MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME VIII CAPITOLO 531



DXXXI. A Nobe, malati e pellegrini da ogni regione. Valeria e il divorzio. Guarigione del piccolo Levi.

   15 novembre 1946.

   531.1Gesù è framezzo a dei malati o a dei pellegrini venuti a Lui da molte parti della Palestina.
   Vi è persino un navigante di Tiro, che un infortunio di mare ha reso paralizzato e che racconta la sua vicenda: la caduta di un carico per il rollio della nave, e le mercanzie pesanti lo hanno investito e colpito nella schiena. Non è morto, ma è più che un morto, perché, tutto perso come è, obbliga i parenti a non lavorare per curarlo. Dice di essere andato con essi a Cafarnao e poi a Nazaret e di aver saputo da Maria che Egli era in Giudea e precisamente a Gerusalemme. «Mi ha dato i nomi degli amici che ti potevano ospitare. E un galileo di Sefori mi ha detto che stai qui. E sono venuto. So che Tu non disprezzi nessuno, neppure i samaritani. E spero che mi esaudirai. Ho tanta fede».
   La moglie non parla. Ma, stando accoccolata presso lo strapuntino sul quale hanno deposto il malato, guarda Gesù con degli occhi che supplicano più di ogni parola.
   «Dove sei stato colpito?».
   «Sotto al collo. Proprio lì ho avuto l’urto più forte e ho sentito un rumore nel capo, come di bronzo percosso, che poi si è mutato in un continuo muggire di mare in tempesta, e luci, luci d’ogni colore hanno preso a danzare davanti a me… Poi non ho sentito più niente per molti giorni. Eravamo in navigazione nelle acque di Cintium e mi sono ritrovato a casa senza sapere come. E ho ritrovato il muggito nel capo e le luci negli occhi per giorni e giorni. Poi è passato… ma le braccia sono rimaste morte e così le gambe. Un uomo finito a quarant’anni. E ho sette figli, Signore».
   «Donna, solleva tuo marito e scopri il punto colpito».
   La donna ubbidisce senza parlare. Con mosse destre e materne, aiutata da chi è venuto con lei, non so se fratello o cognato, insinua un braccio sotto le spalle del consorte, mentre con l’altra mano sostiene il capo e, con la delicatezza con la quale volterebbe un neonato, solleva il corpo pesante dal lettuccio. Una cicatrice, rossa ancora, segna il punto della maggior ferita.
   Gesù si china. Tutti allungano il collo per guardare. Gesù appoggia la punta delle dita sulla cicatrice dicendo: «Voglio!».
   L’uomo ha una scossa, come se l’avesse toccato una corrente elettrica, e un grido: «Che fuoco!».
   Gesù stacca le dita dalle vertebre lese e dice: «Sorgi!».
   L’uomo non se lo fa dire due volte. Puntare le braccia, da mesi inerti sul lettuccio, scuotersi per liberarsi da chi lo sostiene, gettare le gambe giù dalla bassa barellina e sorgere in piedi è fatto in molto meno tempo di quanto io ne abbia usato a descrivere le fasi del miracolo.
   La moglie grida, il parente grida, l’uomo guarito alza le braccia al cielo, ammutolito dalla gioia. Un attimo di sbalordita gioia, poi gira su se stesso, sicuro come l’uomo più agile, e si trova viso a viso con Gesù. Allora ritrova la voce e grida: «Benedetto Te e chi ti ha mandato! Io credo nel Dio d’Israele e in Te, suo Messia», e si getta a terra a baciare i piedi di Gesù fra l’urlio della gente.

   531.2Poi gli altri miracoli, su fanciullini, donne, vecchi, per lo più. Poi Gesù parla.
   «Avete visto il miracolo di ossa fratturate che si rinsaldano e di membra morte che tornano vive. Questo vi ha concesso il Signore di vedere, per confermare la fede in quelli che credono e suscitarla in quelli che non l’hanno. E il miracolo è stato concesso a gente di ogni luogo, venuta qui alla ricerca della salute, spinta dalla fede nella mia virtù sanatrice.
   Sono qui giudei e galilei, libanesi e siro-fenici, abitanti della lontana Batanea e delle coste marine. E tutti sono venuti incuranti della stagione e della lunghezza del percorso, e i parenti li hanno accompagnati senza mormorare, senza rammaricarsi dei lavori lasciati sospesi o dei commerci abbandonati. Perché ogni sacrificio era nulla rispetto a ciò che andavano ad ottenere. E, come sono caduti gli egoismi e le incertezze dell’uomo, così sono cadute le idee politiche o religiose che prima costituivano come una muraglia messa ad impedimento per considerarsi tutti fratelli, tutti uguali nel vivere e nel patire, nel desiderare e sperare salute e conforto. Ed Io, a tutti coloro che hanno saputo unificarsi in una speranza che è già fede, ho concesso salute e conforto. Perché è giusto che sia così.

   531.3Io sono il Pastore universale e devo accogliere tutte le pecorelle che vogliono entrare nel mio gregge. Io non faccio distinzione fra pecore sane e malate, fra pecore deboli e forti, fra pecore che mi conoscono, perché già del gregge di Dio, e pecore che sino ad ora non mi conoscevano e non conoscevano neppure il vero Dio. Perché Io sono il Pastore dell’Umanità e prendo le mie pecore da ogni luogo dove esse si trovano e si dirigono a Me. Sono pecore magre, sporche, avvilite, ignoranti, percosse da pastori che non le hanno amate e le hanno respinte dicendole immonde? Non c’è immondezza che non possa essere mondata. E non c’è immondezza che, volendosi mondare e chieda aiuto per esserlo, possa essere respinta con la scusa che è tale.
   I buoni desideri è Dio che li suscita. Se li suscita, segno è che desidera si mutino in realtà. È lo stesso Spirito di Dio che chiede con preghiere ineffabili questo assorbimento di tutti gli uomini da parte dell’Amore, perché lo Spirito di Dio desidera effondersi e arricchirsi. Effondersi amando un numero sconfinato di esseri, appena sufficienti a dare ristoro alla sua infinità d’Amore, e arricchirsi dell’amore di un numero sconfinato di esseri attratti a Lui dalla dolcezza dei suoi profumi.
   Non è perciò lecito ad alcuno sprezzare e respingere chi vuole entrare nel gregge santo. Questo, per quelli fra voi che possono coltivare nel cuore le idee di molto Israele, idee di distinzioni e di giudizi non amati da Dio, perché contrari al suo disegno di fare di tutti i popoli un unico Popolo che porti il Nome del Messia da Lui mandato.
   Però ora parlo anche a quelli venuti da fuori, alle pecore finora selvagge e che sentono desiderio di entrare nel gregge unico dell’unico Pastore. E dico: nulla le sconfidi, nulla le avvilisca. Non c’è paganesimo, non c’è idolatria, non c’è vita disforme a quella che Io insegno, che non possano essere rinnegate e respinte, permettendo allo spirito di rifarsi nuovo, libero da ogni mala pianta, onde essere atto a ricevere le nuove sementi e a rivestirsi delle nuove assise. E questo, più ancora della salute per le membra, dovrebbe spingere i popoli a Me.

