MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME IX CAPITOLO 574



DLXXIV. Andando da Enon a Tersa, Gesù riscatta e accoglie un pastorello dopo aver dato la cecità ad un crudele e la vista ad un cieco.

   4 marzo 1947.

   574.1Enon, un pugno di case, è più su, verso nord. Qui è il luogo dove era il Battista: una grotta fra un rigoglio di vegetazione. Poco lungi, delle sorgive chioccolano, formando poi un rio ben nutrito d’acque che vanno verso il Giordano. Gesù è seduto fuor della grotta. Là dove era quando salutò il cugino[46]. È solo. L’aurora tinge appena di roseo l’oriente e le selve si ridestano con i cinguettii degli uccelli che si svegliano. Dei belati vengono dagli ovili di Enon. Un raglio squarcia l’aria cheta.
   Un trepestio di passetti sul sentiero. Passa un gregge di capre guidate da un adolescente, che si ferma per un attimo, incerto, a guardare Gesù. Poi se ne va. Ma dopo poco ritorna, perché una capretta si è impuntata di stare lì, ad osservare l’uomo che non era solita a vedere in quel luogo e che stende la sua lunga mano per offrirle uno stelo di maggiorana e la carezza sulla testa intelligente. Il pastorello resta interdetto. Non sa se allontanare la bestia o lasciare che Gesù la carezzi sorridendo, come fosse contento che essa senza timore venga ad accosciarsi ai suoi piedi, posandogli la testa sui ginocchi. Anche le altre capre tornano indietro, brucando l’erba sparsa di fioretti.
   Il pastorello chiede: «Vuoi del latte? Non ho ancora munto due capre restie, che se non sono satolle cozzano chi le preme nel petto. Uguali al loro padrone, che se non è satollo di guadagno ci bastona».
   «Sei servo pastore?».
   «Sono orfano. Solo sono. E sono servo. Egli mi è parente, perché è marito della sorella della madre di mia madre. E sinché ci fu Rachele… Ma è morta da molti mesi… Ed io sono molto infelice… Prendimi con Te! Sono abituato a vivere di nulla… Ti sarò servo… un poco di pane mi basta per paga. Anche qui non ho nulla… Se mi pagasse, me ne andrei. Ma dice: “Questi i denari tuoi? Me li tengo perché ti vesto e sfamo”. Mi veste!… Lo vedi? Mi sfama!… Guardami… E queste sono percosse… Il mio pane di ieri, questo…». Mostra delle lividure sulle braccia e spalle magrissime.
   «Che avevi fatto?».
   «Nulla. I tuoi compagni, i discepoli voglio dire, parlavano del Regno dei Cieli e io li ascoltavo… Era sabato. Anche se non lavoravo, non ero ozioso perché era sabato… Mi picchiò forte, tanto che… che io non voglio più stare con lui. Prendimi. O io fuggirò… Sono venuto apposta qui, questa mattina. Avevo paura a parlare. Ma sei buono. Parlo».
   «E il gregge? Non vorrai certo fuggire con esso…».
   «… Lo riporterò all’ovile… L’uomo fra poco andrà al bosco per segare legna… Io riporterò il gregge e fuggirò. Oh! prendimi!».

   574.2«Ma tu sai chi sono?».
   «Sei il Cristo! Il Re del Regno dei Cieli. Chi ti segue è beato nell’altra vita. Non ho mai avuto gioia qui… ma, non mi respingere… che io l’abbia di là…». Piange gettato ai piedi di Gesù, vicino alla capretta.
   «Come mi conosci così bene? Mi hai forse sentito parlare?».
   «No. So da ieri che qui, dove era il Battista, sei Tu. Ma da Enon qualche volta passavano dei tuoi discepoli. Ho sentito loro. Si chiamano Mattia, Giovanni, Simeone, ed erano spesso qui, perché il Battista era il loro maestro prima di Te. E poi Isacco… In Isacco io ritrovavo padre e madre. Isacco mi voleva anche levare al padrone e dette denaro. Ma lui! Lo prese, sì, il denaro, ma poi non mi dette, schernendo il tuo discepo­lo».
   «Tu sai molto. Ma sai dove Io vado?».
   «A Gerusalemme. Ma non porto scritto sul volto che sono di Enon[47]».
   «Vado più lontano. Presto me ne vado. Non ti posso prendere».
   «Prendimi per questo poco che puoi».
   «E poi?».
   «E poi… Piangerò, ma andrò con quelli di Giovanni, che per primi hanno detto al povero fanciullo che la gioia che gli uomini non danno in Terra, la dà Dio nel Cielo a chi ha avuto buona volontà. Io, per averla, ho preso tante percosse e fatta tanta fame, chiedendo a Dio di darmi questa pace. Vedi che ho avuto buona volontà… Ma ora, se mi respingi, io… non potrò più sperare…». Piange chetamente, supplicando Gesù con gli occhi piangenti più che con le labbra.

