MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MINORE

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LIBRO DI AZARIA CAPITOLO 15


Domenica fra l'Ottava dell'Ascensione


2 giugno 1946

   Introito: Salmo 27 (26), 1.7-9.
   Orazione: O Dio onnipotente ed eterno, fa' che noi abbiamo una volontà sempre a te devota e che serviamo alla tua maestà con cuore sincero.
   Epistola: 1 Pietro 4, 7-11.
   Versetti alleluiatici: Salmo 47 (46), 9; Giovanni 14, 18.
   Vangelo: Giovanni 15, 26-27; 16, 1-4.
   Offertorio: Salmo 47 (46), 6.
   Segreta: O Signore, quest'immacolato sacrificio ci purifichi e comunichi alle nostre anime l'energia della grazia celeste.
   Comunione: Giovanni 17, 12-13.15.
   Dopocomunione: Ripieni dei tuoi sacri doni, ti preghiamo, o Signore, a concederci di rendertene incessanti grazie.
  

   Dice Azaria:
   «Questa S. Messa è proprio tutta per te, anima mia. Per te in quest'ora, per te per illuminarti il cuore coi raggi della speranza, e della confidente speranza nel Signore tuo Padre, Fratello e Sposo.
   Guarda. Si apre con le parole del tuo interno pregare: "Ascolta, o Signore, la voce della mia preghiera; a te parla il cuore".
   Sì, veramente il tuo cuore parla al Signore Dio tuo e con una parola che non perora per bisogni terreni, per sollievi fisici, per nessuna di quelle perorazioni usuali dell'uomo il quale chiede all'Altissimo cose molto terrene. Non è un peccato chiederle. Il Ss. Signore Gesù Cristo ha insegnato agli uomini a chiedere il pane quotidiano. Ma, se lo si sapesse meditare, ha messo questa petizione, di una necessità tutta umana, dopo le tre sublimi petizioni che il Nome Ss. di Dio abbia gli onori ad Esso dovuti, che il Suo Regno venga, che la Sua Volontà sia fatta come in Cielo così in Terra. La preghiera perfetta, perché insegnata dal Verbo, come una rondine di luce amorosa, dopo avere spaziato nell'alto scende con un rapido colpo d'ala a supplicare: "dacci oggi il nostro pane quotidiano"; ma ecco che subito risale dalla necessità animale del cibo alle necessità spirituali dell'anima, e vola - fatta leggera di nuovo dalla volontà di perdono della creatura "come noi rimettiamo i loro debiti ai nostri debitori", chiedendo d'esser perdonata - e finisce a posarsi, dopo aver fatto un ciclo di orazione perfetta, di nuovo ai piedi di Colui che adorando ha chiamato "Padre" al principio, chiedendogli ciò che un Padre amoroso può fare: di difendere i suoi figli dalla tentazione.
   Questa orazione, senza lacuna e difetto, insegna all'uomo come, perché, per cosa si deve pregare. Ma l'uomo, generalmente, non fa che pregare per il pesante bisogno materiale. E fosse per la necessità del pane! Ma quante, quante stolte, persino offensive richieste sono causa delle affannose preghiere dell'uomo!
   Uno che preghi unicamente per cose di spirito e per la gloria di Dio e il bene dei fratelli è come una stella accesa nel grigiore uniforme della Umanità. Così il Cielo vede questi solitari oranti, e la loro supplica squilla con voce d'oro fra la nenia delle stonate, roche, povere richieste del 90/100 delle creature.
   Veramente, se per un attimo il Perfetto aderisse alle richieste dell'imperfezione, ossia dell'Umanità che è volutamente amante dell'imperfezione, si vedrebbero compiersi delle cose che sarebbero peccato, perché poche volte l'uomo si astiene dal pregare per avere assecondati i suoi istinti, per avere satollamenti ai suoi desideri viziosi o, se al peccato non giungessero, sarebbero sempre abbassamento della creatura che, dimentica di avere un'anima, solo si occupa e preoccupa di dare gioia al corpo.
   Ma beati quelli che sanno pregare per lo spirito e per le cose dello spirito. Più beati quelli che sanno pregare neppure per chiedere cose sante, ma per dire: "Tu che sai ciò che è 'il meglio' per me, dammi il meglio". Beatissimi quelli che giungono a dimenticare sé stessi e di chiedere a Dio di fare per il meglio, ma chiedono soltanto: "Ti prego perché si compia ciò che è tua gloria e ciò che può essere santificazione dei fratelli".
   Allora l'orante sale alla perfetta orazione, a quella che dimentica i propri martirii, ma supplica per gli altri. La preghiera di Gesù Ss. sulla Croce, più alta ancora di quella di ubbidienza del Getsemani. Più alta perché perfetta carità: "Padre, perdona loro".
   Quando dici: "Padre, non per me, ma per il bene che tanti fratelli possono averne, ma perché questo bene aumenti la Tua gloria", allora tu tocchi il perfetto pregare. Quello della creatura che aderisce talmente al suo Dio da fondersi in Esso e da avere i suoi stessi desideri: il bene, la santificazione, la gloria degli uomini per dare gloria al Signore. La voce della tua preghiera è questo. Così parla il tuo cuore a Dio, e Dio per questo ti ama come figlia diletta.
   "Cercai la tua Faccia e la tua Faccia cercherò". Ecco! Così! Non imitare mai coloro che, dopo avere cercato la Faccia di Dio nell'ora del bisogno, più non la cercano a grazia ottenuta, e neppure coloro che, non avendo avuto grazia, più non cercano la Faccia di Dio come Egli fosse un nemico inviso ai loro occhi.
   No. La vita di un'anima amante deve essere sin dalla Terra ciò che sarà in Cielo: un affissarsi continuo nella Divinità per adorarla, per onorarla, per amarla, per bearsene, per capire le sue Parole di luce, così come noi angeli facciamo.
   Nella necessità? Alzare lo sguardo spirituale a Dio. Nella soddisfazione della grazia ottenuta? Alzare lo sguardo spirituale a Dio. Nella gioia? Alzare lo sguardo spirituale a Dio. Nel dolore? Alzare lo sguardo spirituale a Dio. Nelle solitudini? Alzare lo sguardo spirituale a Dio. Per avere aiuto, per ringraziarlo, per renderlo partecipe della gioia vostra, per avere chi compassiona il vostro dolore, per non essere soli.
   Oh! gioia di poter tenere allacciato lo sguardo nella Divinità! Maria, ciò è la beatitudine del Cielo.
   Tu vedi. A compiere l'ultimo tocco della straziantissima e completa Passione del Redentore, fu permesso che si occultasse al suo spirito la Divinità. E allora il Volonteroso, l'Eroico, il Silenzioso nel dolore gettò il grido del suo completo dolore: "Padre, perché mi hai Tu abbandonato?".
   Oh! se si approfondisse l'immensità di dolore, la compiutezza di dolore che quel grido racchiude! Il Cielo ne ha fremuto, la Divinità ha dovuto forzare Sé stessa a resistere, a non avere pietà, perché tutto fosse riparato, tutto compiuto dell'espiazione dell'Umanità che aveva abbandonato Dio seguendo il Tentatore; gli Angeli hanno tremato davanti allo sconosciuto aspetto della Divinità per la prima volta immisericorde ed hanno pianto, meditando e comprendendo in pieno quale abisso di peccato avesse compiuto Lucifero e gli altri ribelli, instaurando il Male e provocando le sofferenze conseguenti, culminate in quelle della Grande Vittima; hanno superadorato il Verbo ubbidientissimo e mitissimo, confrontandolo con tutto ciò che era, è e sarà creato; e persino nel regno delle Tenebre quel grido ha prodotto un fremito e ucciso l'ultimo tenace pensiero di poter essere un giorno perdonati.
   No. La Terra si è scardinata, si è lacerato il velo del Tempio, si sono aperti i sepolcri al grande grido con cui il Martire rese lo spirito. Ma è stato l'orrore del deicidio compiuto, ma è stato il segno dato agli increduli e odiatori, ma è stato il soprassalto di gioia dei giusti attendenti che ha fatto scuotere la Terra, lacerare il Velo, uscire dai sepolcri i giusti. Mentre, oh! mentre il grido della derelizione perfetta ha scosso gli spiriti,tutti gli spiriti, e li ha stritolati in un'angoscia che mai era stata e mai più sarà. Perché l'abbandono di Dio, il non poter più affissarsi in Dio, è la prova più grande per i viventi, e il castigo più grande dei trapassati. E qui non era soltanto la prova data ad una creatura, non era soltanto l'Uomo che si trovava separato da Dio, ma era il Verbo non più in contatto col Pensiero, era il Figlio separato dal Padre. