mandorlo, pura come il suo fiore e luminosa come l’olio, che da questi frutti si estrae, quando viene acceso, e profumata come quest’olio quando, saturo di essenze, lo si sparge nei conviti o sulle teste dei re, profumata dalle tue virtù. Allora veramente tu spargerai sul tuo Signore il balsamo che Egli gradirà infinitamente».
   Maria prende i fiori, ma non si alza da terra, e anticipa i balsami dell’amore coi suoi baci e le sue lacrime sparse sui piedi del suo Maestro.

   550.8Li raggiunge Lazzaro: «Maestro, c’è un fanciullino che ti vuole. Era andato nella casa di Simone a cercarti e ha trovato là soltanto Giovanni, che lo ha condotto qui. Ma non vuole parlare altro che con Te».
   «Va bene. Accompagnamelo. Io andrò sotto la pergola dei gelsomini».
   Maria rientra in casa con Lazzaro. Gesù va sotto la pergola.
   Torna Lazzaro avente per mano quel bambino che ho visto[115] in casa di Giuseppe di Sefori. Gesù lo riconosce subito e lo saluta: «Tu, Marziale? La pace sia con te. Come qui?».
   «Mi mandano a dirti una cosa…», e guarda Lazzaro che capisce e fa per andar via.
   «Resta, Lazzaro. Questo è Lazzaro, amico mio. Puoi parlare davanti a lui, fanciullo, perché Io non ho altro amico più fedele di lui».
   Il fanciullo si rassicura. Dice: «Mi manda Giuseppe l’Anziano, perché ora io sto con lui, a dirti di andare subito, subito a Betfage presso la casa di Cleante. Ti deve parlare subito. Ma proprio subito. E ha detto di venire da solo. Perché ti deve parlare con gran segreto».
   «Maestro! Che avviene?», chiede Lazzaro impressionato.
   «Non so, Lazzaro. Non ci resta che andare. Vieni con Me».
   «Subito, Signore. Possiamo andare col fanciullo».
   «No, signore. Io vado via da solo. Giuseppe me lo ha raccomandato. Ha detto: “Se sai fare da solo e bene, ti amerò come un padre”, e io voglio essere amato come figlio da Giuseppe. Io vado via subito, e corro. Tu vieni dopo. Salve, Signore. Salve, uomo».
   «La pace a te, Marziale».
   Il bimbo frulla via come una rondine.
   «Andiamo, Lazzaro. Portami il mantello. Io vado avanti perché, come vedi, il fanciullino non riesce ad aprire il cancello e certo non vuol chiamare nessuno».
   Gesù va svelto al cancello, Lazzaro svelto in casa. Il primo apre le ferree chiusure al fanciullino, che va via veloce. Il secondo porta il mantello a Gesù e, al fianco di Gesù, cammina sulla via verso Betfage.

   550.9«Che mai vorrà Giuseppe? Per mandare con tanto segreto un fanciullo…».
   «Un fanciullo sfugge a chi può sorvegliare», risponde Gesù.
   «Tu credi che… Sospetti che… Ti senti in pericolo, Signo­re?».
   «Ne sono certo, amico».
   «Come? Anche ora? Ma prova più grande non potevi averla data!…».
   «L’odio cresce sotto il pungolo delle realtà».
   «Oh! Per mia causa, allora! Io ti ho nuociuto!… La mia pena è senza pari!», dice Lazzaro veramente addolorato.
   «Non per causa tua. Non darti pene senza motivo. Tu sei stato il mezzo, ma la causa è stata la necessità, comprendi, la necessità di dare al mondo la prova della mia natura divina. Se non eri tu, un altro sarebbe stato, perché Io dovevo provare al mondo che, da Dio quale sono, posso tutto ciò che voglio. E rendere in vita uno morto da giorni e già corrotto non può essere opera che di Dio».
   «Ah! Tu mi vuoi consolare. Ma per me la gioia, tutta la mia gioia è dileguata… Io soffro, Signore».
   Gesù fa un gesto come dire: «Mah!», e tacciono poi entrambi.
   Vanno lesti. La distanza è breve fra Betania e Betfage, e presto vi giungono.

