MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MINORE

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LIBRO DI AZARIA CAPITOLO 11


Seconda domenica dopo Pasqua


5 maggio 1946

   Introito: Salmo 33 (32), 1.5-6.
   Orazione: O Dio, che con le umiliazioni del tuo Figlio hai rialzato il mondo decaduto, concedi ai tuoi fedeli l'eterna gioia e, dopo averli liberati dai pericoli della morte eterna, fa' loro godere l'eterna felicità.
   Epistola: 1 Pietro 2, 21-25.
   Versetti alleluiatici: Luca 24, 35; Giovanni 10, 14.
   Vangelo: Giovanni 10, 11-16.
   Offertorio: Salmo 63 (62), 2.5.
   Segreta: La sacra offerta, o Signore, ci apporti sempre salutare benedizione, da produrre in noi ciò che rappresenta col mistero.
   Comunione: Giovanni 10, 14.
   Dopocomunione: Deh! fa', o Dio onnipotente, che ottenendo la grazia che dà la tua vita ci gloriamo sempre del tuo dono.
  

   Dice S. Azaria:
   «Della Misericordia del Signore è piena la Terra; e se fosse accolta dagli animi così come essa è sparsa su tutti i viventi non ci sarebbero più infelici, peccatori, separati. Ma tutta unita in un Unico Gregge, guidato e protetto dal Pastore che ha dato la sua Vita per le sue pecorelle e che si offre: Vita, a tutti, per dare Vita, l'Umanità procederebbe compatta e forte della sua compattezza, difesa da essa contro gli odii, le divisioni politiche, gli egoismi e le cupidigie fra Stato e Stato, Popolo e Popolo, difesa contro questo male sul quale soffia l'Avversario per dare mali sempre nuovi e sempre più grandi all'Umanità.
   Ma la Misericordia rimane inerte per troppi, non per causa propria, ma per causa dei troppi che non la vogliono accogliere. Come il Signore, di cui è attributo soave, essa può dire: "Io sto alla porta dei cuori e picchio". Ma troppe volte riceve a risposta, l'eterno e beneficante Amatore, la risposta della Sposa del Cantico: "Mi son levata la tunica, a che rimetterla? Mi sono lavati i piedi, perché rinsudiciarli?".
   Sì, così risponde questa povera Umanità al suo Potente Amatore, all'Unico che la ama e la potrebbe salvare, e non riflette quanto è grande il Suo amore, e quanto, da questo grande amore di un Dio che si umilia offrendosi e chiedendo di essere accolto, essa possa sperare!
   Quelli che superbi dicono: "Abbiamo troppo voluto fare da noi e Lui non può più amarci", e così quelli che gemono contriti, ma di una spuria contrizione che non supera il punto stagnante della desolazione umana che geme per le sofferenze materiali e si duole di esserne martoriata, ma non passa al grado luminoso della contrizione, ossia a quello che dice: "Ho peccato, il tuo castigo è giusto. Grazie di darmi modo di espiare col dolore in questa vita. Ma abbi pietà per la tua Misericordia", sembrano la pigra Sulamite che ancor non conosce perfettamente lo Sposo nelle sue infinite bellezze e potenze per possedere le quali nessun sacrificio è troppo grave, e non sorgono all'invito di chi li perdona prima ancora che essi chiedano perdono, e viene dicendo: "Accoglietemi".
   Oppure sorge, quando la desolazione sua è tale che l'Umanità riconosce in essa l'unghiata della Bestia infernale, ma sorge quando Egli, stanco d'attesa, se ne è andato. Né sa imitare la pentita sposa che ripara alla sua fredda pigrizia con l'andare instancabile alla ricerca di Lui, sfidando tenebre, guardie, guazze, pericoli, accettando di esser spogliata delle sue vesti - che son ben povere anche se paiono regali quanto sono quelle di una Umanità regina decaduta che ha smarrito il Re che la faceva tale - pur di ritrovarlo. Eppure la sua Parola riempie i cieli creati da Lui e che lo testimoniano, così come tutto nel Creato testimonia la sua potenza provvidenziale, e gli eventi confermano le profezie, e non vi è dubbio che il Verbo del Padre sia il Re, Salvatore, Redentore e perciò anche l'Unico Pastore.