   574.3«Non ho denaro per il tuo riscatto. Né so se il tuo padrone consentirebbe, anche, ad esso».
   «Ma io sono già stato pagato. Ho testimoni. Eli, Levi e Giona hanno visto e rimproverato l’uomo. E sono i più grandi di Enon, sai, loro!».
   «Se è così… Andiamo. Alzati e vieni».
   «Dove?».
   «Dal tuo padrone».
   «Ho paura! Va’ solo. È là su quel monte, fra le piante che sega. Io aspetto qui».
   «Non temere. Guarda, vengono qui i miei discepoli. Saremo in tanti contro di lui. Non ti farà male. Alzati. Andremo a Enon a cercare dei tre testimoni e andremo dal tuo padrone. Dammi la mano. Dopo ti consegnerò ai discepoli che conosci. Come ti chiami?».
   «Beniamino».
   «Ho due altri piccoli amici di questo nome. Tu sarai il ter­zo».
   «Amico? Troppo! Servo sono».
   «Del Signore altissimo. Di Gesù di Nazaret tu sei l’amico. Vieni. Raccogli il gregge e andiamo».

   574.4Gesù si alza e, mentre il pastorello raduna e spinge le capre restie sulla via del ritorno, Gesù fa cenno agli apostoli, che avanzano sul sentiero e guardano verso Gesù, di venire presto. Quelli affrettano il passo. Ma il gregge è ormai in cammino e Gesù col pastorello per mano va verso di loro…
   «Signore! Pastore di capretti ti sei fatto? Veramente la Samaria può essere chiamata la capra… Ma Tu…».
   «Ma Io sono il Buon Pastore e muto anche i capretti in agnelli. I fanciulli poi sono tutti agnelli, e costui poco più che fanciullo è».[48]
   «Non è forse il fanciullo che ieri quell’uomo portò via con così mal modo?», dice Matteo osservandolo.
   «Io credo che sia lui. Sei quello?».
   «Lo sono».
   «Oh! povero ragazzo! Tuo padre non ti ama certo!», dice Pietro.
   «Il mio padrone. Non ho altro padre che Dio».
   «Sì. I discepoli di Giovanni istruirono la sua ignoranza e confortarono il suo cuore, e all’ora giusta il Padre di tutti ci fece incontrare. Andiamo ad Enon per prendere con noi tre testimoni e poi andiamo dal suo padrone…», dice Gesù.
   «Per farsi dare il fanciullo? E dove sono i denari? Maria ha distribuito gli ultimi che aveva…», osserva Pietro.
   «Non c’è bisogno di denaro. Non è schiavo ed è già stato dato denaro per averlo dal padrone. Lo ha dato Isacco, al quale il fanciullo fece pena».
   «E perché non l’ebbe?».
   «Perché molti sono gli schernitori di Dio e del prossimo. Ecco mia Madre con le donne. Andate a dir loro che non vengano oltre».
   Giacomo di Zebedeo e Andrea corrono via svelti come gazzelle. Gesù si affretta verso la Madre e le discepole, e le raggiunge quando già sanno e osservano impietosite il giovinetto.

   574.5Ritornano svelti verso Enon. Vi entrano. Vanno, guidati dal ragazzo, alla casa di Eli, che è un vecchione dagli occhi appannati dagli anni ma ancor vigoroso. Da giovane deve essere stato robusto come una quercia di questi luoghi.
   «Eli, il Rabbi di Nazaret mi prende se…».
   «Ti prende? Bontà più grande non potrebbe fare. Tu finiresti a divenir malvagio stando qui. Il cuore si indura quando l’ingiustizia troppo dura. E troppo è dura. Lo hai trovato? L’Altissimo ascolta dunque il tuo pianto, anche se è di fanciullo samaritano. Te felice, allora, che per l’età sei spoglio di ogni catena e puoi seguire la Verità senza che nulla ti trattenga dal seguirla, neppur il volere di un padre o d’una madre. Provvidenza appare ora ciò che per tanti anni sembrò castigo. Dio è buono. Ma che vuoi da me che sei qui venuto? La mia benedizione? Te la do come l’Anziano del luogo».
   «La tua benedizione voglio. Perché sei buono. E poi sono venuto perché tu con Levi e Giona andaste, insieme al Rabbi, dal mio padrone perché non richieda altro denaro».
   «Ma dove è il Rabbi? Io son vecchio e non vedo che poco, e non riconosco che coloro che molto conosco. Io non conosco il Rabbi».
   «Qui è. Ti è davanti».
   «Qui? Potenza eterna!». Il vecchio si alza e si inchina a Gesù dicendo: «Perdona al vecchio dagli occhi ottenebrati. Io ti saluto, perché uno solo è giusto in tutto Israele. E Tu sei quello.

   574.6Andiamo. Levi è nel suo orto intorno a un tino, e Giona è ai suoi formaggi». Il vecchione si rialza — è alto come Gesù, nonostante che l’età lo curvi — e si avvia costeggiando il muro, schivando con l’aiuto del suo bastone gli inciampi della via.
   Gesù, che lo ha salutato con la sua pace, lo soccorre in un punto in cui tre rudimentali scalini rendono pericoloso ad un semicieco l’andare. Prima di mettersi in cammino, Gesù aveva detto alle discepole di attenderlo in quel luogo. Beniamino intanto va al suo ovile.
   Il vecchione dice: «Tu sei buono. Ma Alessandro è una belva. Un lupo è. Non so se… Ma io sono ricco quel tanto che basti a darti denaro per Beniamino, se Alessandro ne vorrà ancora. I miei figli non hanno bisogno dei denari miei. Io sono vicino al secolo, e il denaro non serve per l’altra vita. Un’azione di umanità sì, ha valore…».
   «Perché non l’hai fatto prima?».
   «Non mi rimproverare, Rabbi. Io sfamavo il fanciullo e lo confortavo perché non divenisse malfattore. Alessandro è tale da far diventare feroce una tortorina. Ma non potevo, nessuno poteva levargli il fanciullo. Tu… te ne vai lontano. Ma noi… qui si resta, e le sue vendette sono temute. Un giorno uno di Enon si interpose perché, ubriaco, batteva a morte il fanciullo, ed egli, non so come fece, riuscì ad avvelenargli il gregge».
   «Non è mal pensiero?».
   «No. Attese molti mesi. L’inverno. Quando le pecore stanno nel chiuso, e avvelenò le acque della vasca. Bevvero. Gonfiarono. Morirono. Tutte. Siamo tutti pastori qui, e si comprese… Per sicurezza fu fatto mangiare di quelle carni ad un cane, e il cane morì. E ci fu chi vide Alessandro entrar furtivo nel chiuso… Oh! egli è un malfattore! Noi lo temiamo… Crudele, sempre ebbro la sera. Spietato con tutti i suoi. Ora, morti tutti, tortura il ragazzo».
   «E allora non venire se…».
   «Oh! no. Io vengo. La verità va detta.

