MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME IX CAPITOLO 587



DLXXXVII. L’addio a Lazzaro

   2 marzo 1945.

   587.1Gesù è a Betania. È sera. Una placida sera di aprile. Dalle ampie finestre della sala del convito si vede il giardino di Lazzaro tutto in fiore e, oltre, il frutteto che pare tutta una nuvola di petali lievi. Un profumo di verde novello, di un dolce amaro di fiori fruttiferi, di rose e altri fiori, si mescola, entrando col placido vento della sera che fa ondeggiare lievemente le tende stese sulle porte e tremolare le luci del lampadario del centro, ad un acuto profumo di tuberose, di mughetti, di gelsomini, mescolato in essenza rara, sopravvivenza del balsamo con cui Maria di Magdala ha profumato il suo Gesù, che ne ha ancora i capelli resi più scuri dall’unzione.
   Nella sala sono ancora Simone, Pietro, Matteo e Bartolomeo. Gli altri mancano come fossero già usciti per incombenze.
   Gesù si è alzato da tavola e osserva un rotolo di pergamena che Lazzaro gli ha mostrato. Maria di Magdala gira per la sala… pare una farfalla attratta dalla luce. Non sa che volteggiare intorno al suo Gesù. Marta sorveglia i servi che levano le splendide stoviglie preziose, sparse sulla mensa.
   Gesù posa il rotolo su un’alta credenza, a intarsi d’avorio nel nero del legno lucido, e dice: «Lazzaro, vieni fuori. Ho bisogno di parlarti».
   «Subito, Signore», e Lazzaro si alza dal suo sedile presso la finestra e segue Gesù nel giardino, in cui l’ultima luce del giorno si mesce al primo chiarissimo chiarore di luna.

   587.2Gesù cammina dirigendosi oltre il giardino, là dove è il sepolcro che fu di Lazzaro e che ora mostra una grande cornice di rose tutte in fiore sulla sua bocca vuota. In alto di essa, sulla roccia lievemente inclinata, è scolpito: «Lazzaro, vieni fuori!».
   Gesù si ferma lì. La casa non si vede più, nascosta come è da alberi e siepi. Vi è un silenzio assoluto e assoluta solitudine.
   «Lazzaro, amico mio», chiede Gesù rimanendo in piedi, di fronte al suo amico, e fissandolo con un’ombra di sorriso nel volto molto smagrito e pallido più del consueto. «Lazzaro, amico mio, sai tu chi sono Io?».
   «Tu? Ma sei Gesù di Nazaret, il mio dolce Gesù, il mio santo Gesù, il mio potente Gesù!».
   «Questo per te. Ma per il mondo, chi sono Io?».
   «Sei il Messia d’Israele».
   «E poi?».
   «Sei il Promesso, l’Atteso… Ma perché mi chiedi questo? Dubiti della mia fede?».
   «No, Lazzaro. Ma Io ti voglio confidare una verità. Nessuno, fuorché mia Madre e uno dei miei, la sa. Mia Madre, perché Ella non ignora nulla. Uno, perché è compartecipe in questa cosa. Agli altri l’ho detta, in questi tre anni che sono con Me, molte e molte volte. Ma il loro amore ha fatto da nepente e da riparo alla verità annunciata. Non hanno potuto tutto capire… Ed è bene non abbiano capito, altrimenti, per impedire un delitto, ne avrebbero commesso un altro. Inutile. Perché ciò che deve avvenire avverrebbe, nonostante ogni uccisione. Ma a te la voglio dire».
   «Dubiti che io ti ami meno di loro? Di quale delitto parli? Quale delitto deve avvenire? Parla, in nome di Dio!». Lazzaro è agitato.
   «Parlo, sì. Non dubito del tuo amore. Tanto poco ne dubito che ad esso affido e confido le mie volontà…».
   «Oh! mio Gesù! Ma questo lo fa chi è prossimo a morte! Io l’ho fatto quando ho compreso che Tu non venivi e che io dovevo morire».
   «Ed Io devo morire».
   «Noooh!». Lazzaro ha un alto gemito.
   «Non gridare. Che nessuno senta. Ho bisogno di parlare a te solo.

