MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MINORE

A A A

AUTOBIOGRAFIA CAPITOLO 21


1940-1942.

Crux1 sancta sit mihi lux.

 
   Il 1940, nato in un mondo già insanguinato, si iniziò per me molto tristemente.
   Per quanto avessi preveduto esattamente quanto ormai accadeva, pure il vedere che accadeva realmente mi era cagione di molto dolore. Fra l'altro, senza essere un'aquila, né un diplomatico, né uno stratega, capivo a cosa si andava incontro noi italiani e qualiconseguenze ne sarebbero venute per questa povera Italia nostra.
   Avevo pregato tanto, per degli anni, per ottenere la pace. Non posso certo rimproverarmi di non aver fatto tutto il possibile, unendo il mio nulla ai meriti di altre anime elette più della mia, perché fosse risparmiato all'Europa, e specie a noi italiani, il flagello di una nuova guerra. Avevo pregato, pianto, m'ero proprio saturata d'affanno. In cambio fui trattata, secondo il solito, da pazza. Quando pareva che tutto fosse ormai deciso per la guerra, ecco una tregua… ed io raddoppiavo le preghiere perché fosse duratura.
   Così fino all'inizio dell'agosto 1939. Al 12 agosto — ricordo esattamente che era la festa di S. Chiara — una premonizione mi avvertì che era venuta l'ora feroce.
   Avevo allora in Polonia una delle mie figliette dell'A. C., andata fin là per guadagnarsi il pane per lei e sua madre. Io l'amavo e l'amo tuttora molto, benché da lei mi sia venuto or è un anno un grande dolore. Conoscevo quel cuore esuberante e quella mente esaltabile più della sua stessa mamma. La capivo facile preda di chiunque la sapesse circuire e la lusingasse di essere capace di darle quello che la sua famiglia non le dava: ossia un affetto giusto e intelligente. Anche malata e reclusa dal male, avevo sempre vegliato su lei ed ero riuscita a salvarla una volta… Oh! per lei ho saputo mettere sull'attenti anche dei sacerdoti che… dormivano mentre era il caso di stare molto attenti alla pecorella che si smarriva… Dopo era andata in Polonia. Ma io non la perdevo di vista.
   Il 12 agosto fu così pressante la «voce» che mi diceva: «Dille di tornare subito». Scrissi una lettera. Fu l'ultima che valicò la frontiera, come il treno con cui tornò quella mia figlietta fu l'ultimo uscito dalla disgraziata Polonia. Allora, quando la bufera per la quale m'ero tanto angustiata ebbe realmente inizio, non piansi più.
   Mi succede sempre così. Mi dispero avanti. Al momento in cui davanti alla realtà si disperano i più ciechi ottimisti, non dispero più. Ho già passato quel momento in anticipo. Entro perciò nella realtà del fatto con molta fortezza. Sento tutta la tristezza dei tempi. Ma questi non mi turbano più perché li ho già visti con una antiveggenza che è il mio tormento. Anche le mie profonde tristezze di questi giorni, di questa settimana, è perché vedo ben tristi eventi futuri.
   Il 1940 si era perciò iniziato così. Già asperso di sangue e chiamante sempre nuovo sangue, e italiano per giunta… Molti si illudevano sulla nostra «non belligeranza». Non io. Raddoppiavo preghiere e sacrifici, ma ormai lo facevo già per ottenere pietà per noi nelle terribili contingenze della guerra che sentivo inevitabile e già decisa…
   In gennaio morì anche il marito della Soldarelli. Mi faceva pena quell'anima che andava a Dio così: senza riconciliazione dopo tanti errori. E mi detti da fare perché fosse possibile un incontro del morente con un sacerdote. La moglie, accecata dal­l'af­fetto, non capiva che il marito era condannato. Ma io lo sapevo. Chiamai perciò un sacerdote. Non posso pensare che un'anima si perda per colpa nostra. Questo sacerdote mi promise di andare… ma non andò. Ho passato pregando tutta l'ultima notte di vita di quel disgraziato… sarà valso a qualcosa? Solo Dio lo sa.
   Però è doloroso constatare certe lentezze nell'assistere le povere anime. È inutile predicare se i primi ad esser tiepidi sono coloro che predicano. Quanto occorre pregare per i Sacerdoti!… Tante volte si criticano le anime perché non sono pronte a fare i loro doveri di cristiani. Ma, diciamolo pure e diciamolo con dolore, molte volte la colpa è dei ministri preposti all'assistenza di queste povere anime, che saranno lebbrose quanto si vuole, ma appunto per questo vanno curate.
   Insomma quell'uomo è morto così. E speriamo che la sua anima all'ultimo momento si sia rivolta a Dio, da sé.
   Le confesso però che rimasi così disgustata che, per quanto sia contraria a rivolgermi ad altre parrocchie, cominciai allora a riflettere che era bene cercassi altrove un sacerdote per non andare avanti così zoppiconi nell'esercizio dei sacramenti. E lo dissi anche apertamente, perché penso che nulla ci deve far tacere la verità. Sono molto cateriniana in questo. Penso che avrei coraggio di dire: «Ciò non va fatto» anche al Sommo Pontefice. Penso che tutti si può sbagliare e che perciò dovrebbe essere a tutti caro di essere avvertiti del nostro errore. Delle volte un bimbo, un ignorante, un inferiore può vedere giusto dove noi vediamo sbagliato e, con la sua parola schietta, ricondurci sulla retta via. Ma il mio dire non giovò a nulla. Io rimasi sempre con una assistenza quasi nulla e che ricevevo a distanza di anche cento giorni dopo infinite chiamate. Amen!
   A consigliarmi anche di più nella ricerca di un sacerdote attivo fu la malattia di mamma avvenuta nella primavera del 1940. Una forma tossica intestinale dovuta alle sue bizze nel nutrirsi e nel curarsi con metodi suoi propri. Ma fu un susseguirsi di miglioramenti e di ricadute dovute a nuovi capricci nel nutrirsi della ostinata mammina. E così ebbi spaventi, pensieri, crucci, brontolate, oh! di queste poi!!! Io e Marta abbiamo passato un vero inferno.
   Ho la coscienza tranquilla perché so di avere curato mia madre come meglio non poteva esserlo. Non mi sono fatta rincrescere nulla né di medicine né di vitto. Come al solito, non me ne fu grata. Anzi, a sentire lei, noi due la trascurammo. Meno male che ci sono diversi testimoni che sanno come si agiva. Il medico, vedendomi spesso in lacrime per la tema di perderla, mi diceva: «Ma ne ringrazi Iddio! Scommetto che lei migliora se sua madre muore. Pensi a lei!». Ma era mia madre. È mia madre. Non ha fatto nulla per essere amata. Anzi ha fatto tutto per uccidere il più resistente amore. Ma io l'amo ancora, l'amo sempre. Non l'amo altro che io. Prima eravamo io e papà. Ora sono io sola.