   574.7Ecco. Sento battere il martello. Questo è Levi». E chiama forte presso una siepe: «Levi! Levi!».
   Viene fuori un vecchio meno vecchio del primo, in veste succinta, un mazzuolo in mano. Saluta Eli e gli chiede: «Che vuoi, amico?».
   «Al mio fianco è il Rabbi di Galilea. È venuto a prendere Beniamino. Vieni, ché nel bosco c’è Alessandro. A testimoniare che già per lui egli ebbe, da quel discepolo, quei denari».
   «Vengo. Mi dissero sempre che il Rabbi era buono. Ora lo credo. La pace a Te!». Depone il mazzuolo, grida a non so chi di attenderlo e se ne va con Eli e Gesù.
   Presto arrivano all’ovile di Giona. Lo chiamano, spiegano…
   «Vengo. Tu», ordina ad un garzone, «va’ avanti col lavoro». Si asciuga le mani in un panno, che getta poi su un piolo, e segue Gesù, dopo averlo salutato, insieme a Levi ed Eli.
   Gesù parla intanto col vecchione. Gli dice: «Sei un giusto. Dio ti darà pace».
   «Lo spero. È giusto il Signore! Io non ne ho colpa d’esser nato in Samaria…».
   «Non ne hai colpa. Nell’altra vita non ci sono confini per i giusti. Solo la colpa drizza confine fra il Cielo e l’Abisso».
   «È vero. Come ti vedrei volentieri! La tua voce è dolce, e dolce è la tua mano nel guidare il vecchio cieco. Dolce e forte. Sembra quella del figlio mio prediletto, Eli come me, figlio di Giuseppe mio figlio. Se il tuo aspetto è come la tua mano, beato chi ti vede».
   «Meglio è sentirmi che vedermi. Fa più santo lo spirito».
   «È vero. Io ascolto quelli che parlano di Te. Ma passano di rado…

   574.8Ma non è rumore di scure su dei tronchi questo?».
   «Lo è».
   «Allora… Qui vicino è Alessandro… Chiamalo».
   «Sì. Voi rimanete qui. Se potrò fare da Me non vi chiamerò. Non vi mostrate se non vi chiamo». Va avanti e chiama forte.
   «Chi mi vuole? Chi sei?», dice un uomo anziano, robustissimo, dal profilo duro e dal torace e le membra di lottatore. Un colpo di quelle mani deve essere come un colpo di clava: brutale.
   «Sono Io. Uno sconosciuto che ti conosce. Vengo a prendere ciò che è mio».
   «Tuo? Ah! Ah! Cosa è tuo in questo bosco mio?».
   «Nel bosco nulla. Nella tua casa, mio è Beniamino».
   «Tu sei pazzo! Beniamino è il mio servo».
   «E parente. E tu sei il suo aguzzino. E un mio messo ti dette il denaro che chiedevi per avere il fanciullo. E tu prendesti il denaro e negasti il fanciullo. Il mio messo, uomo di pace, non reagì. Io vengo per la giustizia».
   «Il tuo messo si sarà bevuto il denaro. Io non ho avuto nulla. E mi tengo Beniamino. Gli voglio bene».
   «No. Lo odi. Vuoi bene alla mercede che non gli dài. Non mentire. Dio punisce i mentitori».
   «Io non ho avuto denaro. Se Tu hai parlato con il mio servo, sappi che egli è un astuto mentitore. E io lo percuoterò perché mi calunnia. Addio!», gli volta le spalle e fa per andarsene.
   «Bada, Alessandro, che Dio è presente. Non sfidare la sua bontà».
   «Dio! Ha forse da tutelare i miei interessi Dio? Io solo li devo tutelare e li tutelo».
   «Bada!».

   574.9«Ma chi sei, miserabile galileo? Come ti permetti di rimproverarmi? Io non ti conosco».
   «Tu mi conosci. Sono il Rabbi di Galilea e…».
   «Ah! sì! E credi di farmi paura. Non temo né Dio né Belzebù, io. E vuoi che io tema Te? Un pazzo? Va’, va’! Lasciami al lavoro. Va’, ti dico. Non mi guardare. Credi che i tuoi occhi mi possano far paura? Cosa vuoi vedere?».
   «I tuoi delitti no, perché li conosco tutti. Tutti. Anche quelli che nessuno conosce. Ma voglio vedere se neppur comprendi che questa è l’ultima ora di misericordia che Dio ti dà per pentirti. Voglio vedere se il rimorso non sorge a fenderti il cuore di pietra, se…».
   L’uomo, che ha in mano la scure, la lancia verso Gesù, che si china rapido. La scure fa un arco sopra il suo capo e va a percuotere un giovane leccio, che viene spezzato di netto e che cade con gran fruscio di fogliame e frullo di uccelli spaventati.

