MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MINORE

A A A

AUTOBIOGRAFIA CAPITOLO 3


Il primo Incontro


Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani.
 Accosta la tua mano e mettila nel mio costato!
 (S. Giovanni cap: 20 n° 27 7, 47-48)

 
   Giunti a Milano nel settembre, prima cura di mamma fu di cercare un istituto per me. Avevo quattro anni e mezzo, ero molto timida. Lo ero divenuta a furia d'aver paura di sbagliare e di incontrare il «guai» materno. Ero sana ma molto soffrivo del clima rigido e umido di Milano. Sarebbe stato bene tenermi ancora per casa, molto più che ero sola e perciò… davo poca noia. Ma mamma, che sognava di fare di me un Pico della Mirandola in gonnella, mi portò a scuola. All'asilo, naturalmente, e precisamente presso le Suore Orsoline di Via Lanzone.
   All'asilo ero… un'aquila rispetto alle altre più vecchie di me. Sfido io! Sapevo già leggere tutto l'abecedario e scrivere vocali e consonanti, senza contare che parevo una cocorita col mio ciangottare il francese pieno di erre che allora mi piacevano tanto!!…
   Le Suore erano molto buone e anche… molto belle. Non rida. Ora ammiro più l'interno che l'involucro e di una persona guardo solo il suosguardo e la sua anima che, del resto, balena dallo sguardo, e mi basta siano belli l'anima e lo sguardo che ne è specchio. Ma da piccina e anche fino ai miei vent'anni ero un po' tanto pagana e volevo bene solo alle cose belle, alle persone belle. Ero una grande originale, non le pare?
   Le Suore erano molto belle e perciò le amai subito. Suor Bianca, la Superiora, pareva un vaso di alabastro acceso da una interna luce d'amore. Suor Fulgenzia, la mia Suora, era fulgida come il suo nome. E buone, buone, buone!…
   Andavo dunque all'asilo molto volentieri… meno il primo giorno però, perché nonostante i suoi paurosi «guai» io amavo intensamente ed amo mia mamma4 e sono sempre stata una mendica alla porta del suo cuore in attesa di carezze… Perciò il primo giorno, quando la dovetti lasciare, feci… il diavolo a quattro. Strilli, calci, pugni, morsi, sgraffi… distribuii di tutto in larga misura. Teresa, la nutrice pazza, risorgeva in me con le sue furie paurose. Ma a sera mi ero già affezionata alle buone Suore e le baciai con amore. Il giorno dopo tornai serena all'asilo. Era una festa per me andare là, trovare carezze, lodi, premi e tante bimbe con le quali poter giocare.
   Giocare! Con delle quasi sorelline! Che gioia! Bisogna esser stati figli unici e tenuti come lo fui io per capire cosa sia la maledizione d'esser «unici figli». Ma lasciamo questo argomento che non è importante nella mia narrazione.
   Le Suore erano dunque belle e buone. Ma l'Istituto era brutto, tetro, antico. Oppresso fra le case della vecchia Milano e la Basilica di S. Ambrogio, aveva poca luce, un piccolo giardino verdognolo fin nelle pietre, cortili da monastero, scuri corridoi e una cappella… da tempo di catacombe. Pure andavo volentieri all'Istituto.
   Fra l'altro mi accompagnava spesso mia nonna. Che festa camminare con lei, sola con lei che mi amava tanto e che ogni volta mi lasciava all'Istituto con tanti baci d'addio e con il contentino di un frutto, di un confettone, dati oltre alla refezione portata da casa e, quello che me li rendeva ancor più buoni, senza che mamma lo sapesse e lo proibisse. Povera nonna! Non l'ho mai tradita dicendo a mamma le sue… disubbidienze agli ordini di sua figlia! Lei, la nonna, non mi diceva nulla, ma io capivo istintivamente che se avessi parlato nonna avrebbe avuto dei rimproveri, e serbavo il segreto. Ho imparato molto presto a serbare i segreti, a riflettere su quel che è prudente tacere!…
   Nell'Istituto trovai Dio. Papà e la nonna mi parlavano di Lui, mi facevano pregare, mi portavano in chiesa. Ma io incontrai il volto di Dio e il suo amore nell'Istituto. Il primo incontro vero e proprio e incancellabile.
   Le buone Suore, e specie la nostra Suor Fulgenzia, ci parlavano di Dio con parole atte alle nostre piccole menti. Ci narravano «di Dio l'opre stupende», ci descrivevano gli attributi della divinità e infondevano in noi il santo timore di Dio. «Dio ci vede sempre, Dio è sempre presente, nulla gli è nascosto, Egli è dapertutto». Quante volte ho udito queste parole!
   Avevamo, nella nostra scuoletta di lavoro — e il lavoro era imparare la maglia facendo certe… corde dure e sudicie che parevano aver servito ad accalappiare mille cani randagi — avevamo delle seggioline di paglia e colla spalliera di legno che terminava in due specie di pigne. Mi par di vederle ancora! Io, con la mia fede assoluta nelle parole della Suora, credevo fermamente che Dio… fosse dentro a quelle due pigne e gli chiedevo scusa di voltargli le spalle… Santa semplicità dell'infanzia, che fa scorrere un sorriso nei Cieli e davanti alla quale angeli e patriarchi s'inchinano riverenti. Almeno lo penso io.
   E l'Angelo custode? Nel giardino, così tetro e verdognolo, vi era una grotta con dentro l'Arcangelo S. Michele, credo, perché aveva la spada in mano. Un angelone gigante per noi così piccine!… E la Suora ci portava là davanti e ci diceva che un angelo così, ma ancor più bello, era sempre al nostro fianco e bisognava esser buone se no lui si copriva il volto con le sue belle ali e piangeva…
