MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MINORE

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LEZIONI SULL'EPISTOLA DI PAOLO AI ROMANI LEZIONE XXIV


RM-7 14-25

29 maggio - 3 giugno 1948


    Dice il Dolce Ospite:
    «La Legge è spirituale. Lo è anche quando vieta cose materiali.
    Veramente nel Decalogo i comandi puramente spirituali sono i primi tre. Gli altri sette, e specie gli ultimi sei, sono divieti a peccati contro il prossimo, contro la sua vita, la sua proprietà, i suoi diritti, il suo onore. Si potrebbe allora dire che chiamare “spirituale” la Legge è giusto perché essa viene da Dio, ma non è in tutto giusto in quanto essa comanda, per due buoni terzi di essa, di non commettere atti materiali che Dio vieta di commettere.
    Ma al disopra dei dieci Comandamenti della Legge perfetta sta la perfezione della Legge, coi due comandamenti dati dal Verbo Docente: “‘Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente’. Questo è il massimo e primo comandamento. Il secondo è simile a questo: ‘Amerai il tuo prossimo come te stesso’. Da questi due comandamenti dipende tutta la Legge ed i profeti”.
    Nella luce della Luce, che è il Verbo, si illumina la spiritualità che è in tutta la Legge, perché è data a far vivere nell’amore. Perché tutta la Legge riposa e vive per l’amore. E perché l’amore è cosa spirituale, quale che sia l’Ente o la creatura verso i quali si volge.
    Triplice amore a Dio: amore del cuore, dell’anima, della mente; perché nell’uomo è questa piccola trinità: materia (cuore), anima (spirito), mente (ragione); e giusto è che le tre cose create da Dio per fare un’unica creatura - l’uomo - a Dio ugualmente diano riconoscenza per l’essere che hanno avuto da Dio.
    Triplice amore dunque: amore del cuore, dell’anima, della mente; perché Adamo peccò col cuore (concupiscenza della carne), con l’anima (concupiscenza dello spirito), con la mente (concupiscenza della ragione), uscendo dall’ordine, per abusare dei doni ricevuti da Dio, e offendendo Dio con gli stessi doni da Lui ricevuti perché l’uomo potesse somigliargli ed essergli causa di gloria.
    Con le cose che peccarono va dunque riparato il peccato, cancellata l’offesa, ristabilito l’ordine violato.
    E il Verbo si fece Carne per fare ciò, e per ridarvi “la grazia e verità” e in misura piena, traboccante, inesauribile.
    Con quanto peccò il primo uomo, l’Uomo-Dio ripara.
    E insegna a voi, con l’esempio più ancor che con la dottrina - che è perfetta, ma che potreste giudicare impossibile a praticarsi - come si ripara. Egli è Maestro di fatti, non solo di parole. E quanto Egli ha fatto voi potete fare.
    In ogni uomo persiste l’eredità di Adamo. È come nascosto in ogni carne un Adamo che può essere debole nella prova, come lo fu il primo Adamo all’origine del tempo. Ma Cristo è venuto perché le vostre cadute siano riparate, risarcite le vostre piaghe, restituita la Grazia vitale quando la vostra debolezza nelle prove quotidiane vi fa morti di quella vita soprannaturale che il Battesimo vi aveva data. Ma Cristo è venuto per esservi Maestro e Modello e perché voi gli siate discepoli e fratelli, non soltanto di nome e nella carne, ma in spirito e verità, imitandolo nella sua perfezione, nel suo triplice amore verso Dio.
    Per questo triplice amore Gesù fu fedele alla giustizia della carne, nonostante fosse provato e fosse libero nel suo libero arbitrio come ogni uomo.
    Per questo triplice amore Gesù fu perfetto nella giustizia dell’anima, ossia nell’ubbidienza all’antico precetto divino: “Amerai il Signore Iddio tuo”, non sentendosi esente da questo dovere perché era Dio come il suo Eterno Generante; Uomo-Dio, vero Uomo e vero Dio non per infusione temporanea dello Spirito di Dio in una carne predestinata a tal sorte, o per unione morale di un giusto col suo Dio, ma per unione ipostatica delle due Nature, senza mutazione della Natura Divina perché unita a quella umana, senza alterazione della natura umana - composta di carne, mente, spirito - perché unita alla Natura Divina.