   587.3Lazzaro, amico mio, sai tu che avviene in questo momento in cui tu sei presso a Me, nell’amicizia fedele che mi desti fin dal primo momento e che non fu mai turbata da nessun motivo? Un uomo, insieme ad altri uomini, sta contrattando il prezzo dell’Agnello. Sai che nome ha quell’Agnello? Ha nome Gesù di Nazaret».
   «Nooh! I nemici ci sono, è vero. Ma non può uno venderti! Chi? Chi è?».
   «È uno dei miei. Non poteva che essere uno di quelli che Io ho più fortemente deluso e che, stanco di attendere, vuole liberarsi da Colui che ormai non è più che un pericolo personale. Crede di rifarsi una stima, secondo il pensiero suo, presso i grandi del mondo. Sarà invece disprezzato dal mondo dei buoni e da quello dei delinquenti. È arrivato a questa stanchezza di Me, dell’attesa di ciò che con ogni mezzo ha cercato di raggiungere: la grandezza umana, perseguita prima nel Tempio, creduta di raggiungere col Re di Israele, ed ora cercata nuovamente nel Tempio e presso i romani… Spera… Ma Roma, se sa anche premiare i suoi servi fedeli,… sa calpestare sotto il suo sprezzo i vili delatori. Egli è stanco di Me, dell’attesa, della soma che è l’esser buoni. Per chi è malvagio, l’essere, il dovere fingere di essere buono, è una soma di un peso schiacciante. Può essere sostenuta per qualche tempo… e poi… non si può più… e ci si libera di essa per tornare liberi. Liberi? Così credono i malvagi. Così lui crede. Ma libertà non è. L’essere di Dio è libertà. L’essere contro Dio è una prigionia di ceppi e catene, di pesi e sferzate, quale nessun galeotto al remo, quale nessuno schiavo alle costruzioni la sopporta sotto la sferza dell’aguzzino».
   «Chi è? Dimmelo. Chi è?».
   «Non serve».
   «Sì che serve… Ah!… Non può essere che lui: l’uomo che è sempre stato una macchia nella tua schiera, l’uomo che anche poco fa ha offeso mia sorella. È Giuda di Keriot!».
   «No. È Satana. Dio ha preso carne[108] in Me: Gesù. Satana ha preso carne in lui: Giuda di Keriot. Un giorno… molto lontano… qui, in questo tuo giardino, Io ho consolato un pianto ed ho scusato uno spirito caduto nel fango. Ho detto[109] che la possessione è il contagio di Satana che inocula i suoi succhi nell’essere e lo snatura. Ho detto che è il connubio, con Satana e con l’animalità, di uno spirito. Ma la possessione è ancor poca cosa rispetto all’incarnazione. Io sarò posseduto dai miei santi[110] ed essi saranno da Me posseduti. Ma solo in Gesù Cristo è Dio quale è in Cielo, perché Io sono il Dio fatto Carne. Una sola è l’Incarnazione divina. Così ugualmente in uno solo sarà Satana, Lucifero, così come è nel suo regno, perché solo nell’uccisore del Figlio di Dio è Satana incarnato. Egli, mentre Io qui ti parlo, è davanti al Sinedrio e tratta e si impegna per la mia uccisione. Ma non è lui, è Satana.

   587.4Ora ascolta, Lazzaro, amico fedele. Io ti chiedo alcuni piaceri. Tu non mi hai mai nulla negato. Il tuo amore fu tanto grande che, senza mai oltrepassare il rispetto, fu sempre attivo al mio fianco, con mille aiuti, con tanti previdenti aiuti e saggi consigli che Io ho sempre accettato, perché vedevo nel tuo cuore un vero desiderio del mio bene».
   «Oh! Signor mio! Ma era la mia gioia occuparmi di Te! Che farò più ora, se non avrò da occuparmi del mio Maestro e Signore? Troppo! Troppo poco mi hai permesso di fare! Il mio debito verso Te, che hai reso Maria al mio amore e all’onore, e me alla vita, è tale che… Oh! perché mi hai richiamato da morte per farmi vivere quest’ora? Ormai tutto l’orrore della morte e tutta l’angoscia dello spirito, tentato di paura da Satana nel momento di presentarsi al Giudice eterno, io l’avevo superato, ed era buio!… Che hai, Gesù? Perché fremi e impallidisci ancor più di quanto Tu non sia? Il tuo volto è pallido più di questa rosa di neve che languisce sotto la luna. Oh! Maestro! Sembra che il sangue e la vita ti abbandonino…».
   «Sono infatti come uno che muore con le vene aperte. Tutta Gerusalemme, e voglio dire con ciò “tutti i nemici fra i potenti di Israele”, è attaccata a Me con avide bocche e mi aspira la vita e il sangue. Vogliono fare silenzio della Voce che per tre anni li ha tormentati anche amandoli,… perché ogni mia parola, anche se era parola d’amore, era scossa che richiamava al risveglio la loro anima, e loro non volevano sentire questa loro anima, loro che l’hanno legata con la loro sensualità triplice. E non solo i grandi… Ma tutta, tutta Gerusalemme sta per accanirsi sull’Innocente e volerne la morte… e con Gerusalemme la Giudea… e con la Giudea la Perea, l’Idumea, la Decapoli, la Galilea, la Sirofenicia… tutto, tutto Israele convenuto a Sionne per il “Passaggio” del Cristo da vita a morte…