   Non avere più neppure quel minimo di quiete che avevo prima, nutrirmi ancora meno e peggio del solito per rientrare in quel tanto di spese che mamma mi dava e mantenere viceversa a lei carni scelte e vini generosi, frutta rare e bibite rinfrescanti, dovere stare sempre a orecchio teso per sentire se di notte si muoveva, l'essere ancor più del solito rimproverata e l'udire sempre rimproverare Marta, l'affanno di vederla stare male, furono altrettante mazzate sul mio organismo già lesionato.
   Sono peggiorata da allora come non ero peggiorata in quasi dieci anni. Alle malattie già esistenti se ne aggiunsero altre: nevriti di un dolorare spasmodico, talmente forte che supplicavo il medico di farmi morire. Giunsi a pennellarmi tutto il volto con della tintura di iodio molto forte per intontire il trigemino che mi dava dolori da ammattire. Dolori che non potevo calmare con nessun analgesico per lo stato del cuore. Alle nevriti si unì una pachimeningite che mi rese intirizzita come fossi mummificata. Al minimo movimento dovevo urlare. Le reni si guastarono e la cistite cronica si complicò con una pielocistite culminata in emorragie renali e vescicali. La peritonite aumentò dando fenomeni di occlusione intestinale. La pleurite aumentò al lato destro dove si formarono aderenze dolorose. Nel dicembre freddissimo del 1940, durante un'assenza di qualche giorno di Marta, essendo rimasta priva di bottiglie calde e senza nessun riscaldamento, mi venne una congestione polmonare andata sempre più aumentando nelle infinite ricadute avute da allora. Che bella enumerazione! Ma è il mio… stato di servizio…
   Nella primavera del 1940, quando mamma era più malata, avevo scritto ai diversi parenti per avvertirli della gravità di lei. Mi risposero tutti con buone e incoraggianti parole. E fra l'altro mi scrisse un cugino2, al quale io non avevo scritto direttamente perché avevo preferito scrivere alle cugine. Fra donne ci si intende meglio.
   È un uomo molto provato. Rimasto orfano di madre a sette anni, vedovo a quaranta e con quattro figli di cui uno morto nel 1935 a 21 anni. Quando io ero a Reggio Calabria avevo avuto modo di conoscere bene questo uomo dal cuore buono ed esuberante e mi dolevo che la sua bontà fosse tutta umana. Senza nessuna ombra di fede. Ma lo scusavo pensando che era già assai se, cresciuto in mezzo a uomini, senza una madre che gli insegnasse a pregare, senza nessuno che gli parlasse di Dio, nell'ambiente non certo propizio alle elevazioni spirituali quale è l'albergo, era rimasto umanamente buono.
   Mi stupì dunque molto la sua lettera tutta pervasa di fede. Noti che… essendosi azzuffato con mamma, allora, quando eravamo sue ospiti, egli non aveva più scritto. Solo alla morte di mio padre aveva scritto a mamma. Non so cosa. So che lei si stupì molto della religiosità di Giuseppe e rispose così poco in tono che lui non le riscrisse mai più.
   Con la sua bella schiettezza egli mi ha anche di recente dichiarato che dovette scrivere contro sua voglia a me «spinto da una forza sconosciuta», dice lui, perché di suo non lo avrebbe mai fatto credendomi divenuta col tempo «simile a mia mamma e perciò di cuore arido ed egoista», scrive sempre lui. Io risposi ringraziando. E si capisce che seppi rispondere non deludendolo, perché mi rispose ancora. E così per tre volte dall'aprile al giugno.
   Poi silenzio fino all'aprile del 1941. Epoca in cui mi arrivò una sua lunga lettera in cui, sempre dicendosi spinto a scrivermi da una forza sovrumana, mi si confessava per spiritualista convinto e professante.
   Le assicuro che feci un balzo sul letto. Spiritismo, spiritualismo, ecc. ecc. sono per me altrettanti «babao». Io credo che neppure le bombe mi muoveranno. Ma se dovessi sentire o vedere qualcosa di spiritico faccio uno schizzo da cavalletta e vado a finire in mezzo alla strada così come sono.
   Al momento, dopo averne fatto un carnevale con Marta, decisi di non rispondergli neppure. Poi riflettei che ciò non era carità. La sua lettera, infine, era pervasa da un rispetto a Dio, da una sommissione alla sua Volontà che difficilmente si trovano nei cattolici osservanti. Fra l'altro mi diceva — rispondendo per sua sorella alla quale io avevo scritto di Padre Pio3 per un nipote combattente nell'Africa Orientale — mi diceva tanto bene di questo frate e con un così profondo rispetto della Chiesa che non mi sentii di condannarlo.
   Per me tutto è preferibile a non avere una fede. Fra l'idolatra e l'ateo preferisco sempre l'idolatra. Dell'ateo ho paura. Penso che chi cerca Dio per sincera ricerca della Verità e della Luce, con purezza di intenzione, per un vero anelito verso questo Dio che sente esistere ma non sa dove sia, come sia, penso che quando una creatura cerca tutto ciò umilmente e senza secondi fini, essa sia già sulla via di Dio. Sarà una via parallela, forse anche una via tortuosa, ma sempre prossima alla via regale che porta a Dio. E perciò questa creatura non va trascurata ma aiutata nella sua ricerca da uno più avanti di essa nella conoscenza della Verità.
   Perciò, con un po' di tremarella, gli risposi. Confutando però certe sue idee. E credo che fossi un po' tanto recisa nella mia confutazione.
   Non se ne offese. Anzi da allora continua a scrivere. Qualche volta ci siamo anche ferocemente insultati… ma poi abbiamo sempre fatto la pace, riconoscendo che ci battevamo in due campi opposti ma guardando un punto solo: Dio.
   Gliene ho già parlato a voce e non mi dilungo oltre. Solo le dico che anche questo non fu senza utilità. Credo che nella lunga e paziente corrispondenza io abbia seminato dei semi buoni fra i molti e arruffati steli che crescevano in quel cuore cercante Iddio quando già la vita è nella parabola discendente.
   Qualche volta, con la mia paura per certe cose, fui lì lì per troncare tutto, specie quando qualche sua troppo ardita enunciazione, molto lontana dal mio modo di pensare e di credere, mi urtava e sconcertava. Ma sentivo che non lo dovevo fare. Il buon Gesù non lo voleva. Avevo anche paura che ciò potesse in qualche modo dare agio al demonio di accostarsi di più. Ma anche qui una luce e una voce dall'alto mi dette risposta e chiarezza.
