MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME VIII CAPITOLO 528



DXXVIII. A Nobe, il conforto materno di Elisa e il ritorno inquietante di Giuda Iscariota.

   9 novembre 1946.

   528.1«Sì, Maestro! Giuda di Keriot è qui da molti giorni. È venuto una sera che era sabato. Pareva stanco e trafelato. Diceva di averti perduto per le vie di Gerusalemme e di essere corso a cercarti in tutte le case dove solitamente vai. Qui veniva ogni sera. Fra poco qui sarà. Al mattino se ne va, e dice di andare nelle vicinanze a predicarti».
   «Va bene, Elisa… E tu lo hai creduto?».
   «Maestro, Tu sai che non amo quell’uomo. Se avessero dovuto essere così i miei figli, avrei pregato l’Altissimo di prendermeli. Non ho creduto, no, alle sue parole. Ma per amor tuo ho tenuto in me il mio giudizio… E sono stata materna con lui. Almeno così ho ottenuto che tornasse qui ogni sera».
   «Hai fatto bene». Gesù la guarda molto fissamente e chiede improvvisamente: «Dove è Anastasica?».
   Elisa si copre di un rossore violaceo, di persona anziana, ma con franchezza risponde: «A Betsur».
   «Hai fatto bene anche per questa cosa. E, ti prego, compatisci l’uomo».
   «È perché lo compatisco che ho voluto smorzare l’incendio prima che divampasse con scandalo o, quanto meno, impaurendo la figlia».
   «Dio ti benedica, donna giusta…».

   528.2«Soffri molto, Maestro?».
   «Soffro. È vero. Ad una madre lo posso dire».
   «Ad una madre lo puoi dire… Se non fossi Gesù, il Signore, vorrei raccogliere il tuo capo stanco sulla mia spalla e stringere il tuo cuore afflitto sul mio cuore. Ma Tu sei tanto santo che non può una donna, che non sia tua Madre, toccarti…».
   «Elisa, buona amica di mia Madre e madre buona, il tuo Signore presto sarà toccato da mani molto meno sante delle tue, e baciato… oh!… E dopo, altre mani… Elisa, se ti fosse concesso di toccare il Santo dei Santi, con quale spirito lo faresti? Te ne asterresti forse, se la voce di Dio, fra la nuvola degli incensi, ti chiedesse amore per avere finalmente una carezza d’amore dopo tanti che lo accostano senza amore?».
   «Mio Signore! Ma se Dio me lo chiedesse, a ginocchioni andrei a coprire di baci il luogo santo, e volesse Iddio essere soddisfatto, consolato dell’amor mio!».
   «E allora, Elisa, buona amica di mia Madre, e fedele e buona discepola del tuo Salvatore afflitto, lasciami appoggiare il capo sul tuo cuore, perché il mio cuore è afflitto fino a provare pene di morte».
   E Gesù, stando seduto dove è, presso Elisa che gli è vicina, in piedi, appoggia realmente la fronte contro il petto della vecchia discepola, e delle lacrime silenziose scivolano lungo la veste scura della donna, che non può trattenersi dall’appoggiare la mano sul capo reclinato sul suo cuore, e poi, sentendo cadere lacrime sui suoi piedi, nudi nei sandali, si china a sfiorare con un bacio i capelli di Gesù, e piange silenziosamente a sua volta, alzando gli occhi verso il cielo in una muta preghiera. Sembra lei una molto anziana Madre Dolorosa. Non tenta altre parole né altri gesti. Ma è così “madre” in quel suo atto che più non potrebbe esserlo.
   Gesù alza il volto e la guarda. Ha un pallido sorriso e dice: «Dio ti benedica per la tua pietà. Oh! è ben necessaria una madre quando il dolore soverchia le forze dell’uomo!».
   Si alza in piedi. Guarda ancora la discepola e dice: «Quest’ora resta fra Me e te, in tutte le sue parti. Sono venuto avanti da solo, per questo».
   «Sì, Maestro. Ma Tu non puoi più rimanere solo. Fa’ venire tua Madre».
   «Fra due lune sarà con Me…»,