   587.5Lazzaro, tu che sei morto e che sei risorto, dimmi: cosa è il morire? che provasti? che ricordi?».
   «Il morire?… Non ricordo esattamente che fu. Dopo la grande sofferenza successe un grande languore… Mi pareva di non soffrire più e di avere solo un grande sonno… Luce e rumore divenivano sempre più fiochi e lontani… Dicono le sorelle e Massimino che io davo segno di aspra sofferenza… Ma io non la ricordo…».
   «Già. La pietà del Padre ottunde ai morenti il sensorio intellettuale, di modo che essi soffrono unicamente con la carne, che è quella che deve essere purificata da questo prepurgatorio che è l’agonia. Ma Io… E della morte che ricordi?».
   «Nulla, Maestro. Ho uno spazio buio nello spirito. Una zona vuota. Ho una interruzione nel corso della mia vita che non so come riempire. Non ho ricordi. Se io guardassi nel fondo di quel buco nero che mi tenne per quattro giorni, pur essendo notte ed essendo in esso ombra, sentirei, se non vedrei, il gelo umido salire dalle sue viscere e ventarmi in faccia. È già una sensazione. Ma io, se penso a quei quattro giorni, non ho nulla. Nulla. È la parola».
   «Già. Coloro che tornano non possono dire… Il mistero si svela volta per volta a colui che vi entra. Ma Io, Lazzaro, Io so cosa soffrirò. Io so che soffrirò in piena coscienza. Non vi sarà nessun addolcimento di bevande e di languore per cui meno atroce mi diventi l’agonia. Io mi sentirò morire. Già lo sento… Muoio già, Lazzaro. Come uno malato di incurabile malattia, ho continuato a morire in questi trentatré anni. E sempre più il morire si è accelerato man mano che il tempo mi avvicinava a quest’ora. Prima era solo il morire del sapere dell’esser nato per essere Redentore. Poi fu il morire di chi si vede combattuto, accusato, deriso, perseguitato, ostacolato… Che stanchezza! Poi… il morire di avere di fianco, sempre più vicino, fino ad averlo abbrancato a Me come una piovra al naufrago, colui che è il mio Traditore. Che nausea! Ora muoio nello strazio del dovere dire “addio” agli amici più cari, e alla Madre…».

   587.6«Oh! Maestro! Tu piangi?! So che hai pianto anche davanti al mio sepolcro perché mi amavi. Ma ora… Tu piangi di nuovo. Sei tutto di gelo. Hai le mani già fredde come un cadavere. Tu soffri… Troppo Tu soffri!…».
   «Sono l’Uomo, Lazzaro. Non sono solo il Dio. Dell’uomo ho la sensibilità e gli affetti. E l’anima mi si angoscia pensando alla Madre… Eppure, Io te lo dico, è divenuta tanto mostruosa questa mia tortura di subire la vicinanza del Traditore, l’odio satanico di tutto un mondo, la sordità di coloro che, se non odiano, neppure sanno amare attivamente, perché amare attivamente è giungere ad essere quale l’Amato vuole e insegna, e invece qui!… Sì, molti mi amano. Ma sono rimasti “loro”. Non hanno preso un altro io per amore mio. Sai chi ha saputo, fra i miei più intimi, snaturarsi per divenire di Cristo, come Cristo vuole? Una sola: tua sorella Maria. Lei è partita da una animalità completa e pervertita per giungere ad una spiritualità angelica. E questo per unica forza d’amore».
   «Tu l’hai redenta».
   « Tutti li ho redenti con la parola. Ma solo lei si è mutata totalmente per attività d’amore. Ma dicevo: e tanto è mostruosa la mia sofferenza di tutte queste cose, che non sospiro altro che tutto sia compiuto. Le mie forze piegano… Sarà meno pesante la croce di questa tortura dello spirito e del sentimento…».
   «La croce?! Nooh! Oh! no! È troppo atroce! È troppo infamante! No!». Lazzaro, che ha tenuto da qualche tempo fra le sue le mani gelate di Gesù, ritto di fronte al suo Maestro, le lascia andare e si accascia sul sedile di pietra che è lì presso, si chiude il viso fra le mani e piange desolatamente.

