MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME IX CAPITOLO 583



DLXXXIII. Vigilia del sabato avanti l’entrata in Gerusalemme. Commiato alle discepole. L’infelice nipote di Nahum.

   22 marzo 1947.

   583.1La bella sala — una di quelle adibite ai banchetti, bianca nelle pareti e nei soffitti, bianca nelle tende pesanti, nelle tappezzerie che coprono i sedili, nelle lastre di mica o alabastro che fungono da vetri alle finestre e da lumiere — è piena del cicaleccio delle donne. Una quindicina di donne che parlano fra loro non è cosa da poco. Ma appena Gesù appare sulla soglia, spostando la tenda pesante, si fa un silenzio assoluto, mentre tutte si alzano e si inchinano col massimo rispetto.
   «La pace a voi tutte», dice Gesù con un dolce sorriso… Della appena cessata bufera di dolore nessuna traccia è sul suo volto, che è sereno, luminoso, pacifico come nulla di penoso fosse accaduto o stesse per accadere con piena conoscenza da parte di Lui.
   «La pace a Te, Maestro. Siamo venute. Tu hai mandato a dire: “con quante donne sono con Giovanna”, e io ti ho ubbidito. Era da me Elisa. Con me la tengo in questi giorni. E da me era costei che si dice tua seguace. Era venuta a cercare di Te, perché non si ignora che io sono la tua felice discepola. E anche Valeria è con me, nella mia casa da quando sono nel mio palazzo. Con Valeria era Plautina, venuta a visitarla. Con loro era questa. Valeria ti dirà di lei. Più tardi è venuta Annalia, avvisata del tuo desiderio, e questa giovinetta, sua parente, credo. Ci combinammo per venire, né trascurammo Niche. È così bello sentirsi sorelle in un’unica fede in Te… Sperare che anche quelle che ancora sono ad un amor naturale per il Maestro salgano più oltre, come ha fatto Valeria», dice Giovanna sogguardando Plautina che… è rimasta all’amor naturale…
   «I diamanti si formano con lentezza, Giovanna. Occorrono secoli di fuoco sepolto… Non occorre aver fretta, mai… E non sconfortarsi mai, Giovanna…».
   «E quando un diamante torna… cenere?».
   «Segno è che ancor non era diamante perfetto. Ci vuole ancora pazienza e fuoco. Ricominciare da capo, sperando nel Signore. Ciò che sembra un fallimento la prima volta, sovente si muta in trionfo la seconda».
   «O la terza, o la quarta e anche più.

   583.2Io sono stata un fallimento molte volte, ma infine Tu hai trionfato, Rabboni!», dice Maria di Magdala con la sua voce d’organo dal fondo della sala.
   «Maria è contenta ogni volta che può avvilirsi ricordando il passato…», sospira Marta che lo vorrebbe cancellato dal ricordo di ogni cuore.
   «In verità, sorella, che è così! Sono contenta di ricordare il passato. Ma non per avvilirmi come tu dici. Per salire ancora, spinta dal ricordo del male commesso e dalla riconoscenza per Colui che mi ha salvata. E anche perché chi tituba per se stesso, o per qualche essere a lui caro, possa rincuorarsi e giungere a quella fede che il mio Maestro dice che sarebbe atta a far muovere le montagne».
   «E tu la possiedi. Te beata! Tu non conosci il timore…», sospira Giovanna, così mite e timida, e pare ancor più tale se la si confronta alla Maddalena.
   «Non lo conosco. Non è mai stato nella mia natura umana. Ora, da quando sono del mio Salvatore, non lo conosco più neppure nella mia natura spirituale. Tutto ha servito per aumentare la mia fede. Può forse una, che è risorta come io e che vide risorgere il fratello suo, dubitare più di nulla? No. Nessuna cosa mi farà più dubitare».
   «Sinché Dio è con te, ossia teco è il Rabbi…

   583.3Ma Egli dice che presto ci lascerà. Che sarà allora la nostra fede? Ossia la vostra fede, perché io ancora non sono penetrata al di là dei confini umani…», dice Plautina.
   «La sua presenza materiale o la sua materiale assenza non lederà la mia fede. Non temerò. Non è superbia la mia. È conoscenza di me. Se le minacce del Sinedrio si dovessero avverare… ecco, io non temerò…».
   «Ma che non temerai? Che il Giusto sia giusto? Questo temere anche io non lo avrò. Lo crediamo di molti saggi dei quali gustiamo la sapienza, direi dei quali ci nutriamo con la vita del loro pensiero, dopo che da secoli sono scomparsi. Ma se tu…», insiste Plautina.
   «Io non temerò neppur per la sua morte. La Vita non può morire. È risorto Lazzaro che era un misero uomo…».
   «Non per sé è risorto. Ma perché il Maestro gli ha evocato lo spirito dall’oltre tomba. Opera che solo il Maestro può fare. Ma chi evocherà lo spirito del Maestro, se il Maestro sarà ucciso?».
   «Chi? Egli. Ossia Dio. Dio da Se stesso si è fatto, Dio da Se stesso si può risuscitare».
   «Dio… sì… nella vostra fede Dio da Sé si è fatto. È già arduo ammetterlo per noi, che sappiamo gli dèi venire l’un dall’altro, per divini amori».
   «Per sconci, irreali amori, devi dire», la interrompe irruenta Maria di Magdala.
   «Come vuoi…», concilia Plautina e sta per finire la frase, ma Maria di Magdala ancora la precede e dice: «“Ma l’Uomo”, vuoi dire, “non può da sé risuscitarsi”. Ma Egli, come da Sé si è fatto Uomo, perché nulla è impossibile al Santo dei santi, così Egli da Sé darà a Sé comando di risorgere. Tu non puoi capire. Tu non conosci le figure della nostra storia d’Israele. Egli e i suoi prodigi sono in quelle. E ogni cosa si compirà così come è detto.