   531.4Come — e serva tanto per ebrei di Palestina, come per ebrei e proseliti della Diaspora, come per gentili — come sapete venire a Me perché sia levato alle vostre carni malate il giogo delle infermità, così sappiate venire perché sia levato dal vostro spirito il giogo del peccato o del paganesimo. Dovreste tutti chiedermi per prima cosa, e desiderare con tutte le vostre forze, di essere liberati da ciò che vi fa schiavo lo spirito di forze cattive che lo dominano. Dovreste volere per prima cosa questa liberazione, volere il Regno di Dio in voi per primo miracolo. Perché, avuto questo Regno in voi, ogni altra cosa sarà data, e data in modo che il dono non pesi come un castigo nell’altra vita. Non avete riflettuto a intemperie, fatiche, perdite di denaro, pur di ottenere la salute delle membra che, se anche guarite oggi, in un prossimo domani periranno per morte fisica. Con lo stesso cuore dovreste sapere affrontare ogni cosa pur di ottenere salute allo spirito, e Vita eterna, e possesso del Regno di Dio.
   Scherni e minacce di parenti o di concittadini, o di potestà, che sono rispetto a quello che avrete tutti, di qualchesia luogo veniate, se saprete venire alla Verità e alla Vita? Chi lascerebbe di andare in un luogo, dove sapesse che lo attende una vita felice, per trattenersi un giorno ad una festa che cessa al tramonto? Eppure molti così fanno. E per saziarsi, per una frazione di tempo, delle insipide e inutili gioie del mondo, lasciano di accorrere al luogo dove troverebbero per sempre vero cibo, vera salute, vera gioia, e senza paure di vedersela strappare da odio nemico.
   Nel Regno di Dio non è odio, non guerra, non soprusi. Chi vi sa entrare non conosce più dolore, ansia, sopraffazione, ma possiede la pace gaudiosa che emana dal Padre mio.
   Io vi congedo. Andate. Tornate ai vostri paesi. Ormai i miei discepoli sono numerosi e sparsi per ogni regione palestinese. Ascoltateli, se volete conoscere la mia Dottrina ed essere pronti al giorno della decisione dalla quale dipenderà la vita eterna di molti. Vi do la mia pace perché venga con voi».
   E Gesù, benedetta che ha la folla, rientra in casa…

   531.5Gli apostoli restano ancora fuori per qualche tempo, poi rientrano per il pasto perché il sole, alto nel cielo, dice che è mezzogiorno. Seduti alla rustica tavola, dopo la benedizione del cibo, composto di formaggelle e radicchi lessati conditi con olio, parlano degli avvenimenti del mattino, e si felicitano che il numero dei discepoli evangelizzatori sia ormai tale da sollevare il Maestro dalla fatica di parlare continuamente nelle condizioni di stanchezza in cui si trova. Infatti Gesù si è fatto ancor più magro in questi ultimi tempi, e il suo colore, naturalmente di un bianco-avorio carico, con appena una sfumatura di roseo sotto il brunetto della pelle, al sommo delle guance, è ora affatto bianco, simile a petalo non più fresco di magnolia.
   A me che, vissuta a Milano molto tempo, conosco il delicato colore del marmo di Candoglia col quale è costruito il magnifico Duomo, il volto del Signore, in questi ultimi dolorosi mesi di vita terrena, mi pare proprio del colore di quel marmo che non è bianco, non è rosa, non è giallo, ma ricorda, e con le più delicate sfumature, questi tre colori. Gli occhi sono più fondi e perciò sembrano più scuri, forse anche perché un’ombra di stanchezza ne offusca le palpebre e le occhiaie. Occhi di chi poco dorme e molto piange e soffre. E la mano sembra più lunga perché s’è scarnita e impallidita, dolce mano del mio Signore che già mostra il rilievo dei tendini e le vene, che ha affossature di magrezza e ne traspare perciò la sottoposta ossatura; santa, martire mano già pronta al chiodo che la trafiggerà, e sarà facile ai carnefici trovare il punto dove mettere il chiodo, perché non c’è velo di grassezza sull’ascetica mano del mio Signore.
   Ora sta abbandonata come stanca sul legno scuro della tavola, mentre Egli scrolla il capo sorridendo stancamente ai suoi apostoli che si accorgono della sua infinita stanchezza di membra, di voce e soprattutto di cuore, troppo afflitto, troppo affaticato dallo sforzo di dover tenere uniti tanti cuori diversi, di dover sopportare e tenere nascosto il disonore del discepolo incorreggibile…

