MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

A A A

VOLUME VIII CAPITOLO 513



DXIII. A Emmaus Montana, una parabola sulla vera sapienza e un monito ad Israele.

   14 ottobre 1946.

   513.1La piazza di Emmaus. È piena di gente. Piena stipata. E al centro della piazza Gesù che si muove a stento tanto è circondato, oppresso da chi lo assedia. Gesù fra il figlio del sinagogo e l’altro discepolo e intorno, nell’ipotetica intenzione di proteggerlo, gli apostoli e i discepoli, e fra questi e quelli, facili ad insinuarsi dovunque come lucertolette fra il groviglio di una fitta siepe, bambini e bambini.
   È meravigliosa l’attrattiva che esercitava Gesù sui piccoli! Mai un luogo dove, conosciuto o sconosciuto, non sia subito circondato dai fanciulli, felici di stringersi alle sue vesti, ancor più felici se Egli li sfiora con la mano in una lieve carezza tutta amore, anche se nello stesso tempo dice cose severe agli adulti; felicissimi, poi, se Egli si siede su un sedile, su un muretto, una pietra, un tronco abbattuto, o addirittura sull’erba. Allora, avendolo così alla loro altezza, essi possono abbracciarlo, piegargli la testolina sulla spalla o sui ginocchi, insinuarsi sotto il mantello per trovarsi nel cerchio delle sue braccia come pulcini che hanno trovato la più amorosa e protettrice delle difese. E sempre Gesù li difende dalla prepotenza degli adulti, dal loro imperfetto rispetto per Lui che, mancando di essere tale per tanti più seri motivi, vuole essere zelante coll’allontanare i piccoli dal Maestro…
   Anche ora la solita frase di Gesù risuona a difesa dei suoi piccoli amici: «Lasciateli fare! Oh! non danno noia! Non sono già i bambini quelli che danno noia e pena!».
   Gesù si curva su loro, con un fulgore di sorriso che lo ringiovanisce, dandogli quasi l’aspetto di un loro fratello maggiore, benigno complice in qualche loro svago innocente, e sussurra: «State buoni, zitti, zitti, così non vi mandano via e noi stiamo insieme ancora dell’altro».
   «E ci racconti una bella parabola?», dice il più… audace.
   «Sì. Tutta per voi. Poi parlerò ai vostri parenti. Udite tutti, ché ciò che serve ai piccoli serve anche agli uomini.