   583.4Io credo in anticipo, Signore. Tutto credo. Che Tu sei il Figlio di Dio e il Figlio della Vergine, che Tu sei l’Agnello di salute, che Tu sei il Messia santissimo, che Tu sei il Liberatore e Re universale, che il tuo Regno non avrà fine e confine, e infine che la morte non prevarrà su Te, perché la vita e la morte Dio le ha create e gli sono soggette come tutte le cose. Io credo. E se grande sarà il dolore di vedere Te sconosciuto e vilipeso, più grande sarà la mia fede nel tuo Essere eterno. Io credo. In tutto quanto è detto di Te, credo. In tutto quanto Tu dici, credo. Ho saputo credere anche per Lazzaro, unica che sapessi ubbidire e credere, unica che sapessi reagire a quegli uomini e a quelle cose che mi volevano persuadere a non credere. Solo al limite, presso la fine della prova, ho avuto uno smarrimento… Ma essa durava da tanto… e non pensavo più che neppur Tu, Maestro benedetto, potessi accostarti al golal dopo tanti giorni dalla morte… Ora… non dubiterei più neppure se, in luogo di giorni, un sepolcro dovesse essere riaperto per restituire la sua preda dopo mesi che essa è nel suo ventre. Oh! mio Signore! Io so chi Tu sei! Il fango ha conosciuto la Stella!». Maria gli si è accosciata ai piedi, sul suolo marmoreo, non più veemente, ma mite, adorante nell’espressione del volto alzato verso Gesù.
   «Chi sono?».
   «Colui che è. Questo sei. L’altra cosa, la persona umana, è la veste, la necessaria veste messa sul tuo splendore e sulla tua santità, perché Essa potesse venire fra noi e salvarci. Ma Tu sei Dio, il mio Dio». E si getta giù, a baciare i piedi di Cristo, e sembra non possa staccare le labbra dalle dita sporgenti dalla lunga veste di lino.
   «Alzati, Maria. Tieni sempre forte a questa tua fede. E alzala come una stella nelle ore della burrasca, perché i cuori vi si affissino e sappiano sperare, quello almeno…».

   583.5Poi si volge a tutte e dice:
   «Vi ho chiamate perché nei giorni futuri poco potremo vederci e con pace. Il mondo ci sarà intorno. E i segreti dei cuori hanno un pudore più grande di quello dei corpi. Non sono il Maestro, oggi. Sono l’Amico. Non tutte fra voi avete speranze o timori da dirmi. Ma a tutte piaceva vedermi con pace ancora una volta. Ed Io vi ho chiamate, voi, fior di Israele e del nuovo Regno, e voi, fior dei gentili che lasciano il luogo delle ombre per entrare nella Vita. Tenete questo nel cuore, per i giorni futuri: che il vostro onore al perseguitato Re d’Israele, all’Innocente accusato, al Maestro non ascoltato, tempera il mio dolore.
   Io vi chiedo di stare molto unite, voi di Israele, voi che siete venute in Israele, voi che venite verso Israele. Le une soccorrano le altre. Le più forti di spirito soccorrano le più deboli. Le più sapienti quelle che poco sanno o non sanno affatto e solo hanno desiderio di saggezze nuove, di modo che il loro desiderio umano, per la cura delle sorelle più progredite, evolva in desiderio soprannaturale di Verità.
   Siate pietose le une alle altre. Quelle che secoli di legge divina hanno formate in giustizia compatiscano a quelle che il gentilesimo fa… diverse. Non si muta l’abito morale dall’oggi al domani altro che in casi eccezionali, nei quali interviene una potenza divina ad operare il mutamento per secondare una volontà molto buona. Non fatevi stupore se in quelle che vengono da altre religioni vedete arresti nel progredire e talora anche ritorni sulle vecchie vie. Abbiate presente lo stesso Israele nel suo comportamento verso di Me, e non pretendete dalle gentili la arrendevolezza e la virtù che Israele non ha saputo, non ha voluto avere verso il Maestro.
   Sentitevi sorelle le une alle altre. Sorelle che il destino ha riunite intorno a Me, in questo ultimo tempo della mia vita mortale… Non piangete! E che vi ha riunite prendendovi da luoghi diversi. Perciò con idiomi e costumi diversi, che rendono un poco difficile il comprendersi umanamente. Ma, in verità, l’amore ha un unico linguaggio, ed è questo: fare ciò che l’amato insegna e farlo per dargli onore e gioia. Ecco che in questo potete comprendervi tutte, e quelle che più capiscono aiutino le altre a capire.

   583.6Poi… in futuro, in un futuro più o meno lontano, in circostanze diverse, tornerete a dividervi per le regioni della Terra, parte tornando alle regioni natie e parte andando in un esilio che non peserà, perché quelle che lo subiranno saranno già giunte a quella perfezione di verità, che farà loro comprendere che non è l’esser condotte qui o là che costituisce esilio dalla Patria vera. Perché la vera Patria è il Cielo. Perché chi è nella verità è in Dio e ha Dio in sé. È dunque già nel Regno di Dio, e il Regno di Dio non conosce frontiere, né esce da quel Regno chi da Gerusalemme verrà, per un esempio, portato in Iberia, o in Pannonia, o in Gallia, o in Illiria. Sempre sarete nel Regno se resterete sempre in Gesù, o se in Gesù verrete.
   Io sono venuto a radunare tutte le pecore. Quelle del gregge paterno, quelle di altri, e anche quelle senza pastore, selvatiche, selvagge più ancor di selvatiche, sprofondate in tenebre così oscure da non permettere loro di vedere neppure un iota, non di legge divina ma anche di legge morale. Genti sconosciute che attendono di divenire note all’ora che Dio destina per questo e che poi entreranno a far parte del gregge di Cristo. Quando? Oh! anni o secoli sono pari rispetto all’Eterno! Ma voi sarete le anticipatrici di quelle che andranno, coi Pastori futuri, a raccogliere nell’amore cristiano pecore e agnelli selvaggi per condurli nei pascoli divini. E vostro primo campo di prova siano questi luoghi.