   Era sempre la paroladel Verbo che rispondeva alle mie perplessità: «Io vi ho dato il potere di calcare serpenti e scorpioni e di superare tutta la potenza del Nemico, e nulla potrà farvi di male». E la voce di Gesù, nel fondo del mio cuore, mi ripeteva: «Non temere. Nulla potrà accaderti di male. Non trascurare questa creatura. Anche essa è mia, crede in Me, è ricomprata dal mio Sangue e dalla sua fede. Non la giudicare e solo siile portatrice della mia Parola».
   Anche la benedizione di Padre Pio mi dava coraggio a continuare… e infine me ne dava l'essere mio cugino a quasi mille chilometri da me! Coraggiosa, vero?
   Nel giugno 1941 Giuseppe mi mandò un messaggio, come li chiama lui, tutto per me. Molto lusinghiero in verità per l'umile sottoscritta. Ma mi fece montare la mosca al naso. E gli risposi con una vera requisitoria contro lo spiritualismo e gli spiritualisti. Ho ancora la brutta copia. Ma poi me ne pentii. Avevo contemporaneamente ricevuto diverse lettere da persone che bene mi conoscono o che credo fermamente illuminate da Dio, le quali, quasi con parole uguali, dicevano le stesse cose del «messaggio» inviato da mio cugino.
   Per spirito di giustizia mi dissi allora: «Se tu accogli queste come risposte e incoraggiamenti che il buon Dio ti manda attraverso queste persone che tu stimi, perché non vuoi accogliere questa? Come ti puoi arrogare il diritto di giudicare costoro come indemoniati o per lo meno pazzi? Lo spirito di Dio può soffiare dove e come vuole, e se Egli giudica di farti avere attraverso a persone sconosciute da te una parola che ti rincuori, in questo momento in cui sei così sommersa in un mare di accasciamento e titubi di essere sulla via giusta e ti chiedi se sei o non sei a posto di mente o se invece sei una pazza, perché vuoi spregiare questa parola? Non è il primo caso, in venti secoli di cristianesimo, che furono giudicate eretiche delle creature la cui fronte è ora ornata dell'aureola dei santi. Anche quelle subirono le beffe, i rigori della legge, il supplizio perché dicevano d'avere delle "voci" che le istruivano. Dunque… Non giudicare. Resta umile nella lode e prudente nell'agire. Di' al Signore di illuminarti sul da fare».
   Ho molto pregato in quei giorni e fatto pregare attendendo un segno. E il segno l'ho avuto nella sconfinata pace che è venuta in me. Ho capito allora che Dio non trovava pericoloso il mio carteggio col cugino. E l'ho continuato.
   Non discuto e non arzigogolo se chi parla è Tizio o è Caio. Ho solo ascoltato la ripercussione che quelle parole potevano dare al mio io.Se avessi sentito un turbamento qualsiasi, avrei troncato tutto. Invece non avvertii né un pullulare di superbia, né un turbamento alla fede, né un tremore di inspiegabile origine.
   Circa l'elogio ricevuto rimasi come prima, anzi mi sprofondai più che mai nell'umiltà e nella riconoscenza dicendo: «Se queste parole sono permesse da Te, ragione di più per me di agire con il massimo di perfezione che posso io per meritare di rimanere sempre fra le tue braccia, ragione di più per esserti riconoscente e per amarti di più per contraccambiare il tuo amore». E le assicuro che da quel momento fui ancora più attenta a non mancare mai verso il Signore.
   Lei una volta mi ha detto che io prendo tutte le cose e le vedo, le cose, sempre sotto uno speciale punto di vista, diverso da quello per cui un'altra persona le scrisse o le fece. E mi ricordo di averle risposto che è proprio così, come se la luce, che si parte dall'anima mia, illuminata dal suo Sole: da Gesù, proiettandosi su tutto, dia a tutto una luce soprannaturale e buona.
   Ma del resto ciò rientra nelle promesse di Dio. Non dice5 forse Egli che coloro che agiscono in suo Nome sono resi immuni dalle insidie dei serpenti, delle fiere e dei demoni? Io credo che un'ani­ma, veramente unita al Cristo, possa passare attraverso l'inferno senza risentirne danno. Non per suo merito, ma per il potere di Colui che l'abita.
   Perciò anche questo fatto della mia vita, che avrebbe potuto mettere scrupoli o agitazioni in altri cuori, mi lasciò indifferente. Cioè si ritorse, dato che sia arte diabolica, in strumento di bene, perché mi spronò a un sempre maggior bene.
   Dio m'ha sempre e talmente amata che di tutto quanto mi si agitò d'intorno, durante la mia vita, trasse un insegnamento di perfezionamento, così come tutto quanto per qualsiasi causa venisse a contatto con il mio spirito si mondò dal male, che poteva avere in sé, e a me non dette che incitamento al bene. «Anzi t'ho amata d'un amore eterno e per questo ho avuto continua benignità verso di te». Queste parole6 me le dice ad ogni minuto il Padre mio, ed io ne sento tutta la verità.
   Vissuta in modo che avrei potuto crescere senza fede e con poca morale, Egli, l'Eterno, mi istruì e mi sorresse per tutta la vita. Quando io penso a quelle parole: «Come una madre carezza i suoi piccini così Io ti consolerò, ti porterò sul mio seno, ti cullerò sulle mie ginocchia», dico sempre: «Sì, Signore. Tu con me facesti proprio sempre così. Mi fosti e mi sei padre, madre, sposo, fratello, amico, maestro e sacerdote. Tutto mi sei, o Signore, e non ho avuto altri che Te per formare la mia persona a tua immagine e somiglianza. Tu hai preso la mia mota, nata informe e viziata dal seno di mia madre, così come il fango esce dall'acquitrino che lo copre, e mi hai plasmata secondo il tuo pensiero. Io, povera mota, volevo delle volte modellarmi a modo mio, io, oscura polvere, avevo desiderio talvolta di essere guidata… e Tu, Tu solo mi hai guidata, come Tu solo hai perseverato a modellarmi nonostante le mie deviazioni».
   Dio, di tutto quanto conobbi e vidi e soffrii, si è servito per farmi procedere nella sua via. Dei lutti e dei dolori per farmi cercare il suo Cuore, dell'istruzione per farmelo adorare, della natura per farmelo lodare, delle mie miserie per farmelo benedire per la sua misericordia, della conoscenza delle miserie altrui per farmi sentire riconoscenza per la sua bontà, delle altre religioni o teorie per aumentare il mio amore, la mia fede, la mia dedizione a Lui.