   513.2Un uomo un giorno si sentì chiamare da un grande re, il quale gli disse: “Ho saputo che tu sei meritevole di un premio, perché sei saggio e onori la tua città col lavoro e con la scienza. Orbene, io non ti darò questo o quello, ma ti porterò nella sala dei miei tesori e tu sceglierai quello che vuoi, ed io te lo darò. In tal modo giudicherò anche se tu sei quale la fama ti descrive”. E contemporaneamente il re, accostatosi al terrazzo che cingeva il suo atrio, gettò uno sguardo sulla piazza che era davanti al palazzo reale e vide passare un fanciulletto in povere vesti, un piccolo certo di poverissima famiglia, forse un orfano e mendico. Si volse ai suoi servi dicendo: “Andate da quel fanciullo e portatemelo”.
   E i servi andarono e tornarono col fanciullino, tremante di trovarsi al cospetto del re. Per quanto i dignitari di corte gli dicessero: “Inchinati, saluta, di’: ‘Onore e gloria a te, mio re. Piego il ginocchio davanti a te, potente che la Terra esalta come essere che più grande non c’è’”, il fanciullo non voleva inchinarsi e dire quelle parole, e i dignitari, scandalizzati, lo scrollavano duramente e dicevano: “O re, questo fanciullo zotico e lercio è un obbriobrio nella tua dimora. Lascia che noi lo si cacci di qui, in mezzo alla via. Se brami avere al tuo fianco un fanciullo, noi andremo a cercartelo fra i ricchi della città, se sei stanco dei nostri, e te lo porteremo. Ma non questo zotico che non sa neppur salutare!…”.
   L’uomo ricco e saggio, che prima si era umiliato in cento inchini servili, profondi, come fosse davanti all’altare, disse: “I tuoi dignitari dicono bene. Per la maestà della tua corona devi impedire che non sia data alla tua sacra persona l’omaggio che le si spetta”, e nel dire queste parole ancora si prostrava sino a baciare il piede del re.
   Ma il re disse: “No. Io voglio questo fanciullo. Non solo. Ma voglio condurlo lui pure nella stanza dei miei tesori perché scelga ciò che vuole, e io glielo darò. Che forse non mi è concesso, perché sono re, di fare felice un povero fanciullo? Non è forse mio suddito come voi tutti? Ha forse colpa di essere infelice? No, viva Dio, io lo voglio fare contento almeno per una volta! Vieni, fanciullo, e non temere di me”, e gli porse la mano, che il fanciullo prese semplicemente dandogli sopra un bacio spontaneo. Il re sorrise. E fra due file di dignitari curvi nell’ossequio, su tappeti di porpora a fiori d’oro, si diresse verso la stanza dei tesori, avendo a destra l’uomo ricco e saggio, e a sinistra il fanciullo ignorante e povero. E il manto regale era in grande contrasto con la vesticciuola sfilacciata e i piedini scalzi del povero bambino.
   Entrarono nella stanza dei tesori, della quale due grandi della Corte avevano aperto la porta. Era una stanza alta, rotonda, senza finestre. Ma la luce pioveva dal soffitto, che era tutto un’enorme lastra di mica. Una luce mite e che pur faceva lucere le borchie d’oro dei forzieri e i nastri porporini di molti rotoli messi su alti e ornati leggii. Rotoli pomposi, dalla bacchetta preziosa, dal fermaglio e il segno ornato di pietre splendenti. Opere rare che soltanto un re poteva possedere. E, negletto su un leggio severo, scuro, basso, un piccolo rotolo attorcigliato su un legnetto bianco, legato con un filo rustico, polveroso come cosa negletta.
   Il re disse indicando le pareti: “Ecco, qui sono tutti i tesori della Terra, e altri più grandi ancora dei tesori terrestri. Perché qui sono tutte le opere dell’ingegno umano, e vi sono anche opere che vengono da fonti soprumane. Andate, prendete ciò che volete”. E si mise al centro della stanza, con le braccia conserte, ad osservare.
   L’uomo ricco e saggio si diresse prima ai forzieri e ne alzò i coperchi con ansia sempre più febbrile. Oro in verghe e oro in monili, argento, perle, zaffiri, rubini, smeraldi, opali… scintillii da tutti i cofani… gridi di ammirazione ad ogni apertura… E poi si diresse ai leggii e, leggendo il titolo dei rotoli, nuovi gridi di ammirazione uscivano dalle sue labbra; e infine l’uomo, acceso di entusiasmo, si volse al re e disse: “Ma tu hai un tesoro senza paragone, e le pietre eguagliano in valore i rotoli e questi quelle! E posso proprio scegliere liberamente?”.
   “L’ho detto. Come tutto ti appartenesse”.
   L’uomo si gettò col volto al suolo dicendo: “Io ti adoro, o gran re!”. E si alzò, correndo prima ai cofani, poi ai leggii, prendendo da questi e quelli il meglio che vedeva.
   Il re, che aveva sorriso una prima volta fra la barba vedendo la febbre con cui l’uomo correva da forziere a forziere, e una seconda vedendolo gettarsi a terra adorando, e che sorrideva per la terza volta vedendo con che cupidigia e con qual regola e preferenze sceglieva gemme e libri, si volse al bambino che era rimasto al suo fianco dicendogli: “E tu non vai a scegliere le belle pietre o i rotoli di valore?”.
   Il bambino scosse il capo per dire di no.
   “E perché?”.
   “Perché per i rotoli non so leggere e per le pietre… non ne conosco il valore. Per me sono sassolini e nulla più”.
   “Ma ti farebbero ricco…”.
   “Non ho padre, né madre, né fratelli. A che mi servirebbe andare nel mio rifugio con un tesoro in seno?”.
   “Ma potresti con quello comperarti una casa…”.
   “Ci abiterei sempre solo”.
   “Delle vesti”.
   “Avrei sempre freddo, perché manca l’amore dei parenti”.
   “Dei cibi”.
   “Non potrei saziarmi dei baci della mamma, né comperarli a nessun prezzo”.
   “Dei maestri, e imparare a leggere…”.
   “Questo mi piacerebbe di più. Ma cosa leggere, poi?”.
   “Le opere dei poeti, dei filosofi, dei saggi… e le parole antiche e le storie dei popoli”.
   “Inutili cose, vane o passate… Non merita”.
   “Che stolto fanciullo!”, esclamò l’uomo che aveva ormai le braccia cariche di rotoli e la cintura e la tunica sul petto gonfia di gemme.
   Il re sorrise ancora fra la sua barba. E, preso il fanciullo in braccio, lo portò ai forzieri e, affondando la mano nelle perle, nei rubini, nei topazi, nelle ametiste, facendole cadere come pioggia scintillante, lo tentò a prenderne.
   “No, o re, non ne voglio. Vorrei un’altra cosa…”.
   Il re lo portò ai leggii e lesse strofe di poeti, episodi di eroi, descrizioni di paesi.
   “Oh! leggere è più bello. Ma non è questo che vorrei…”.
   “E che dunque? Parla e te lo darò, fanciullo”.
   “Oh! non credo, o re, che tu lo possa, nonostante la tua potenza. Non è cosa di quaggiù…”.
   “Ah! vuoi opere non della Terra! Ecco, allora: qui sono le opere dettate da Dio ai suoi servi. Ascolta”, e lesse pagine ispirate.
   “Questo è molto più bello. Ma per capirlo bene bisogna prima sapere bene il linguaggio di Dio. Non c’è un libro che lo insegni, che ci faccia capire cosa è Dio?”.
   Il re ebbe un atto di stupore e non rise più, ma si strinse al cuore il fanciullo.
   L’uomo invece rise beffardo, dicendo: “Neanche i più sapienti sanno ciò che è Dio, e tu, fanciullo ignorante, lo vuoi sapere? Se vuoi farti ricco con ciò!…”.
   Il re lo guardò severo, mentre il piccolo rispondeva: “Io non cerco ricchezze, cerco amore, e mi fu detto un giorno che Dio è Amore”.
   Il re lo portò presso il leggio severo dove era il piccolo rotolo, legato di cordicella e polveroso. Lo prese, lo svolse e lesse le prime righe: “Chi è piccolo venga a Me, e Io, Dio, gli insegnerò la scienza dell’amore. In questo libro essa è, e Io…”.
   “Oh! questo voglio! E conoscerò Dio, e tutto avrò, Lui avendo. Dammi questo rotolo, o re, e io sarò felice”.
   “Ma è senza valore di denaro! Quel fanciullo è proprio stolto! Non sa leggere e prende un libro! Non è sapiente e non si vuole istruire. È misero e non prende tesori”.
   “Io mi sforzerò a possedere l’amore, e questo libro me lo insegnerà. Che tu sia benedetto, o re, perché mi dài di che non sentirmi più orfano e povero!”.
   “Almeno adoralo come ho fatto io, se credi di esser divenuto per suo mezzo tanto felice!”.
   “Io non adoro l’uomo, ma Dio che lo ha fatto buono così”.
   “Questo fanciullo è il vero saggio nel mio regno, o uomo che usurpi la fama di saggio. Tu sei divenuto ebbro per orgoglio e avidità al punto di porre l’adorazione alla creatura in luogo di offrirla al Creatore. E ciò perché la creatura ti dava pietre e opere umane. E non hai pensato che le gemme le hai, e io le ho avute, perché Dio le ha create, e hai i rotoli rari, dove è il pensiero dell’uomo, perché Dio ha dato all’uomo l’intelletto. Questo piccolo, che ha fame e freddo, che è solo, che è stato percosso da tutti i dolori, che sarebbe scusato e scusabile se divenisse ebbro davanti alle ricchezze, ecco che sa dare il giusto grazie a Dio per avere fatto buono il mio cuore, e non cerca che l’unica cosa necessaria: amare Dio, conoscere l’amore per avere le vere ricchezze qui e oltre. Uomo, io ho promesso che ti avrei dato ciò che avresti scelto. Parola di re è sacra. Va’ dunque con le tue pietre e i tuoi rotoli: sassolini multicolori e… paglia di umano pensiero. E vivi tremando per i ladri e per le tignole, i primi nemici alle gemme, le seconde alle pergamene. E abbacìnati coi fatui bagliori di quelle scaglie, e disgùstati col dolciastro sapore della scienza umana che è solo sapore e non nutrimento. Va’. Questo fanciullo resterà al mio fianco, e insieme ci sforzeremo di leggere il libro che è amore, ossia Dio. E non avremo bagliori fatui di fredde gemme, né il dolciastro sapore di paglia delle opere di umano sapere. Ma i fuochi dello Spirito Eterno ci daranno sino da qui l’estasi del Paradiso e possederemo la Sapienza, fortificante più che vino, nutriente più di miele. Vieni, fanciullo, al quale la Sapienza ha mostrato il suo volto perché tu la desiderassi come sposa verace”.
   E, cacciato l’uomo, prese con sé il fanciullo e lo istruì nella divina Sapienza, perché fosse un giusto e un re degno della sacra unzione sulla Terra, e un cittadino del Regno di Dio oltre la vita.
   Questa è la parabola promessa ai piccoli e proposta agli adulti.