   583.7Il rondinino che leva l’ala per il volo non si getta subito alla grande avventura. Tenta il primo volo dalla gronda alla vite che ombreggia la terrazza. Poi torna al nido e nuovamente si lancia alla terrazza oltre la sua, e ritorna. E poi di nuovo più lontano… sinché sente farsi forte il nervo dell’ala e sicuro il suo orientamento, e allora giuoca coi venti e gli spazi e va e viene garrendo, inseguendo gli insetti, sfiorando le acque, risalendo verso il sole, sinché all’epoca giusta apre sicuro le ali al lungo volo per le zone più calde e ricche di nuovo cibo, né teme di valicare i mari, esso tanto piccolo, un punto di acciaio brunito sperso fra le due immensità azzurre del mare e del cielo, un punto che va, senza paura, mentre prima temeva il breve voletto dalla gronda al tralcio fronzuto, un corpo nervoso, perfetto, che fende l’aria come una freccia e non si sa se sia l’aria che lo trasporta con amore, questo piccolo re dell’aria, o se sia esso, il piccolo re dell’aria, che con amore solchi i suoi domini. Chi pensa, vedendo il suo volo sicuro che sfrutta venti e densità d’atmosfera per andar più veloce, al suo primo, goffo, starnazzante volo, pieno di paura?
   Così sarà di voi. Così di voi sia. Di voi e di tutte le anime che vi imiteranno. Non si diviene capaci d’improvviso. Non sconforti per le prime sconfitte. Non superbie per le prime vittorie. Le prime sconfitte servono a far meglio un’altra volta. Le prime vittorie servono ad esser sprone a far ancor meglio in futuro e a persuadersi che Dio aiuta le buone volontà.

   583.8Siate sempre soggette ai Pastori in quel che è ubbidienza ai loro consigli e ordini. Siate sempre a loro sorelle in quello che è aiuto nella missione e sostegno alle loro fatiche. Dite questo anche a quelle che oggi non sono qui presenti. Ditelo a quelle che verranno in futuro.
   E ora e sempre siate come figlie per mia Madre. Ella vi guiderà in ogni cosa. Può guidare le fanciulle come le vedove, le mogli come le madri, avendo Ella conosciuto tutte le conseguenze di tutti gli stati per esperienza propria, oltre che per sapienza soprannaturale. Amatevi e amatemi in Maria. Non fallirete mai, perché Ella è l’Albero della Vita, la vivente Arca di Dio, la Forma di Dio[85] in cui la Sapienza si fece una Sede e la Grazia si fece Carne.

   583.9Ed ora che ho parlato in generale, ora che vi ho vedute, desidero ascoltare le mie discepole e quelle che sono le speranze delle discepole future. Andate. Io resto qui. Quelle fra voi che hanno da parlarmi vengano. Perché non avremo mai più un momento di intima pace simile a questo».
   Le donne si consultano fra loro. Elisa esce insieme a Maria e Maria Cleofe. Maria di Lazzaro ascolta Plautina che la vuole persuadere a qualche cosa, ma pare che Maria non voglia, perché ha recisi cenni di diniego col capo e poi se ne va lasciando in asso la sua interlocutrice, e nel passare prende con sé sua sorella e Susanna dicendo: «Noi avremo tempo di parlargli. Lasciamo queste, che devono tornare via, qui con Lui».
   «Vieni, Sara. Noi verremo per ultime», dice Annalia.

   583.10Escono lentamente tutte, meno Maria Salome che sta incerta sulla porta.
   «Vieni qui, Maria. Chiudi e vieni qui. Che temi?», le dice Gesù.
   «È che io… io sono sempre con Te. Hai sentito Maria di Lazzaro?».
   «Ho sentito. Ma vieni qui. Tu sei madre dei miei primi apostoli[86]. Che vuoi dirmi?».
   La donna si avvicina con la lentezza di chi deve chiedere una grande cosa e non sa se poterlo fare.
   Gesù l’incoraggia con un sorriso e con le parole: «Che? Vuoi forse chiedermi un terzo posto per Zebedeo? Ma egli è saggio. Certo non ti ha mandata a dire questo! Parla, dunque…».
   «Ah! Signore! Proprio di quel posto io ti volevo parlare. Tu… parli in un modo… Come fossi per lasciarci. E io vorrei che prima Tu mi dicessi che mi hai proprio perdonata. Io non ho pace pensando che ti ho disgustato».
   «Ci pensi ancora? Non ti pare che Io ti ami come prima e più di prima?».
   «Oh! questo sì, Signore. Ma dimmela proprio la parola di perdono. Perché io possa dire al mio sposo quanto Tu sei stato buono con me».
   «Ma non c’è bisogno che tu racconti una colpa perdonata, donna!».
   «Sì che la racconterò! Perché, vedi?, Zebedeo, vedendo come Tu ami i suoi figli, potrebbe cadere nello stesso mio peccato e… se Tu ci lasci, chi lo assolverebbe più? Io vorrei che tutti noi si entrasse nel tuo Regno. Anche il mio uomo. Né credo di essere fuori della giustizia volendo questo. Io sono una povera donna e non so di libri. Ma quando tua Madre ci legge, o ci dice brani della Scrittura, a noi donne, parla sovente delle donne elette di Israele e dei punti che parlano di noi. E nei Proverbi, che mi piacciono tanto, è detto[87] che nella donna forte confida il cuore del suo sposo. Io penso che è giusto che questa fiducia la donna la dia al proprio uomo, anche per ciò che è commercio celeste. Se io compero per lui un posto sicuro nel Cielo, impedendogli di peccare, io penso di fare cosa buona».
   «Sì, Salome. Veramente tu hai aperto ora la bocca alla sapienza e hai legge di bontà sulla tua lingua. Va’ in pace. Hai più che il mio perdono. I tuoi figli, secondo il libro che tanto ti piace, ti proclameranno felice, e ti darà lode tuo marito nella Patria dei giusti. Va’ tranquilla. Va’ in pace. Sii felice».
   La benedice e congeda. Salome se ne va tutta lieta.

   583.11Entra la vecchia Anna della casa presso il Meron, e ha per mano due maschietti e dietro una fanciullina timida e pallidina che cammina a capo basso, già mammina nell’atto di guidare un bambinello che appena sa camminare bene.
   «Oh! Anna! Anche tu mi vuoi dunque parlare? E tuo marito?».
   «Malato, Signore. Malato. Molto malato. Forse non lo ritroverò vivo…». Delle lacrime scendono fra le rughe del volto senile.
   «E tu sei qui?».
   «Qui sono. Egli ha detto: “Io non posso. Va’ tu per la Pasqua e vedi che i nostri figli…”». Il pianto cresce. Impedisce le parole.
   «Perché piangi così, donna? Tuo marito ha detto bene: “Vedi che i nostri figli non siano contro il Cristo per la loro eterna pace”. Giuda è un giusto. Più che della sua vita e del conforto che essa avrebbe dalle tue cure, si preoccupa del bene dei suoi figli. I veli si alzano, nelle ore che precedono la morte dei giusti, e gli occhi dello spirito vedono la Verità. Ma i tuoi figli non ti ascoltano, donna. E Io che posso fare se essi mi respin­go­no?».
   «Non li odiare, Signore!».
   «E perché dovrei farlo? Pregherò per loro. E a questi, che sono innocenti, imporrò le mani per tenere lungi da loro l’odio che uccide. Venite a Me. Tu chi sei?».
   «Giuda, come il padre di mio padre», dice il maschietto più grande, e il più piccino per mano alla sorella saltella e strilla: «Io, io Giuda!».
   «Sì. Hanno onorato il padre nel nome da mettere ai figli. Ma non in altre cose…», dice la vecchia.
   «Le sue virtù risorgeranno in questi. Vieni tu pure, fanciulla. Sii buona e saggia come quella che qui ti ha condotta».
   «Oh! Maria lo è! Per non essere sola la condurrò con me in Galilea».
   Gesù benedice i bambini, sostando con la mano sulla testa della fanciullina che è buona. Poi chiede: «E per te non chiedi nulla, Anna?».
   «Di ritrovare vivo il mio Giuda e di avere la forza di mentire dicendo che i suoi figli…».
   «No. Mentire no. Mai. Neppure per far morire in pace un morente. Dirai questo a Giuda: “Ha detto il Maestro che ti benedice, e con te benedice il tuo sangue”. È suo sangue anche questa fanciullezza innocente, ed Io l’ho benedetta».
   «Ma se chiede se i figli nostri…».
   «Dirai: “Il Maestro ha pregato per loro”. Giuda riposerà nella certezza che la mia preghiera è potente, e sarà detto il vero senza sconfortare chi muore. Perché Io pregherò anche per i tuoi figli. Va’ tu pure in pace, Anna. Quando lasci la città?».
   «Il giorno dopo il sabato, per non essere fermata per via dal sabato».
   «Va bene. Ho gioia che tu sia qui dopo il sabato. Resta molto unita a Elisa e Niche. Va’. E sii forte e fedele».
   La donna è già quasi alla porta quando Gesù la richiama: «Ascolta. I tuoi piccoli figli stanno molto con te, non è vero?».
   «Sempre, mentre io sono in città».
   «In questi giorni… lasciali nella casa, se tu ne esci per seguirmi».
   «Perché, Signore? Temi persecuzione?».
   «Sì. Ed è bene che l’innocenza non veda e non senta…».
   «Ma… cosa pensi che avvenga?».
   «Va’, Anna. Va’».
   «Signore, se… se ti avessero a fare quello che si dice, certo i miei figli… e allora la casa sarà peggio della strada…».
   «Non piangere. Dio provvederà. La pace a te».
   La vecchia se ne va in lacrime.

   583.12Per un poco nessuno entra; poi, insieme, entrano Giovanna e Valeria. Sono affannate. Specie Giovanna. L’altra è pallida e sospira, ma con più fortezza.
   «Maestro, Anna ci ha spaventate. Tu le hai detto… Oh! ma non è vero! Cusa sarà incerto, sarà… calcolatore. Ma menzognero non è! Egli mi assicura che Erode non ha voglia alcuna di nuocerti… Io non so di Ponzio…», e guarda Valeria che tace. Riprende: «Speravo capire qualcosa da Plautina, ma non ho capito molto…».
   «Nulla, devi dire, fuorché che ella non ha proseguito di un passo dal limite dove era. A me pure non ha parlato. Ma, se bene ho capito, l’indifferenza romana, che è sempre tanto forte quando un fatto non può aver ripercussioni sulla Patria o sul proprio io, ha ottuso forte quelle che parevano così disposte a scuotersi un tempo. Più ancora che l’essermi accostata alla sinagoga ci separa, come un crepaccio separa due zolle prima unite, questa indifferenza, quest’ozio del loro spirito, così… diverso ormai dal mio. Ma esse sono felici. A loro modo sono felici… E la felicità umana non è un aiuto a tener desto il pensiero».
   «E a svegliare lo spirito, Valeria», dice Gesù.
   «Così, Maestro. Io… è un’altra cosa… Hai visto quella donna che era con noi? È una della mia famiglia. Vedova e sola, mi viene mandata dai parenti per persuadermi a tornare in Italia. Oh! molte promesse di gioie future! Sono gioie che io non apprezzo più e che perciò non mi sembrano più tali, e le calpesto.
   Non andrò in Italia. Qui ho Te e ho la mia bambina[88], che Tu mi hai salvata e che Tu mi hai insegnato ad amare per la sua anima. Non lascerò questi luoghi… Marcella… L’ho portata con me perché ti vedesse e comprendesse che non resto qui per un disonorevole amore verso un ebreo — per noi è disonorevole — ma perché in Te ho trovato il conforto in questo mio dolore di moglie ripudiata. Marcella non è cattiva. Ha sofferto. Capisce. Ma è però ancora incapace di capire la mia nuova religione. E un poco mi rampogna, parendole la mia una chimera… Non importa. Se vorrà, verrà dove io sono ormai. Se no, resterò qui con Tusnilde[89]. Sono libera. Sono ricca. Posso fare ciò che voglio. E, non facendo del male, farò ciò che voglio».

   583.13«E quando il Maestro non ci sarà più?».
   «Resteranno i suoi discepoli. Plautina, Lidia, la stessa Claudia che, dopo me, è quella che più ti segue nella dottrina e più ti onora, non hanno ancora capito che io non sono più la donna che esse conoscevano e credono conoscere ancora. Ma io sono sicura di conoscermi ormai. Tanto che dico che, se molto perderò perdendo il Maestro, non perderò tutto, perché la fede resterà. E io resterò dove essa è nata. Non voglio portare Fausta dove nulla parla di Te. Qui… Tutto parla di Te, e certo Tu non ci lascerai senza guida, noi che abbiamo voluto seguirti. Perché devo essere io, la gentile, ad avere questi pensieri, mentre molte di voi, tu stessa, siete come smarrite pensando al giorno in cui il Maestro non sarà fra noi?».
   «Perché esse si sono abituate a secoli di staticità, Valeria. È loro pensiero che l’Altissimo sia là, nella sua Casa, sopra l’altare invisibile che solo il Sommo Sacerdote vede in occasioni solenni. Questo le ha aiutate a venire a Me. Potevano finalmente avvicinarsi anche esse al Signore. Ma ora tremano di non aver più né l’Altissimo sulla sua gloria né il Verbo del Padre fra loro. Bisogna compatire… E alzare lo spirito, Giovanna. Io sarò in voi. Ricordalo. Io me ne andrò. Ma non vi lascerò orfani. Vi lascerò una casa mia: la mia Chiesa. La mia parola: la Buona Novella. Il mio amore abiterà nei vostri cuori. E infine vi lascerò un dono più grande, che vi nutrirà di Me e farà, non solo spiritualmente, che Io sia fra voi e in voi. Lo farò per darvi conforto e forza.

   583.14Ma ora… Anna è molto afflitta per i bambini…».
   «Ce ne ha parlato, con angoscia…».
   «Sì. Le ho detto di tenerli lontano dalla gente. Dico lo stesso a te, Giovanna, e a te, Valeria».
   «Manderò Fausta con Tusnilde a Bétèr prima del tempo fissato. Dovevano andarvi dopo la Festa».
   «Io no. Non mi separo dai fanciulli. Li terrò nella casa. Ma dirò ad Anna di lasciare andar là i suoi. Quella donna ha dei tristi figli, ma essi saranno onorati del mio invito e non contraddiranno la madre. E io…».
   «Io vorrei…».
   «Che, Maestro?».
   «Che steste tutte molto unite in questi giorni. Terrò con Me la sorella di mia Madre, Salome e Susanna e le sorelle di Lazzaro. Ma voi vi vorrei unite, molto unite».
   «Ma non potremo venire dove Tu sei?».
   «Io sarò come un lampo che splende rapido e scompare, in questi giorni. Salirò al Tempio nella mattina e poi lascerò la città. Fuor che al Tempio, ogni mattina non potreste incontrarmi».
   «L’anno passato fosti da me…».
   «Quest’anno non sarò in nessuna casa. Sarò un lampo che scorre…».
   «Ma la Pasqua…».
   «Desidero consumarla con i miei apostoli, Giovanna. Se così vuole il tuo Maestro, certo lo vuole per giusta ragione».
   «È vero…

   583.15Sarò dunque sola… Perché i miei fratelli mi hanno detto di voler essere liberi in questi giorni, e Cusa…».
   «Maestro, io mi ritiro. Piove forte. Vado dai bambini che sento raccolti sotto il portico», dice Valeria e si ritira prudentemente.
   «Anche nel tuo cuore piove forte, Giovanna».
   «È vero, Maestro. Cusa è così… strano. Io non lo capisco più. Una contraddizione continua. Forse ha degli amici che premono sul suo pensiero… o ha avuto qualche minaccia… o teme per il suo domani».
   «Non è il solo. Anzi, posso dire che sono pochi e solitari sparsi qua e là quelli che, come Me, non temono del domani, e sempre più pochi saranno. Sii molto dolce e paziente con lui. Egli non è che un uomo…».
   «Ma ha avuto tanto da Dio, da Te, che dovrebbe…».
   «Che dovrebbe! Sì. Ma chi non ha avuto da Me in Israele? Ho beneficato amici e nemici, ho perdonato, guarito, consolato, istruito… Tu vedi, e più vedrai, come solo Dio è immutabile, come sono diverse le reazioni degli uomini, e come sovente colui che più ha avuto è colui che più è pronto a percuotere il suo benefattore. Veramente si potrà dire[90] che colui che ha mangiato con Me il mio pane ha alzato contro Me il suo piede».
   «Io non lo farò, Maestro».
   «Tu no. Ma molti sì».
   «Il mio sposo è forse fra questi? Se così fosse, io non tornerei alla mia casa questa sera».
   «No. Non è fra questi, in questa sera. Ma, anche lo fosse, il tuo posto è là. Perché, se egli pecca, tu non devi peccare. Se egli vacilla, tu lo devi sorreggere. Se egli ti calpesta, tu devi perdonare».
   «Oh! calpestare, no! Egli mi ama. Ma io lo vorrei più sicuro. Egli può tanto su Erode. Io vorrei che egli strappasse al Tetrarca una promessa per Te. Così come Claudia tenta strapparla a Pilato. Ma Cusa mi ha saputo solo riportare delle frasi vaghe di Erode… e assicurarmi che Erode non ha che il desiderio di vederti compiere qualche prodigio e non ti perseguiterà… Spera con ciò di far tacere i suoi rimorsi per Giovanni. Cusa dice: “Il mio re dice sempre: ‘Me lo comandasse il Cielo, io non alzerei la mano. Ho troppa paura’”!».
   «Dice il vero. Non alzerà la mano su Me. Molti in Israele non lo faranno perché molti hanno paura a condannarmi materialmente. Ma chiederanno sia fatto da altri. Come se vi fosse differenza agli occhi di Dio tra chi colpisce, premuto da un volere di popolo, e chi fa colpire».
   «Oh! ma il popolo ti ama! Gran feste si preparano per Te. E Pilato non vuole tumulti. Ha rinforzato le milizie in questi giorni. Io spero tanto che… Non so cosa spero, Signore. Spero e dispero. Il mio pensiero è mutevole come questi giorni in cui il sole si alterna alla pioggia…».
   «Prega, Giovanna, e sta’ in pace. Pensa sempre che tu non hai mai dato dolore al Maestro e che Egli se lo ricorda. Va’».
   Giovanna, che si è fatta pallida e smagrita in questi pochi giorni, esce pensierosa.

   583.16Ed è il volto gentile di Annalia che si affaccia.
   «Vieni avanti. La tua compagna dove è?».
   «Di là, Signore. Vuole tornare via, stanno per partire. Marta ha compreso il mio desiderio e mi trattiene sino al tramonto di domani. Sara torna a casa, a dire che resto. Vorrebbe la tua benedizione perché… Ma ti dirò dopo».
   «Che venga. La benedirò».
   La giovane esce per tornare con la compagna, che si prostra al Signore.
   «La pace sia con te e la grazia del Signore ti conduca sui sentieri dove ti ha condotta costei che ti ha preceduta. Sii amorosa alla madre di questa e benedici il Cielo che ti ha risparmiata da legami e da dolori per averti tutta per Sé. Un giorno, più di ora, benedirai di esser stata sterile per volontà tua. Va’».
   La giovane se ne va commossa.
   «Tu le hai detto tutto quello che ella sperava. Queste parole erano il suo sogno. Sara diceva sempre: “Mi piace la tua sorte, benché sia tanto nuova in Israele. E la voglio io pure. Non avendo più un padre ed essendo mia madre dolce come una colomba, non temo di non poterla seguire. Ma per essere certa di poterla compire, e che santa sia per me, come lo è per te, lo vorrei sentire dalla sua bocca”. Ora Tu glielo hai detto. E anche io ho pace. Perché temevo talora di aver esaltato un cuore…».
   «Da quando è con te?».
   «Da…

   583.17Venuto l’ordine del Sinedrio, io mi sono detta: “L’ora del Signore è venuta, e io devo prepararmi a morire”.
   Perché io te l’ho chiesto[91], Signore… Oggi te lo rammento… Se Tu vai al Sacrificio, io, ostia, con Te».
   «Vuoi ancora fermamente la stessa cosa?».
   «Sì, Maestro. Io non potrei vivere in un mondo dove Tu non fossi… e non potrei sopravvivere alla tua tortura. Ho tanta paura per Te! Molte fra noi si illudono… Non io! Io sento che l’ora è venuta. Troppo è l’odio… E spero che Tu accoglierai la mia offerta. Non ho che la mia vita da darti, perché sono povera, lo sai. La mia vita e la mia purezza. Per questo ho persuaso la mamma a chiamare sua sorella presso di sé. Perché non resti sola… Sara le sarà figlia in mia vece, e la madre di Sara le sarà di conforto. Non deludere il mio cuore, Signore! Nessuna attrattiva ha il mondo per me. Mi è come un carcere dove molte cose mi ripugnano forte. Forse è perché chi fu sulle soglie della morte ha compreso come ciò che per molti rappresenta la gioia non è che un vuoto che non sazia. Certo è che io non desidero che il sacrificio… e precederti,… per non vedere l’odio del mondo gettato come arma di tortura sul mio Signore, e per somigliarti nel dolore…».
   «Deporremo allora il giglio reciso sull’altare dove si immola l’Agnello. Ed esso diverrà rosso del Sangue redentivo. E solo gli angeli sapranno che l’Amore fu il sacrificatore di un’agnella tutta bianca e segneranno il nome della prima vittima del­l’Amore, della prima continuatrice del Cristo».
   «Quando, Signore?».
   «Tieni pronta la lampada[92] e sta’ in veste di nozze. Lo Sposo è alle porte. Tu ne vedrai il trionfo e non la morte, ma trionferai con Lui entrando nel suo Regno».
   «Ah! io sono la donna più felice di Israele! Io sono regina incoronata del tuo serto! Posso, come tale, chiederti una grazia?».
   «Quale?».
   «Ho amato un uomo, lo sai. Non l’ho più amato come sposo perché un amore più grande è entrato in me, ed egli non mi ha più amata perché… Ma non voglio ricordare il suo passato. Ti chiedo di redimere quel cuore. Posso? Non è peccare volermi ricordare, mentre sono sulle soglie della Vita, di chi amai per dargli la Vita eterna, non è vero?».
   «Non è peccare. È portare l’amore al termine santo del sacrificio per il bene dell’amato».
   «Benedicimi, allora, Maestro. Assolvimi da ogni mio peccato. Fammi pronta alle nozze e alla tua venuta. Perché sei Tu che vieni, mio Dio, a prendere la tua povera serva e a farla tua sposa».
   La giovinetta, radiosa di gioia e di salute, si curva a baciare i piedi del Maestro, mentre Egli la benedice pregando su lei. E veramente la sala, bianca come fosse tutta di gigli, è degno ambiente per questo rito e ben si intona con i due protagonisti di esso, giovani, belli, biancovestiti, splendenti di amore angelico e divino.

   583.18Gesù lascia là la giovanetta, assorta nella sua gioia, ed esce quietamente per andare a benedire i fanciulli, che con strilli di gioia si precipitano verso il carro e vi salgono lieti insieme alle donne che se ne vanno. Restano Elisa e Niche per riaccompagnare il giorno seguente Annalia in città. Ha smesso di piovere e il cielo, rotte le nubi, mostra il suo azzurro, e il sole fa scendere i suoi raggi ad accendere di luce le gocce della pioggia. Un arcobaleno vaghissimo si incurva da Betania a Gerusalemme. Il carro se ne va stridendo ed esce dal cancello. Scompare.
   Lazzaro, che è vicino a Gesù, sul limitare del portico, chiede: «Ti hanno dato gioia le discepole?», e osserva il Maestro.
   «No, Lazzaro. Mi hanno dato, tutte meno una, i loro dolori e anche delle delusioni, se potessi illudermi».
   «Le romane, vuoi dire, ti hanno deluso? Ti hanno parlato di Pilato?».
   «No».
   «Allora lo devo fare io. Speravo che esse te ne parlassero. Avevo atteso per questo. Entriamo in questa stanza solitaria. Le donne sono andate ai loro lavori con Marta. Maria è invece con tua Madre, nell’altra casa. Tua Madre è stata tanto con
   Giuda, ed ora se lo è condotto con sé… Siedi, Maestro…