    Per questo triplice amore, infine, Gesù fu sublime nella giustizia della mente, sottomettendo il suo intelletto perfettissimo non soltanto alla Legge divina, come deve fare ogni uomo che la conosca, ma anche ai disegni di Dio Padre per Lui e su Lui: l’Uomo, accettando ogni cosa proposta, compiendo ogni ubbidienza, sino all’estrema della morte di croce.
    “Fattosi servo” per tutta un’Umanità decaduta, Gesù ha passato il segno da Lui stesso messo agli uomini perché raggiungano l’amore perfetto, ma non ha imposto agli uomini il sacrificio totale come termine d’amore per possedere il Cielo, e nel secondo precetto d’amore non vi dice altro che: “Amate il vostro prossimo come amereste voi stessi”. Egli è andato oltre. Non si è limitato ad amare il prossimo suo come amava Se stesso, ma lo ha amato ben più di Se stesso, perché, per dare “bene” a questo suo prossimo, ha sacrificato la sua vita e l’ha consumata nel dolore e nella morte. Ma a voi non propone tanto. Gli basta che la grande maggioranza dei membri del suo Corpo Mistico portino la piccola croce di ogni giorno e amino il prossimo come amano se stessi.
    Solo ai suoi eletti, ai suoi predestinati, Egli indica la sua Croce e la sua sorte e dice: “Amatevi come Io vi ho amato”, e insiste: “Nessuno ha un amore più grande di quello di colui che dà la vita per i suoi amici”, e termina: “Voi siete miei amici, se farete quello che Io comando”.
    La predestinazione non è mai separata dall’eroismo. I santi sono eroi. In questa o in quella maniera, nella maniera che Dio loro propone, la loro vita è eroica. Essi sanno ciò che fanno, sanno a cosa li conduce il fare ciò che fanno. Ma non se ne spaventano. Sanno anche che ciò che loro fanno serve a continuare la Passione di Cristo, e ad aumentare i tesori della Comunione dei Santi, a salvare il mondo dai castighi di Dio, a strappare all’Inferno tanti tiepidi e peccatori che, senza la loro immolazione, non si salverebbero dalla dannazione. Perché anche la tiepidezza, raffreddando gradatamente la carità che ogni uomo deve avere per poter vivere in Dio, conduce lentamente alla morte dell’anima come per un’inedia spirituale.
    Se la predestinazione fosse disgiunta dal volere eroico della creatura, sarebbe cosa non giusta. E Dio non può volere cose non giuste. Parlo qui della predestinazione alla santità, proclamata dalla giustizia della vita e dai fatti straordinari che punteggiano come stelle la vita e la via del predestinato fedele alla sua predestinazione alla gloria, e che continuano ad essere proclamati dai miracoli oltre la morte del predestinato.
    Perché altra è la predestinazione alla Grazia divina, comune a tutti gli uomini, e perciò concessa gratuitamente da Dio in misura sufficiente a salvarsi; e altra è la predestinazione alla gloria che viene data a quelli che durante la vita terrena hanno bene usato del dono della Grazia, e le sono rimasti fedeli nonostante ogni prova di tentazione al male, o di ogni altro dono straordinario, accettato con commossa gioia, ma non preteso e non distrutto facendo di esso una stolta presunzione di essere tanto amati e tanto sicuri di possedere già la gloria, da non essere più necessario lottare e perseverare nell’eroismo per arrivarvi.
    Il quietismo, nel quale degenerano talora i primi impulsi di uno spirito chiamato a via straordinaria, è inviso a Dio. E così pure la superbia e la gola spirituale: i due peccati così facili negli eletti, beneficati - e provati per confermarli nella missione o privarli di essa come indegni - da doni straordinari, i peccati di Lucifero, di Adamo, di Giuda di Keriot, che avendo moltissimo vollero aver tutto; che credendosi sicuri di salvarsi senza merito e per il solo amore da parte di Dio; che fidando soltanto nell’Infinita Bontà senza pensare che la perfetta, divina Bontà, pur essendo infinita, non diviene mai stoltezza e ingiustizia; che credendosi “dèi” perché tanto erano stati eletti, peccarono così gravemente.
    Dio certamente sa quali saranno coloro che rimarranno perseveranti eroicamente sino alla fine, mentre l’uomo non sa se sarà perseverante sino alla fine.