   513.3Ricordate Baruc? Egli dice[34]: “Per qual motivo, o Israele, sei in terra nemica, invecchi in paese straniero, sei contaminato fra i morti e annoverato fra quelli che scendono nell’abisso?”. E risponde: “Perché hai abbandonato la fonte della Sapienza. Se tu avessi camminato sulla via di Dio, saresti vissuto a lungo, in pace e per sempre”.
   Ascoltate, o voi che troppo sovente vi lagnate di essere in esilio pur essendo in patria, tanto la patria non è più nostra ma del dominatore; vi lagnate di questo e non sapete che, rispetto a ciò che vi attende in futuro, esso è simile a goccia di posca rispetto al calice inebbriante che si dà ai condannati e che, voi lo sapete, è amaro come nessuna bevanda lo è.
   Il popolo di Dio soffre perché ha abbandonato la Sapienza. Come potete possedere prudenza, forza, intelligenza, come potete neppur sapere dove si trovano, per poter conseguentemente sapere le cose minori, se non state più ad abbeverarvi alle fonti della Sapienza? Il suo Regno non è di questa Terra, ma la misericordia di Dio ne concede la fonte. Essa è in Dio. È Dio stesso. Ma Dio apre il suo seno perché essa scenda a voi.
   Ebbene, che forse ora Israele, che ha, o ha avuto — e crede ancor di avere, con la superbia stolta dei prodighi che hanno sprecato e che si credono ancora ricchi ed esigono l’ossequio credendosi tali, mentre raccolgono soltanto il compatimento o la beffa — Israele, che ha o ha avuto ricchezze, conquiste, onori, possiede più l’unico tesoro? No. E perde anche gli altri, perché chi perde Sapienza perde la capacità di essere grande. Di errore in errore cade colui che non conosce Sapienza. E Israele conosce molte cose, troppe anche, ma non più la Sapienza.