   550.10Giuseppe passeggia avanti e indietro per la via all’inizio del paese. Ha le spalle voltate quando Gesù e Lazzaro sbucano da un viottolo nascosto da una siepe. Lazzaro lo chiama.
   «Oh! La pace a voi. Vieni, Maestro. Ti ho atteso qui per vederti subito, ma andiamo nell’uliveto. Non voglio che ci vedano…».
   Li conduce dietro le case in un folto d’ulivi, che con le loro fronde folte e scapigliate che velano le pendici è un comodo rifugio per parlare senza essere notati.
   «Maestro. Ho mandato il fanciullo, che è sveglio e ubbidiente e mi ama molto, perché dovevo parlarti e non dovevo essere visto. Ho fatto il Cedron per venire qui… Maestro, Tu devi andartene, subito, di qui. Il Sinedrio ha decretato la tua cattura e domani nelle sinagoghe sarà letto il bando. Chiunque sa dove Tu sei, ha il dovere di denunciarlo. Non occorre che ti dica, o Lazzaro, che la tua casa sarà la prima ad essere sorvegliata. Io sono uscito a sesta dal Tempio e ho subito fatto; perché, mentre essi parlavano, avevo già fatto il mio piano. Sono andato a casa, ho preso il fanciullo. Sono uscito a cavallo dalla porta di Erode come per lasciare la città. Poi ho traversato il Cedron e l’ho seguito. Ho lasciato l’asino al Getsemani, ho mandato di corsa il fanciullo, che già sapeva la via per essere venuto con me a Betania. Va’ via subito, Maestro. In luogo sicuro. Sai dove andare? Hai dove andare?».
   «Ma non basta che si allontani di qui? Dalla Giudea al massimo?».
   «Non basta, Lazzaro. Essi sono furenti. Bisogna che vada dove essi non vanno…».
   «Ma vanno da per tutto, loro! Non vorrai già che il Maestro lasci la Palestina!…», dice Lazzaro agitato.
   «Mah! Che ti devo dire?! Il Sinedrio lo vuole…».
   «Per causa mia, non è vero? Dillo!».
   «Uhm! Sssì! Per causa tua… ossia per causa che tutti si convertono a Lui, e loro… non vogliono questo».
   «Ma è un delitto! È un sacrilegio… È…».
   Gesù, pallido ma calmo, alza la mano imponendo silenzio e dice: «Taci, Lazzaro. Ognuno fa il suo lavoro. Tutto è scritto. Io ti ringrazio, Giuseppe, e ti assicuro che me ne vado. Va’, va’, Giuseppe. Che non notino la tua assenza… Dio ti benedica. Da Lazzaro ti farò sapere dove sono. Va’. Benedico te, Nicodemo e tutti i giusti di cuore».
   Lo bacia e si separano, tornando Gesù con Lazzaro, per l’uliveto, verso Betania, mentre Giuseppe va verso la città.

   550.11«Che farai, Maestro?», chiede angosciato Lazzaro.
   «Non so. A giorni vengono le discepole con mia Madre. Avrei voluto attenderle…».
   «Per questo… io le accoglierei in tuo nome e te le potrei condurre. Ma Tu intanto dove vai? In casa di Salomon non mi pare… E neppure in case di discepoli noti. Domani!… Devi andare via subito!».
   «Io avrei il posto. Ma vorrei attendere mia Madre. La sua angoscia avrebbe inizio troppo presto se non mi trovasse…».
   «Dove andresti, Maestro?».
   «A Efraim».
   «In Samaria?».
   «In Samaria. I samaritani sono meno samaritani di molti altri e mi amano. Efraim è di confine…».
   «Oh! e per fare dispetto ai giudei ti faranno onore e difesa. Ma… attendi! Tua Madre non può che venire per la via di Samaria o per quella del Giordano. Andrò io coi servi da una e Massimino con altri servi dall’altra, e l’uno o l’altro la troverà. Non torneremo che con loro. Tu sai che nessuno della casa di Lazzaro può tradire. Tu andrai intanto a Efraim. Subito. Ah! era destino che non potessi godere di Te! Ma verrò. Per i monti di Adomin. Sono sano ora. Posso fare ciò che voglio. Anzi! Sì. Farò credere che per la via di Samaria vado a Tolemaide per prendere naviglio per Antiochia. Tutti sanno che là ho terre… Le sorelle resteranno a Betania… Tu… Sì. Ora farò preparare due carri e andrete a Gerico con essi. Poi, all’alba di domani, riprenderete a piedi il cammino. Oh! Maestro! Mio Maestro! Salvati! Salvati!». Dopo l’eccitazione del primo momento, Laz­zaro cade in tristezza e piange.
   Gesù sospira, ma non dice nulla. Che deve dire?…

   550.12Eccoli alla casa di Simone. Si separano. Gesù entra nella casa. Gli apostoli, già stupiti che il Maestro sia andato senza dir nulla, si stringono a Lui che dice: «Prendete le vesti. Fate le sacche. Dobbiamo subito partire di qui. Fate presto. E raggiungetemi in casa di Lazzaro».
   «Anche le vesti bagnate? Non possiamo riprenderle tornando?», chiede Tommaso.
   «Non torneremo. Prendete tutto».
   Gli apostoli se ne vanno parlandosi con gli sguardi.
   Gesù va a prendere le sue cose nella casa di Lazzaro e saluta le sorelle costernate…
   I carri sono presto pronti. Carri pesanti, coperti, tirati da robusti cavalli. Gesù si accomiata da Lazzaro, da Massimino, dai servi che sono accorsi. Montano sui carri che attendono ad una uscita posteriore. I conducenti frustano le bestie, e il viaggio ha inizio per la stessa via per la quale Gesù è venuto a risuscitare Lazzaro solo pochi giorni avanti.

[114] Non ricordo nulla, come in 548.15, 562.5, 585.2, 587.5 e, per il risuscitato di Naim, in 300.4. Un altro caso in 632.47.
[115] ho visto, in 508.4/5.