   587.7Gesù gli si accosta, gli pone la mano sulle spalle scosse dai singhiozzi e dice: «E che? Devo essere Io, che muoio, colui che consola te che vivi? Amico, Io ho bisogno di forza e di aiuto. E te lo chiedo. Non ho che te che me lo possa dare. Gli altri è bene che non sappiano. Perché se sapessero… Correrebbe del sangue. E Io non voglio che gli agnelli divengano lupi, neppure per amore dell’Innocente. La Madre… oh! che trafittura parlare di Lei!… La Madre ha già tanta angoscia! Anche Lei è una moritura esausta… Sono trentatré anni che muore Lei pure, ed ora è tutta una piaga, come la vittima di un atroce supplizio. Ti giuro che ho combattuto fra la mente e il cuore, fra l’amore e la ragione, per decidere se era giusto allontanarla, rimandarla nella sua casa dove Ella sempre sogna l’Amore che l’ha resa Madre, gusta il sapore del suo bacio di fuoco, trasale nell’estasi di quel ricordo e con occhi d’anima sempre vede alitare l’aria percossa e smossa da un bagliore angelico. In Galilea la notizia della Morte giungerà quasi al momento in cui Io potrò dirle: “Madre, Io sono il Vincitore!”. Ma non posso, no, non posso fare questo. Il povero Gesù, carico dei peccati del mondo, ha bisogno di un conforto. E la Madre me lo darà. L’ancora più povero mondo ha bisogno di due Vittime. Perché l’uomo peccò con la donna; e la Donna deve redimere, come l’Uomo redime. Ma, fino a che l’ora non sarà suonata, Io do alla Madre un sorriso sicuro… Ella trema… lo so. Ella sente avvicinarsi la Tortura. Lo so. E ne repelle per naturale ribrezzo e per santo amore, così come Io repello alla Morte perché sono un “vivo” che deve morire. Ma guai se sapesse che fra cinque giorni… Non giungerebbe viva a quell’ora, ed Io la voglio viva per trarre dalle sue labbra forza come trassi vita dal suo seno. E Dio la vuole sul mio Calvario per mescolare l’acqua del pianto verginale al vino del Sangue divino e celebrare la prima Messa. Sai che sarà la Messa? Non sai. Non puoi sapere. Sarà la mia morte applicata in perpetuo al genere umano vivente o penante. Non piangere, Lazzaro. Ella è forte. Non piange. Ha pianto per tutta la sua vita di Madre. Ora non piange più. Si è crocifissa il sorriso sul volto… Hai visto che volto le è venuto in questi ultimi tempi? Si è crocifissa il sorriso sul volto per confortare Me. Ti chiedo di imitare mia Madre.