   Sì, anche le altre religioni hanno servito ad accrescere la mia immedesimazione con Dio e il mio miglioramento spirituale. Ho sempre pensato, da quando ho conosciuto le dottrine di altre religioni, che in tutte vi è un frammento della vera, della nostra. Si direbbe quasi, per portare un paragone umano, che dell'unica vera religione: quella data da Dio a Mosè e confermata poi dal Verbo di Dio, si siano staccati frammenti che portano seco un briciolo di verità. Come un immenso specchio, alto nel cielo perché tutti i nati dell'uomo lo vedessero, stava la Religione del­l'Eterno. Lucifero e la sua coorte, con folle ira, scagliarono le loro frombole infernali contro quello specchio mirabile e ne colpirono i bordi. Non il centro, dove brilla il fulgore di Dio, ma i bordi, là dove ancora potevano guardare, sia pure a fatica, le torme dei demoni. E le schegge caddero sulla terra formando il seme di altre religioni che, fra i loro errori, conservano pur sempre un frammento più o meno grande di Vero.
   Quando io, studiando le religioni e i loro codici morali, noto questo riflesso di luce divina brillare fra le sovrapposizioni contorte dell'errore, mi sento sempre più spronata a seguire esattamente i dettami della mia. Così il bramanesimo, che ha in grande culto la continenza, la purità, mi spinge ad esser più che mai pura; così la maomettana, con la sua lode a Dio che vede balenare a oriente e a occidente negli astri e nelle erbe, ovunque la sua potenza sia testimoniata dalle cose create, mi spinge a lodare e benedire il Creatore nostro; così la scintò, la quale proclama la presenza di Dio ovunque sia un che viva: «Dove stride una zanzara Io sono», mi porta a vivere come se al mio fianco fosse visibilmente Iddio; così la buddista, con la sua dottrina di benevolenza nella quale riecheggia così vivo il nostro Vangelo là dove predica di amare il prossimo, di avere nel cuore pensieri onesti se si vogliono compiere opere che diano una vita eterna ecc. ecc., mi porta a sempre più essere benevolente verso il mio prossimo tutto: dai genitori all'ultimo abitante del globo.
   Mi dico: se i credenti di religioni non vere vivono da puri, da santi, solo perché il loro profeta, il loro mandato da Dio ha detto di vivere così, cosa non dobbiamo fare noi che possediamo la vera religione e che abbiamo avuto per Mandato da Dio lo stesso Figlio di Dio? Se delle creature ancora dominate da una legge d'errore sanno elevarsi tant'alto verso il Bene, cosa non devi fare tu, anima mia, che possiedi lo stesso Bene?
   Ho sempre avuto rispetto per le immagini, tanto per dirgliene una; ma da quando ho saputo che in Giappone la fotografia del loro Imperatore, discendente degli dèi, non viene mai pubblicata sui giornali solo perché un giornale, una volta letto, può essere usato a usi… poco nobili e perciò può essere insudiciata e offesa l'effigie del re, mi è venuta una viva accortezza a non usare mai carte dove sia scritto il nome di Gesù, di Maria e dei santi.
   Io credo che quando un'anima è veramente satura di Dio, come una stoffa può essere imbibita di un liquido, nulla più la può turbare o sedurre. L'importante è che un'anima si lasci penetrare da Dio, il quale non chiede altro che di informare di Sé le sue creature.
   Ieri mattina Lei mi diceva che non crede che io abbia commesso colpa grave circa la purezza. Può benissimo essere come dice Lei. Ma io sono giunta ad una sensibilità data dall'amore, non dal timore, che mi avverte anche di una sfumatura impercettibile di imperfezione. Non sono scrupoli. No. Lo scrupolo è diverso. Lo scrupolo si fa ragione di peccato anche dove peccato non è. Io capisco se una data cosa è o non è peccato, ma però se una cosa che non è buona mi avviene anche solo di iniziarla, magari col pensiero, la coscienza mi dice subito: «Attenta! Ciò addolora Gesù». E anche di aver avuto quel neo di colpa, anche solo d'aver desiderato quel neo, ne soffro fino al pianto. Non per me. Per Gesù.
   Io lo amo, Padre, ma di un amore che è più intenso di quello di molti. Di un amore di carne e sangue oltre che di anima. Dio non è per me un'idea astratta, lontana, irraggiungibile come lo è per la grande maggioranza dei cattolici. Egli è per me una realtà. E non solo una realtà ideale. Egli è qui, vivo, vero. Io lo sento, gli parlo, lo porto in me.
   Come figlia io non ho mai voluto dare un dolore ai miei genitori perché li amavo come di più non si può. Come moglie non avrei mai dato un dolore a mio marito perché lo avrei amato con tutta me stessa. E dovrei agire diversamente col mio Dio che è il mio supremo amore? Che è colui che non mi ha mai nuociuto?
   Oh! non è il timore del castigo che mi fa piangere pensando alle mie manchevolezze! È il pensiero d'avere addolorato Lui! Io addolorato Lui, che a costo di mille tormenti vorrei far sorridere?! Le lacrime di Cristo io le vorrei asciugare tutte. E perché allora farne salire altre a quelle pupille amorose?
   Ma ha capito, Lei, di quale amore assoluto, ardente, consumante, io amo il mio Dio? Vi sarà chi lo ama più di me, non ne dubito. Ma io lo amo col massimo che posso raggiungere. Non potrei di più, neppure morendo nello sforzo, col cuore spezzato e le vene aperte dal rigurgito dell'amore. Maddalena7 ha sparso lacrime e nardo sui piedi del Redentore. Io spargo me stessa. M'effondo tutta fuor dal vasello della carne che spezzo per amore…
   Stamane è venuto l'Amore… e io ardo…
   Che mistero di Bontà eterna è questo! Anche nell'anima più immolata dal Padre, e perciò privata di quella beatitudine che rifluisce in altre per i sorrisi dell'Eterno, viene sempre coi suoi conforti immensi ed infiniti Gesù, Signor nostro. Egli sa bene che sotto al rigore della Giustizia noi, povere vittime, morremmo desolate. Egli lo sa perché l'ha provato. E allora viene a rianimare le nostre forze esauste, viene coi suoi tesori d'amore, viene con le fiamme e le luci dell'Amore stesso, e i nostri occhi allora si aprono con una potenza d'aquila che neppure il pianto vale ad offuscare e vedono il Padre, la cui vista ci era stata tolta per accrescere la prova.
   Anche se è un attimo, esso è bastevole a letificare tutta la giornata e oltre. Ed è bene che sia concesso solo per attimi. Altrimenti non lo sopporteremmo, deboli come siamo. La beatitudine ci distruggerebbe. Invece, data così, per attimi, accresce la nostra essenza, ci dà una nuova infusione di pace, perché nell'attimo in cui il nostro spirito si congiunge con Dio la pace rifluisce tutta dai laghi eterni in noi, ci illumina degli splendori di Dio e ci rende capaci di vedere, ci apre la mente e ci fa capaci di capire, ci dilata il cuore e ci fa capaci di amare, ci dà la forza e ci fa capaci di resistere, ci dà Sé stesso, insomma.
  

   Ed ora torniamo… sulle rotaie dopo aver sconfinato dietro alle voci dell'amore.
   Ho dunque continuato a corrispondere con mio cugino mettendo anche questa fatica insieme a molte altre, nel reparto: apostolato.
   La malattia mi ha segregata in casa, è vero. Ma non ha messo impedimento al mio piccolo apostolato. Finché si vuole, si può compiere un lavoro apostolico per amore di Dio.
   La pazienza nella malattia è già un apostolato. Vedere uno che soffre e sorride, uno che è senza un attimo di benessere e non si inquieta, uno che sa compiere una volontà di Dio che, vista con sguardo umano, è molto dura, fa riflettere e meditare gli increduli o anche semplicemente i tiepidi su eterni Veri, da troppi negati o tenuti in poco conto. Come negare l'esistenza di Dio e dell'anima davanti a certi prodigi di pazienza che durano lunghi anni e che, senza mai perdere nulla della loro severa intensità di dolore, sanno conservarsi ilari e fidenti? Il solo guardare noi cronici, e cronici non soltanto rassegnati al dolore ma gioiosi di vivere nel dolore, è una lezione per i gaudenti della terra, per gli egoisti, per i malcontenti, per i ribelli…
   Poi vi è l'apostolato della parola. Curiosi che vengono solo per curiosare e che noi possiamo, così alla buona, lavorare in nome del Signore. Amici che hanno crocettine minuscole come pistilli di pratoline e che vengono a piangere da noi… e che noi, i grandi crocifissi, consoliamo facendo loro vedere che la croce è dono e non castigo. Ammalati come noi, ma meno abbandonati a Dio di noi, e che perciò soffrono moralmente più di noi, e ai quali possiamo dare tanto aiuto parlando o scrivendo.
   Un'anima vittima deve essere il Cireneo di tutti: del buon Gesù nostro, continuando a portare la croce che Egli portò per primo; del nostro prossimo portando le croci che, anche se piccine, ad esso paiono tanto grosse… Sono le nostre spalle di anime vittime quelle che devono piagarsi sotto il caro peso della croce. In noi vi è la conoscenza esatta dell'amore, e questo è l'alimento e il motore che ci permette di portare quel peso senza flessioni e senza stanchezze.
   Ben venga, dunque! Le croci dei fratelli ci trovino sempre pronti a rialzarle, se troppo esse avviliscono coloro a cui sono mandate. Preghiera e sacrificio per i più deboli, umile richiesta a Dio di soffrire per chi non sa soffrire, dobbiamo fare noi che nella nostra logorata esistenza di malati cronici siamo degli atleti dello spirito, noi che abbiamo capito il «perché» del Dolore, gustato il suo sapore divino e penetrato la sua celeste bellezza.
   «Saliamo sull'albero della Ss. Croce», scrive S. Caterina. «Ivi vedremo e toccheremo Iddio, ivi troveremo il fuoco della sua inestimabile carità il quale lo ha fatto correre agli obbrobri di croce, levato in alto, affamato e assetato di sete dell'onore del Padre e della salute nostra. Bene si può, se noi vorremo, adempire in noi quella parola siccome disse la dolce bocca della verità: "Se io sarò innalzato trarrò tutto a me". E se mi diceste: "io non posso salire perché è molto alto", io vi dico che Egli ha fatto scalini del corpo suo. Levate l'affetto ai piedi del Figlio di Dio, e salite al cuore che è aperto e consumato per noi, e giungerete alla pace della sua bocca e diventerete gustatori e mangiatori delle anime».
   Ecco il segreto per giungere all'immedesimazione col Cristo e con la sua opera. La Croce. Essa ci dà Dio e ci dà le anime.
   Davanti a certe domande di sofferenza io titubo un istante… è la parte umana di me che trema… Ma mi pare che Gesù, in veste di mendicante, mi tenda la mano… E allora non so più negargli nulla e gli dico: «Anche questa sofferenza, o Signore, purché un'anima di più ti ami!».
   Oh! per l'anima unita a Dio strettamente non vi sono confini e limitazioni di nessuna maniera. Essa, essendo spersa nel suo Signore come una goccia nell'oceano e una stella nel firmamento, ha davanti a sé lo spazio illimitato e libero nel quale Dio si muove. Cielo e terra, viventi e trapassati, tutti essa può contenere e aiutare.
   L'unione a Dio, quando è completa fino alla morte di croce, per essere simile al Dio Uomo, ci dà veramente l'immagine e la somiglianza di Dio di cui un lato del prisma è l'universalità e l'infinito. Non vi sono più limiti all'anima che si è data a Dio come una festuca si dà all'onda che la porta. È Dio stesso che ci porta ad agire e a pregare, a seconda del suo volere, e noi non siamo nulla fuorché una volontà assorbita dalla sua Volontà.
   Dolce schiavitù d'amore che annulli la nostra personalità umana e ci sublimi nella stessa personalità del Cristo che ci assorbe, chi potrà descriverti in tutti i tuoi fulgori, in tutte le tue elevazioni, in tutte le tue beatitudini? Comprendo il gesto dei Serafini che si raccolgono adorando Iddio nelle grandi ali colle quali velano anche la fulgida faccia. Anche l'anima mia, davanti al mistero di Dio che si curva sulla sua povera schiava in tutta la magnificenza dei suoi tesori, si raccoglie, adorando, rinserrando in sé le vampe e gli splendori emananti da Dio, e tace adorando. Davanti al poema di un Dio che ci ama non v'è che un silenzio d'adorazione che sia degno di stare…
   Potrà parere brutto il dirmi «schiava» poiché Dio ci ha fatti suoi figli e liberi. Ma io penso che non v'è cosa più bella di questa di rinunciare, per amore, a quella umana libertà di cui i figli d'Adamo sono così gelosi, e dire al Creatore: «Tu che m'hai fatto sii, oltre che Padre e Creatore, Padrone e Re, poiché io sono un nulla che non sa reggersi solo». Se l'uomo può di suo arbitrio farsi schiavo del demonio, perché non deve potersi proclamare volontariamente schiavo di Dio? Io che conosco la mia debolezza troppo debolezza, che mi nega di reggermi senza paura di nessuna soggezione, mi affido al più forte: a Dio Signor nostro. E in tal modo metto me stessa al riparo dall'altro, dal nemico eterno.
   Oh! non mi pento di essermi donata! Non me ne pentirei neppure se il Signore non mi avesse dato tutto quanto mi ha dato di grazie per me e per tutti coloro che io gli raccomando. A me grazie infinite di luci, di protezioni, di progressi spirituali. Agli altri grazie contingenti ai momenti e ai bisogni dei singoli. Ma tutte atte a far elevare un pensiero di riconoscenza a Colui che ce le dona.
   Molto ancora avrei da dire su quest'ultimo periodo della mia vita. Ma mi parrebbe di sollevare i veli di un sacrario o di autoincensarmi. E allora mi taccio. E concludo.
  Scrivendo a Lei, Sacerdote, potrei anche omettere quanto voglio dire, più adatto ad esser detto a piccole anime che ancora non sanno cosa sia di buono, di paziente, di amoroso il Signore. Ma le dico lo stesso, per l'unica, piccola anima che mi sono tenuta vicina durante questo mio lavoro voluto da Lei, Padre, e che ho elevata al grado di uditrice8 perché mi richiamasse all'ordine se in qualche cosa alteravo, senza volere, i fatti. Sono così poco persuasa di essere «qualcosa» che temo sempre di dare di me un ritratto molto migliore dell'originale… Penso inoltre che a questa anima, che Dio mi ha messa al fianco certo per qualche scopo di bene noto a Lui solo, possano far del bene queste ultime parole. Dico, dunque.
   Nulla deve tenerci lontane da Dio col pensiero che siamo troppo meschini per avvicinarci a Lui, come nulla deve farci trattenere da rendere realtà una ispirazione con la tema di non essere capaci di lavorare nella via del Bene. Sono pieghi9 demoniaci, atti a paralizzare i nostri buoni impulsi e a tenerci divisi dalla Fonte di ogni perfezione.
   Io non mi sono mai fermata a considerare quei «ma» e quei «se» tarpanti ali e mettenti in fuga le anime già volte a Dio. So benissimo che sono un ammasso di difetti. Ma so anche che Dio lo sa più di me. So che Dio, nella sua giustizia, non pretende più di quello che noi possiamo dargli.
   So che l'unica cosa che offende Iddio è il nostro volere fare il male deliberatamente e nonostante tutti i richiami e gli aiuti che Egli ci dà per fare il bene. So che anche le imperfezioni sono una dolorosa necessità che ci tiene umili e convinti che noi non siamo che vizio, se lasciati a noi stessi e viventi solo nella carne, della quale sono così superbi gli uomini. So che le imperfezioni sono una soave prova di cosa sia in ampiezza e profondità il cuore di Dio che le comprende e perdona…