    E anche in questo è giustizia. Perché se Dio volesse che nonostante il libero arbitrio dell’uomo, molto sovente causa contraria rispetto al conseguimento della gloria - perché l’uomo difficilmente usa giustamente di questo regale dono di Dio, donato onde l’uomo, conscio del suo fine ultimo, liberamente elegga di compiere solo le azioni buone per meritare il conseguimento di quel beato fine - ogni uomo fosse salvo, costringerebbe gli uomini a non peccare. Ma allora verrebbe meno al suo rispetto per la libertà dell’individuo, creato da Lui con tutti quei doni che lo rendono capace di distinguere il bene e il male, capace di comprendere la legge morale e la Legge divina, capace di tendere al suo fine e di raggiungerlo.
    E verrebbe pure a mancare per ogni singolo predestinato la causa della gloria: l’eroicità della vita per rimanere fedele al fine per cui fu creato e per usare, e usare santamente, dei doni gratuiti avuti da Dio, di quei doni che sono i frutti mirabili dell’Amore divino che vorrebbe la salvezza e il gaudio eterno di ogni uomo, ma che lascia libero l’uomo di volere il suo eterno futuro di gloria o di condanna.
    Ed è anche giustizia, questo ignorare, da parte vostra, la vostra sorte ultima. Perché se voi sapeste il vostro futuro eterno, restereste senza il movente che spinge i giusti ad agire per meritare la visione beatifica di Dio che è gaudio senza misura, e potreste cadere o in quietismo o in superbia anche transitori, ma sempre sufficienti a crearvi più lunga espiazione e minor grado di gloria, mentre gli ingiusti avrebbero in ciò il movente che li spingerebbe a divenire veri satana, tanto giungerebbero ad odiare e bestemmiare Dio, odiare e nuocere al prossimo loro, senza più alcun freno, sapendosi già destinati all’inferno.
    No. Conoscendo la Legge e il fine a cui porta l’ubbidienza o la disubbidienza alla Legge, ma ignorando quanto solo l’onniveggenza di Dio sa, onde non manchi ai giusti lo sprone del puro amore che meriterà loro la gloria, e non manchi ai perversi, che preferiscono peccato e delitto a giustizia e amore, la libertà di seguire ciò che a loro piace - onde, nell’ora della divina condanna, non compiano l’estremo peccato contro l’Amore lanciandogli questa blasfema accusa: “Ho agito così perché Tu, da sempre, mi avevi destinato all’inferno” - ogni creatura ragionevole deve liberamente scegliere la via che le piace, ed eleggersi il fine preferito.
    La predestinazione alla gloria non è un dono gratuito concesso a tutti gli uomini, ma è una conquista, oltre che un dono, fatta dai perseveranti nella giustizia, una conquista che si ottiene coll’uso perfetto dei doni e aiuti di Dio e con la buona volontà che non lascia mai inerte alcuna cosa proposta o donata da Dio, ma tutto rende attivo e tutto volge al fine santo della visione intuitiva di Dio e al possesso gaudioso di Lui.
    Alcuno obbietta: “Ma allora solo coloro che sono santi al momento della morte hanno la gloria? E gli altri? Il Purgatorio è forse prigione meno dolorosa, ma sempre costringente, che separa le anime da Dio? Non sono dei predestinati al Cielo anche gli spiriti purganti?”.
    Lo sono. Un giorno verrà, e sarà quello del Giudizio finale, nel quale il Purgatorio non sarà più, e i suoi abitanti passeranno al Regno di Dio. E anche il Limbo non sarà più, perché il Redentore è tale per tutti gli uomini che seguono la giustizia per onorare il Dio in cui credono, e per tendere a Lui, così come lo conoscono, con tutte le loro forze.
    Però quanto esilio ancora, dopo la vita terrena, per costoro! E quanto, per coloro che limitano il loro amare ed operare a quel minimo sufficiente a non farli morire in disgrazia di Dio, che conoscono come cattolici!
    Quanta differenza tra costoro, salvati, più che per merito loro, per i meriti infiniti del Salvatore, per l’intercessione di Maria, per i tesori della Comunione dei Santi e le preghiere e sacrifici dei giusti, e coloro che vollero la gloria non per egoismo ma per amore a Dio!
    Quanta tra i primi che, a fatica e con molte soste di languore, sussurri di malcontento, e anche smarrimenti su vie di egoismo, trascinano come una catena e un peso il loro limitatissimo amore, e i secondi che, veri amanti di Dio e imitatori di Gesù Cristo, “amano come Gesù ha amato” dando anche la vita, e sempre abbracciando ogni croce, chiedendo anzi la croce come dono dei doni, per salvare la vita dell’anima al prossimo loro, anime-ostie le quali al conoscimento divino appaiono da sempre “amici di Gesù” perché faranno ciò che Egli comanda loro!