   Come può l'uomo, tanti uomini, persistere in una sordità che non hanno gli esseri inferiori, i quali ubbidiscono agli ordini ricevuti in principio e, se astri e pianeti, danno luce e calore, e vivono la loro vita beneficando, come non sapete, gli abitanti del vostro pianeta; se animali, procreano e danno ognuno ciò che deve; se piante, fruttificano o servono col legname; se elementi, scaldano, irrorano, ventilano, trasportano, nutrono? Perché l'uomo, tanti, troppi uomini non accolgono l'invito che li vuole uniti in Una sola Chiesa fondata da Chi per gli uomini è morto? Perché i rami vogliono rimanere separati e selvatici, mentre ricongiunti al tronco sarebbero nutriti di succhi buoni? Peggiore l'uomo alle piante che accolgono l'innesto e il trapianto per essere più utili e feconde?
   Sì. L'uomo è peggiore dell'albero. E si priva di tanto bene per essere cocciuto nella sua separazione. E, benché non manchino i retti di cuore fra i separati, ecco che essi mutilano e sterilizzano la loro rettezza perché vogliono rimanere separati dal tronco le cui radici sono abbrancate alla terra catacombale e la cui vetta tocca i Cieli: da Roma, per cui Romana è detta l'Unica Chiesa Cattolica, l'Apostolica, creata non da un povero uomo, povero anche se re potente su un trono umano, non da uno scomunicato già segnato del segno d'Inferno, ma dall'Uomo Dio, Re eterno, Santo, Santo, Santo.
   Sì, l'uomo, troppi fra gli uomini che pure conoscono Cristo essendo evangelici o ortodossi, orientali, greci, scismatici, maroniti, e luterani, calvinisti, valdesi, tanto per nominare alcuni fra i rami separati più importanti, calpestano anche la prova dell'amore che il Cristo ha dato per la loro salvezza: le sue umiliazioni. E preferiscono rimanere decaduti mentre potrebbero essere nobilitati, preferiscono essere "morti" mentre potrebbero essere "vivi", per la loro ostinata volontà di essere i "separati".
   Condanna su loro? No. Sono sempre vostri fratelli. Poveri fratelli lontani dalla Casa del Padre. Mangianti un pane che non sazia, viventi in una foschia che impedisce loro di vedere la radiosa Verità, dissetati a fonti non pure che non danno l'Acqua che dal Cielo viene e al Cielo porta. La tristezza delle loro religioni si rispecchia nei loro riti. Canti di esuli, canti di schiavi sembrano i loro inni. Ricerca di chi sa di avere un padre, ma più non lo trova, è nelle loro predicazioni. Pompe di chi sopperisce con la coreografia al vuoto del vero è nelle loro cerimonie.
   Cercano di sentire Dio e di far sentire Dio, parlano il lin-guaggio del Cristo e dei suoi Santi per potersi persuadere che sono ancora di Lui fratelli e da Lui salvati. Ma la malinconia della separazione è su loro e in loro. Sono i falsi ricchi, i falsi nutriti, i poveri fissati di avere nutrimento e dovizie; ma sono denutriti, e poveri, poveri, poveri. I tesori grandi della Cattolicità, quelli infiniti del Cristo, Capo della Cattolicità, sono chiusi a loro. Preghiamo per loro... E voi, che potete soffrire, soffrite per loro.
   Soffrire! Dono di Dio agli uomini. Compartecipazione alla missione del Cristo. Mezzo per essere salvatori oltre che salvati. Nobiltà che possiedono i migliori in sapienza e santità fra gli uomini. Perché solo coloro che hanno compreso e che vogliono sapienza e santità, amano il soffrire. Ma se l'uomo cristiano meditasse come Cristo si è rivelato e come ha sempre fatto, amerebbe il soffrire.