   Sono contenta quando agisco bene perché ciò piace al Padre mio. Ma non mi avvilisco se ricado in nuove imperfezioni. Queste aumentano la mia umiltà e la mia riconoscenza, vedendo quanto è misericordioso Gesù con chi si fida di Lui. Egli è «Salvatore» ed io presento a Lui le mie mancanze, man mano che le compio, perché Egli le annulli e continui con me la sua opera di Salvatore.
   Nulla mi farebbe andare lontano da Dio, neppure le colpe più gravi e che non oserei confessare alla giustizia umana. Da quando ho compreso esattamente quale sia l'infinita bontà del Signore, io non ho più tremato di nulla, arrivando persino a pensare che Egli mi ama tanto appunto perché io sono così imperfetta, nonostante il mio desiderio d'essere perfetta. E quanto più m'accorgo d'esserlo stata, imperfetta, tanto più vado a Lui gridando: «Gesù, pietà di me!».
   Se le anime sapessero di quale amore Cristo le ama, non una anima si perderebbe, perché ad ogni loro errore correrebbero a ripararsi nel suo Cuore misericordioso. Lo sbaglio è che invece si ha non confidenza ma paura di Dio e del suo castigo.
   Un amore viziato nella forma e nella sostanza fa sì che le anime guardino a Dio come guarderebbero a un sovrano terreno e di un dispotismo autocrate e intransigente, oppure non lo guardano neanche: si nascondono, lo fuggono. E così si perdono. Vi è ancora troppo giansenismo fra i cattolici. Perché stare lontani da Gesù per un eccesso di rispetto? Buona cosa il rispetto, ma è sempre lesivo dell'amore quando è spinto a troppo alto grado. Molto meglio l'amoroso abbandono di figli verso il Padre che non di sudditi verso il monarca intangibile sul suo trono.
   No, andiamo a Gesù. Andiamoci sempre. Se ci sentiamo puri da ombre di peccato, andiamoci poiché Egli si circonda di puri. Andiamoci se peccatori perché Egli ha lasciato i Cieli appunto per redimere i peccatori. Andiamo a Lui per avere un freno alle nostre debolezze e un aiuto nelle nostre migliorie. Il pensiero: «Domani riceverò Gesù» è il più bel morso messo alle nostre passioni, sempre pronte a impennarsi come cavalli indomiti. E l'idea: «Oggi ho fatto piacere a Gesù» è il più bel viatico della nostra giornata, il balsamo d'ogni pena, il nepente per un riposo veramente vegliato dagli angeli. Dolci sonni d'una creatura che si abbandona al riposo con l'anima in pace con sé stessa e con Dio, dolci sonni che ristorano la carne e dànno ali all'anima per elevarsi, anche nel sonno, sino a Dio!
   La vita nostra non deve essere tessuta di ipocrisia che pecca e poi si confessa per ripeccare poi. Ma di amore che spinge al bene e che frena nel male per esser degne del bacio di Cristo. Se fummo buoni andiamo a Gesù col nostro sorriso; se fummo cattivi andiamoci col nostro pianto di pentimento. Egli lo vuole asciugare. Sollevato da Lui, il nostro avvilimento diverrà forza; sopportato da noi soltanto, diverrà debolezza che ci tarperà le ali. La confidenza in Dio sopperisce a tutte le nostre manchevolezze umane. Non solo manchevolezze nel senso di peccato. Ma anche manchevolezze nelle doti mentali e spirituali, che in noi sono sempre imperfette. Appoggiandoci a Dio, tutto in noi migliora.
   Da anni mi accorgo che è Dio che agisce in me. Da anni, ossia da quando ho cancellato il mio io umano e mi sono fatta riformare da Dio, dimenticando me stessa e avendo solo di mira Lui. Anche le mie percezioni così vive di ciò che si agita in un altro cuore non hanno nulla dimio. Io sarei più sorda di una talpa a tutte le onde di suoni che le anime mie sorelle emanano. Ma una forza, molto al di sopra della mia, mi rende capace di intuire i bisogni delle creature. Delle volte rimango a bocca aperta scoprendo che, parlando così, quasi dietro suggerimento di un terzo, metto proprio il dito sul punto che duole. E convengo tra me: «È proprio Dio che agisce per noi quando noi ci siamo abbandonati a Lui totalmente».
   Ugualmente dico, alle piccole anime mie sorelle il cui torto maggiore è quello di misurare Iddio alla stregua umana, che se bisogna confidare infinitamente in Lui non bisogna però pretendere che sia Lui quello che fa tutto. Ciò sarebbe stoltezza. Siamo noi che dobbiamo aiutare l'opera di Dio mettendo tutta la nostra buona volontà, e una buona volontà tenace, a rispondere alle ispirazioni e al lavoro di Dio. Se noi facciamo resistenza, se vogliamo fare unicamente da noi, o non fare nulla di nulla, non si riesce a nulla di buono.
   Noi dobbiamo aiutare col nostro buon volere Iddio; Iddio a sua volta ci aiuta e da questo scambio di aiuti sgorga il perfezionamento spirituale. Voler fare da noi sarebbe superbia, e la superbia distrugge. Perciò il nostro lavoro non lascerebbe nessun frutto ma un vuoto desolante, se non un albero dai frutti avvelenati.
   Non bisogna accasciarsi se facciamo capitomboli. Anche questo accasciamento sarebbe ugualmente superbia. Siamo degli eterni bambini nella scuola dello spirito, e i bimbi cascano spesso. Ma non si fanno troppo male. Male se lo fanno gli adulti che hanno le ossa dure e che sono poco pieghevoli. E del resto se anche, per disgrazia, ci siamo fatti molto male, ragione di più per rifugiarci nel seno di Dio che ci guarirà di tutte le nostre «bue». Se ce le chiudiamo in noi per orgoglio e per sciocca e inutile vergogna, finisce che da una iniziale sbucciatura facciamo venire fuori un tetano o una cancrena.
   Vorrei dire a tutte le piccole anime: «Confidate in Dio, fratelli, perché Egli è l'unico che non ha schifo di nessuno. L'uomo si ritrae criticando e spregiando i colpevoli. Dio se li serra al cuore. I cristiani non procedono nella perfezione perché non sanno ancora chi è Dio, quali sono le sue doti e i suoi gusti. Giudicano Dio alla stregua loro: piccolo, gretto, vendicativo, intransigente, tenace nelle sue sostenutezze. Ma Dio è Amore! Ma Dio ci vuole ad ogni costo, ma Dio è morto per salvare noi, di cui vide i peccati fin da prima che noi fossimo! Le più dolci parole del Verbo furono dette per l'adultera, la peccatrice, la samaritana, per il ladrone e per il pubblicano. Gesù, che bollò a sangue la ipocrita bontà dei farisei, seppe trovare accenti di una misericordia sconfinata per i colpevoli che si riconoscevano tali, e come mondò i lebbrosi dalla malattia ripugnante così rese candore alle anime insozzate che a Lui venivano per essere mondate».
   Occorrerebbe sempre riflettere a queste verità evangeliche, sottotaciute da troppi e dimenticate da molti, verità dalle quali si sprigiona tutta la dottrina di misericordia e di confidenza che Gesù è venuto a bandire per portarci al cielo. «Io voglio misericordia e non sacrificio» dice Iddio10. Questo bisognerebbe ricordarcelo sempre per confidare in Lui e per essere misericordiosi coi fratelli nostri.
   E qui ritorna quanto ho detto altrove. Se invece di imbottirsi la testa con tanti librini e con tanti libroni i cristiani facessero del Vangelo il pane quotidiano del loro spirito, non faticherebbero nel procedere nella via regale dell'amore e dell'abbandono in Dio. Se fossero realmente nutriti della parola del Verbo, della Parola delle parole, non vi sarebbero più gli egoismi che torturano, le durezze che inaridiscono, le diffidenze che assiderano. Ma solo si camminerebbe nella Luce, si vivrebbe nella Carità, si riposerebbe nella Pace, si nobiliterebbe la nostra persona col sacrificio che non pesa quando lo si ama…
   Quanto santo ardire per la vita di ogni giorno e per le ore eccezionali della nostra esistenza si avrebbe se fossimo compenetrati dello spirito del Vangelo! Come tutto prenderebbe una voce, una luce, un aspetto diverso!
   Come, come può diffidare, disperare uno che in ogni momento sente risuonare in sé la parola di Cristo? Come, come può avere a ribrezzo il dolore uno che sa come il dolore fu sopportato dal Figlio di Dio, per amor nostro? Come, come può avere paura di Dio uno che sa che Dio ci amò tanto da darci il suo stesso Figlio per redenzione nostra e a questo Figlio, che ci ha amati fino a morire sulla croce, ha rimesso ogni potere di giudizio? Come, come ancora titubare quando, con l'anima che si liquefà di tenerezza, leggiamo le parole della estrema preghiera11 di Gesù dopo la Cena?
  