    Presente eterno: “Siete miei amici”. Dio conosce. Condizionale individuale: “Se farete”. Perché la conquista di un’amicizia richiede opere capaci di ottenere quell’amicizia. Ma l’assicurazione che tali opere vi fanno amico colui che volete tale, vi aiuta a compierle. Come tra gli uomini, così, e anche più perfettamente, tra Dio e uomini.
    Gesù, quando già la lezione era più “fatto” che parola, dà l’ultima lezione ai suoi apostoli, perché raggiungano la perfezione richiesta da Gesù per chiamarli “amici”. E quella è la perfezione richiesta da Gesù a tutti i predestinati a gloria rapida, proclamata dalla giustizia eroica della vita, dai fatti straordinari durante la vita, e dai miracoli dopo la morte. “Voi siete miei amici, se farete quello che Io vi comando”. Rincuora allo sforzo futuro premiando già col presente: “siete”.
    Gesù conosceva i suoi apostoli, come conosce ogni uomo, e li considerava, come vi considera, per quel che erano: creature indebolite dalla eredità di Adamo, appesantite da tanti elementi contrari all’elevazione nelle sfere della perfezione. E sapeva, come sa, quale fattore potente è l’amore dato in anticipo per spronare al ricambio. L’uomo è come un bambino che impara a farsi adulto e indipendente del soccorso altrui; proprio in grazia di quanto vale ad indicarlo un incapace che deve essere soccorso in tutto per crescere, nutrirsi, camminare, va aiutato da chi è già formato avendo raggiunto l’età perfetta, nel corpo, nell’intelletto, nello spirito.
    E Gesù si fa “madre” per fare dell’uomo, “puero spirituale”, un adulto della stirpe eletta, un regale sacerdote, un’ostia vivente che continuamente si offre a Dio come Cristo, con Cristo e per Cristo, onde continuare il sacrificio perpetuo che si è iniziato col Cristo ed avrà termine alla fine dei secoli. E il latte di cui vi nutre è la sua Carità. Le braccia con cui vi sorregge sono la sua Carità. Le parole che vi dice per insegnarvi la vera sapienza della vita sono la sua Carità.
    Il Vangelo di S. Luca dice: “Le sono perdonati molti peccati perché molto ha amato”. Ma chi portò la peccatrice alla redenzione del molto amare Colui che è Santo, se non il molto amore del Redentore per lei? In ogni uomo è un Adamo, ho detto. E aggiungo: “In ogni creatura è una Maria di Magdala”. E ciò che molte volte salva l’anima peccatrice è l’infinito amore di Dio per lei.
    Veramente voi siete i redenti dall’amore prima ancora che dal Sangue e dalla Morte del Figlio di Dio. Sangue e Morte sono stati l’accidente finale della vostra redenzione. Ma l’amore di Dio per voi è lo stato eterno di Dio per voi, e questo divino amore ha iniziato a salvarvi dal suo eterno essere, perché, prima ancora che il tempo fosse, voi eravate nel pensiero di Dio. Voi tutti, da Adamo all’ultimo uomo. Con i vostri eroismi e i vostri smarrimenti, i vostri tesori e le vostre miserie, con il vostro grande bisogno di essere fortissimamente aiutati, divinamente aiutati, per potere giungere al fine per il quale foste creati. E l’Amore aveva già stabilito “dal principio”, nel suo Sapere e Volere divini, quanto era necessario per riportarvi alla Vita, come Umanità e come singoli. Ha abbracciato tutto quanto era sacrificio e dolore per amor vostro. Si è immolato da sempre per vostro amore, per amore di voi così spesso ingrati, e ancor più spesso deboli.
    Sol che voi contempliate il volere eroico del Figlio di Dio, futuro Cristo, tale da sempre, tale da prima della Redenzione, tale da prima della sua Nascita, tale da prima della sua Incarnazione, tale dal principio del mondo e prima del principio del mondo, arretrando in un’immensità di tempo che non è più tempo ma è “eternità”, voi potete comprendere che è per l’amore che voi siete salvati. Perché così come “in principio il Verbo era presso Dio”, altrettanto “in principio l’amore era presso Dio”, anzi era Dio. Ché Dio altro non è fuorché Amore. E così come è scritto: “Tutte le cose sono state fatte per mezzo di Lui”, altrettanto è giusto scrivere che “tutte le cose sono state fatte per mezzo dell’Amore”.