   587.8Non potevo più tenere da Me solo il mio segreto. Mi sono guardato intorno cercando un amico sincero e sicuro. Ho incontrato il tuo sguardo leale. Ho detto: “A Lazzaro”. Io, quando tu avevi un macigno sul cuore, ho rispettato il tuo segreto e l’ho difeso contro l’anche naturale curiosità del cuore. Ti chiedo lo stesso rispetto per il mio. Dopo… dopo la mia morte tu lo dirai. Dirai questo colloquio. Perché si sappia che Gesù andò cosciente alla morte e alle note torture unì anche questa di non avere nulla ignorato, né sulle persone, né sul suo destino. Perché si sappia che, mentre ancora poteva salvarsi, non volle, perché l’amore suo infinito per gli uomini non ardeva che di consumare il sacrificio per essi».
   «Oh! salvati, Maestro! Salvati! Io ti posso far fuggire. Questa notte stessa. Una volta sei pur fuggito in Egitto! Fuggi anche ora. Vieni, andiamo. Prendiamo Maria con noi e le sorelle, e andiamo. Nessuna delle mie ricchezze mi attrae, lo sai. La ricchezza mia e di Maria e di Marta sei Tu. Andiamo».
   «Lazzaro, allora sono fuggito perché non era l’ora. Ora è l’ora. E resto».
   «E allora io vengo con Te. Non ti lascio».
   «No. Tu resti qui. Posto che una licenza concede che chi è dentro la passeggiata di un sabato possa consumare l’agnello nella sua casa, ecco che tu, come sempre, consumerai qui il tuo agnello. Però lasciami venire le sorelle… Per la Mamma… Oh! cosa ti celavano, o Martire, le rose dell’amore divino! L’abisso! L’abisso! E da esso ora salgono e s’avventano le fiamme del­l’Odio a morderti il cuore! Le sorelle, sì. Sono forti e attive… e la Mamma sarà un essere agonizzante, curvo sulla mia spoglia. Giovanni non basta. È l’amore, Giovanni. Ma è ancora immaturo. Oh! maturerà divenendo uomo nello strazio di questi prossimi giorni. Ma la Donna ha bisogno delle donne sulle sue tremende ferite. Me le concedi?».
   «Ma tutto, tutto sempre ti ho dato con gioia, e solo mi dolevo che Tu volessi così poco!…».
   «Lo vedi. Da nessun altro ho accettato quanto dagli amici di Betania. Questa è stata una delle accuse che l’ingiusto mi ha fatto più di una volta. Ma Io trovavo qui, fra voi, tanto da consolare l’Uomo da tutte le sue amarezze d’uomo. A Nazaret era il Dio che si racconsolava presso l’unica Delizia di Dio. Qui era l’Uomo. Ed Io, prima di salire alla morte, ti ringrazio, amico fedele, amoroso, gentile, premuroso, riservato, dotto, discreto e generoso. Di tutto ti ringrazio. Il Padre mio, poi, ti darà compenso…».
   «Tutto ho già avuto col tuo amore e con la redenzione di Maria».
   «Oh! no. Molto ancora devi avere. Ed avrai.

   587.9Ascolta. Non disperarti così. Dammi la tua intelligenza perché Io possa dirti ciò che ancora ti chiedo. Tu resterai qui ad attendere…».
   «No, questo no. Perché Maria e Marta, e non io?».
   «Perché non voglio che tu ti corrompa come tutti i maschi si corromperanno. Gerusalemme nei giorni futuri sarà corrotta come lo è l’aria intorno ad una carogna putrida, crepata al­l’improvviso per l’imprudente colpo di tallone di un passante. Ammorbata e ammorbante. I suoi miasmi renderanno folli anche i meno crudeli, anche i miei discepoli stessi. Essi fuggiranno. E dove verranno nello sbigottimento loro? Da Lazzaro. Quante volte, in questi tre anni, essi sono venuti per cercare pane, letto, difesa, ricovero, e il Maestro!… Ora torneranno. Come pecore sbandate dal lupo che ha rapito il pastore, correranno ad un ovile. Radunale. Rincuorale. Di’ loro che Io le perdono. Ti affido il mio perdono per loro. Non avranno pace per essere fuggiti. Di’ loro di non cadere in un più grande peccato col disperare del mio perdono».
   «Tutti fuggiranno?».
   «Tutti, meno Giovanni».
   «Maestro. Non mi chiederai di accogliere Giuda? Fammi morire di tortura, ma questo non me lo chiedere. Più volte la mia mano ha fremuto sulla mia spada, ansiosa di uccidere l’obbrobrio della famiglia. E non l’ho mai fatto perché non sono un violento. Fui solo tentato di farlo. Ma ti giuro che, se rivedo Giuda, come un capro di delitto io lo sgozzo».
   «Non lo vedrai mai più. Te lo giuro».
   «Fuggirà? Non importa. Ho detto: “Se lo vedrò”. Ora dico: “Io lo raggiungerò, fosse ai confini del mondo, e lo ucciderò”».
   «Non lo devi desiderare».
   «Lo farò».
   «Non lo farai, perché dove egli sarà tu non potrai andare».
   «In seno al Sinedrio? Nel Santo? Anche là lo raggiungerò e ucciderò».
   «Non sarà là».
   «Da Erode? Sarò ucciso, ma prima lo ucciderò».
   «Sarà da Satana. E tu non sarai mai da Satana. Ma deponi subito questo pensiero omicida, perché altrimenti Io ti lascio».
   «Oh! oh!… Ma… Sì, per Te… Oh! Maestro! Maestro! Maestro!».
   «Sì. Il tuo Maestro… Accoglierai i discepoli, li conforterai. Li ricondurrai verso la Pace. Io sono la Pace. E anche dopo… Dopo tu li aiuterai. Betania sarà sempre Betania, finché l’Odio non frugherà in questo focolare d’amore credendo disperderne le fiamme, ed invece spargendole sul mondo per accenderlo tutto.

