MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME VIII CAPITOLO 511



DXI. In casa di Giovanni di Nobe, ancora una lode alla Corredentrice. Menzogne di Giuda Iscariota.

   11 ottobre 1946.

   511.1Gesù è a Nobe, e vi deve essere da poco perché sta organizzandosi e dividendo in tre gruppi di quattro persone i suoi dodici per suddividerli nelle case. Con Sé tiene Pietro, Giovanni, Giuda Iscariota e Simone Zelote, mentre Giacomo di Zebedeo è a capo del gruppo composto di Matteo, Giuda d’Alfeo e Filippo, e al terzo è preposto Bartolomeo come capo e a lui soggetti sono Giacomo d’Alfeo, Andrea e Tommaso.
   «Andrete, dove hanno offerto di accogliervi, dopo la cena, e tornerete qui al mattino, e vi dirò ciò che dovete fare. Nelle ore dei pasti staremo insieme. Ricordatevi ciò che vi ho detto molte volte: che dovete predicare la mia Dottrina anche col modo di vivere e convivere fra voi e con chi vi accoglie. Siate dunque sobri, pazienti, onesti nel dire, nel fare, nel guardare, di modo che giustizia emani da voi come un profumo. Voi vedete come gli occhi del mondo sono sempre su noi, per calunniarci o per studiarci, e anche per venerazione. Ma questi sono i meno fra i molti occhi che ci osservano. Eppure di questi pochi dobbiamo avere somma cura, perché sulla loro fede si appunta lo studio del mondo per sgretolarla, e tutto gli serve per arma a distruggere l’amore dei buoni per Me, e per voi di conseguenza. Non aiutate perciò il mondo con un modo di vita non santo, e non appesantite la fatica di quelli che devono difendere la loro fede dalle insidie dei miei avversari coll’essere per loro oggetto di scandalo. Lo scandalo rende perplesse le anime, le allontana, le indebolisce. Guai all’apostolo che è scandalo alle anime. Pecca contro il suo Maestro e contro il suo prossimo, contro Dio e contro il gregge di Dio. Mi fido di voi. Non fate che al mio dolore, che è tanto, si unisca altro dolore che da voi mi venga».
   «Non temere, Maestro. Da noi non ti verrà dolore, a meno che Satana ci travii tutti», dice Bartolomeo.

   511.2Entra Anastasica, che è nella cucina con Elisa, e dice: «La cena è pronta, Maestro. Scendi mentre è calda. Ti ristorerai».
   «Andiamo». E Gesù si alza seguendo la donna giù per la scaletta che dalla stanza alta, dove sono preparati già dei giacigli, scende nell’orticello. E da questo entra nella cucina rallegrata da un vivo fuoco.
   Vi è il vecchio Giovanni presso il fuoco ed Elisa che sfaccenda intorno alle vivande e che si volge con un sorriso materno a guardare Gesù che entra, e si affretta a rovesciare in un capace vassoio il grano od orzo cotto nel latte, che già ho visto fare[28] da Maria di Alfeo a Nazaret avanti la partenza di Giovanni e Sintica. «Ecco. Mi sono sempre ricordata che Maria Cleofe mi ha detto che ti piace. E avevo serbato il miele più bello per farlo anche per Marziam… Mi spiace che il fanciullo non sia venuto…».
   «Niche lo ha trattenuto con Isacco, posto che domani all’aurora partono, ed ella approfitta del carro sino a Gerico per compiere la missione che sai…».
   «Quale missione, Maestro?», chiede interessato l’Iscariota.
   «Una missione molto donnesca. Allevare un infante. Sol che l’infante non abbisogna di latte, ma di fede, perché è infante nello spirito. Ma la donna è sempre madre e sa fare queste cose. E quando essa ha compreso!… Vale l’uomo. E con in più la forza della sua dolcezza materna».
   «Come sei buono con noi, Maestro!», dice Elisa carezzandolo con lo sguardo.
   «Sono veritiero, Elisa.