   528.3e sta per dire qualche altra cosa quando abbasso, nella cucina, risuona la voce forte, sempre un poco spavalda e ironica, di Giuda di Keriot: «Ancora al tuo intaglio, vecchio? Fa freddo! E qui non c’è fuoco. Ho fame. E nulla è preparato. Elisa dorme, forse? Ha voluto fare da sé. Ma i vecchi sono lenti e la loro memoria è debole. Ehi! Non parli? Sei sordo del tutto questa sera?».
   «No. Ma ti lascio parlare, ché tu sei apostolo e non si conviene a me farti rimprovero», risponde il vecchio.
   «Rimprovero? Perché?».
   «Cerca in te stesso e troverai».
   «La mia coscienza non ha voce…».
   «Segno che è deforme, o che tu l’hai storpiata».
   «Ah! Ah! Ah!», e Giuda deve uscire dalla cucina perché si sente prima sbattere una porta e poi delle pedate sulla scala.
   «Io scendo a preparare, Maestro».
   «Va’, Elisa».
   Elisa esce dalla stanza alta e trova presto Giuda che sta per porre piede sulla terrazza.
   «Ho freddo e fame io».
   «E non altro? Allora hai molto poco ancora, uomo».
   «E che dovrei avere in più?».
   «Eh! tante cose!…». La voce di Elisa si allontana.
   «Sono tutti vecchi stolti. Uf!…».

   528.4Spinge la porta e si trova di fronte Gesù. Fa un passo indietro dallo stupore. Si riprende per dire: «Maestro!! La pace a Te!».
   «La pace a te, Giuda». Gesù riceve il bacio dell’apostolo, ma non lo rende.
   «Maestro. Hai… Non mi baci?».
   Gesù lo guarda e tace.
   «È vero. Ho sbagliato. E non baciarmi è il minimo che Tu mi possa fare. Però non giudicarmi troppo severamente. Quel giorno mi hanno preso in mezzo alcuni che… non ti amavano e ho disputato con loro fino ad essere roco. Dopo… Ho detto: “Chissà dove è andato?!”, e sono tornato qui ad attenderti. Non è la tua casa questa, ormai?».
   «Finché me lo concedono».
   «Non vorrai serbarmi rancore per questo?».
   «No. Ti faccio soltanto considerare l’esempio che hai dato agli altri».
   «Eh! Sento già le loro parole. Ma ho di che giustificarmi presso di loro. Con Te non lo faccio neppure, perché so che mi hai già perdonato».
   «Ti ho già perdonato. È vero».
   Giuda: sarebbe da attendersi da lui un atto di umiltà, di amore per tanta bontà. Invece ne ha uno tutto opposto, un atto di stizza mentre esclama: «Ma non c’è dunque modo di vederti irato?! Che uomo sei?».
   Gesù tace. E Giuda lo guarda, lui in piedi, Gesù seduto a capo chino, e scrolla la testa con un sorriso cattivo sul labbro. E l’incidente è superato per lui. Si mette a parlare di questo e quello, come fosse il più a posto di tutti.
   Annotta. I rumori della via cessano. «Scendiamo», ordina Gesù.
   Entrano nella cucina, dove splende il fuoco e arde una lampada a tre becchi. Gesù, stanco, si siede presso il focolare e pare sonnecchiare nel calduccio…