  Ma poi, più di queste due prime conoscenze col soprannaturale, quello che più di tutto mi faceva palpitare il cuore davanti all'ineffabile mistero della bontà divina era il Cristo deposto della Cappella. Era sotto l'altare maggiore. Doveva essere un'opera d'arte molto antica e certo meritevole, perché aveva un verismo fin troppo impressionante. Così e non diversamente doveva essere il Cristo quando le mani pietose di Giuseppe e Nicodemo lo schiodarono dalla croce per deporlo nel grembo della Madre. Grande al naturale, aveva i tratti stanchi di chi morì fra mille spasimi e, nelle membra rilasciate nell'abbandono della morte, tutte le piaghe, le sferzate, le trafitture, le contusioni di uno seviziato come lo fu il Salvatore prima della crocifissione.
   Impressionante dico e ripeto, e molte mie compagne piangevano di paura quando ci portavano là a vederlo e a pregarlo. Io non piangevo di paura ma tremavo di compassione. Io che fin da allora non potevo veder soffrire nessuno, neppure un pollo, e che mi sentivo ripetere che quel povero corpo era quello di Gesù e che così l'avevano ridotto i nostri peccati. Non so se era in tutto giusto far fare certe meditazioni a creature non ancora cinquenni; quello che so di certo è che io, all'opposto delle altre che piangevano per paura di quel cadavere, e soprattutto per paura del castigo di Dio per i nostri peccati, tremavo di pena solo per Lui e sentivo che era l'amore, il suo amore per noi, più dei giudei crocifissori, che l'aveva ridotto così e avrei voluto consolarlo… Vincendo il ribrezzo naturale per quel corpo impiagato in una maniera paurosa, lo guardavo, lo guardavo e avrei voluto che l'urna fosse aperta per potergli andare vicino, carezzargli la testa coronata di spine, baciarlo anche, far sì che sentisse che gli volevo bene. Quante volte avrei voluto mettere in quella mano trafitta il bel confettone tutto bergnoccoluto o quello dorato, o rosso o verdolino, che la nonna mi comperava nel condurmi a scuola e che mi piacevano tanto perché erano buoni e poi perché mi dicevano l'amore della nonna!
   Le parranno sciocchezze queste, Padre. Ma pensi alla mia età di allora… Più tardi, molto più tardi, nella mano trafitta di Gesù ho messo l'offerta della mia vita ma, se ci penso bene, sento che… mi sarebbe costato di più, allora, dargli il mio confetto che non ora la mia vita e il mio soffrire.
   Tornata a casa io, che già avevo raccontato tutto a nonna, ripetevo la mia… scienza a mamma, a papà, alla donna di servizio, al soldato, e poi andavo a nanna pensando a Gesù che era là solo e… malato, dicevo io. Ed era tanta la forza di questo pensiero che delle volte di notte mi svegliavo piangendo, e a nonna che dormiva con me o a mamma che accorreva sentendomi piangere dicevo che vedevo Gesù tutto malato che piangeva perché era solo. I miei si impressionarono di questo e pensarono di farmi cambiare Istituto per mandarmi in uno meno… medioevale, nella tema che io mi ammalassi di paura. No, mi ammalavo di amore.
   Il primo contatto era avvenuto e Gesù e Maria non si sarebbero più persi di vista anche se, a periodi, vi fu da mia parte una colpevole freddezza. Ma proprio staccata da Lui non mi staccai più e da Lui sofferente, da Lui Redentore, da Lui Re del dolore. Non ho mai compreso Cristo che sotto questa vesta imporporata del suo sangue ed ho sempre avuto ansia di consolarlo facendomi simile a Lui nel dolore volontariamente patito per amore.
   Mentre i miei stavano decidendo sulla scelta del nuovo Istituto, io venni colpita dalla tosse canina in forma improvvisa e gravissima. Ero andata a scuola come al solito, pure sentendomi tutta indolenzita. Ma mi hanno abituata per tempo a non ascoltare tutti i malannucci e sono grata ai miei di ciò. Se non mi avessero temprata virilmente come avrei potuto sopportare la mia vita? Ero dunque andata a scuola. Ma verso il mezzogiorno cominciai a tossire in modo che non lasciava dubbi sul genere di quella tosse e mi venne subito un febbrone. Fui immediatamente separata dalle compagnette e stetti tutto il resto del tempo, ossia fino alle 17, nello studio della Superiora e in braccio a lei. In braccio! Oh! ci stavo ad aver tutto quel male nel petto pur di stare in braccio a quella Suora così bianca e buona. Fuor che la nonna e mio papà, nessuno mi pigliava in collo ed io avevo una così acuta smania di essere coccolata!!
   Non tornai più dalle Orsoline. La malattia durò dei mesi e si vinse solo nell'estate venendo in Toscana per la villeggiatura.
   Nell'ottobre 1904 venni iscritta all'Istituto delle Marcelline.
 

   amavo intensamente ed amo mia mamma: è la prima delle 28 attestazioni che si troveranno richiamate nella voce "Fioravanzi Iside, amata ecc." dell'indice analitico in fondo al volume. Maria Valtorta, sincera anche sul conto della propria madre, della quale riferisce incomprensioni e vessazioni, mostra di averla sempre amata, perdonata, onorata e servita.

 MV a 2 anni  

 MV con madre