   511.3Noi d’Israele, e non noi soltanto, siamo abituati a vedere e a pensare nella donna un essere inferiore. No. Se è soggetta all’uomo, come è giustizia, se è più colpita dal castigo per il peccato di Eva, se la sua missione è destinata a svolgersi fra i veli e le penombre, senza atti e gridi vistosi, se tutto in lei avviene come soffocato da un velario, non è per questo meno forte e capace degli uomini. Anche senza ricordare le grandi donne di Israele, Io vi dico che molta forza è nel cuore della donna. Nel cuore. Come a noi maschi nella mente. E vi dico che sta per cambiare la posizione della donna rispetto alle consuetudini come rispetto a tante altre cose. E giusto sarà, perché come Io per gli uomini tutti, così una Donna per le donne in special modo otterrà grazia e redenzione[29]».
   «Una donna? E come vuoi che redima una donna?», ride Giuda di Keriot.
   «In verità ti dico che Essa sta già redimendo. Sai tu cosa è redimere?».
   «Certo che lo so! È levare dal peccato».
   «Sì. Ma levare dal peccato non servirebbe molto, perché l’Avversario è eterno e tornerebbe ad insidiare. Ma dal Giardino terrestre una voce è venuta, la Voce di Dio, dicendo: “Io porrò inimicizia fra te e la Donna… Ella ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno”. Non più che un’insidia, perché la Donna avrà, ha in sé, ciò che vince l’Avversario. E redime perciò da quando è. Redenzione in atto, sebben celata. Ma presto uscirà al cospetto del mondo, e le donne si fortificheranno in Lei».
   «Che Tu redima… sta bene. Ma una donna che possa… Non lo accetto, Maestro».
   «Non ricordi Tobia? Il suo cantico[30]?».
   «Sì. Ma di Gerusalemme parla».
   «Ha forse più Gerusalemme un Tabernacolo in cui sia Dio? Può Dio presenziare dalla sua gloria ai peccati che si consumano entro le mura del Tempio? Un altro Tabernacolo era necessario, e che santo fosse, e fosse stella che riconduce all’Altissimo gli erranti. E questo si ha nella Corredentrice che nei secoli dei secoli gioirà di essere la Madre dei redenti. “Tu brillerai di luce splendida. Tutti i popoli della Terra si prostreranno a te. Le nazioni verranno a te da lontano portando doni e adoreranno in te il Signore… Invocheranno il tuo gran nome… Quelli che non ti ascolteranno saran fra i maledetti, e benedetti quelli che si stringeranno a te… Sarai felice nei tuoi figli, perché essi saranno i benedetti riuniti presso al Signore”. Il vero cantico della Corredentrice. E già si canta in Cielo dagli angeli che vedono… La Gerusalemme nuova e celeste ha inizio in Lei. Oh! sì, ciò è verità. E il mondo la ignora. E la ignorano gli oscurati rabbi d’Israele…». Gesù si immerge nei suoi pensieri…

   511.4«Ma di chi parla?», chiede l’Iscariota a Filippo che ha vicino.
   Prima che questo risponda, Elisa, che sta mettendo sulla tavola del formaggio e delle ulive nere, dice piuttosto duramente: «Di sua Madre parla. Non lo comprendi?».
   «Ma non ho mai saputo che Essa sia nominata dai profeti come martire… Si parla del solo Redentore e…».
   «E tu credi che ci sia solo la tortura della carne? E non sai che è nulla cosa questa, per una madre, rispetto a quella di veder morire un figlio? La tua mente — non parlo del tuo cuore, non so che palpito abbia — la tua mente, della quale ti vanti, non ti dice che dieci e dieci volte una madre si sottometterebbe alla tortura e alla morte pur di non sentire un gemito del figlio? Uomo, tu sei uomo e conosci il sapere. Io non so che esser donna e madre. Ma ti dico che tu sei più ignorante di me, perché non conosci neppure il cuor di tua madre…».
   «Oh! Tu mi offendi!».
   «No. Sono vecchia e ti consiglio. Fa’ sagace il tuo cuore e eviterai pianto e castigo. Fa’ ciò, se lo puoi».
   Gli apostoli, specie Giuda d’Alfeo, Giacomo di Zebedeo, Bartolomeo e lo Zelote, si sbirciano sotto sotto e chinano il capo per celare il sorrisetto che spunta loro sulle labbra per la franca parola di Elisa all’apostolo che si crede perfetto. Gesù, sempre assorto, non sente nulla.
   Elisa si volge ad Anastasica e dice: «Vieni. Mentre essi terminano il cibo, andiamo a preparare altri due letti, ché tre soli sono pochi», e fa per uscire.
   «Elisa, non darete certo il vostro!», esclama Pietro. «Non sta. Io e Giovanni possiamo dormire sulle tavole. Ci siamo abituati».
   «No, Simone. Ci sono graticci e stuoie. Ma sono riposti. Ora li montiamo sui cavalletti». Esce con l’altra.
   Gli apostoli, stanchi, sonnecchiano quasi nel tepore della cucina. Gesù pensa col gomito appoggiato sul tavolo e la testa appoggiata alla mano.