   531.6Pietro sentenzia: «Tu sino alla festa della Dedicazione devi riposare assolutamente. A questi che vengono penseremo noi. Tu andrai… Ma sì! In casa di Toma. Sarai vicino e sarai in pace».
   Tommaso appoggia la proposta di Pietro. Ma Gesù scrolla il capo. No. Non vuole andare.
   «Ebbene, allora Tu non parlerai in questi giorni. Possiamo farlo noi. Non saranno parole eccelse, ma staremo su ciò che sappiamo. E Tu curerai soltanto i malati».
   «Possiamo far noi anche quello», dice l’Iscariota.
   «Uhm! Io, per me, mi ritiro», dice Pietro.
   «Eppure lo hai già fatto!».
   «Certo. Quando il Maestro non era con noi, e noi dovevamo rappresentarlo e farlo amare. Ma ora c’è Lui e il miracolo lo fa Lui. Lui solo ne è degno. Miracolo noi! Ma se abbiamo bisogno noi di ricevere quello della rinnovazione di noi, perché da noi, me ne accorgo bene, non faremo mai nulla di buono. Siamo dei miserabili, peccatori e ignoranti».
   «Parla per te, ti prego. Io non mi sento miserabile affatto!», rimbecca Giuda di Keriot.
   «Il Maestro è stanco. La sua stanchezza è più morale che corporale. Se è vero che lo amiamo, evitiamo dispute. Sono le cose che più lo sfiniscono», dice severo lo Zelote.
   Gesù alza gli occhi a guardare l’anziano apostolo, sempre così saggio, e gli stende una mano al disopra del tavolo per carezzarlo. Lo Zelote prende fra le sue mani scure quella mano bianca e la bacia.
   «Hai ragione. Ma anche io, se dico che deve assolutamente riposare. Sembra malato!…», insiste Pietro.
   Tutti annuiscono, compreso il vecchio Giovanni e Elisa, che dice: «È tanto che io lo dico. Per questo vorrei…».

   531.7Un picchio all’uscio. Andrea, che è il più vicino alla porta, va ad aprire ed esce rinchiudendo la porta dietro sé.
   Rientra: «Maestro, c’è una donna. Insiste per vederti. Ha una bambinella con sé. Deve essere di alta condizione, per quanto vesta modesta. Non è malata, né lei né la bambina, direi. Ma non so perché è velata fittamente. La bambina ha degli splendidi fiori sulle braccia».
   «Mandala via. Stiamo dicendo che deve riposare, e tu non lo lasci neppure finire di mangiare!», brontola Pietro.
   «Gliel’ho detto. Mi ha risposto che essa non affaticherà il Maestro, e che Egli avrà certo gioia di vederla».
   «Dille che torni domani, all’ora di tutti. Ora il Maestro va a riposare».
   «Andrea, accompagnala nella stanza alta. Vengo subito», dice Gesù.
   «Ecco! Lo sapevo! Così si riguarda! Proprio come dicevamo di fare!». Pietro è inquieto.
   Gesù si alza e prima di uscire passa dietro a Pietro, gli posa le mani sulle spalle, si curva un poco a baciarlo sui capelli dicendo: «Buono, Simone! Chi mi ama solleva la mia stanchezza più che il riposo su un letto».
   «Che sai Tu se questa è una che ti ama?».
   «Oh! Simone! L’inquietudine ti fa dire parole delle quali sei già pentito, perché le senti stolte! Buono! Buono! Una donna che viene con una creatura innocente, che mi porta la sua creatura innocente con le braccine cariche di fiori, non può che essere una che mi ama e che intuisce il mio bisogno di trovare un po’ di amore e purezza fra tanto odio e sozzura». E se ne va, poi, salendo la scala del terrazzo, mentre Andrea, compiuta la sua missione, rientra in cucina.

   531.8La donna è sulla porta della stanza superiore. Alta, snella sotto un pesante mantello bigio, col viso velato da una tela di bisso avoriata che le scende dal cappuccio chiuso intorno al volto. La bambina, un’infante ancora, perché avrà al massimo tre anni, ha una vestinella bianca di lana e un mantellone a ruota con cappuccetto, pure bianco. Ma il cappuccetto è molto scivolato indietro sui ricciolini di un delicato color biondo castagno, perché la piccola guarda la donna alzando il visetto che emerge dai fiori che tiene stretti fra le braccine. Splendidi fiori, quali solo in questi paesi si possono trovare nel freddo dicembre: rose carnicine mescolate con delicati fiori bianchi che non so cosa siano, non sono molto forte in floricultura.
   Gesù, appena mette piede sulla terrazza, viene salutato dalla vocetta della piccolina, che gli corre incontro sospinta dalla donna, dicendo: «Ave, Domine Jesu!».
   Gesù curva la sua alta persona sulla minuscola sua devota e posandole una mano sui capellucci le dice: «La pace sia con te», e poi si rialza e segue la figliolina, che con un trillo di risa torna alla donna che si è inchinata profondamente, spostandosi di fianco alla porta per lasciare passare il Maestro.
   Gesù la saluta con un cenno del capo ed entra nella stanza, andandosi a sedere sul primo dei sedili che trova, tacendo come in attesa. È molto re. Seduto sul suo povero sedile di legno senza schienale, pare seduto su un trono, tanta è la sua austera dignità. Senza manto, con la sola veste di lana blu scurissimo, senza ornamenti né fregi, un poco sbiadita sulle spalle dove acqua piovana, sole, polvere e sudore hanno intaccato il colore, veste pulita ma povera, pare vestito di porpora, tanta è la maestà del suo portamento. Molto rigido, quasi ieratico nella sostenutezza del capo sul collo, delle mani posate sui ginocchi a palma aperta, coi piedi nudi sul pavimento nudo di mattoni vecchi, con a sfondo la parete nuda e appena scialbata a calcina, con sospeso dietro il capo non un drappo né un baldacchino, ma un setaccio per la farina e una fune dalla quale pendono mazzi di agli e di cipolle, è più imponente che se avesse un pavimento prezioso sotto i piedi, una parete aurea alle spalle e un velo di porpora ornato di gemme sul capo.
   Attende. E la sua maestà paralizza la donna in uno stupore venerabondo. Anche la bambina tace e sta immobile presso la donna, un poco impaurita, forse. Ma Gesù ha un sorriso dicendo: «Sono qui per voi. Non temete». E allora ogni timore cade.
   La donna sussurra qualcosa alla bambina, e la bambina si muove, seguita dalla donna, e va contro i ginocchi di Gesù e gli depone in grembo tutti i suoi fiori dicendo: «Le rose di Faustina al suo Salvatore». Lo dice lentamente, come chi poco sa di una lingua che non è la sua. Intanto la donna si è inginocchiata dietro la bambina gettando indietro il velo. È Valeria, la madre della piccina, che saluta Gesù col suo romano: «Salve, o Maestro».
   «Dio venga a te, donna. Come sei qui? E così sola?», dice Gesù mentre carezza la piccolina che non ha più paura e che, non contenta di aver messo i fiori in grembo a Gesù, fruga con le manine nel fascio profumato e sceglie quelli che secondo lei sono i più belli, dicendo: «Prendi! Prendi! Sono tuoi, sai?», e alza ora una rosa, ora una delle larghe ombrelle bianche a stelline odorose, vicino al volto di Gesù, che accetta e poi ridepone sul mucchio profumato.

   531.9Intanto Valeria parla. «Ero a Tiberiade perché mia figlia aveva un poco di malattia e il nostro medico lo aveva consigliato…». Valeria ha una pausa lunga, muta colore, e poi dice in fretta: «e io avevo tanta sofferenza nel cuore e ti desideravo. Perché per il mio soffrire solo un medico poteva trovare guarigione: Tu, Maestro che hai parole di giustizia in tutte le cose… Sarei perciò venuta lo stesso. Per l’egoismo di essere confortata, e anche per sapere quello che devo fare per… Sì, per avere azioni di riconoscenza verso Te e il tuo Dio, che mi avete concesso di avere questa mia creatura… Ma noi sappiamo tante cose, Maestro. I rapporti dei minimi fatti della Colonia vengono deposti giornalmente sul tavolo di lavoro di Ponzio Pilato, il quale ne prende visione, ma per prendere le decisioni in merito molto si consiglia con Claudia… Molti rapporti parlavano di Te e degli ebrei che tengono agitato il paese, facendo di Te nello stesso tempo un’insegna di riscossa nazionale e una causa di odio civile. Claudia vede giusto dicendo al marito che di uno solo in tutta la Palestina egli non deve temere come di causa di sua disgrazia: di Te. E Pilato giorno per giorno l’ascolta… Finora la più forte è Claudia. Ma se domani un’altra forza dominasse Pilato… Ho saputo, perciò, e ho sentito che la mia innocente ti avrebbe consolato…».
   «Hai avuto un cuore pietoso e illuminato, donna. Dio ti illumini del tutto e vegli su questa creatura tua, ora e sempre».
   «Grazie, Signore. Ho bisogno di Dio…». Delle lacrime cadono dagli occhi di Valeria.
   «Sì, ne hai bisogno. In Dio troverai ogni conforto e saprai trovare la guida per essere giusta nel giudicare, perdonare, amare ancora, e soprattutto educare questa, perché abbia la vita felice di quelli che sono figli del Dio vero.

   531.10Tu vedi. Il Dio che non conoscevi, che forse avevi deriso, Lui e la sua Legge, così diverso dai vostri dèi e dalle vostre leggi e religioni, che avevi certo offeso con un modo di vivere in cui la virtù non era rispettata in tante cose, lievi ancora, se vuoi, ma via a più gravi ferite alla virtù e offese alla Divinità che ha creato te pure, ti ha tanto amata che, attraverso ad un dolore che sentivi con la tua umanità di madre, e di madre che non sa di vita futura e perciò di temporanea separazione dalla carne della sua carne, ti ha portata a Me. Ti ha tanto amata da condurre Me a Cesarea quando tu agonizzavi quasi sulle piccole carni della tua creatura che raffreddavano già nell’agonia.
   Ti ha tanto amata che te l’ha resa[74], perché tu avessi sempre presente la bontà e potenza del Dio vero e avessi un freno contro ogni licenza pagana e un conforto in ogni dolore di donna coniugata. Ti ha tanto amata che attraverso ad un altro dolore ha rafforzato in te la volontà di venire alla Via, alla Verità, alla Vita, e di fissarviti con la tua creatura perché ella almeno, fino dalla prima sua infanzia, possieda ciò che è conforto e pace, salute e luce nelle tristi giornate della Terra, e le abbia a preservazione di tutto quanto fa soffrire te, nella tua parte migliore, e in quella affettiva. La prima, istintivamente buona e insofferente del fango oscuro in cui è obbligata a vivere. La seconda, disordinata nella sua bontà.
   Perché nei tuoi affetti tu sei pagana, o donna. Non è tua colpa. È colpa del secolo in cui vivi. E del gentilesimo nel quale sei cresciuta. Soltanto chi è nella vera Religione sa dare agli affetti il valore e la misura e le manifestazioni giuste. Tu, madre che non sapevi di vita eterna, amavi disordinatamente la tua bambina e, vedendola morire, disperatamente ti ribellavi a questa perdita, resa folle dalla morte incombente. Come uno che veda ghermito da un pazzo l’essere a lui più caro, e lo veda tenere sospeso su un abisso dal fondo del quale non potrebbe risorgere se vi cadesse, anzi non potrebbe neppure più essere riportato neanche come fredda spoglia al bacio del suo amore, così tu vedevi la tua Fausta già sospesa sull’abisso del nulla… Povera mamma che non avrebbe avuto più la figlia! Non più con la carne, non più con lo spirito. Il nulla. Il finito, l’inesorabilmente finito che è la morte per coloro che non credono alla Vita spirituale.
   Tu, moglie pagana, amante, fedele, hai amato nello sposo il tuo dio terreno di amore carnale, il tuo bel dio che si faceva adorare da te, abbassando la tua dignità di uguale ad una servilità da schiava. La moglie sia sommessa al marito, umile, fedele, casta. Sì. Egli, l’uomo, è il capo della famiglia. Ma capo non vuol dire despota. Capo non vuol dire capriccioso padrone al quale è lecito ogni capriccio non solo sulla carne ma sulla parte migliore della sposa. “Dove tu Caio, ivi io Caia”, voi dite. Povere donne di un luogo dove licenza è persino nelle favole dei vostri dèi, quelle fra voi che impudiche e sfrenate non sono, come potete essere dove sono i vostri sposi? È inevitabile che chi non è licenziosa e corrotta si stacchi con disgusto e provi un dolore veramente atroce, come di fibre che si lacerano, uno sbigottimento, un crollo di tutto il culto verso il marito contemplato sempre come un dio, quando scopre che colui che adorava come dio è un misero essere dominato dall’animalità brutale, licenzioso, adultero, svagato, indifferente, derisore dei sentimenti e delle dignità della sposa.
   Non piangere. Io pure so tutto, e anche senza bisogno dei rapporti dei centurioni. Non piangere, donna. Impara invece ad amare nell’ordine tuo marito».