    Tutto il creato sensibile e soprasensibile è opera dell’amore. Tutte le provvidenze, le leggi fisiche, morali, soprannaturali, sono opere dell’amore. Tutte le azioni di Dio sono opere dell’amore. Amore la creazione di Dio[14], e amore la creazione particolare dell’uomo, figlio adottivo di Dio. Amore l’Incarnazione del Verbo. Amore la Passione per redimere l’uomo. Amore l’Eucarestia. Amore i doni del Paraclito, che il Paraclito, Teologo dei teologi, Datore della Sapienza, Intelletto, Consiglio, Fortezza, Scienza, Pietà, Timor di Dio, dà a coloro che degnamente lo ricevono, Egli, Amore del Padre e del Figlio, Fecondatore e Santificatore di quanti lo sanno in sé trattenere con una vita pura e santa. Amore la Chiesa, dispensatrice di grazia e Maestra ai fedeli.
    Il perfetto Amore Uno e Trino vi colma di Se stesso e delle sue munificenze per farvi perfetti in Terra, beati in Cielo; e il Cristo vi propone le due perfezioni per le quali perverrete alla gloria eterna.
    Gesù, come Verbo a creature divinizzate dalla Grazia, vi propone la santità stessa del Padre suo: “Siate perfetti come è perfetto il vostro Padre celeste”. Come Maestro a uomini simili a Lui nella carne e anima, Lui Uomo, vi propone la sua santità: “Imparate da Me. Vi ho dato l’esempio affinché come ho fatto Io così voi facciate. Beati sarete se metterete in pratica il mio esempio. Siete i miei amici se farete quel che vi comando”.
    Fra le parallele di queste due santità proposte, via a voi di Vita eterna, è il Cristo, che unisce in Se stesso, come Verbo Figlio di Dio, la Santità di Dio, e come Gesù, Figlio di Maria Immacolata, la perfetta giustizia dell’Uomo innocente e pieno di Grazia e Verità. E poiché “voi siete dèi e figli dell’Altissimo”, o uomini redenti dal Cristo, voi potete e dovete, come figli di Dio e figli dell’uomo, copiare il Fratello vostro Gesù, divenire altri Cristi, veri figli di Dio, eredi del Cielo; né è cosa impossibile perché Egli, Gesù, lo ha dimostrato come è possibile esserlo.
    Se il Verbo si fosse manifestato soltanto come Parola divina, come Maestro increato e spirituale, così come Dio si manifestò a Patriarchi e Profeti prima dell’avvento di Cristo, l’uomo sbigottito, o ribelle, avrebbe potuto gemere o imprecare, a seconda della sua anima: “Come posso io, carnale, io, perpetuo Adamo, tentato al peccato e debole per natura, fare ciò che Tu insegni, Tu, che Spirito purissimo sei, né ti tenta Satana, e teco non hai imperfezioni di natura?”. O anche: “Perché hai permesso che dal seno della madre io fossi corrotto, perché hai permesso che il padre della Umanità lo fosse, se mi volevi santo? Al tuo scherno rispondo con la mia maledizione”.
    Ma il Verbo si è fatto Carne, ha preso natura umana, in tutto simile ai fratelli in Abramo, non dissimile, per il tempo in cui fu Gesù di Nazaret, non dissimile dall’Adamo pieno di grazia e innocenza del primo suo giorno nell’Eden, e come lui tentato per essere provato, onde comprendere ed aiutare, anche per la sua diretta esperienza d’Uomo e per il suo esempio, quelli che sono nella prova.
    E l’uomo non può più sconfortarsi dicendo: “Io, carnale, non posso esser perfetto come il Padre dei Cieli, né fare ciò che il Verbo insegna”. E neppure può chiamare “scherno” l’insegnamento del Verbo, dato a chi, per natura umana, resa debole e corrotta dal Peccato originale, solo con molto e continuo sforzo riesce a metterlo in pratica.
    E neppure può l’uomo dire: “A me, carnale, non si conviene la Legge spirituale, perché troppo in contrasto è la voce esteriore delle mie membra, del mondo che mi è intorno, del demonio che continuamente mi aggira e tenta le forze basse della mia natura animale e quelle morali della mia natura razionale, con la voce interiore della coscienza che si volge alla mia natura spirituale con la voce stessa di Dio - ché la voce della coscienza è il richiamo di Dio al suo creato perché non si discosti dalla Legge o la calpesti - la voce che nel profondo mi parla per dirmi: ‘Fa’ questo’, oppure: ‘Non fare quello’. Ma io - pur avendo la volontà di fare il bene, e riconoscendo santa questa Legge, che la mia coscienza d’uomo e la ragione che mi distingue dal bruto, e che m’è stata data da Dio per rendermi capace di intendere, riflettere, scegliere e volere ciò che è bene, mi dice esser buona, nonostante l’impulso divino che entro mi muove Egli stesso, Dio, eterno Movente di tutte le sue creature, Immenso che mi comunica, come ad ogni uomo divinizzato, chiamato a grandi cose, la sua Immensità perché io sia capace, io, suo figlio d’adozione, di compiere opere grandi in cui sia una somiglianza delle sue grandissime e perfettissime, prima e più grande di tutte quella di tendere a Lui, con tutto il mio amore, perché Egli è l’unico vero Bene - ma io non riesco a compiere il bene che vorrei, ma cedo al male che in me fermenta più forte del bene”.
    No. Non potete dire questo. Perché il male è grande, grande l’eredità al male che è in voi, più grande il male che è nascosto per nuocervi nelle circostanze della vita (il mondo), grandissimo il male che ha nome Satana, principio del Male, mostro divorante ed insaziabile, odio eterno vivente ed instancabile verso il Creatore e le creature. Ma Uno solo è infinito: Dio. E l’uomo divinizzato ha seco la Grazia, ossia Dio. Dio Carità, Dio Intelligenza, Dio Santità, Dio Forza, Dio Potenza, Dio Sapienza, Dio Vita, Dio Bellezza, Dio Verità, Dio Bontà, Dio Purezza, tutte perfettissime e infinite, Dio il Tutto.
    E l’uomo di buona volontà può tutto se resta unito a Gesù Cristo, il quale, per non intimorire l’uomo coi clangori divini della Legge del Sinai - spaurenti, con le quattro imposizioni e le sei proibizioni, l’uomo in cui vive la legge disordinata del senso più forte della ragione, o quanto meno lottante, a forze pari, con la ragione da quando il dono dell’integrità fu ferito nell’Eden - riduce e conclude tutta la Legge in un duplice comando d’amore, e ve la presenta così, nella veste dolce, attraente, gaudiosa dell’amore. “Amate Dio, amate il prossimo”.
    Amare è più facile che adorare, che onorare, che vietarsi di fare. Amare Dio avvicina Dio all’uomo e l’uomo a Dio. Amare è più invitante che temere. Ed è scala ad ascendere all’adorazione.
    L’uomo non può d’un subito raggiungere le vette dell’adorazione. La stessa grandezza infinita di Dio lo trattiene dal farlo, e insieme con la temenza di Dio, comune agli antichi ebrei, e con le miserie della natura, forma i vincoli che lo trattengono lontano da Dio. Ma l’amore scioglie col suo ardore quei vincoli e mette le sue ali di fuoco all’anima, ed essa può salire, sempre più salire, a seconda che sempre più si lancia senza pensare a quello che lascia: miserie, poveri onori, limitatezze, ricchezze e affetti caduchi; ma pensando soltanto a ciò che raggiunge e conquista: Dio, il Cielo. Nessun atto di culto formale vi unisce a Dio quanto l’atto spontaneo e continuo dell’amore.
    Frutto dell’unione con Dio è la sapienza. E la sapienza conduce all’esercizio della giustizia in tutte le cose.
    L’uomo unito a Dio è attivo e gaudioso. Dal gaudio che gli viene dal compiacimento di Dio per le sue azioni di uomo amante di Dio, l’uomo trova impulso a sempre maggior attività di bene. Perché l’unione con Dio, se dà pace altissima, non dà mai pace inerte.
    Nessuna inerzia è in Dio, l’eternamente operante. Nessuna inerzia è nell’uomo congiunto a Dio dall’amore. Esso ama attivamente Dio. E ne è attivamente amato. E questa duplice attività produce un traboccare, un irradiare di fuochi caritativi sulle creature, non bastando l’uomo a contenere in sé l’Amore Infinito, che in lui si riversa, per dare sollievo al suo amore, come in un bacino degno e desideroso di accoglierlo, e neppure bastando all’uomo, entrato nel gorgo ardente dell’amore divino, di amare soltanto il Creatore, perché gli occhi del suo spirito e lo spirito della sua anima, contemplando il Creatore, nel Creatore vedono anche tutte le creature, e l’uomo si sente perciò portato ad amarle tutte santamente, perché opere dell’Amore suo amatissimo.