   511.5Un busso alla porta. Tommaso, che è il più vicino, si alza per aprire ed esclama: «Tu, Giuseppe?! E con Nicodemo?! Entrate! Entrate!».
   «La pace a Te, Maestro, e a chi è in questa casa. Andiamo a Rama, Maestro; è Nicodemo che mi ha invitato là. Passando abbiamo detto: “Fermiamoci a salutare il Maestro”. Volevamo sapere se… eri stato importunato ancora, visto che sono andati a cercarti da Giuseppe. Già ti hanno cercato in ogni luogo, dopo che Tu hai guarito quel cieco. Non hanno passeggiato oltre le mura, è vero. Non hanno mosso un sedile per non profanare il sabato, e si credono puri perciò. Ma per cercarti, per seguire Bartolmai, oh! ben più del termine hanno fatto!».
   «E come lo hanno saputo se il Maestro non ha fatto nulla sulla via?», chiede Matteo.
   «Già, neppur noi si sapeva se era guarito. Siamo andati alla sinagoga e poi a salutare Niche e Isacco e Marziam che rimanevano da lei. E poi, calato il sole, solleciti siamo venuti qui», dice Pietro.
   «Voi non sapevate. Ma i messi dei farisei hanno saputo. Voi non avete visto. Ma io ho visto. Due di essi erano presenti quando il Maestro toccò gli occhi al cieco. Da ore erano in attesa».
   «Come mai ciò?», chiede Giuda di Keriot con aria innocente.
   «A me lo chiedi?».
   «È strana cosa, perciò la chiedo».
   «Più strana cosa è che sempre, da qualche tempo, dove è il Maestro là siano delle spie».
   «Gli avvoltoi vanno dove è la preda, e i lupi presso al gregge».
   «E i ladroni dove è indicata da un complice una carovana. Hai detto bene».
   «Che vuoi insinuare?».
   «Nulla. Completo il tuo proverbio applicandolo agli uomini. Ché Gesù è uomo, e uomini sono quelli che lo insidiano».

   511.6«Racconta, Giuseppe, racconta…», dicono in molti.
   «Se il Maestro vuole, sono venuto per raccontare».
   «Parla», dice Gesù.
   E Giuseppe narra minuziosamente tutto quanto ha notato, omettendo però il particolare che fu Giuda a dire al cieco del domicilio di Gesù.
   I commenti sono molti, astiosi, dolenti, a seconda dei cuori. E Giuda di Keriot è il più (in apparenza) afflitto e inquieto. Contro tutti, e specie contro il cieco imprudente che è venuto a mettersi sul sentiero di Gesù in giorno di sabato, fidando nella nota bontà del Maestro…
   «O se sei stato tu ad indicarglielo! Ti ero vicino e ho sen­ti­to», dice stupito Filippo.
   «Indicare non vuol dire ordinare di fare».
   «Oh! credo bene, anche, che non ti saresti permesso di ordinare al Maestro di fare…», dice il Taddeo.
   «Io? Ma tutt’altro! L’ho solo indicato per chiedere spiegazione».
   «Sì. Ma indicare è talora anche tentare a fare. E questo tu lo hai fatto», ribatte il Taddeo.
   «Tu lo dici, ma non è vero», asserisce sfrontatamente Giuda.
   «Non è vero? Ne sei proprio sicuro? Sicuro come di vivere, di non avere mai parlato di Gesù al cieco, di non averlo suggestionato a rivolgersi a Gesù, e tanto meno di averlo stuzzicato a farlo subito, prima che Gesù lasciasse la città?», chiede Giuseppe d’Arimatea.
   «Ma certo! E chi mai ha parlato a quell’uomo? Io no certo. Sono sempre con il Maestro giorno e notte e, se non con Lui, coi compagni…».
   «Credevo lo avessi fatto ieri, quando sei andato via con le donne», dice Bartolomeo.
   «Ieri! Ci ho tenuto meno di una rondine in volo ad andare e tornare. Come avrei potuto cercare il cieco, trovarlo e parlargli in così poco tempo?».
   «Potevi averlo incontrato…».
   «Mai visto!».
   «Allora quell’uomo è bugiardo, perché ha asserito che tu glielo avevi detto di venire, e dove, e come fare; e lo avevi garantito che Gesù ti avrebbe ascoltato e…», dice Giuseppe d’Arimatea.
   Giuda lo interrompe, violento: «Basta! Basta! Merita di acciecare di nuovo per tutte le menzogne che dice! Io, lo posso giurare sul Santo, non lo conosco che di vista, e mai gli ho parlato».
   «Basta davvero così. La tua anima è a posto, o Giuda di Keriot, che non temi Dio perché sai sante le tue azioni. Te… felice che non temi di nulla», gli dice Giuseppe guardandolo severo con occhi che trivellano.
   «Non temo, no, perché sono senza peccato».
   «Tutti pecchiamo, Giuda. E ancor poco è se sappiamo pentirci dopo i primi peccati e non crescerli in numero e in nequizia!», dice Nicodemo che non ha mai parlato sino allora.