   531.11«Non posso più amarlo. Non lo merita più. Lo disprezzo. Non avvilirò me stessa imitandolo, ma non lo posso più amare. Tutto è finito fra noi. L’ho lasciato andare… senza cercare di trattenerlo… In fondo gli sono stata grata per un’ultima volta, per questo suo andarsene… Non lo ricercherò. Del resto, quando mai mi fu compagno? Caduta la benda della mia adorazione, ora ricordo e giudico le sue azioni. Era forse con il mio cuore quando io piangevo dovendo seguirlo qui, lasciando la madre malata e la patria, essendo sposa novella e prossima a partorire? Egli rideva fatuo, coi suoi amici, delle mie lacrime e delle mie nausee, ammonendomi soltanto di non sporcargli la veste. Era forse al mio fianco nelle nostalgie mie di spaesata? No. Fuori, con gli amici, ai festini dove il mio stato non mi consentiva di andare… Era forse curvo con me sulla cuna della neonata? Rise quando gli mostrarono la figlia, dicendo: “Quasi la farei deporre al suolo. Non per avere delle femmine ho preso il giogo matrimoniale”. Né presenziò alla purificazione, dicendola “inutile pantomima”. E poiché la piccina piangeva, disse nel­l’uscire: “Mettetele nome Libitina, e sia sacra alla dea”. E quando Fausta fu morente, divise forse con me l’affanno? Dove era la notte che precedette la tua venuta? In casa di Valeriano ad un banchetto. Ma lo amavo; era, hai detto giusto, il mio dio. Tutto mi pareva buono in lui, giusto in lui. Mi concedeva di amarlo… ed ero la schiava più schiava dei suoi voleri. Sai perché mi ha respinta da lui?».
   «Lo so. Perché nella carne tua era ridestata l’anima ed eri non più femmina ma donna».
   «Così. Ho voluto della mia casa fare una casa virtuosa… ed egli si è fatto mandare ad Antiochia presso il Console imponendomi di non seguirlo, e seco ha portato le schiave favorite. Oh! non lo seguirò! Ho mia figlia. Ho tutto».
   «No. Non hai tutto. Hai una parte, una piccola parte del Tutto, quanto ti serva ad essere virtuosa. Il Tutto è Dio. Tua figlia non ti deve essere ragione di ingiustizia al Tutto, ma di giustizia. Per lei e con lei tu hai il dovere di essere virtuosa».
   «Sono venuta per consolarti e Tu mi consoli. Ma anche sono venuta per chiederti come educare questa bambina per farla degna del suo Salvatore. Avevo pensato di farmi proselite vostra e di farla tale essa pure…».
   «E tuo marito?».
   «Oh! tutto è finito con lui».
   «No. Tutto incomincia. Sei sempre sua moglie. Il dovere della moglie buona è di far buono il consorte».
   «Egli dice che vuol divorziare. E lo farà certo. Perciò…».
   «E lo farà. Ma ancora non lo ha fatto. E sinché non lo ha fatto, tu sei sua moglie anche secondo la vostra legge. E come tale hai il dovere di restare come moglie al tuo posto. Il tuo posto è quello di seconda al marito nella casa, presso tua figlia, al cospetto dei servi e del mondo. Tu pensi: egli ha dato il mal esempio. È vero. Ma questo non ti esime dal dare tu esempio di virtù. Egli se ne è andato. È vero. Tu presso la figlia e i servi prendi il suo posto.

   531.12Non tutto è riprovevole nelle vostre consuetudini. Quando Roma era meno corrotta, caste erano le sue donne, laboriose, e servivano la divinità con una vita di virtù e di fede. Anche se la misera condizione di pagane le faceva servire falsi dèi, l’idea era buona. Esse davano le loro virtù all’Idea della religione, al bisogno di un rispetto ad una religione, a una Divinità il cui vero nome era loro ignoto, ma che sentivano essere, e più grande del licenzioso Olimpo, delle avvilite deità che lo popolavano secondo le leggende mitologiche. Inesistente il vostro Olimpo, inesistenti i vostri dèi. Ma le vostre virtù antiche erano frutto della convinzione verace di dover essere virtuosi per essere guardati con amore dagli dèi; erano frutto del dovere che sentivate di avere verso le divinità che adoravate. Agli occhi del mondo, specie del nostro mondo giudaico, parevate stolti per questo vostro onorare ciò che non era. Ma alla Giustizia eterna e vera, al Dio altissimo, unico e onnipotente Creatore di tutte le creature e le cose, quelle virtù, quel rispetto, quel dovere non erano vani. Il bene è sempre bene, la fede ha sempre valore di fede, la religione ha sempre valore di religione, se colui che li segue e pratica e possiede è convinto di essere nel vero.
   Io ti esorto ad imitare le vostre antiche donne caste, laboriose e fedeli, rimanendo al tuo posto, colonna e luce nella tua casa e della tua casa. Non credere che ti venga meno il rispetto dei servi perché sei rimasta sola. Fino ad ora ti hanno servita con paura e talora con nascosto senso di odio e ribellione. D’ora in poi ti serviranno con amore. Gli infelici amano gli infelici. I tuoi schiavi conoscono il dolore. La tua gioia era per essi un pungolo amaro. Le tue pene, spogliandoti della fredda luce di padrona, nel senso più odioso di questa parola, ti rivestiranno di una luce calda di pietà. Sarai amata, Valeria. E da Dio e da tua figlia e dai tuoi servi. E se anche non fossi più la moglie ma la divorziata, ricorda (Gesù si alza in piedi) che la separazione legale non distrugge il dovere della donna di essere fedele al suo giuramento di sposa.