    Ed ecco l’amor di prossimo che nasce, che sgorga, che si effonde, santa e inevitabile conseguenza del santo amore di Dio. L’amore di prossimo esercitato con giustizia, vedendo ogni creatura nel suo giusto grado, ossia inferiore sempre a Dio, anche fosse la più cara per vincoli di sangue o d’affetto, o la più santa per giustizia di vita, e perciò non anteponendola mai a Dio, ma vedendola anche essa come un nuovo dono di Dio, concesso per rendere più facile, gradevole, dolce e meritoria la vita al vivente sulla Terra.
    Ed ecco che, in virtù dell’amore, l’uomo conquista la sublime libertà dalle insidie dell’io, del mondo, del demonio, le costrizioni conseguenti alla Colpa d’origine.
    La carità è fuoco vivo. Il fuoco vivo è fiamma. La fiamma è libera e saliente al cielo. Pure irradia calore e luce, è benefica a chi ad essa si accosta. Ed ecco infatti che l’uomo acceso da carità sale con la sua fiamma verso Dio, centro d’ogni fuoco d’amore, e nel contempo irradia i suoi fuochi sui fratelli, ne sovviene le miserie, ne illumina le tenebre, le rallegra portando in esse la luce che è Dio, purifica la loro impurità, perché ogni santo - e chi ama con tutto se stesso Dio e prossimo è santo - è purificatore dei fratelli, benefica con pietà sublime gli afflitti, i poveri, i malati di corpo o di spirito, predica e stabilisce così il Regno di Dio, in se stesso e nel mondo.
    Perché il regno di Dio nell’uomo è l’amore. Entro l’uomo e nel mondo il regno di Dio è l’amore, in opposizione al regno di Satana che è l’odio, l’egoismo e la lussuria triplice.
    Il Regno di Dio!
    Ossia il “Pater noster”[15] vissuto, reso vivo dai giusti, reso “azione” continua e non sterilito a parola mormorata più o meno distrattamente. Il “Pater” veramente vissuto, santificando il Nome Ss. di Dio col dargli la lode più vera: quella di adorarlo in spirito e verità, e lavorare perché altri lo adorino mediante l’amore duplice che è ubbidienza alla Legge data per indirizzare l’uomo alla religione, ossia all’unione con Dio e coi fratelli vedendoli in Dio, e al rispetto venerabondo verso i diritti di Dio e fraterno verso i diritti del prossimo.
    Il “Pater” reso vivo dall’instaurazione del Regno di Dio nelle creature e nel mondo per il duplice amore a Dio e al prossimo, via al possesso del Regno del Cielo.
    Il “Pater” reso vivo dall’aderenza alla Volontà di Dio, quale che sia, per il duplice amore che fa accettare prove, pene, agonie, lutti, con pacifica ubbidienza, dalla mano di Dio, e sopportare il prossimo, per il soffrire che esso ci può dare, considerandolo “mezzo” al conseguimento dei meriti eterni, per la pazienza continua che vi abbisogna esercitare verso coloro che vi provano, e che sono i vostri poveri fratelli colpevoli contro l’amore, per i quali occorrono misericordia e preghiera perché rientrino nella via della Vita.
    Il “Pater” reso vivo nella carità di prossimo più difficile a compiersi: quella del perdono ai propri offensori, offerto a Dio-Amore perché vi perdoni dei vostri debiti verso di Lui.
    La carità è la più grande delle purificazioni, e può essere continua: un continuo lavacro delle vostre imperfezioni, compiuto dalle fiamme del duplice amore. E la carità è ancora la Legge spirituale messa in pratica. Potuta mettere in pratica anche dall’uomo carnale perché unita ad essa carità è sempre la fede, la quale, col proporvi le sue verità, vi sprona a superare le prove della vita in vista dell’Origine e del fine d’ogni creatura: da Chi creati, perché creati, a qual sorte creati, da Chi aiutati a raggiungere tal sorte beata, da Chi assicurati che quella beata sorte è retaggio di ogni uomo che viva in giustizia.