   Padre, ho finito.
   Uno scrittore francese dice che ogni vita che si stacca dal tran-tran della massa «è un sogno di giovinezza realizzato nell'età matura». Io posso dire che infatti nella mia età matura ho realizzato il sogno mistico della mia prima giovinezza.
   Questo realizzamento12 fu lungo, doloroso, subì rallentamenti e eclissi. Ma le piante che più crescono prosperose in altezza e in età sono quelle che, prima di espandersi trionfalmente verso il cielo, fanno un profondo lavoro negli strati della terra. Solo quando le radici sono lentamente e profondamente radicate per metri e metri nel suolo, solo allora l'opulenza della pianta diviene manifesta. Ugualmente è del lavoro delle anime. È tanto più duraturo e fecondo quanto più il lavorìo interno fu cosa non di superficie ma di profondità. Io posso dire che durante le stasi esterne del mio fiorire in Dio fui veramente trapassata dal lavorìo interno. Per cui questa realtà della mia età matura è radicata nel sasso e non teme d'esser sradicata dal minimo vento.
   Chi leggesse quanto ho scritto potrebbe fare diversi giudizi più o meno benigni. Ma non me ne curo dei giudizi umani. Né per lo stile, né per quello che io possa apparire, né per nessun altro motivo. In questo racconto sono io con tutta me stessa: vi è la mia carne con le sue passioni umane, la mia anima con le sue speranze spirituali, il mio spirito col suo amore adorante. Non ho inteso fare opera letteraria. Ho buttato giù i pensieri così come mi venivano, dipanandoli dal mio stesso cuore, senza occuparmi di limarli e renderli letterariamente perfetti. Questa è parola del cuore mio e non del mio cervello.
   Se un critico profano vi ficcasse sopra il naso, potrebbe notare che fui più veemente in principio che sul fondo e arguire che io mi sia stancata di tenere alta la nota… Cadrebbe in grave errore. Quello che sembra stanchezza è invece una più alta elevazione dello spirito in Dio. Superate tutte le rimembranze umane e penetrata nell'ampio mare dove vivono in due soli — l'anima e Dio — una pace sovrumana e una maestà ultraterrena mi hanno invaso il cuore e dato nuovo tono al mio canto.
   L'usignolo ha tre canti nella sua gola canora. Il primo, armonioso ma impaziente, quando è in cerca della compagna e la va cercando nel folto; il secondo, più amoroso e spiegato, quando trovatala le parla d'amore; il terzo, che è il perfetto, di una melodia solenne, pacata, direi quasi chiesastica, quando, ritto presso il nido dove la compagna è intenta alla prole, egli veglia sui suoi sogni divenuti realtà e benedice la vita che glieli ha concessi.
   L'anima mia fa come l'usignolo. Dopo aver cantato gli affanni dei primi tempi e gli ardori dei secondi, si innalza solenne e piena di una celeste pace, dando a Dio ogni lode e ogni benedizione. È caduto ogni riflesso umano, e parola e pensiero spaziano nel divino. E il divino non conosce mai esaltazioni, nervosismi, agitazioni. Esso è Pace. Una pace che nulla riesce a turbare. E la mia anima vi è immersa.
   Sono arrivata a questa sponda dopo tanto dolore. Ma se fu il dolore il remo e la vela per farmi giungere prima a Te, o Dio che sei Pace, Misericordia, Amore, benedetto sia il Dolore una volta di più. Ma se per il dolore io, «nulla», divenni «qualcosa» agli occhi tuoi, o Dio, che Tu sia benedetto una volta di più per il Dolore che m'hai dato come tuo dono più bello.
   L'anima mia ti loda, o Signore, ed esulta in Te che hai voluto guardare benigno a questo mio «niente» e farne uno strumento di bene per altri niente come me. Che tu sia benedetto, Signore, Salvatore mio, che mi hai liberata da tutti i miei nemici e mi hai ricoperta con la tua misericordia, mi hai nutrita del tuo amore, mi hai sorretta, perdonata, istruita, consolata, ti sei fatto mio Amico e mio Parente, mio Maestro e mio Medico.
   Tu mi hai concesso di conoscerti per quello che realmente sei, solo vero Dio, e di conoscere quello che Tu hai mandato, Gesù Cristo; e di questa grazia vorrei dirti «grazie» con ogni palpito del mio cuore e per tutta l'eternità, e non basterebbe ancora, perché conoscerti e amarti, o Dio, è tal bene che nulla lo può ripagare.
   Tu mi hai permesso di parlare di Te a tante creature che Tu mi hai affidato, e anche di questo: grazie, mio Dio. Per queste creature, per tutti quelli che ho amato, conosciuto, guidato e che hanno con me legami di sangue o solo di fratellanza umana, io ho pregato e sofferto, o Dio, perché tutti fossero dove, sperando nella tua misericordia, io ho fede di entrare: nel tuo Regno eterno. Anche ora, mentre muoio, prego per loro e una volta di più ti offro la mia vita. Preservali Tu, Padre, dal pericolo di perdere Te che sei l'unico vero Bene. Ti prego per loro, Signore, e per tutte le povere anime che non sanno più dove sia la Via sicura, la Vita vera, la Luce che non muore.
   Oh! Signore, vorrei avere mille e mille vite per offrirtele tutte, Padre santo, come un fascio di olocausti per il bene del mondo.
   Tu lo vedi, o Padre, che questo è il grido che sale dal fondo del mio spirito, e sale come un incenso e una freccia sino ai piedi del tuo Trono, o mio Dio.
   Non guardare, o Signore, la bassezza della tua serva, ma guarda alla sua ansia di amarti, guarda alla sua generosità di soffrire per essere seme di bene nei cuori steriliti.
   Moltiplica i palpiti del mio cuore e ad ogni palpito aggiungi un dolore e col dolore la forza di soffrire. La chiedo a Te, Padre santo, che solo la puoi dare a noi misere creature.
   E per il mio segreto sacrificio di ogni minuto, o Padre, dàmmi schiere di anime da offrire a Te.
   Fa' camminare me e loro nella luce, nella tua luce, e quando per noi i tempi saranno compiuti, aprici, o Dio, le porte del tuo Regno e le porte del tuo Cuore, perché in eterno ci si bèi di Te, sommo, eterno, trino Iddio.

