MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

A A A

VOLUME VIII CAPITOLO 530



DXXX. Un’altra notte di peccato di Giuda Iscariota.

   14 novembre 1946.

   530.1Tutta Nobe dorme ancora. È il primo schiarir del giorno. L’alba, nelle luci pacate dell’inverno, è di una delicatezza di tinte irreali. Non la luce verd’argento delle albe estive, così rapida ad affermarsi e a mutarsi in oro pallido e poscia in un rosa sempre più acceso. Ma un verde giada, stemperato in un grigio azzurro tenuissimo, la indica all’oriente in un semicerchio piccolo, basso al limite dell’orizzonte. Un punto di una luminosità velata e come stanca, simile[72] a pallida fiamma di zolfi accesi dietro cortine di fumo biancastro. E stenta ad allargarsi sul cielo, che è bigio ancora, pur essendo sereno e con ancora le stelle ad occhieggiare sul mondo. Stenta a respingere il grigiore per far luogo al suo prezioso colore di pallida giada e al puro cobalto del cielo palestinese. Pare, timida e freddolosa, soffermarsi al balzo d’oriente. Vi si attarda ancora, appena un poco dilatata nel suo semicerchio di luminosità solfurea e appena un poco diluita dal verdolino al bianco intriso di un ricordo di giallo, quando viene annullata da un subito rosa, che libera il cielo dall’ultimo velo notturno e lo fa terso e prezioso come un baldacchino di raso zaffireo, e un fuoco si accende all’estremo orizzonte, quasi che fosse caduta una parete e fosse messa allo scoperto una fornace ardente. Ma è fuoco od è un rubino acceso da un fuoco nascosto? No. È il sole che emerge. Eccolo. Appena spunta da dietro le curve dell’orizzonte, che già ha trovato da pennellare di corallo rosa un bioccolo di nube e da mutare in diamanti le gocce della rugiada sulle cime degli alberi a fogliame perenne. Un alto rovere, all’estremità del paese, ha un velo di diamanti sulle bronzee foglie volte ad oriente. Sembrano tante stellucce palpitanti fra i rami di questo gigante che si immerge, con il suo sommo, nell’azzurro.
   Forse, nella notte, delle stelle si sono troppo abbassate sul paese per mormorare segreti celesti ai cittadini di Nobe, o forse per consolare con la loro luce pura l’Uomo che, insonne, cammina silenziosamente lassù, sul terrazzo di Giovanni. Sì, perché, unico in tutta Nobe dormente, Gesù è sveglio, e va lentamente avanti e indietro sul terrazzo della casetta con le braccia conserte sotto al mantellone che lo copre tutto strettamente a difesa dal freddo, serrandosi a cappuccio anche sulla testa. Gesù, ad ogni giungere ad un estremo della terrazza, guarda fuori, sporgendosi per vedere la via che passa per il centro del paese. Via ancora semioscura, vuota, silenziosa. E poi riprende ad andare avanti e indietro, avanti e indietro lentamente, silenziosamente, per lo più a capo chino, meditabondo, qualche volta osservando il cielo sempre più luminoso e i vaghi colori dell’alba e dell’aurora, o seguendo con lo sguardo il volo frullante del primo passero, ridestato dalla luce, che lascia l’embrice ospitale di un tetto vicino per scendere a beccuzzare ai piedi del vecchio melo di Giovanni e poi sfrulla via di nuovo, avendo visto Gesù, con un cip-cip spaurito che ridesta altri uccellini annidati qua e là.

