MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME VIII CAPITOLO 529



DXXIX. Ammaestramenti agli apostoli mentre fanno lavori manuali in casa di Giovanni di Nobe.

   12 novembre 1946.

   529.1Sono fredde e serene giornate d’inverno. Sulla vetta del monticello dove è costruita Nobe il vento non manca quasi mai, temperato però dal sole che dall’aurora al tramonto carezza dei suoi raggi le case e gli orti verzicanti di verdure invernali. Piccoli orti a ridosso delle case, dalle piccole aiuole verdi di erbaggi e altre del colore della terra quando è ben nutrita, nude aiuole già pronte alle semine dei legumi. L’occhio, guardandosi intorno, dove non vede grigiore di ulivi o serpentino e scheletrico correre di viti spoglie, vede piccoli campi arati, certo già seminati a cereali, pronti a germinare ai primi tepori della precoce primavera palestinese, piena di tepori di sole. Quasi direi che nelle giornate serene, quale è quella che contemplo, vi è già un tepore di primavera, un tepore germinativo, tanto che nei mandorli addossati alle case le gemme si gonfiano sui rami, che soltanto pochi giorni prima erano aridi affatto. Gemme appena rilevate sui rametti scuri, scure ancora esse pure, ma già attestanti che la vita sale, il risveglio è prossimo nel tronco robusto.
   Nel piccolo orto di Giovanni, sul dietro della casa, vi è una strisciolina di terreno coltivato, mentre quello che la costeggia è vegliato dal noce. E nella strisciolina si alza appunto un grosso mandorlo, forse vecchio più del padrone, addossato tanto alla casa da aver dovuto per un bel tratto di tronco gettare i rami soltanto da tre parti, perché sulla quarta il muro della casetta lo impediva. Ma più su la pianta si scapiglia in un intreccio di rami, che quando saranno in fiore devono fare una nuvola leggera sopra la povera terrazza, una preziosa tenda bella più di baldacchino regale.
   Tanto per non rimanere in ozio, Gesù e gli apostoli lavorano nel solicello che rallegra e scalda. In vesti succinte, quelli che si intendono di falegnameria e di serrature aggiustano o fanno di nuovo utensili e infissi. Altri zappettano il terreno, rincalzano delle verdure trapiantate, rinforzano una siepe di canne secche e di biancospino verde che chiude da due parti l’orticello, oppure potano il mandorlo e il noce, e legano dei tralci di vite che il vento dell’inverno ha slegati. Ho notato che dove è Gesù mai si ozia. Egli per primo insegna la bellezza dell’operosità manuale, quando altre operosità evangeliche sono sospese. Anche oggi Gesù, insieme ai cugini, sta aggiustando una porta che nel basso si era marcita e che aveva il chiavistello a metà sconficcato. Invece Filippo e Bartolomeo lavorano di cesoie e falcetto sulle vecchie piante da frutto, mentre i pescatori armeggiano con delle funi e delle vecchie coperte, chi aggiustandole con dei punti… molto maschili, e chi mettendo anelli e carrucole, forse nell’intento di creare sulla terrazza un velario utile nell’estate.

   529.2«Ci starai benissimo qui, Elisa», promette Pietro spenzolandosi dal muretto del terrazzo a parlare alla vecchia discepola, che fila della lana, seduta contro il muro soleggiato.
   «Sì. Quando la vite sarà tesa e il mandorlo aggiustato, sarà proprio un luogo buono nell’estate», dice Filippo fra i denti, perché ha in bocca dei giunchi coi quali lega i tralci ai sostegni.
   Gesù alza il capo a guardare, mentre Elisa lo alza a guardare il Maestro e dice: «Chissà se saremo qui nell’estate…».
   «Perché non ci si dovrebbe essere, donna?», chiede Andrea.
   «Ma… non so… Io non faccio più dei conti sul futuro da quando… Da quando ho visto che ogni mio pronostico finiva con un sepolcro».
   «Eh! ma dovrebbe morire il Maestro perché noi non si fosse più qui! Ormai il Maestro ha eletto questo luogo a suo domicilio. Non è vero, Maestro?», chiede Tommaso.
   «È vero. Ma è anche vero ciò che dice Elisa…», risponde Gesù lavorando di pialla sulla costa della porta che aggiusta.
   «Ma Tu sei giovane. E sano soprattutto!».
   «Non si muore di malattia soltanto», dice ancora Gesù.
   «Chi parla di morte? Tu, Maestro? Per Te?…

   529.3Veramente da qualche tempo sembra calmato l’astio. Guarda, non ci disturba più nessuno. Lo sanno che siamo qui. Anche ieri ci hanno incontrati, mentre si tornava dalla città con gli acquisti, e non ci hanno disturbato», dice Bartolomeo.
   «Sì. Anche noi, mentre andavamo per i paesi vicini ad avvisare che Tu sei qui. Mai nessun disturbo. Eppure si sono incontrati Elchia e Simone, e poi Sadoc e Samuele, e ancora Nahum proprio con Doras. Anzi ci hanno salutato. Vero, Giacomo?», dice Giovanni rivolto a suo fratello.
   «Sì. Si deve convenire che Giuda di Keriot ha veramente lavorato in bene mentre noi in cuor nostro lo criticavamo. Tornati qui, non più un disturbo! I fatti hanno confermato le sue parole. Sembra di essere tornati ai bei tempi dell’Acqua Speciosa. Ai primi di quei tempi… Oh! fosse vero!», dice Giacomo di Zebedeo.
   «Fosse proprio vero!», sospira Pietro.
   «Non è sempre sereno quando non romba la folgore», sentenzia Elisa prillando il suo fuso.
   «Che vorresti dire con ciò?», chiede Pietro.
   «Dico che delle volte la gran pace, dove è luogo di burrasche, è preparazione a bufera più pericolosa che mai. Tu lo dovresti sapere, che sei pescatore».
   «Eh! lo so, donna! Il lago è un enorme tino pieno di olio azzurro, talora. Ma quasi sempre, quando pende la vela e l’acqua è ferma così, è pronta la burrasca, e delle più brutte. Vento di calmeria, vento di sepolcro per i naviganti».
   «Uhm! Già. Per questo io, se fossi in voi, diffiderei di tanta pace. Troppa pace!».
   «Ma allora! Se quando è guerra si soffre perché è guerra, e quando è pace si soffre perché può venire guerra più crudele ancora, quando è che si ha gioia?», chiede Tommaso.
   «Nell’altra vita. Qui è sempre pronto il dolore».
   «Uh! come sei lugubre, donna! È molto lontano il mio tempo di gioia, allora! Sono uno dei più giovani! Rallegrati tu, Bartolmai, tu sei il più vicino a goderlo. Tu e lo Zelote», scherza Giacomo di Zebedeo.
   «Lugubre e astuta, donna! Eh! le donne anziane! Però ci indovinano qualche volta. Anche mia madre, quando dice a un di noi: “Bada! Sei sulla via di fare una stoltezza per questo e quello”, indovina sempre», dice Tommaso, curvo a raspare fra la terra.
   «Le donne sono maligne o furbe più di volpi. Non si vale nulla noi, rispetto a loro, per capire certe cose che si vorrebbe non capissero», sentenzia Pietro.
   «Tu taci. A te è capitata una donna che crederebbe anche se tu le dicessi che il Libano si è fatto di burro. Ciò che dici tu è legge per lei. Ascolta, crede e tace», dice Andrea al fratello.
   «Sì… ma sua madre vale anche per lei e per altre cento donne. Che serpente!».
   Ridono tutti, compresa Elisa e il vecchio che aiuta i giovani a zappettare.

   529.4Rientrano lo Zelote, Matteo e Giuda di Keriot.
   «Fatto tutto, Maestro. Siamo stanchi. Che giro lungo! Ma domani mi riposo. Tocca a voi domani», dice l’Iscariota parlando a quelli che zappettano il terreno. E va da loro, prendendo una zappa per lavorare.
   «Ma se sei stanco perché lavori?», gli chiede Tommaso.
   «Perché ho da mettere a dimora delle pianticelle. Questo luogo è pelato come il cranio di un vecchio, ed è un peccato», sentenzia sprofondando la zappa nel suolo con energici colpi di piede.
   «Non era così ai bei tempi! Ma poi… Troppe cose sono morte, e per me non valeva la pena che lavorassi a rifare. Sono vecchio e, più che vecchio, ero desolato», risponde il vecchio.
   «Ma che buche fai? Da albero sono, non da pianticelle come dici», osserva Filippo che scende dopo avere legato le viti.
   «Quando un albero è giovane è sempre pianticella. Le mie sono tali. Il tempo è buono. Me lo ha assicurato chi me le ha date. Sai chi, Maestro? Quel parente di Elchia che è coltivatore. E coltiva bene. Un frutteto! E degli ulivi! Stava rinnovando un pezzo di uliveto. Gli ho detto: “Dammi di queste piante”. “Per chi?”, ha chiesto. “Per un vecchietto di Nobe che ci ospita. Serviranno a farmi perdonare tutti gli scandali che gli ho dato”».
   «No, figliuolo. Non con le piante, ma con una buona condotta ciò può avvenire. E con Dio. Io… io guardo, prego e perdono. Ma il mio perdono… Però delle piante ti son grato… Benché… Credi tu che possa mangiarne i frutti?».
   «Perché no? Bisogna sempre sperare. Anzi, volere trionfare… E si trionfa allora».
   «Sulla vecchiaia non c’è trionfo! E non lo desidero».
   «Anche su molte altre cose non c’è trionfo. Se servisse volere per avere! Io avrei i miei figli», sospira Elisa.