   531.13Tu vorresti entrare nella religione nostra. Uno dei precetti divini di essa è che la donna è carne della carne dello sposo e che nessuna cosa o persona può separare ciò che Dio ha fatto una carne sola. Anche noi abbiamo il divorzio. È venuto come malvagio frutto della lussuria umana, del peccato di origine, della corruzione degli uomini. Ma non è venuto spontaneamente da Dio. Dio non muta la sua parola. E Dio aveva detto, ispirando ad Adamo, innocente ancora e perciò parlante con intelligenza non offuscata dalla colpa, le parole: che gli sposi, una volta uniti, dovevano essere una carne sola. La carne non si separa dalla carne altro che per sciagura di morte o di malattia. Il divorzio mosaico, concesso ad evitare peccati atroci, non concede alla donna che una libertà ben meschina. La divorziata è sempre una menomata nel concetto degli uomini, sia che resti tale, sia che passi a seconde nozze. Nel giudizio di Dio, poi, è un’infelice se diviene divorziata per malanimo dello sposo e resta divorziata; ma non è che una peccatrice, un’adultera, se lo diviene per turpi colpe proprie o si risposa. Ma tu, volendo entrare nella nostra religione, lo fai per seguire Me. E allora Io, Verbo di Dio, essendo venuto il tempo della perfetta religione, ti dico ciò che dico a molti. Non è lecito all’uomo di separare ciò che Dio ha unito, ed è adultero sempre colui, o colei, che avendo il coniuge vivente passa ad altre nozze.
   Il divorzio è prostituzione legale, mettendo in condizione uomo e donna di commettere peccati di lussuria. La donna divorziata difficilmente resta vedova di un vivo, e vedova fedele. L’uomo divorziato non resta mai fedele al primo coniugio. Tanto l’uno che l’altra, passando ad altre unioni, scendono dal livello di uomini a quello di bruti, ai quali è concesso cambiare femmina ad ogni appello di senso. La fornicazione legale, pericolosa alla famiglia e alla patria, è delittuosa verso gli innocenti. I figli dei divorziati devono giudicare i genitori. Severo giudizio quello dei figli! Almeno uno dei genitori viene condannato dai figli. Ed i figli vengono, dall’egoismo dei genitori, condannati ad una vita affettiva mutilata. Che se poi alle conseguenze famigliari del divorzio, che priva del padre o della madre i figli innocenti, si unisce il nuovo matrimonio del coniuge al quale sono stati affidati i figli, alla condanna di una vita affettiva mutilata di un membro si unisce l’altra mutilazione, quella della perdita, più o meno totale, dell’affetto dell’altro membro, diviso o totalmente assorbito dal nuovo amore e dai figli del nuovo coniugio.
   Parlare di nozze, di matrimonio in caso di novella unione di un divorziato o di una divorziata, è profanare il significato e la cosa che è il matrimonio. Solo la morte di uno dei coniugi e la vedovanza consecutiva dell’altro può giustificare le seconde nozze. Per quanto Io giudichi che sarebbe cosa migliore chinare il capo al verdetto sempre giusto di chi regola i destini degli uomini e chiudersi in castità, quando la morte ha messo fine allo stato matrimoniale, dedicandosi tutta ai figli e amando il coniuge passato all’altra vita nelle sue creature. Amore spogliato da ogni materialità, santo e verace. Poveri figli! Conoscere dopo la morte, o il crollo del focolare, la durezza di un secondo padre o di una seconda madre e l’angoscia di vedere le carezze divise con altri figli che fratelli non sono!

   531.14No. Nella mia religione non sarà il divorzio. E adultero e peccatore sarà colui che contrarrà divorzio civile per contrarre nuova unione. La legge umana non muterà il mio decreto. Il matrimonio nella religione mia non sarà più un contratto civile, una promessa morale, fatta e sancita alla presenza di testimoni a questo preposti. Ma sarà un indissolubile legame ribadito, saldato e santificato dal potere santificante che Io darò ad esso, divenuto Sacramento. Per farti comprendere: rito sacro. Potere che sarà di aiuto a praticare santamente tutti i doveri matrimoniali, ma che sarà anche sentenza di indissolubilità del vincolo. Sino ad ora il matrimonio è un mutuo contratto naturale e morale fra due di sesso diverso. Da quando sarà la mia legge, esso sarà esteso all’anima dei coniugi. Diverrà perciò anche contratto spirituale, sancito da Dio attraverso ai suoi ministri. Ora tu sai che nulla è superiore a Dio. Perciò, ciò che Egli avrà unito nessuna autorità, legge o capriccio umano potrà più sciogliere. Il “dove tu Caio, io Caia” del vostro rito si perpetua nell’al di là nel nostro, nel mio rito, perché la morte non è fine, ma separazione temporanea dello sposo dalla sposa, e il dovere d’amare dura anche oltre la morte.
   Per questo dico che vorrei castità nei vedovi. Ma l’uomo non sa essere casto. E anche perciò dico che i coniugi hanno il dovere reciproco di migliorare l’altro coniuge. Non crollare il capo. Tale è il dovere, e il dovere va fatto se si vuole veramente seguire Me».

   531.15«Sei duro oggi, Maestro».
   «No. Sono Maestro. E ho di fronte una creatura che può crescere nella vita della Grazia. Se non fossi qual sei, ti imporrei meno. Ma tu hai tempra buona, e la sofferenza depura e tempra sempre più il tuo metallo. Un giorno mi ricorderai e mi benedirai di essere stato quale sono».
   «Mio marito non tornerà indietro…».
   «E tu andrai avanti. Tenendo per mano l’innocente, camminerai sulla via della Giustizia. Senza odio, senza vendetta; senza però anche inutili attese e rimpianti per ciò che si è per­du­to».
   «Tu lo sai, allora, che l’ho perduto!».
   «Lo so. Ma non tu: lui ha perduto te. Non ti meritava. Ora ascolta… È duro. Sì. Mi hai portato delle rose e dei sorrisi innocenti per consolarmi… Io… non posso che prepararti a portare il serto di spine delle spose abbandonate… Ma rifletti. Se potesse retrocedere il tempo e ricondurti a quel mattino in cui Fausta era morente ed il tuo cuore fosse messo in condizione di scegliere fra la figlia e il marito, dovendo assolutamente perdere uno dei due, tu che sceglieresti?…».
   La donna riflette, pallida ma forte nel suo soffrire, dopo le poche lacrime avute in principio del dialogo… Poi si china sulla piccolina, che si è seduta sul pavimento e si diverte a mettere dei fiorellini bianchi tutt’intorno ai piedi di Gesù, la raccoglie, l’abbraccia e grida: «Questa sceglierei, perché a questa posso dare il mio stesso cuore, e crescerla come ho imparato che vivere si deve. La mia creatura! Ed essere unite anche nell’oltre vita. Sempre sua madre io, sempre mia figlia lei!», e la copre di baci, mentre la piccolina le si stringe al collo tutta amore e sorrisi. «Dimmi, oh! dimmi, Maestro che insegni a vivere da eroi, cosa, come allevare costei per essere ambedue nel tuo Regno? Che parole, che atti insegnarle?…».
   «Non necessitano parole né atti speciali. Sii perfetta perché essa rifletta la tua perfezione. Ama Dio e prossimo perché ella impari ad amare. Vivi sulla Terra con i tuoi affetti in Dio. Essa ti imiterà. Per ora così. Più tardi il Padre mio, che vi ha amate in modo speciale, provvederà ai vostri bisogni spirituali, e diverrete sapienti nella fede che porterà il mio Nome. Questo è tutto il da farsi. Nell’amore di Dio troverai ogni freno contro il Male. Nell’amore del prossimo avrai aiuto contro l’accasciamento delle solitudini. E insegna a perdonare. A te stessa… e alla tua creatura. Comprendi ciò che voglio dire?».
   «Comprendo… È giusto…