   530.2Da un chiuso viene un belato di pecora e si perde tremolando nell’aria. Dalla via viene uno scalpiccio frettoloso. Gesù si sporge a guardare. E poi corre lesto giù dalla scaletta, entra nella cucina oscura, rinchiude l’uscio dietro di Sé. Il passo si avvicina, suona ormai nella striscia d’orto a lato della casa, si arresta davanti all’uscio di cucina; una mano tenta la serratura, sente che non c’è la chiave, fa allora agire il catenaccio che si può muovere tanto dal di fuori che dal di dentro; una voce dice contemporaneamente: «Che sia già alzato qualcuno?». Ancora una mano apre cautamente l’uscio senza farlo cigolare. La testa di Giuda di Keriot si insinua per la fessura… Guarda… Buio assoluto. Freddo. Silenzio.
   «Si sono dimenticati aperta la porta… Eppure… Mi pareva chiusa… Del resto, cosa senza importanza!… Ai poveri non rubano i ladri. E più miserabili di noi… Eh!… Ma speriamo che… non duri così. Dove è quel maledetto acciarino?… Non lo trovo… Se riesco ad accendere il fuoco… perché ho fatto tardi, sì, proprio troppo tardi… Ma dove sarà? Troppe mani a toccare! Sul focolare? No… Sul tavolo? No… Sulle panche? No… Sulla mensola?… Neppure… Quell’uscio tarlato stride ad aprirlo… Legno tarlato… gangheri ruggini… Tutto vecchio, muffoso, orribile qui. Ah! povero Giuda! E non c’è… Mi toccherà proprio entrare dal vecchio…».
   Sempre parlando è andato tastando qua e là, invisibile nel­l’om­bra, cauto come un ladro o un uccello notturno nello scansare gli inciampi che potrebbero fare rumore…

   530.3Urta contro un corpo e ha un urlo soffocato di spavento.
   «Non temere. Sono Io. E l’acciarino è in mia mano. Eccolo. Accendi», dice Gesù pacatamente.
   «Tu, Maestro? Che facevi qui solo, nel buio, nel freddo… Ci saranno molti malati certo oggi, dopo un sabato e due giorni di tempo piovoso, ma non saranno qui così presto. Essi si muoveranno dalle città vicine appena ora, perché soltanto ora si comprende che oggi non pioverà. Il vento della notte ha già asciugato le vie».
   «Lo so. Ma accendi un lume. Non è da onesti parlare così nelle tenebre, ma da ladri, da bugiardi, da lussuriosi e da assassini. I complici nelle male azioni amano le tenebre. Io non sono complice a nessuno».
   «Neppure io, Maestro. Volevo preparare un buon fuoco. E per questo mi sono alzato per primo… Cosa dici, Maestro? Hai mormorato fra le labbra e non ho compreso».
   «Accendi, dunque».
   «Ah!… Ho visto così che è sereno. Ma fa freddo. Tutti avranno piacere di trovare un buon fuoco… Ti sei alzato sentendomi muovere qui o per il vecchio che… Ha ancora i dolori?… Ecco! Finalmente! Parevano umidi l’esca e l’acciarino, tanto non volevano fare scintilla… Si sono ammollati…».