   Dice Luca che i discepoli riconobbero il Signore quando Egli franse il pane. Forse perché Gesù aveva un modo speciale di frangere il pane? No. Ogni uomo lo frange come Egli lo franse. Ogni capo famiglia, ogni direttore di mensa... Ma nel gesto simbolico di Sé stesso: il Divino Pane, franto e suddiviso perché ogni uomo ne avesse, si manifestò per ciò che era. Il Pellegrino trovato per via dai due di Emmaus si rivelò per Gesù con quel gesto simbolico.
   Già aveva parlato ad essi e spiegato le Scritture. Eppure, nonostante essi fossero discepoli che da anni lo conoscevano nell'aspetto e nel modo di insegnare, essi non lo avevano riconosciuto. La perfetta beltà del Risorto poteva trasfigurare i tratti del Rabbi che essi ricordavano spesso sudato, impolverato, stanco nelle fatiche evangeliche, e che essi avevano visto un'ultima volta per un attimo nelle ore del Venerdì, alterato dalle sofferenze e dalle brutture lanciate su Lui, enfiato dalle percosse, sfigurato dalla crosta di polvere e sangue che gli si ingrommava sul Volto. Ma la parola era quella. Gesù non ha mai mutato il suo accento, tono e metodo. Eppure essi non lo riconobbero per il Salvatore.
   Ma quando prese il pane intatto e lo benedisse, lo offerse, e poi lo spezzò e lo dette, allora lo riconobbero.
   Gesù era il Pane del Cielo, l'Intatto Pane che non conosceva manipolazione d'uomo. Intatto, santo, soave, era sceso dal Cielo sulla Terra in una notte d'inverno e si era separato in una misteriosa misura una prima volta dai Due che con Lui formavano la Triade santa. Il dolore della separazione, della prima frattura, segnò l'entrata della Luce fra le Tenebre. E per trentatré anni, con ritmo crescente, la vita del Cristo non fu che un seguirsi di umiliazioni paragonabili metaforicamente a quelle del pane ridotto a briciole e sparso in successive frazioni, annichilito ad essere: mezzo per tutti i bisogni. Gli ultimi tre anni non furono un ridursi a briciole per tutte le fami, per tutte le anime, per tutte le necessità di esse? Chi più annichilito di Lui, incompreso da amici ignoranti e duri di mente e da nemici astiosi? Chi più franto per dare, con sofferenza e con instancabile operare, salute a corpi ed anime, e sapienza, e perdono, e esempio, a tutti?
   E nell'ultima Cena non riassunse in un rito tutto il significato di Sé stesso e della sua missione e del suo olocausto? Gli evangelisti sono concordi nel dire che, giunto ad un punto della Cena pasquale, nel vecchio rito ne introdusse uno nuovo: prese un pane, lo benedisse e lo franse dandone un pezzetto per uno ai suoi Dodici, dicendo: "Questo è il mio Corpo dato per voi. Fate questo in memoria di Me".
   Oh! ve ne prego, o cristiani! Sciogliete dalle vostre pesanti limitazioni il vostro pensiero, schiarite il vostro sguardo spirituale, e vedete, ecomprendete oltre i soliti limiti!
   "Questo è il mio Corpo dato per voi". Dato, voleva dire, così: "franto perché l'amore del vostro bene mi spinge a frangermi, e a farmi frangere, Io, l'Intoccabile, dagli uomini…".
   "Fate questo in memoria di Me". Il rito eucaristico è stabilito con queste parole. Ma non quello solo.
   In quelle parole è anche il consiglio agli eletti fra i suoi redenti. E quel consiglio dice: "Per essere degni dell'elezione con la quale vi ho prescelti, voi, miei veri servi fra i servi, fate, in memoria di Me che con questo vi insegno cosa e come si diviene Maestri e Redentori, fate la frazione di voi stessi. Senza ripugnanze, senza orgogli, senza paure e umane considerazioni. Spezzatevi, frangetevi, annichilitevi, distruggetevi, datevi agli uomini, per gli uomini, e per amore di Me che per amor loro mi dò a chi mi frange come mi sono dato a chi voleva miracolo e istruzione".