   528.5Bussano. Il vecchio apre. Sono gli apostoli. Pietro, primo ad entrare, vede Giuda e lo investe: «Si può sapere dove sei stato?».
   «Qui. Semplicemente qui. Era stolto correre qua e là dietro esseri scomparsi. Sono venuto qui, dove ero certo che sareste tornati».
   «Bel modo di agire!».
   «Il Maestro non me ne ha rimproverato. E del resto sappi che non ho perso il mio tempo. Ho evangelizzato ogni giorno e ho anche fatto miracoli, e ciò è buono».
   «E chi te ne aveva autorizzato?», dice severo Bartolomeo.
   «Nessuno. Non te, né nessuno. Ma basta di essere dei… della… Insomma, la gente si stupisce e mormora e ride di noi, apostoli che non facciamo nulla. E io, che lo so, ho fatto per tutti. E più ancora ho fatto. Sono andato da Elchia e gli ho dimostrato che non si agisce male quando si è santi. C’erano in molti. Li ho persuasi. Vedrete che qui non ci disturbano più. E ora sono contento».
   Gli apostoli si guardano. Guardano Gesù. Il suo volto è impenetrabile. Sembra velato da una grande stanchezza fisica. Questa sola si vede.
   «Potevi però fare questo con licenza del Maestro», osserva Giacomo d’Alfeo. «Siamo stati sempre in pensiero per causa tua».
   «Oh! bene! Ora vi calmate di ogni affanno. Egli non mi avrebbe mai dato licenza. Ci… tutela troppo. Tanto che la gente mormora che è geloso di noi, che teme che si faccia più di Lui, e anche che siamo puniti da Lui. La gente ha lingua mordente. La verità, invece, è che Egli ci ha più cari della pupilla del suo occhio. Non è vero, Maestro? E teme che noi si incorra in pericoli o si facciano… brutte figure. E anche noi, dentro noi, pensavamo di essere come puniti e che Lui fosse geloso…».
   «Questo poi no! Io non l’ho mai pensato!», interrompe Tommaso. E gli altri fanno eco.
   Meno il Taddeo, che pianta i suoi occhi schietti e bellissimi negli occhi anche bellissimi ma sfuggenti di Giuda, e dice: «E come hai potuto fare miracoli tu? In nome di chi?».
   «Come? In che nome? Ma non ti ricordi che Egli ci ha dato questo potere? Ce lo ha forse tolto? No, che io sappia. E perciò…».
   «E perciò io non mi permetterei mai di fare cosa alcuna senza il suo consenso e ordine».
   «Ebbene, io l’ho voluto fare. Temevo di non sapere più fare. Ho fatto. Sono felice!», e tronca la discussione uscendo nell’orto buio.
   Gli apostoli si tornano a guardare. Sono sbalorditi da tanta audacia. Ma nessuno ha cuore di dire cosa atta ad addolorare più ancora il loro Maestro, dal volto persino sofferente.
   Si sbarazzano delle sacche, che Giovanni, Andrea e Tommaso portano di sopra. E Bartolomeo, curvandosi per raccogliere un ramo secco sfuggito ad una fascina, sussurra a Pietro: «Non voglia Iddio che lo abbia aiutato il demonio!».
   Pietro ha un atto delle mani come per dire: «Misericordia!», ma non ribatte parola. Va da Gesù, gli posa una mano sulla spalla chiedendogli: «Sei stanco tanto?».
   «Tanto, Simone».

   528.6«È pronto, Maestro. Vieni a tavola. Oppure… No. Sta’ lì, presso al focolare. Ti porterò il latte e il pane», dice Elisa. E infatti, messi in un vassoio una capace scodella di latte fumante e del pane coperto di miele, lo porta a Gesù e attende che Egli preghi in piedi offrendo il cibo. Poi si accoccola per terra, buona, vecchia, materna, tutta presa dal desiderio di consolarlo, e gli sorride incitandolo a mangiare, rispondendo a Gesù che dolcemente la rimprovera del miele sparso sul pane: «Ti darei il mio sangue per corroborarti, Maestro mio! Questo non è che il povero miele del mio orto di Betsur e non può che confortarti il corpo. Ma il mio cuore…».
   Gli altri mangiano intorno al tavolo, col forte appetito di chi ha camminato molto. E Giuda, tranquillo, quasi spavaldo, mangia con loro e non parla altro che lui…
   Parla ancora quando Gesù ordina: «Ognuno alle case che vi ospitano. Andate. La pace sia con voi».
   Restano con Lui Giuda, Bartolomeo, Pietro e Andrea. E Gesù ordina subito il riposo. È stanco mortalmente, tanto da non potere più sostenere la fatica di parlare e sentire parlare e, penso io, quella di sopportare lo sforzo di dominarsi riguardo a Giuda di Keriot.