   583.19Sono stato dal Proconsole… Lo avevo promesso e l’ho fatto. Ma Simone di Giona non sarebbe molto soddisfatto della mia missione!… Fortunatamente non ci pensa più, Simone. Il Proconsole mi ha ascoltato e mi ha risposto queste parole: “Io? Occuparmene io? Ma neanche l’ombra del più lontano pensiero di farlo è in me! Questo soltanto dico: che non per l’Uomo — Tu, Maestro — ma per tutte le noie che mi vengono per suo riflesso, io sono ben deciso a non occuparmene più, né in bene né in male. Me ne lavo le mani. Rinforzerò la guardia, perché non voglio disordini. In tal modo accontenterò Cesare, mia moglie e me stesso. Ossia gli unici dei quali ho sacra cura. E per il resto non muovo un dito. Beghe di questi eterni malcontenti. Loro se le creano, loro se le godono. Io l’Uomo, come malfattore lo ignoro, come virtuoso lo ignoro, come sapiente lo ignoro. E lo voglio ignorare. Continuare a ignorare. Purtroppo, anche volendolo, non ci riesco che male, perché i capi di Israele me ne parlano con le loro lamentele, Claudia con i suoi elogi, i seguaci del Galileo con i loro lamenti verso il Sinedrio. Se non fosse per Claudia, lo farei prendere e lo darei loro, perché definissero la faccenda e non ne sentissi più parlare. L’Uomo è il suddito più quieto di tutto l’Impero. Ma, ciò nonostante, mi ha dato tante noie che vorrei una soluzione…”. Con questo umore, Maestro…».
   «Vuoi dire che non c’è da essere sicuri. Con gli uomini non si è mai sicuri…».
   «Ma però mi risulta che il Sinedrio è più calmo. Non è stato ricordato il bando, non si sono importunati i discepoli. Fra poco torneranno quelli andati in città. E sentiremo… Contraddirti, sempre. Ma procedere?… Le folle ti amano troppo per poterle sfidare imprudentemente».

   583.20«Andiamo verso la via, incontro a quelli che tornano?», propone Gesù.
   «Andiamo».
   Escono nel giardino, e sono a mezza via quando Lazzaro chiede: «Ma Tu quando hai mangiato? E dove?».
   «A prima».
   «Ma è quasi il tramonto. Torniamo indietro».
   «No. Non ne sento bisogno. Preferisco andare. Là al cancello vedo aggrappato un povero bambino. Forse ha fame. È lacero e smunto. Lo osservo da qualche tempo. Era già là quando uscì il carro, e fuggì per non essere visto e forse scacciato. Poi è tornato e guarda con insistenza verso la casa e verso di noi».
   «Se ha fame, sarà bene che io vada a prendere del cibo. Va’ avanti, Maestro. Io ti raggiungerò subito», e Lazzaro corre indietro mentre Gesù affretta il passo verso il cancello.

   583.21Il fanciullo, un viso patito e irregolare dove solo gli occhi splendono belli e vivi, lo guarda.
   Gesù gli sorride e dolcemente gli dice, mentre fa agire il congegno della chiusura: «Chi cerchi, fanciullo?».
   «Sei Tu il Signore Gesù?».
   «Lo sono».
   «Te cerco».
   «Chi ti manda?».
   «Nessuno. Ma voglio parlarti. Tanti vengono a parlarti. Anche io. Tanti esaudisci. Anche io».
   Gesù ha fatto scattare la chiusura e prega il bambino di lasciare andare le sbarre, che tiene con le mani scarne, per poter aprire. Il fanciullo si scansa e nel farlo, movendosi la vesticciuola stinta sul corpo sbilenco, si vede che è un povero bambino rachitico, con la testa incassata nelle spalle per un principio di gobba, le gambe divaricate dal passo insicuro. Proprio un piccolo infelice. Forse ha più anni di quanto non faccia pensare la statura, che è quella di un fanciullo di sei anni circa, mentre il visetto è già quello di un uomo, un poco vizzo, con il mento pronunciato, un viso quasi di vecchietto.
   Gesù si curva a carezzarlo e gli dice: «Dimmi dunque che vuoi. Ti sono amico. Sono amico di tutti i fanciulli». Con che amorosa dolcezza Gesù prende la faccina smunta nelle sue mani e lo bacia in fronte!
   «Lo so. Per questo sono venuto. Lo vedi come sono? Vorrei morire per non soffrire più. E per non essere più di nessuno… Tu che guarisci tanti e fai risuscitare i morti, fa’ morire me che nessuno ama e che non potrò mai lavorare».

   583.22«Non hai parenti? Sei orfano?».
   «Il padre ce l’ho. Ma non mi ama perché sono così. Ha cacciato via la mamma, le ha dato libello di divorzio, e me con lei ha cacciato, e la mamma è morta. Per colpa mia che sono storto così».
   «Ma con chi vivi?».
   «Quando è morta la mamma, i servi mi hanno ricondotto al padre. Ma egli, che si è sposato di nuovo e ha figli belli, mi ha cacciato. Mi ha dato a dei contadini suoi. Ma essi fanno ciò che fa il padrone per entrargli nel favore… e mi fanno soffrire».
   «Ti picchiano?».
   «No. Ma più cura hanno delle bestie che di me, e mi scherniscono, e perché sono sovente malato mi hanno a noia. Io divento sempre più storto, e i loro figli mi beffano e mi fanno cadere. Nessuno mi ama. E questo inverno, quando ebbi tanta tosse e occorrevano le medicine, mio padre non volle spendere, dicendo che l’unica cosa che potevo fare di bene era morire. Da allora io ti ho aspettato per dirti: “Fammi morire”».
   Gesù lo prende in collo, sordo alle parole del fanciullo che gli dice: «Ho i piedi fangosi e fangosa la veste, perché mi sono seduto per via. Ti sporcherò la veste».
   «Vieni da lontano?».
   «Da presso la città, perché chi mi tiene è là che sta. Ho visto passare i tuoi apostoli. So che sono loro, perché i contadini hanno detto: “Eccoli i discepoli del Rabbi galileo. Ma Egli non c’è”. E sono venuto».
   «Sei bagnato, fanciullo. Povero fanciullo! Ti ammalerai di nuovo».
   «Se Tu non mi ascolti, mi facesse almeno morire la malattia! Dove mi porti?».
   «In casa. Non puoi stare così».