   Non è buon discepolo chi non si sa frangere e darsi. E la generosità, l'immolazione di chi sa frangersi per saziare le fami dei fratelli, è il segno che fa riconoscere i veri servi di Dio.
   "E lo riconobbero quando franse il pane". E vi riconosceranno dal vostro frangervi per la carità e la giustizia. Vi riconosceranno per servi veri.
   Amate perciò, o care voci, o strumenti eletti, ciò che è umiliante, dolorosa, operosa, santa frazione per il bene dei fratelli e la gloria di Dio. Allora per voi parlerà il Pastore buono e dirà: "Io sono il buon Pastore e conosco le mie pecorelle ed esse conoscono Me". Dirà: "Le mie pecorelle? Eccole. Queste sono! Queste che mettono i loro piedi dove Io li ho messi, anche se l'ultima via è quella del Calvario. E siccome miconoscono veramente, fanno ciò che Io ho fatto, disposte ad esser frante pur di salvare i fratelli loro".
   Il beato apostolo Pietro conferma con la sua epistola le mie parole. Uditelo: "Cristo ha patito per noi, lasciandovi l'esempio affinché ne seguiate le orme".
   Le pecore del vero Ovile non sarebbero più di esso se abbandonassero il loro Pastore andando dietro orme non sue, ad altri pascoli che non siano quelli del Padrone del Gregge. E le sue orme non sono di materiale gaudio, ma di sofferenza, fruttuosa a chi la soffre e agli altri, perché patire con Cristo e in Cristo vuol dire continuare la Redenzione di Cristo. 
   Né alcuno di voi, strumenti eletti in special modo, e poi tutti voi che volete dirvi cristiani ferventi, deve rammaricarsi delle prove, delle pene, delle angosce dicendole ingiuste perché immeritate.
   "Egli - dice l'Apostolo - Egli che non commise mai peccato, né ebbe mai frode sulla bocca, che essendo maledetto non malediceva, strapazzato non minacciava, e si rimetteva nelle mani di chi ingiustamente lo giudicava, Egli stesso portò i nostri peccati, nel suo Corpo, sulla croce".
   Chi fra gli uomini può dire questo sapendo di non mentire? Chi può dire: "Io non ho mai peccato, né fatto frode, né maledetto o avuto rancore per chi mi ha odiato, e senza reagire mi sono messo nelle mani dei miei carnefici"? Nessuno può dirlo. E allora perché vi lamentate, se Egli non si lamentò? Perché reagite, se Egli non fece resistenza?
   Non avete allora in voi la chiave del segreto per cui si può patire con gioia e volonterosa fretta di patire? Il segreto è questo: "Affinché, morti al peccato, gli uomini potessero vivere nella giustizia, risanati dalle loro piaghe per le sue Piaghe".
   Ecco! L'amore, una volta ancora l'amore, sempre l'amore perfetto, dà la chiave della gioia del soffrire. Coloro che hanno capito il Maestro e che hanno totalmente voluto imitare il Maestro, sanno morire perché gli uomini vivano nella giustizia e siano risanati dalle ferite dei loro peccati.
   Per tutti i fratelli, Maria! Per tutti i fratelli, o veri cristiani! Senza fariseismi che annullano il cristianesimo: religione d'amore, per riportare all'antica Israele piena di rigore.
   Perciò soffrire non soltanto per i fratelli cattolici, ma per i fratelli "separati", per le pecore erranti, perché possano ritornare al Pastore e Vescovo istituito da Cristo: al Successore di Pietro, Capo degli agnelli e agnello Esso pure dell'Agnello eterno.
   E nelle braccia del Pastore buono ti affido, agnella consumata, per carità della tua sofferenza di oggi, della sofferenza tua che depongo nei celesti turiboli acciò insieme a tutte le orazioni dei santi arda e profumi davanti al trono di Dio per ottenere Misericordia sui "separati" e grazia di ritorno all'Unico Ovile.
   Gloria al Padre, al Figlio, allo Spirito Santo! Alleluia!».