   511.7E poi si volge al Maestro e dice: «Il penoso è che Giuseppe di Sefori è stato minacciato di espulsione dalla sinagoga se ti accoglie ancora e Bartolmai è stato già cacciato da essa. Vi si era recato col padre e la madre, ma dei farisei lo attendevano alla sua sinagoga e gli hanno negato l’entrata, e hanno gridato su lui l’anatema».
   «Ma questo è troppo! Fino a quando, o Signore…», urlano in molti.
   «Pace! Pace! Nulla è. Bartolmai è sulla via del Regno. Cosa ha dunque perduto? È nella Luce. Non è dunque figlio di Dio più di prima? Oh! non confondete i valori! Pace! Pace! Non andremo più neppure da Giuseppe… Mi spiace che Isacco sa di condurre là la Madre mia e Maria d’Alfeo… Ma sarebbe sempre stato per poche ore, perché c’è già chi ha provveduto». Si rivolge a Giovanni di Nobe: «Padre, hai paura del Sinedrio? Tu vedi che cosa costa ospitare il Figlio dell’uomo… Sei vecchio. Sei un fedele israelita. Potresti esser cacciato dalla sinagoga nei tuoi ultimi sabati. Potresti sopportarlo? Parla con sincerità, e Io, se tu temi, me ne andrò. Una spelonca ci sarà ancora nei monti d’Israele per il Figlio di Dio…».
   «Io, Signore? Ma che vuoi che tema se non Dio? Non temo la bocca del sepolcro, la guardo anzi come cosa amica. E vuoi che tema la bocca degli uomini? Temerei solo il giudizio di Dio se, per tema degli uomini, cacciassi da me Gesù, il Cristo di Dio!».
   «Va bene. Tu sei un giusto… Resterò qui… quando non sarò nelle città vicine, come conto di fare ancora una volta».
   «Vieni a Rama, da me, Signore», dice Nicodemo.
   «E se ciò ti nuoce?».
   «Non ti invitano forse i farisei per malanimo? Non potrei farlo io per studiare il tuo cuore?».
   «Sì, Maestro. Andiamo a Rama. Mio padre ne sarà tanto felice, se è nella casa. E, se non c’è, come sovente avviene, troverà la tua benedizione al suo ritorno», supplica Tommaso.
   «Andremo a Rama per primo luogo. Domani…».

   511.8«Maestro, noi ti lasciamo. Abbiamo fuori le cavalcature e saremo a Rama prima della fine della seconda vigilia. La luna fa bianche le vie come per un pallido sole. Addio, Maestro. La pace sia con Te», dice Nicodemo.
   «La pace a Te, Maestro… e, ascolta un consiglio buono da Giuseppe l’Anziano. Sii un poco astuto. Guardati intorno. Apri gli occhi e serra le labbra. Fa’, e non dire mai avanti ciò che vuoi fare… E non venire a Gerusalemme per qualche tempo e, se ci vieni, non ti fermare al Tempio altro che il tempo necessario a pregare. Mi intendi? Addio, Maestro. La pace a Te». Giuseppe ha molto marcato le parole che sottolineo e, mentre le diceva, fissava intensamente Gesù. Erano un avviso i suoi soli sguardi.
   Escono nell’orticello bianco di luna. Slegano due forti asini legati al tronco del noce, montano in sella e se ne vanno per la strada deserta e bianca…
   Gesù rientra nella cucina coi suoi.
   «Ma che avrà voluto dire, qui in fondo?».
   «E come avranno fatto quelli a sapere?».
   «Che faranno a Giuseppe di Sefori?».
   «Nulla. Parole. Nulla più che parole. Non pensateci più. Cose passate e senza conseguenze. Andiamo. Diciamo la preghiera e separiamoci per la notte. “Padre nostro…”».
   Li benedice, li guarda partire, poi sale coi quattro che ha trattenuto nella stanza dove sono i letti.

[28] ho visto fare, in 314.2.
[29] otterrà grazia e redenzione, non per proprio merito esclusivo, ma perché, come si leggerà più sotto, ha in sé ciò che vince l’Avversario, cioè ha in sé Gesù-Redentore, come un Tabernacolo in cui sia Dio. Il tabernacolo rende bene l’immagine della Madre che contiene il Figlio (“chi entra in Lei trova il Signore” si dirà in 525.7), del quale Lei diventa, questa volta per proprio merito esclusivo, socia a tal punto (specialmente nel dolore, come viene illustrato nelle note al testo di 242.6 e di 612.7 e messo in evidenza in: 23.9 - 346.4 - 436.4/6 - 455.4 - 568.4/5 con nota - 587.7/8 - 603.2 - 610.16 - 642.9 - 649.4.7) da essere chiamata Corredentrice e Madre dei redenti.
[30] cantico, che è in: Tobia 13, la cui parte citata inizia dal versetto 13.