   531.16Maestro, io ti lascio. Benedici una povera donna… che è più povera di una mendica che abbia fedele il compagno…».
   «Dove sei ora? A Gerusalemme?».
   «No. A Bétèr. Giovanna, che è buona tanto, mi ha mandata nel suo castello… Soffrivo troppo lassù… Starò là finché non viene a Gerusalemme Giovanna, ossia presto. Scende in Giudea con tua Madre e le altre discepole ai primi tepori di primavera. Dopo starò con lei qualche tempo. Poi verranno le altre e andrò con loro. Ma il tempo avrà medicato già la ferita».
   «Il tempo e soprattutto Dio e il sorriso della tua bambina. Addio, Valeria. Il Dio vero, che cerchi con spirito buono, ti conforti e protegga». Gesù posa la mano sulla testa della piccolina benedicendo. Poi si avvicina alla porta chiusa chiedendo: «Sei venuta sola?».
   «No. Con una liberta. Il carro mi attende nel bosco prima del paese. Ci vedremo ancora, Maestro?».
   «Per la Dedicazione sarò a Gerusalemme, al Tempio».
   «Ci sarò, Maestro. Ho bisogno delle tue parole per la nuova vita…».
   «Vai tranquilla. Dio non lascia senza aiuto chi lo cerca».
   «Credo… Oh! è pur triste il nostro mondo pagano!».
   «La tristezza è dovunque non è vera vita in Dio. Anche in Israele si piange… È perché non si vive più nella Legge di Dio. Addio. La pace sia con te».
   La donna si curva in inchino profondo e suggerisce alla bambina qualcosa. E la piccolina alza il viso, tende le braccine e ripete con la sua vocetta di fringuello: «Ave, Domine Jesu!».
   Gesù si china, cogliendo sulla bocchina il bacio innocente che già vi si forma, e la benedice ancora… Poi rientra nella stanza e si siede pensoso presso i fiori sparsi al suolo.

   531.17Passa qualche tempo così. Poi qualcuno bussa alla porta.
   «Vieni».
   La porta si schiude e si insinua nella fessura la faccia onesta di Pietro.
   «Sei tu? Vieni…».
   «No. Dovresti venire Tu da noi. Fa freddo qui. Che bei fiori! Un valore!». Pietro, parlando, osserva il suo Maestro.
   «Sì, un valore. Ma l’atto e il modo come fu compiuto vale più dei fiori. Me li ha portati la bambina di Valeria, la romana amica di Claudia».
   «Eh! so! so! E perché?».
   «Per consolarmi. Sanno ciò che soffro, e Valeria ha avuto questo pensiero. Ha pensato che i fiori di un’innocente potessero consolarmi…».
   «Una romana!… E noi d’Israele ti diamo soltanto dolore… Giuda ha sospettato giusto. Diceva che aveva visto un carro fermo e che certo era una romana la donna… e… e si era turbato, Maestro…». Pietro è tutto un’interrogazione.
   Ma Gesù non dice altro che: «Dove è Giuda?».
   «Fuori. Voglio dire sulla via, presso il bosco. Vuol vedere chi è venuto da Te…».
   «Scendiamo».
   Giuda è già nella cucina. Si volta vedendo entrare Gesù e dice: «Anche se volessi negarlo, non potresti negare che quella donna è venuta per… lamentarsi di qualche cosa! Hanno ancora altro da dire? Non hanno altra occupazione che spiare e riferire e…».
   «Non sono tenuto a risponderti. Ma lo faccio per tutti. E Simon Pietro sa già chi è, e a tutti dico perché è venuta. Anche le creature in apparenza più felici possono avere necessità di conforto e di consiglio…

   531.18Andrea, sali a raccogliere i fiori portati dalla bambina e portali al piccolo Levi».
   «Perché?».
   «Perché è morente».
   «È morente? Ma se all’ora di terza l’ho visto io, ed era sano?», dice stupito Bartolomeo.
   «Era sano. Avanti sera sarà morto».
   «Se sta così male, non godrà dei fiori…».
   «No. Ma nella casa sbigottita i fiori mandati dal Salvatore diranno una parola luminosa».
   Gesù si siede, mentre tutti parlano della labilità della vita ed Elisa si mette il mantello dicendo: «Vado io pure con Andrea… Quella povera madre!…».
   Si vedono allontanare Andrea ed Elisa con i fiori fra le mani…
   Gesù tace. Anche Giuda tace. Incerto. Gesù è silenzioso ma non severo… Giuda gli gira intorno, pungolato dalla voglia di sapere, dall’ansia tormentosa di chi non ha la coscienza in pace. Ma finisce a tirare in disparte Pietro e ad interrogarlo. Si rassicura dopo avere parlato con Pietro e va a stuzzicare Matteo, che scrive quietamente su un angolo del tavolo.
   Ritorna Andrea di corsa. Parla affannato: «Maestro, …il bambino proprio è morente… D’improvviso… Sembravano pazzi… Ma quando Elisa ha detto: “Li manda il Signore”, e io… credevo che capissero: “per il letto funebre”, la madre e il padre… insieme hanno detto: “Oh! è vero! Corri a chiamarlo. Egli lo guarirà”».
   «La parola della fede. Andiamo», e Gesù esce quasi di corsa. Naturalmente tutti lo seguono, anche il vecchio Giovanni, arrancante, in coda a tutti.