   574.10I tre, nascosti poco lontano, balzano fuori urlando, paurosi che anche Gesù sia stato colpito, e colui che non vede grida: «Oh! vedere! Vedere se Egli è realmente senza ferita! Per questo solo la vista, o Dio eterno!». E, sordo a tutte le assicurazioni altrui, si avanza brancolando, perché ha perso il bastone e vuole toccare Gesù per sentire se non sanguina in alcun posto del corpo, e geme: «Un raggio di luce chiara, e poi le tenebre. Ma vedere, vedere, senza questo velo che appena mi concede di indovinare gli ostacoli…».
   «Non ho nulla, padre, sentimi», dice Gesù toccandolo e facendosi toccare.
   Intanto gli altri due hanno parole dure per il violento e gli rinfacciano colpe e menzogne, ed egli, privo della sua scure, trae fuori un coltello e si avventa per colpire, bestemmiando Dio, schernendo il cieco, minacciando gli altri, veramente simile ad una belva infuriata. Ma barcolla, si arresta, lascia cadere il pugnale, si strofina gli occhi, li apre, li chiude, poi ha un urlo tremendo: «Non ci vedo più! Aiuto! I miei occhi… Le tenebre… Chi mi salva?».
   Gridano anche gli altri. Di stupore. E anche lo irridono dicendo: «Dio ti ha ascoltato». Infatti, fra le sue bestemmie, erano queste: «Che Dio mi acciechi se mento e se ho peccato. E che io mi acciechi piuttosto di adorare un pazzo nazareno! Riguardo a voi, farò le vendette e spezzerò Beniamino come quella pianta…». E lo irridono anche, dicendo: «Or fa le vendette…».
   «Non siate come lui. Non odiate», consiglia Gesù e carezza il vecchione, che non si preoccupa di nulla che non sia la incolumità di Gesù, e per rassicurarlo dice: «Alza il volto! Guar­da!».
   Il miracolo si compie. Come là, al violento, le tenebre, così qui al giusto la luce. Ed è un grido, diverso, beato, che si alza sotto le piante robuste: «Io vedo! I miei occhi! La luce! Te benedetto!», e il vecchio fissa Gesù con occhi ben lucenti di nuova vita, e poi si prostra a baciarne i piedi.
   «Andiamo noi due. Voi ricondurrete in Enon quel disgraziato. E siate pietosi, perché già Dio lo ha punito. E basta Dio. L’uomo sia buono con ogni sciagura».
   «Prenditi il fanciullo, le pecore, il bosco, la casa, i denari. Ma rendimi la vista. Non posso rimanere così».
   «Non posso. Ti lascio tutto ciò per cui divenisti peccatore. Mi prendo l’innocente perché ha già patito il martirio. Nelle tenebre possa la tua anima aprirsi alla Luce».

   574.11Gesù saluta Levi e Giona e scende svelto col vecchione, che pare ringiovanito e che, giunto alle prime case, grida la sua gioia… Tutta Enon si sommuove…
   Gesù si fa largo, va dal pastorello che è presso gli apostoli e dice: «Vieni! Andiamo, ché a Tersa ci attendono».
   «Libero? Libero? Con Te? Oh! Non credevo! Saluto Eli. E gli altri?». Il ragazzo è agitato…
   Eli lo bacia e benedice e gli dice: «E perdona all’infelice».
   «Perché? Perdonare sì. Ma perché infelice?».
   «Perché bestemmiò il Signore e la luce si spense nei suoi occhi. Nessuno di noi lo potrà più temere. Egli è nelle tenebre e nell’infermità. Tremenda potenza di Dio!…». Il vecchio pare un profeta ispirato, così a braccia alte, volto al cielo, meditabondo su ciò che ha visto.
   Gesù lo saluta e fende la piccola folla agitata; se ne va, e dietro Lui se ne vanno apostoli e discepole, e se ne va Beniamino, salutato dalle donne, le quali vogliono dare un pegno al prediletto dal Signore: un frutto, una borsa, un pane, una veste, ciò che trovano lì per lì. Ed egli, felice, le saluta, le ringrazia, dice: «Sempre buone con me! Lo ricorderò. Pregherò per voi. Mandate i vostri figli al Signore. È bello stare con Lui. È la Vita. Addio! Addio!…».