    Ogni verità rivelata è conferma di quanto sia buono, provvido, giusto il Signore Uno e Trino. Buono, provvido, giusto Dio, Padre, Creatore, che “tutte le cose ha disposto con misura, numero e peso”, e tutte ha ordinate al loro fine, dando all’uomo, il cui fine è soprannaturale, oltre la Grazia, mezzo indispensabile per raggiungere detto fine, la ragione e la coscienza. Le quali permettono all’uomo di conoscere e seguire la legge morale naturale, non scritta da legislatore peribile e fallibile su materie corruttibili, ma dal dito di Dio sulle pagine spirituali e perciò immortali dell’anima, perché non sia soggetta ad altra manomissione che non sia quella volontaria dell’uomo ribelle. Il quale, d’altronde, può fuggirla e soverchiare le voci della ragione e coscienza con l’urlo dei sensi sfrenati, ma non riesce mai a soffocare, e per sempre, queste voci interiori. Perché esse sono la stessa voce di Dio, risuonante in ogni uomo, sia esso cattolico o infedele, scismatico o ebreo, eretico, separato o scomunicato, perché ogni creatura razionale conosca e viva, se vuole, secondo i dettami della Legge eterna di Bene.
    Buono, provvido, giusto, Dio-Figlio-Salvatore, il quale si è incarnato per essere Gesù, ed è morto perché voi foste nuovamente “una sol cosa con Dio”, così come i figli sono un solo amore col padre loro. Ed è risorto ed asceso al Cielo non solo per dare agli uomini la prova principale della sua Divinità, ma anche per darvi, con il suo risorgere e ascendere al Cielo, promessa e garanzia della risurrezione finale della carne e dell’esistenza del Regno dei Cieli, nel quale coloro che vissero e morirono nel Signore saranno assunti perché godano la visione beatifica di Dio, giungendo in tal modo alla gaudiosa conoscenza del mistero di Dio, che nessun intelletto umano può penetrare.
    Buono, provvido, giusto Dio-Spirito Santo-Santificatore, anima della Chiesa che vivifica con la sua Grazia e i suoi Doni, che guida, ammaestra e satura d’amore perché discerna e decreti con giustizia e sapienza quanto è attinente alla fede e ai costumi, ed applichi con amore e giustizia sia i beni spirituali come i castighi, e con amore e giustizia, staccata da ogni attaccamento personale a giudizi, o calcoli, o interessi, o preconcetti, o qualsiasi altro moto umano, guidi, sorregga, ammaestri i suoi figli, continuando il magistero del suo Sposo, suo Capo e suo Signore, che deve servire e non addolorare col porre ostacoli alle sue Volontà, anche quando escono dall’ordinario. Perché Dio può volere qualsiasi cosa buona per i suoi figli, ed a nessuno è lecito giudicare gli atti di Dio e condannarli con l’ostacolarli.
    La Chiesa è perché Dio-Verbo l’ha fondata per volere di Dio-Padre e con l’aiuto di Dio-Spirito Santo, e l’Unità Trina l’ha fatta tanto feconda, ampliando così, in estensione e profondità, il Regno di Dio nei cuori e sulla Terra, onde l’Umanità pervenga, quanto più numerosamente è possibile, al Regno di Dio nel Cielo.
    E con la fede è la speranza che si alimenta della fede, così come ambe sono tenute vive dalla carità. La speranza che nasce e riposa dalla e sulla certezza che Dio non mentisce né viene meno alle sue promesse, e quindi dà all’uomo tutti gli aiuti perché possa conseguire la beata risurrezione e la vita eterna per aver conosciuto e creduto nel Figlio di Dio e messo in pratica la sua Parola che salva dalla morte spirituale. Perché la fede e l’unione con Cristo, il vivere in Cristo, è “vita”, e non conoscerà morte colui che in Cristo e di Cristo vive. Ma anzi, anche se è tralcio morto, e poscia, per grazia di Dio e buona volontà umana, perviene alla prima risurrezione: quella di innestare il suo tralcio - fatto morto dall’esser separato dal tronco della Vite: Gesù, o per il peccato, o per appartenenza a chiese separate - all’unica Chiesa Cattolica Apostolica Romana, muta la sua morte spirituale in vita.
    Ecco dunque che per la Carità - carità di Dio per l’uomo, e dell’uomo per Dio e per il suo simile - per la Fede e la Speranza, per tutto quello che vi viene dalle tre virtù teologali, per tutto quello che esse producono in voi, l’uomo carnale, pur portando ancora in sé il tremendo peso della sua umanità ferita, può seguire la Legge spirituale e pervenire alla gloria.
    “E chi vi libera da questo corpo di morte? La Grazia di Dio per Gesù Cristo Signor vostro”.»

[14] la creazione di Dio deve intendersi la creazione universale operata da Dio, in armonia con l’espressione che segue: la creazione particolare dell’uomo (da parte di Dio).

[15] Pater noster è la preghiera del Padre nostro, che ai tempi di Maria Valtorta si recitava in latino.