   531.19La casa è in fondo al paese. Ma Gesù presto vi arriva e si fa largo fra la gente, che ingombra la porta aperta. Va diritto ad una stanza in fondo all’andito, perché è una casa vasta con molti abitanti, forse fratelli fra loro.
   Nella stanza, curvi sul letto improvvisato, il padre, la madre ed Elisa… Non vedono Gesù altro che quando Egli dice: «La pace a questa casa». Allora lasciano il letto, gli infelici genitori, e si gettano ai piedi di Gesù. Solo Elisa resta dove è, intenta a sfregare le membra, che ghiacciano, con sostanze aromatiche.
   Il piccolo è proprio in estremo, il suo corpo ha già la pesantezza e l’abbandono della morte, e il visetto è cereo con le narici fuliginose e le labbra violacee. Il piccolo respira a fatica, con spasimo del piccolo petto, e ogni respiro sembra sempre l’ultimo, tanto è staccato dal precedente.
   La madre piange col viso sui piedi di Gesù. Il padre, pure lui curvo sino a terra, dice: «Abbi pietà! Abbi pietà!». Non sa dire altro.
   Gesù dice: «Levi, vieni da Me», e tende le braccia.
   Il piccolo, un fanciullino di un cinque anni circa, ha come una scossa, come se qualcuno l’avesse chiamato forte mentre dormiva. Si siede senza fatica, si sfrega con i pugnelli gli occhietti, si guarda intorno come stupito e, vedendo Gesù, con un sorriso si getta giù dal lettuccio e va sicuro, nella sua tunichella, verso il Salvatore.
   I genitori, curvi come sono, non vedono nulla. Ma le esclamazioni di Elisa che grida: «Bontà eterna!», e degli apostoli e curiosi che dall’andito hanno un «oh!» stupefatto, li avvertono di quel che avviene; alzano il viso dal suolo e vedono il figliolino lì, sano come mai fosse stato morente…
   La gioia fa ridere, fa piangere, urlare e tacere, a seconda delle reazioni dell’individuo. Qui produce uno stupore muto, quasi spaurito… È troppa la differenza fra la condizione precedente e quella attuale, e i due poveri genitori, già sbalorditi dal dolore, stentano ad accogliere la gioia.

   531.20Ma infine vi riescono, mentre il bambino è preso in braccio da Gesù, e allora al mutismo segue un diluvio di parole miste a voci di gioia e benedizione, ed è difficile seguirlo questo diluvio di parole che si soverchiano disordinatamente. Ricostruisco da esse che verso l’ora di sesta il bambino, che giocava nell’orto, era rientrato in casa lamentandosi di dolori addominali. Preso in braccio dalla nonna e tenuto vicino al fuoco, pareva migliorare. Ma poi, prossima l’ora di nona, era stato preso da vomito di materie intestinali e subito era entrato in agonia. La peritonite fulminante[75] classica. Il padre era corso a Gerusalemme al primo accenno del male ed era tornato con un medico che, visto il bambino, al quale intanto era venuto il vomito, aveva detto: «Non può vivere», e se ne era andato… Infatti di minuto in minuto il piccolo peggiorava e raffreddava già, né essi nell’angoscia dell’improvvisa sciagura erano capaci di pensare alla salvezza vicina. Soltanto quando Andrea ed Elisa erano entrati coi fiori dicendo: «Li manda Gesù a Levi», essi avevano avuto come una luce interna e avevano detto: «Gesù lo salverà».
   «E lo hai salvato, benedetto in eterno! I tuoi fiori! La speranza! La fede! Oh, sì! la fede nel tuo amore per noi! Ma come hai saputo? Benedetto! Chiedi ciò che vuoi da noi! Ordina come a schiavi! Tutto ti dobbiamo!…».
   Gesù li ascolta tenendo il bambino sempre in braccio. Li lascia parlare finché sono stanchi, finché i loro nervi sottoposti a tanta tensione si sono rilassati nello sfogo. Poi dice dolcemente: «Amo i bambini ed i cuori fedeli. Voi tutti di Nobe siete molto buoni con Me. Se sono buono con chi mi odia, che darò a chi mi ama? Io sapevo… e sapevo anche che il dolore vi faceva dimenticare la Sorgente della Vita. Vi ho voluto indicare la via…».
   «Ma perché non sei venuto da Te, Signore? Temevi forse che non ti accogliessimo?».
   «No. Sapevo che mi avreste accolto con amore. Ma fra questi che ci stanno intorno vi era qualcuno che aveva bisogno di persuadersi che Io non ignoro nulla degli uomini e dello stato dei cuori. E ho voluto anche che altri comprendessero che Dio risponde a chi lo invoca con fede.

   531.21Ora state in pace. E crescete sempre più nella fede nella misericordia di Dio. La pace sia con voi tutti. Addio, Levi. Va’ dalla mamma, ora. Addio, donna. Consacra al Signore anche quella che porti nel seno, in ricordo della bontà che il Signore ti ha usata. Addio, uomo. Conserva il tuo spirito nella giustizia».
   Si volge per andare, passando a fatica fra i parenti che si pigiano nell’andito: nonni, zii, cugini del miracolato, che vogliono tutti parlare a Gesù, benedirlo, esserne benedetti, baciargli le vesti, le mani… E poi, dopo la numerosa parentela, è la gente del paese che vuole fare la stessa cosa, ma questa si riversa sulla via dietro a Gesù, lasciando quelli della casa benedetta dal miracolo alla loro gioia. E nelle strade ormai oscure, col solito rumore delle ore di festa, tutta Nobe riconduce Gesù alla casetta di Giovanni, e ci vuole tutta l’autorità degli apostoli per persuadere i cittadini a tornare alle loro case lasciando in pace il Maestro, e all’autorità devono unire anche mezzi più energici, come la minaccia che, se non lo lasciano riposare, domani andranno tutti via di lì, per riuscire ad ottenere lo scopo.
   E finalmente lo Stanco può riposare…

[74] te l’ha resa, in 155.4/5.
[75] peritonite fulminante è la conclusione personale della scrittrice, che fa la sua diagnosi (era stata infermiera) dopo avere “ascoltato” e ricostruito il concitato racconto della sintomatologia del male che aveva colpito il bambino.