   513.4Ben dice Baruc: “I giovani di questo popolo videro la luce, abitarono sulla Terra, ma non hanno conosciuto la via della Sapienza né i suoi sentieri, e i loro figli non l’hanno accolta, ed essa è andata lungi da loro”. Lungi da loro! I figli non l’hanno accolta! Profetiche parole!
   Io sono la Sapienza che vi parla. E tre quarti di Israele non mi accoglie. E la Sapienza si allontana e più si allontanerà lasciandolo solo… E che faranno, allora, costoro che si credono giganti, e perciò capaci di forzare il Signore ad aiutarli, a servirli? Giganti utili a Dio per fondare il suo Regno? No. Io con Baruc lo dico: “A fondare il Regno vero di Dio, Dio non sceglierà questi superbi, e li lascerà perire nella loro stoltezza” fuor dai suoi sentieri. Perché, per salire al Cielo con lo spirito e comprendere le lezioni della Sapienza, occorre uno spirito umile, ubbidiente e soprattutto tutto amore, essendoché la Sapienza parla il suo linguaggio, ossia parla il linguaggio del­l’amore, essendo essa Amore. Per conoscere i suoi sentieri ci vuole uno sguardo limpido e umile, libero dalla concupiscenza triplice. Per possedere la Sapienza occorre comperarla con le monete vive: le virtù.
   Questo non aveva Israele ed Io sono venuto a spiegare la Sapienza, a guidarvi alla sua via, a seminare nel vostro cuore le virtù. Perché Io tutto conosco e tutto so, e sono venuto ad insegnarlo a Giacobbe[35] mio servo e a Israele mio diletto. Sono venuto sulla Terra a conversare con gli uomini, Io, Parola del Padre, a prendere per mano i figli dell’uomo, Io, Figlio di Dio e dell’uomo, Io, Via della Vita. Sono venuto per introdurvi nella stanza dei tesori eterni, Io, al quale tutto è stato dato dal Padre mio. Sono venuto, Io, Amatore eterno, a prendere la mia Sposa, l’Umanità che voglio elevare al mio trono e al mio talamo perché sia meco nel Cielo, e ad introdurla nella stanza dei vini perché si inebriasse della vera Vite dalla quale i tralci traggono Vita.
   Ma Israele è la sposa infingarda e non si alza dal letto per aprire a Colui che è venuto. E lo Sposo se ne va. Passerà. Sta per passare. E dopo Israele lo cercherà invano, e troverà non la misericordiosa carità del suo Salvatore ma i carri di guerra dei dominatori, e sarà schiacciato spremendo superbia e vita dopo aver voluto schiacciare anche il misericordioso volere di Dio.

   513.5Oh! Israele, Israele che perdi la vera Vita per conservare una menzognera illusione di potere! Oh! Israele che credi salvarti e vuoi salvarti per vie non di Sapienza, e ti perdi vendendoti alla Menzogna e al Delitto, naufrago Israele che non ti afferri alla salda gomena gettata a tuo salvamento, ma ai relitti del tuo infranto passato, e la tempesta ti porta altrove, al largo, in un mare pauroso e senza luce; o Israele, che ti vale salvare la tua vita, o presumere di salvarla per un’ora, un anno, un decennio, due, tre decenni, a costo di un delitto, e poi perire in eterno? La vita, la gloria, il potere che sono? Bolla di acqua sudicia sulla superficie di una gora usata dai lavandai, iridescente non perché fatta di gemme, ma del grassoso sudiciume che col nitro si gonfia in palle vuote destinate a scoppiare senza che nulla resti, fuorché un cerchio sull’acqua motosa dei sudori umani. Una sol cosa è necessaria, o Israele. Possedere la Sapienza. A costo anche della vita. Perché la vita non è la cosa più preziosa. E meglio vale perdere cento vite a perdere la propria anima».
   Gesù ha finito in un silenzio ammirato. E cerca di farsi largo e andare… Ma reclamano il suo bacio i bambini. E la sua benedizione gli adulti. E soltanto dopo queste, accomiatandosi da Cleofa e Erma di Emmaus, può andare.

[34] dice, in: Baruc 3, 10-13, 20-21 26-28.
[35] a Giacobbe…, come in: Baruc 3, 37-38; nella stanza dei vini, come in: Cantico dei cantici 2, 4.