 Da allegarsi alla mia autobiografia  

 
    Alla presenza di Dio, che vede il mio cuore e conosce tutto di me, dichiaro che nel mio Collegio Bianconi, diretto dalle Suore di Carità della Beata Bartolomea Capitanio, io ho fatto i seguenti studi:
   I e II anno, ossia dal 4 marzo 1909, giorno di entrata in Collegio, al 10 luglio 1910, scuole interne di cultura generica signorile.
   III anno, dal 10 ottobre a tutto marzo 1911, un tentativo di studi Complementari per poi passare alle Normali, come voleva mia madre. Tentativo fallito per la mia incapacità assoluta nel disegno e altre materie. Allora in 3 mesi i tre corsi tecnici con finale di una magnifica bocciatura in Matematica, Geometria, Computisteria, Disegno e Calligrafia. A ottobre riparo e strappo una licenza tecnica.
   Torno in Collegio il 10 novembre 1911 per frequentare il Corso Perfettivo Signorile, che consisteva in studio delle Letterature italiana, francese, latina, greca, inglese, spagnola, e nello studio della Storia inglese, francese, spagnola, oltre Storia dell'Arte.
   Come studi attinenti alla Religione, oltre il Catechismo di Pio X, spiegato per lo più da una suora e qualche volta da Don Francesco Longoni, un principio della Storia della Chiesa e uno della Storia delle Religioni, che però fallì dopo poche lezioni, non so perché.
   Così studiai dal 10 novembre 1911 al 23 febbraio 1913, giorno della mia uscita dal Collegio per tornare in famiglia e stabilirsi a Firenze. Avevo strappato a gran fatica la concessione di rimanere in Collegio sino a quel giorno, perché la mamma mi voleva fuori dal luglio 1912.
   Mia madre aveva ceduto a questo anche per le pressioni del mio professore di italiano Don Cattaneo, il quale, accortosi della mia facilità nel comporre, mi voleva far fare gli studi classici per mandarmi poi alla Facoltà di Lettere. Egli si sentiva di portarmi in tre anni alla licenza liceale. Mamma si oppose concedendo soltanto che io seguissi gli studi letterari per conto mio preparandomi alla «tesina», che allora si poteva ottenere frequentando come uditrice la Facoltà. Tesina che non era valida per l'insegnamento ma che testimoniava della maturità classica dello studente.
   Perciò ho studiato accanitamente per 15 mesi ascoltando quante più lezioni di italiano e latino potevo, e anche seguendo programmi che mi aveva indicato il Professore e soprattutto scrivendo, scrivendo, scrivendo. Temi per me, temi per le compagne, temi da darsi per imitazione alle alunne di classi inferiori, temi di accademia, temi di augurio, lettere per tutti i prelati, ecc. ecc.
   Uscita, con dolore, dal Collegio, nel 1913-14-15 frequentai saltuariamente la Lettura dantesca nel Palagio della Lana e ancor più raramente andai a conferenze al Liceum.
   Università, niente. Mamma reputò inutile questa cosa.
   Venuta la guerra del 15, cessai ogni frequenza, e nel 1917 andai nelle Infermiere volontarie Samaritane, cessando ogni studio, anche del pianoforte.
   Questo riguardo agli studi.
   Circa poi la frequenza a funzioni religiose devo dire, e anche qui Dio vede che non mento, che tolta la S. Messa domenicale mi eranoproibite da mamma altre visite alle chiese. La prima Messa alla domenica alle 5 d'estate, alle 6 d'inverno, al massimo alle 7. Mai una Messa cantata, mai un Vespro! Da quando lasciai il Collegio ho sentito le S. Messe solenni nella breve visita che feci nel 1929 alla mia compagna Ferrari di Cremona.
   Prediche? Mai. Quaresimali? Mai. Esercizi? Dal 1912, ultimi S. Esercizi fatti in Collegio, al 1929 qui a Viareggio, perché l'avevo spuntataeccezionalmente, non ne feci mai.
   Riuscita ad entrare in Azione Cattolica Giovanile, mai partecipai a un congresso diocesano o altro. Sempre in casa. Casa. Casa. Casa. Per me non c'era che questo, e se stavo un quarto d'ora di più al Circolo erano rimproveri durissimi. Ho dovuto preparare le lezioni sui piccoli libri di A. C. e sul Sillabario del Cristianesimo e della Morale Cristiana di M.r Olgiati. Non ho avuto altri aiuti umani. Però tutto mi tornava facile perché Gesù mi aiutava soprattutto ad amarlo. E amarlo è capirlo ed è capire le anime. Perciò portavo avanti le cose e le ragazze.
   Dato che ho sempre amato l'Eucarestia e avrei voluto riceverla ogni giorno, approfittavo della spesa giornaliera per correre in chiesa nei giorni feriali, e preparazione e ringraziamento me li facevo per la strada perché mamma non si accorgesse dal ritardo che andavo in chiesa.
   Ma ripeto: prediche mai, di nessun genere. Scuole di religione mai, di nessun genere. Scuole di A. C., un corso, frequentato saltuariamente, di Scuola Dirigenti tenuto da P. Cresi nel 1931 presso le Mantellate di Viareggio. Ma parlava così difficile che io non capivo nulla e glielo dissi anche sinceramente, perché nessuna capiva e nessuna lo voleva confessare. Lo dissi io che sono stata sempre amica della sincerità.
   Libri di religione non ne ho, tolto i due Sillabari dell'Olgiati e il Catechismo. Quelli della Storia delle Chiese e delle Religioni mi sono stati rubati non so da chi. Ho «L'anima dell'Apostolato» di P. Chautard, che ci hanno fatto prendere le Dirigenti Diocesane e che non sono mai stata capace di leggere perché… mi ci addormento sopra. Libri religiosi: i Vangeli e l'Imitazione di Cristo. I primi letti da decine di anni, la seconda… tenuta per ricordo della mia Superiora. Commento ai Vangeli: le poche pagine di Giulio Salvadori e basta. Rivelazioni, nessuna. Meditazioni, nessuna.
   Prima che Gesù facesse di me il suo strumento mi facevo da me le mie meditazioni, così come il mio cuore me le suggeriva. Senza testi né canovacci, sui Vangeli o sulla vita di S. Teresina e Suor B. Consolata Ferrero, per lo più, o su qualcosa che mi aveva colpito, magari anche un fiore o una stella, o un fulmine, o una parola sentita… Sono visibili ancora le mie povere meditazioni d'allora!
   Qualche vita di santo: Bernardetta, S. G. Bosco, S. Teresa del B. G., S. Francesco d'Assisi; qualche biografia di persone buone: la Mattei, l'Agostini, Moscati, S. S. Pio X, ecc.
   Da quando servo Gesù come strumento non leggo più niente. L'elenco dei libri che ho, o che ho avuti, lo ha Padre Migliorini dal 20 marzo 1946.
   Riepilogando: con una madre esigente e contraria alle pratiche religiose e con gli studi fatti, posso asserire che non ho avuto fonti umane per potere sapere ciò che scrivo13, e ciò che anche scrivendo non comprendo molte volte.
 


   Crux…: La croce santa sia luce per me.

   2 un cugino è Giuseppe Belfanti (1881-1963), fratello di Giovanni Battista e di Amelide, Maria e Irma. I fratelli Belfanti, proprietari di grandi alberghi a Reggio Calabria, erano cugini di Iside Fioravanzi, mamma di Maria Valtorta. I figli di Giuseppe e della sua prima moglie, Normanna Baraldi, erano Mario, Aldo (detto Dino), Paola (poi sposata Cavagnera) e Luigi (detto Gigi). La seconda moglie di Giuseppe si chiamava Anna (detta Titina) Zorzi.

   3 Padre Pio è il celebre P. Pio da Pietrelcina (1887-1968), frate cappuccino, stimmatizzato, vissuto a San Giovanni Rotondo (Foggia).

   4 la parola che è in: Luca 10, 19.

   5 dice, in: Marco 16, 17-18; Luca 10, 19-20.

   6 parole che sono in: Isaia 54, 7-8. La citazione successiva è da: Isaia 66, 12-13.

   7 Maddalena è la peccatrice innominata di: Luca 7, 36-50 (nota 59).

   8 uditrice è Marta Diciotti.

   9 pieghi è un termine usato impropriamente, poiché ha il solo significato di plichi o pacchi. Maria Valtorta, abituata dalla mamma a parlare in francese, potrebbe essere stata influenzata dalla parola pièges (maschile), che significa trappoletranelli.

   10 dice Iddio in: Matteo 9, 13; 12, 7 (ripreso da: Osea 6, 6).

   11 estrema preghiera che è in: Giovanni 17.

   12 realizzamento è un neologismo valtortiano al posto di realizzazione

   13 ciò che scrivo è riferito alla produzione successiva all'Autobiografia, che fu ultimata nell'aprile del 1943. La presente appendice è posteriore almeno al 20 marzo 1946, data menzionata alcune righe più sopra. Proprio del 20 marzo 1946 è una lettera accorata che Maria Valtorta scrisse a Padre Migliorini (al quale aveva indirizzato il racconto autobiografico) quando il Religioso, suo direttore spirituale dal giugno del 1942, dovette lasciare Viareggio per ordine dei Superiori che lo trasferivano a Roma.

 

 

Padre Migliorini