   529.5«Maestro, il discorso di Elisa mi fa ricordare una domanda che ci hanno fatto oggi alcuni sulla via. Dicevano, perché c’era stato un fatto in un paese, se è vero che il miracolo è sempre prova di santità. Io dicevo di sì. Ma loro di no, perché in questo paese, ai confini della Samaria, chi aveva fatto cose straordinarie non era certo un giusto. Io li ho fatti tacere dicendo che l’uomo giudica sempre male e che quello che essi dicevano non giusto forse lo era più di loro. Tu che dici?», chiede Matteo.
   «Dico che avevate ragione tutti. Ognuno per la sua parte. Tu dicendo che il miracolo è sempre prova di santità. Generalmente è così. E ancora dicendo che non si deve giudicare per non errare. Ma avevano ragione anche essi di sospettare altre fonti allo straordinario dell’uomo».
   «Quali fonti?», chiede l’Iscariota.
   «Quelle tenebrose. Vi sono creature, già adoratrici di Satana perché hanno il culto della superbia, che pur di imporsi agli altri vendono se stesse al Tenebroso per averlo amico», gli risponde Gesù.
   «Ma si può? Non è leggenda di paesi pagani che l’uomo possa fare contratti col demonio o con spiriti infernali?», chiede stupefatto Giovanni.
   «Si può. Non come è narrato nelle leggende pagane. Non con monete e contratti materiali. Ma con l’adesione al Male, ma con la scelta, con la donazione di sé al Male pur di avere un’ora di trionfo purchessia. In verità vi dico che coloro che si vendono al Maledetto, pur di riuscire a un loro scopo, sono più numerosi di quanto non si creda».
   «E riescono? Hanno proprio ciò che chiedono?», interroga Andrea.
   «Non sempre e non tutto. Ma qualcosa hanno».
   «E come si può? Tanto potente è il demonio da poter simulare Iddio?».
   «Tanto… e niente, se l’uomo fosse santo. Ma è che molte volte l’uomo è di suo un demonio. Noi combattiamo le possessioni evidenti, rumorose, vistose. Di esse tutti se ne accorgono… Sono… poco comode a famigliari e cittadini, e sono soprattutto con forme materiali. L’uomo è sempre colpito da ciò che è pesante, che urta i suoi sensi. Ciò che è immateriale e percepibile soltanto con l’immateriale — ragione e spirito — non lo avverte e, se pur lo avverte, non se ne cura, specie se a lui non nuoce. Queste possessioni occulte sfuggono dunque al nostro potere di esorcizzatori! E sono le più dannose, perché lavorano nella parte più eletta, con la parte più eletta e verso altre parti elette: da ragione a ragione, da spirito a spirito. Sono come miasmi corruttori, impalpabili, inavvertibili, sino a che la febbre della malattia non avverte chi ne è colpito di essere colpito».

   529.6«E Satana aiuta? Proprio? Perché? E perché Dio lo lascia fare? E lo lascerà sempre fare? Anche dopo che Tu regnerai?».
   Tutti chiedono.
   «Satana aiuta per finire di asservire. Dio lo lascia fare, perché da questa lotta fra l’Alto e il Basso, il Bene e il Male, emerge il valore della creatura. Il valore e il volere. Lo lascerà sempre fare. Anche dopo che Io sarò assunto. Però allora Satana avrà contro un nemico ben grande e l’uomo avrà un’amica ben potente».
   «Chi? Chi?».
   «La Grazia».
   «Oh! bene! Allora per quelli del nostro tempo, senza grazia, sarà più facile essere asserviti, ma sarà anche meno grave la caduta», dice l’Iscariota sempre zappando.
   «No, Giuda. Il giudizio sarà uguale».
   «Cosa ingiusta allora perché, se siamo meno aiutati, di conseguenza dovremmo essere meno condannati».
   «Non hai tutti i torti», dice Tommaso.
   «Ha invece torto, Toma. Perché noi di Israele abbiamo già tanto di fede, speranza, carità, e tante luci di Sapienza, da non poter avere scusa di ignoranza. Voi, poi, voi che avete già la Grazia a Maestra vostra da quasi tre anni, sarete già giudicati come quelli del tempo nuovo», dice Gesù marcando molto le parole e guardando Giuda, che ha alzato il capo ed è pensieroso mentre fissa il vuoto.
   Poi Giuda di Keriot crolla il capo, come a conclusione di un suo interno ragionamento, e riaffondando la zappa nel suolo chiede: «E chi si dà così al demonio, che diviene?».
   «Un demonio».
   «Un demonio! In tal modo se io, ad esempio, pur di affermare che il tuo contatto dà un potere soprannaturale, facessi cose… che Tu censuri, sarei un demonio?».
   «Lo hai detto».
   «Spero bene che tu non le faccia, però…», dice Andrea quasi spaventato.
   «Io? Ah! Ah!