   574.12Enon è superata. Scendono verso il Giordano, verso la pianura della valle giordanica, verso i nuovi avvenimenti, sconosciuti ancora…
   Ma il fanciullo non si volge a guardare. Non commenta. Non pensa. Non sospira. Sorride. Guarda Gesù, là, avanti a tutti, vero Pastore seguito dal suo gregge. Dal gregge nel quale ora è anche lui, il povero fanciullo… e d’improvviso canta. A voce spiegata…
   Sorridono gli apostoli dicendo: «Il ragazzo è felice».
   Sorridono le donne dicendo: «L’uccello prigioniero ha ritrovato libertà e nido».
   Sorride Gesù, volgendosi a guardarlo, e il suo sorriso, come sempre, pare far più luminoso tutto, e lo chiama dicendo: «Vieni qui, agnellino di Dio. Ti voglio insegnare un bel canto». E intona, seguito dagli altri, il salmo: «Il Signore è il mio Pastore. Non mi mancherà di nulla. Egli mi ha posto in luogo di abbondanti pascoli», ecc. (22° salmo)[49]… La bellissima voce di Gesù si sparge per la campagna ubertosa, primeggia sulle altre, anche sulle migliori, tanto è potente nella sua gioia.

   574.13«È felice tuo Figlio, Maria», dice Maria d’Alfeo.
   «Sì. È felice. Ha ancora qualche cosa di gioia…».
   «Nessun viaggio è senza frutto. Egli passa spargendo le grazie, e sempre vi è qualcuno che veramente incontra il Salvatore. Ti ricordi di quella sera[50] a Betlemme di Galilea?», chiede Maria di Magdala.
   «Sì. Ma non vorrei ricordare quei lebbrosi e questo cie­co…».
   «Tu perdoneresti sempre. Sei tanto buona! Ma è anche necessaria la giustizia», osserva Maria Salome.
   «È necessaria. Ma buon per noi che è più grande la misericordia», dice ancora Maria Maddalena.
   «Tu lo puoi dire. Ma Maria…», risponde Giovanna.
   «Maria non vuole che perdono, anche se Essa di perdono non ha bisogno. Non è vero, Maria? », dice Susanna.
   «Non vorrei che perdono. Sì. Quello solo. Esser cattivi deve essere già un terribile soffrire…». Sospira nel dirlo.
   «Tu perdoneresti a tutti, proprio a tutti? Sarebbe giusto, poi, farlo? Vi sono gli ostinati nel male, che sciupano ogni perdono col deriderlo come debolezza», dice Marta.
   «Io perdonerei. Per me perdonerei. Non per stoltezza. Ma perché vedo ogni anima come un pargolo più o meno buono. Come un figlio… Una madre sempre perdona… anche se dice: “Giustizia vuole un giusto castigo”. Oh! se una madre potesse morire per generare un cuor nuovo, buono, al figlio malvagio, credete voi che non lo farebbe? Ma non si può. Vi sono cuori che respingono ogni aiuto… E io penso che anche ad essi la pietà deve dare perdono. Perché già tanto è il peso che hanno sul cuore: delle loro colpe, del rigore di Dio… Oh! perdoniamo, perdoniamo ai colpevoli… E volesse Iddio accogliere il nostro assoluto perdono per diminuire il loro debito…».
   «Ma perché sempre piangi, Maria? Anche ora che tuo Figlio ebbe un’ora di gioia!», si lamenta Maria d’Alfeo.
   «Non fu tutta gioia, poiché il colpevole non si pentì. Gesù è in completa gioia quando può redimere…».
   Chissà perché Niche, che non ha mai parlato, dice all’improvviso: «Fra poco saremo di nuovo con Giuda di Keriot».
   Le donne si guardano, come se la semplice frase fosse una cosa straordinaria, come dietro essa si celasse chissà quale grande cosa. Ma nessuna risponde parola.

   574.14Gesù si è fermato in un uliveto bellissimo. Si fermano tutti. Gesù benedice e spezza il cibo e lo spartisce.
   Beniamino guarda e ordina ciò che gli hanno dato: vesti troppo lunghe o troppo larghe, sandali non adatti al suo piede, mandorle ancora nel mallo, le ultime noci, una formaggella, qualche mela rugosa, un coltelluccio. È felice dei suoi tesori. Vuole offrire le cibarie. E piega le vesti dicendo: «Metterò la più bella per Pasqua».
   Maria d’Alfeo promette: «A Betania te la riordinerò tutta. Lascia intanto fuori questa. A Tersa ci sarà acqua per rinfrescarla, e più là ci sarà filo per aggiustarla. Per i sandali poi… non so come fare».
   «Si danno questi al primo povero che si incontra e che abbia sì capace piede, e se ne compra a Tersa un paio di nuovi», dice Maria di Magdala tranquillamente.
   «Con che denari, sorella?», le chiede Marta.
   «Ah! è vero! Non abbiamo più un picciolo… Ma Giuda ha denaro… Così Beniamino non può far lunga strada. E poi, povero fanciullo! La sua anima ha avuto la grande gioia, ma anche la sua umanità deve avere un sorriso… Fanno piacere certe cose».
   Susanna, giovane e allegra, ride dicendo: «Parli come se tu conoscessi per esperienza che un paio di sandali nuovi fanno la gioia di chi non ne ha mai posseduti di tali!».
   «È vero. Ma è perché infatti so come può far piacere una veste asciutta quando si è bagnati ed una fresca quando non se ne ha che una. Io ricordo[51]…». E curva la sua testa sulla spalla di Maria Ss. dicendo: «Ti ricordi, o Madre?», e la bacia con tenerezza.

   574.15Gesù dà l’ordine di andare, per essere a Tersa prima di sera: «Saranno in pensiero quei due che non sanno…».
   «Vuoi che si vada avanti, a dir loro che Tu stai per venire?», propone Giacomo d’Alfeo.
   «Sì. Andate tutti, meno Giovanni e Giacomo e mio fratello Giuda. Tersa non è lontana, ormai… Andate, dunque. Cercate di Giuda e di Elisa e preparate intanto i posti per noi perché, avendo tardato tanto e avendo con noi le donne, bene è sostare nella notte… Noi vi seguiremo intanto. Fatevi trovare presso le prime case…».
   Gli otto apostoli se ne vanno svelti, e Gesù più lentamente li segue.

[46] quando salutò il cugino, come si narra nel capitolo 148.
[47] di Enon, cioè samaritano.
[48] fanciullo è». Sono queste le ultime parole scritte sull’ultima pagina del quaderno autografo n. 93, e ad esse segue l’annotazione: Qui vanno inseriti fogli che manderò poi. Infatti MV ha continuato a scrivere il presente capitolo su due fascicoli di foglio protocollo (quindi di formato più grande di quello del quaderno) per un totale di 60 facciate, che comprendono anche la stesura dei sei capitoli successivi; e il testo dell’ultimo capitolo termina sul risguardo del quaderno. Oltre che sui risguardi bianchi, MV scriveva qualche volta sul frontespizio interno che è stampato (come si può vedere dagli schizzi riprodotti in 325.1 e 360.1) e sulle pagine interne della copertina del quaderno. Altre volte ha continuato a scrivere su fogli previamente aggiunti da lei e cuciti con filo di cotone all’interno di un quaderno.
[49] 22° salmo, che nella neo-volgata è diventato Salmo 23.
[50] quella sera, in 248.5/10.
[51] ricordo… l’arrivo a Cafarnao sotto il temporale, in 238.3/6.