   587.10Io ti benedico, Lazzaro, per tutto quanto hai fatto e per tutto quello che farai…».
   «Nulla, nulla. Tu mi hai tratto dalla morte e non mi permetti di difenderti. Che ho fatto allora?».
   «Mi hai dato le tue case. Vedi? Era destino. Il primo alloggio in Sionne in una terra che è tua. L’ultimo ancora in una di esse. Era destino che Io fossi il tuo Ospite. Ma dalla morte non mi potresti difendere. Ti ho chiesto in principio di questo colloquio: “Sai tu chi sono?”. Ora rispondo: “Sono il Redentore”. Il Redentore deve consumare il sacrificio sino all’ultima immolazione. Del resto, credilo. Colui che salirà sulla croce e sarà esposto agli sguardi e agli scherni del mondo non sarà un vivo. Ma un morto. Io sono già un morto. Ucciso dal non amore più e prima che dalla tortura. E ancora una cosa, amico. Io domani all’aurora vado a Gerusalemme. E tu sentirai dire che Sionne ha acclamato come un trionfatore il suo Re mansueto, che entrerà in essa cavalcando un asinello. Non ti illuda questo trionfo e non ti faccia giudicare che la Sapienza che ti parla fu non sapiente in questa placida sera. Più ratto di astro che riga il cielo e scompare per spazi sconosciuti, dileguerà il favore popolare, ed Io fra cinque sere, a questa stessa ora, inizierò la tortura con un bacio d’inganno che aprirà le bocche, domani osannanti, in un coro di atroci bestemmie e di feroci voci di condanna.

   587.11Sì. Lo avrai finalmente, o città di Sionne, o popolo d’Israele, l’Agnello pasquale! Lo avrai in questo prossimo rito. Eccolo. È la Vittima preparata dai secoli. L’Amore l’ha generata, preparandosi per talamo un seno in cui non fu macchia. E l’Amore la consuma. Ecco. È la Vittima conscia. Non come l’agnello che, mentre il beccaio affila il coltello per sgozzarlo, ancor bruca l’erbetta del prato, o ignaro urta col muso rosato contro il tondo capezzolo materno. Ma Io sono l’Agnello che cosciente dice: “Addio!” alla vita, alla Madre, agli amici, e va al sacrificatore e dice: “Eccomi!”. Io sono il Cibo dell’uomo. Satana ha messo una fame che mai si è saziata. Che non si può saziare. Solo un cibo la sazia, perché leva quella fame. E quel Cibo, eccolo. Ecco, uomo, il tuo Pane. Ecco il tuo Vino. Consuma la tua Pasqua, o Umanità! Passa il tuo mare, rosso delle fiamme sataniche. Tinta del mio Sangue tu passerai, razza dell’Uomo, preservata dal fuoco infernale. Puoi passare. I Cieli, premuti dal mio desiderio, già socchiudono le eterne porte. Guardate, o spiriti dei morti! Guardate, o uomini viventi! Guardate, o anime che sarete incorporate nei futuri! Guardate, angeli del Paradiso! Guardate, demoni dell’Inferno! Guarda, o Padre; guarda, o Paraclito! La Vittima sorride. Non piange più…

   587.12Tutto è detto. Addio, amico. Te pure non ti vedrò più prima della morte. Diamoci il bacio di addio. E non dubitare. Ti diranno: “Era un folle! Era un demonio! Un mentitore! È morto mentre diceva che era la Vita”. A loro, e specie a te stesso, rispondi: “ Era ed è la Verità e la Vita. È il Vincitore della morte. Io lo so. E non può essere l’eterno Morto. Io lo attendo. E non sarà consumato tutto l’olio[111] nella lampada, che l’amico tiene pronta per far luce al mondo, convitato alle nozze del Trionfatore, che Egli, lo Sposo, tornerà. E la luce, questa volta, non potrà mai più essere spenta”. Credi questo, Lazzaro. Ubbidisci al mio desiderio. Senti questo usignolo come canta dopo essersi taciuto per lo scoppio del tuo pianto? Così fa’ tu. La tua anima, dopo l’inevitabile pianto sull’Ucciso, canti l’inno sicuro della tua fede. Sii benedetto. Dal Padre, dal Figlio, dallo Spirito Santo».

   587.13Quanto ho sofferto! Per tutta la notte, dalle 23 di giovedì 1° marzo alle 5 della mattina del venerdì. Ho visto Gesù in un’angoscia di poco inferiore a quella del Getsemani, specie quando parla della Madre, del traditore, e mostra il ribrezzo della morte. Ho ubbidito al comando di Gesù di scrivere questo su un quaderno a parte per farne una Passione più particolareggiata[112]. Lei ha visto il mio viso questa mattina… debole immagine della sofferenza patita… E non dico di più, perché ci sono pudori insormontabili.

[108] ha preso carne, cioè si è incarnato, deve essere inteso, qui e in 600.32, non in senso fisiologico (come nella consueta espressione: Dio-Verbo si è incarnato nel seno della Vergine Maria ) ma nel senso figurato di concretarsi, personificarsi. In quest’ultimo senso non è sbagliato dire che Dio si è incarnato in Gesù e che Satana si è incarnato in Giuda di Keriot. Infatti, come Gesù dirà in 600.26: “Chi vede Me vede il Padre mio”, così Maria Ss. in 611.13 dirà riguardo all’Iscariota: “Il Demonio ho visto in lui!”. (Allo stesso modo si potrebbe dire, come afferma Gesù in 37.6, che in san Giuseppe “aveva preso carne” un angelo). Che Giuda di Keriot fosse tutt’uno col demonio è detto in Luca 22, 3 e in Giovanni 6, 70; 13, 27; e l’opera valtortiana lo dichiara e lo chiarisce in: 356.5 - 420.6 - 503.2 - 537.3 - 565.11 - 589.9 - 595.3 - 600.32.
[109] Ho detto, in 84.5.
[110] Io sarò posseduto dai miei santi… : Perché i santi, i giusti — annota MV su una copia dattiloscritta — hanno Dio in loro avendo in loro la carità eroica, e contemporaneamente Dio-Gesù li possiede perché essi sono tutti di Lui.
[111] consumato tutto l’olio, come nella parabola narrata in 206.2/3.
[112] una Passione più particolareggiata. Infatti molti episodi della Passione e della Glorificazione sono stati scritti due volte. La prima stesura, più compendiosa ma unita qualche volta ad un commento, viene riportata, senza il commento, nel volume “I quaderni del 1944”, poiché è di quell’anno. La seconda stesura, più particolareggiata, è entrata a far parte della presente opera insieme con l’eventuale commento della prima. Può quindi capitare, nell’opera, che la data della stesura di un episodio (visione) sia posteriore alla data della stesura del suo commento (dettato), come abbiamo segnalato in nota a 477.11. Un caso particolare, riguardante una “visione” riscritta più ampiamente solo nella seconda parte, è segnalato in nota a 609.35. — In nota a 18.1 abbiamo elencato alcune espressioni di MV che si riferiscono ad episodi già scritti ma collocati in seguito, dato che a volte l’ordine della stesura non corrisponde all’ordine narrativo. Tuttavia, poiché molti episodi della Passione e della Glorificazione sono stati scritti due volte e a distanza di tempo, alcune di quelle espressioni potrebbero riferirsi alla prima delle due stesure, quella cioè più compendiosa e che non fa parte dell’opera. Come esempio segnaliamo il brano 107.1 (del 13 febbraio 1945) dove la scrittrice riconosce in Giovanna di Cusa la donna “che dà la borsa a Longino sul Calvario”. È evidente che MV possa riferirsi non alla visione del 26 marzo 1945, che è nella presente opera (608.17), ma a quella precedente che è riportata nel volume “I quaderni del 1944”. Avremo un altro esempio in 629.1.