   529.7Io pianto gli alberelli al nostro vecchio», e corre sull’altro lato dell’orto, torna con cinque pianticelle che la zolla di terra avvolta intorno alle radici rende certo pesanti.
   «Ma sei venuto da Beteron con quel carico sulle spalle?», chiede Pietro.
   «Da oltre Gabaon, devi dire! È là che ci sono parte dei frutteti di Daniele. Che terra magnifica. Guardate!…», e sbriciola fra le dita la terra che avvolge le radici. Poi scioglie il laccio che tiene i cinque fusticini grossi già quanto un braccio. Due soli hanno in cima un po’ di fronda. Ed è fronda d’ulivo. «Ecco. Questo per Gesù e questo per Maria. Che sono la pace del mondo. Li metto a dimora per primi perché io sono uomo di pace. Qua… e qua», e li sistema ai due estremi della striscetta di terra. «E qui un melo, giovane e buono come quello del­l’Eden, a ricordarti, o Giovanni, che tu pure vieni da Adamo e non ti devi stupire se… io posso essere peccatore. Attento, tu, al Serpente… E qui… No, qui non ci sta bene. Là, sul davanti, presso il muro, questo giovane fico. Come si fa a non avere un fico nell’orto, quando qui nascono come gramigna? E alla buca del centro metteremo questo giovane mandorlo. Imparerà da quello centenario la virtù del produrre. Ecco fatto! Il tuo orticello sarà bello in avvenire… e guardandolo ti ricorderai di me».
   «Ti ricorderei ugualmente perché tu sei stato qui col Maestro.

   529.8Tutto mi parlerà di questo tempo. E guardando le cose dirò: “Come un figlio Egli mi ha voluto riassettare la casa!”. Però… se potessi avere un volere diverso da quello che è forse già scritto in Cielo, vorrei non avere a ricordare questo tempo così bello per me, più bello di quando questi alberi, ora vecchi, erano giovani, e giovane ero io e la sposa mia, e qui giocava la piccola figlia… e c’era gusto a curare il melo e il melograno, il fico e la vite, perché avide erano le manine della figlia mia, e bello era vedere la sposa, seduta all’ombra verde delle piante, a tessere o a filare… Dopo… partita la figlia… e così dimentica!… Inferma e poi morta la sposa… Perché e per chi curare ciò che un tempo era bello? E tutto è morto, meno i due vecchioni che si ricordano della mia infanzia… Vorrei morire prima di avere a ricordare, e mentre qui c’è una donna giusta come era Lia. Io ti ringrazio delle piante, del lavoro, di tutto. Ringrazio tutti. Ma prego il mio Signore di svellere la mia vecchia pianta da queste zolle prima che tramonti quest’ora di pace per il vecchio Giovanni…».
   Gesù gli va vicino e gli mette la mano sulla spalla, dolce e austero insieme: «Tante cose hai saputo fare nella tua lunga vita. Una ti manca ancora: quella di accettare da Dio l’ora della morte senza chiedere che sia anticipata o posticipata di un minuto. Ti sei rassegnato a tante cose. Perciò Dio ti ama. Sappi rassegnarti alla più difficile: a vivere quando si desidererebbe soltanto di morire. Ed ora rientriamo. Il sole scende dietro i monti e il freddo cresce subito. Il sabato ha inizio. Dopo di esso finiremo i lavori…», e raccogliendo sega, pialla e martello, rientra in casa, mentre gli altri finiscono di affastellare i rami potati, di inaffiare le piante messe a dimora e di sistemare sui suoi gangheri la porta rimessa a nuovo.