   530.4Una fiammella si alza dal lucignolo di una lucerna. Una sola fiammella, piccola, tremolante… ma sufficiente a vedere i due volti: il pallido volto di Cristo, il brunetto e imperterrito volto di Giuda.
   «Ora accendo il fuoco… Sei pallido come un morto. Non hai dormito! E per quel vecchio! Sei troppo buono».
   «È vero. Sono troppo buono. Con tutti. Anche con quelli che non lo meritano. Ma il vecchio lo merita. È un onesto, uno dal cuore fedele. Ciononostante, non ho vegliato per lui, ma per un altro. È vero. L’esca e l’acciarino erano umidi, ma non per causa di una tazza rovesciata o di altro liquido sparso per un incidente, bensì per il mio pianto che vi è gocciato sopra. È vero. È sereno, ma fa freddo e il vento ha riasciugato le strade, e verso l’alba, però, la guazza è caduta. Senti il mio mantello. Ne è umido… E poi è venuta l’alba a mostrare il sereno, è venuta la luce a mostrare un posto vuoto, è venuto il sole dell’aurora a far brillare le rugiade sulle foglie e le lacrime sulle ciglia. È vero. Oggi ci saranno molti malati, ma Io non attendevo loro. Attendevo te. Perché è per te che ho vegliato tutta la notte. Per te che, non potendo star chiuso qui ad attenderti, sono salito sul terrazzo, a gettare nel vento il mio richiamo, a mostrare alle stelle il mio dolore, all’aurora il mio pianto. Non il vecchio malato, ma il giovane scapestrato, il discepolo che fugge il Maestro, l’apostolo di Dio che preferisce la cloaca al Cielo e la menzogna alla Verità, mi hanno tenuto in piedi tutta la notte ad attenderti. E quando ho sentito la tua pedata sono sceso qui… ad attenderti ancora. Non più con la tua persona, che ormai avevo vicina e vagante con mosse da ladro per la cucina oscura, ma con il tuo sentimento… Ho atteso una parola… E non l’hai saputa dire quando mi hai sentito ritto contro a te. Colui al quale stai vendendo il tuo spirito non ti ha dunque avvertito che Io sapevo? Ma no! Non poteva avvertirti né suggerirti l’unica parola che potevi, che dovevi dire, se fossi un giusto. E ti ha suggerito le menzogne non chieste, inutili, offensive più ancora della tua fuga notturna. Te le ha suggerite ghignando, contento di aver fatto scendere un altro gradino a te e di aver dato un altro dolore a Me. È vero. Verranno molti malati. Ma il più grande malato non verrà al suo Medico. E il Medico stesso è malato di dolore per questo malato che non vuole guarire. È vero. Tutto è vero. Anche che ho mormorato una parola che tu non hai capita. Dopo quanto ti ho detto, l’indovini?».
   Gesù ha parlato a voce bassa, ma così incisiva e dolorosa e nello stesso tempo così severa che Giuda, che era, alle prime parole, sorridente, eretto, sfrontato, tutto presso a Gesù, si è piano piano ritratto e rattratto come se ogni parola fosse una percossa, mentre Gesù si è sempre più eretto, veramente giudice e veramente tragico nella sua effigie addolorata.
   Giuda, confinato ormai fra una madia e un angolo di muro, mormora: «Ma… Non saprei…».
   «No? Ebbene Io te la dico, perché non temo di dire ciò che è verità. Bugiardo! Ecco cosa ti ho detto. E se il bambino menzognero si sopporta ancora, perché non sa il valore di una menzogna e gli si insegna a non dirla più, in un uomo ciò non si sopporta; in un apostolo, discepolo della Verità stessa, fa schifo. Assolutamente schifo. Ecco perché ti ho atteso tutta la notte e ho pianto bagnando il tavolo, là, dove era l’acciarino, e poi ho pianto vegliando e chiamandoti con tutta l’anima al lume delle stelle, ecco perché sono bagnato di guazza come l’ama­tore[73] dei Cantici. Ma inutilmente il mio capo è pieno di rugiada e i miei riccioli delle gocce della notte, inutilmente Io picchio alla porta della tua anima e le dico: “Aprimi, perché ti amo per quanto tu non sia immacolata”. Anzi, è proprio perché è macchiata che Io voglio entrare in lei e mondarla. È proprio perché è malata che voglio entrare a guarirla. Sta’ attento, Giuda! Attento che lo Sposo non si allontani, e per sempre, e che tu non lo possa più trovare…

   530.5Giuda, non parli?…».
   «È tardi per parlare, ormai! Tu lo hai detto: ti faccio schifo. Cacciami…».
   «No. Anche i lebbrosi mi fanno schifo. Ma ne ho pietà. E se mi chiamano accorro e li mondo. Non vuoi essere mondato?».
   «È tardi… ed è inutile. Non so essere santo. Cacciami, ti dico».
   «Non sono uno dei tuoi amici farisei, che chiamano “immonde” infinite cose e le fuggono o le scacciano duramente, mentre potrebbero mondarle con carità. Io sono il Salvatore e non discaccio nessuno…».
   Un lungo silenzio. Giuda sta nel suo angolo, Gesù sta appoggiato di schiena al tavolo e pare sorreggersi ad esso, stanco e sofferente… Giuda alza il capo. Lo guarda titubante e mormora: «E se io ti lasciassi, che faresti?».
   «Nulla. Rispetterei la tua volontà. Pregando per te. Però a mia volta ti dico che, se anche tu mi lasci, è ormai troppo tardi».
   «A che, Maestro?».
   «A che? Tu lo sai come Me… Accendi il fuoco, ora. Di sopra si cammina. Soffochiamo lo scandalo qui, fra noi. Per tutti avremo avuto breve il sonno… e ci avrà riuniti qui un desiderio di calore… Padre mio!…».
   E mentre Giuda avvicina la fiamma alle fascine già poste sul focolare e soffia perché la fiamma si apprenda a dei trucioli leggeri, Gesù alza le mani sopra il suo capo e poi se le preme sugli occhi…

[72] simile a, invece di come di, è correzione di MV su una copia dattiloscritta per togliere la ripetizione di come; ardente, di tredici righe più sotto, è correzione di MV, sempre sulla copia dattiloscritta, al posto dell’originale fervente. (La precedente “notte di peccato” dell’Iscariota è nell’episodio del capitolo 339).
[73] come l’amatore di: Cantico dei cantici 5, 2-6.