   583.23Gesù rientra nel giardino col bambino deforme fra le braccia e grida a Lazzaro, che sta venendo: «Chiudi il cancello tu. Io ho questo piccolo tutto bagnato fra le braccia».
   «Ma chi è, Maestro?».
   «Non so. Neppure il suo nome so».
   «E neppure lo dico. Non voglio essere conosciuto. Voglio ciò che ti ho detto. La mamma mi diceva: “Figlio mio, mio povero figlio, io muoio, ma vorrei che tu morissi con me, perché là non saresti più deforme tanto da soffrire nelle ossa e nel cuore. Là non hanno nome di scherno quelli che nascono infelici. Perché Dio è buono con gli innocenti e gli infelici”. Mi mandi a Dio?».
   «Vuol morire il fanciullo. È una storia triste…».
   Lazzaro, che guarda fisso il ragazzino, dice ad un tratto:
   «Ma tu non sei figlio del figlio di Nahum[93]? Non sei quello che stai seduto al sole presso il sicomoro che è al limite degli ulivi di Nahum, e che il padre ha affidato a Giosia suo contadino?».
   «Lo sono. Ma perché lo hai detto?».
   «Povero bambino! Non per schernirti. Credi, Maestro, che è meno triste la sorte di un cane in Israele che questa di questo fanciullo. Se egli non tornasse più alla casa di dove è venuto, non uno lo cercherebbe. I servi come i padroni. Iene dal cuore feroce. Giuseppe sa bene la storia… Fece molto rumore. Ma io allora ero tanto afflitto per Maria… Però, morta la sposa infelice e venuto costui da Giosia, lo vedevo passando… Dimenticato al sole o al vento sull’aia, perché camminò molto tardi… e sempre poco. Non so come oggi è potuto venire sin qui. Chissà da quanto è per via!».
   «Da quando Pietro passò da quel luogo».
   «E ora? Che ne facciamo?».
   «Io a casa non torno. Io voglio morire. Andarmene via. Grazia e pietà di me, Signore!».

   583.24Sono entrati in casa, e Lazzaro chiama un servo perché porti una coperta e mandi Noemi per curare il fanciullo, che è livido di freddo nelle sue vesti bagnate.
   «Il figlio di uno dei più accaniti fra i tuoi nemici! Uno dei più cattivi in Israele. Quanti anni hai, fanciullo?».
   «Dieci».
   «Dieci! Dieci anni di dolore!».
   «E bastano!», dice forte Gesù posando a terra il fanciullo.
   È ben storto! La spalla destra più alta della sinistra, il petto eccessivamente sporgente, il collo esile sprofondato fra le clavicole alte, le gambe sbilenche!…
   Gesù lo guarda con pietà, mentre Noemi lo sveste e lo asciuga prima di avvolgerlo in una calda coperta. Lazzaro pure lo guarda con pietà.
   «Lo coricherò nel mio letto, Signore, dopo avergli dato del latte caldo», dice Noemi.
   «Ma non mi fai morire? Abbi pietà! Perché farmi vivere per essere così e soffrire tanto?», e termina: «Io ho sperato in Te, Signore». Un rimprovero, una delusione è nella sua voce.
   «Sii buono. Ubbidisci e il Cielo ti consolerà», dice Gesù e si curva a carezzarlo ancora, passando la sua mano sulle povere membra contorte.
   «Portalo a letto e veglialo. Poi… si provvederà».
   Il bambino viene portato via piangente.
   «E sono coloro che si credono santi!», esclama Lazzaro pensando a Nahum…

   583.25La voce di Pietro che chiama il suo Maestro…
   «Oh! Maestro! Sei qui? Tutto bene. Nessuna noia. Uh! molta calma, anzi. Al Tempio nessuno ci ha disturbato. Giovanni ha avuto buone notizie. I discepoli lasciati in pace. La gente che ti attende festosa. Io sono contento. E Tu che hai fatto, Maestro?».
   Si allontanano insieme parlando, mentre Lazzaro va dove lo chiama Massimino.

[85] la Forma di Dio è un’espressione che MV corregge, su una copia dattiloscritta, in forma di Dio e forma a Dio, spiegandola con la seguente nota: “Forma di Dio” perché il Creatore, che l’aveva predestinata a tal sorte, di essere la Madre di Dio, così come le aveva dato un’anima preservata per singolar privilegio dalla Colpa originale, così le aveva dato un corpo in ogni maniera perfetto, perché Maria fosse realmente fatta ad immagine e somiglianza spirituale di Dio e corporale del Figlio di Dio fattosi Uomo, il più bello tra i figli degli uomini. “Forma a Dio”, perché il Verbo si modellò nel suo seno prendendo dalla Madre, l’unica che aveva servito a dargli un corpo e quindi l’unica a trasmettergli la somiglianza col generante – qui: con la generatrice –, la forma umana. Quindi Ella fu “forma” alla seconda Persona che s’incarnava per farsi Uomo. Troviamo lo stesso concetto espresso dalla scrittrice in una nota a 242.6 e nel testo di 650.4. Aggiungiamo che Gesù, parlando della Madre in 540.2, afferma di essere “suo Figlio di carne e cuore”; e in 600.21 dice: “Io sono fatto di purità e di amore perché Maria mi ha nutrito della sua verginità fecondata dall’Amore perfetto che vive in Cielo”. Che Maria Ss. fosse l’unica che aveva servito a dargli un corpo risulta anche dalle mirabili espressioni della Vergine Addolorata in 610.9 e ancora in 611.15.
[86] primi apostoli, secondo l’opera valtortiana, furono Giovanni e Giacomo di Zebedeo, come si dichiara in 47.8.10 e in 600.6.
[87] è detto, in: Proverbi 31, 10-11.26.28.
[88] la mia bambina… salvata, in 155.4/5; e che Tu mi hai insegnato ad amare, in 167.9.
[89] Tusnilde, la liberta innominata di 531.16 e presentata in 534.1.
[90] si potrà dire, come nel Salmo 41, 10.
[91] te l’ho chiesto, in 156.5/6.
[92] Tieni pronta la lampada… sono espressioni prese dalla parabola narrata e illustrata in 206.2/6.
[93] Nahum, fiduciario del sommo sacerdote Anna e nemico di Gesù, incontrato in 123.6 e in 537.4. La sua miserevole sorte in 630.9.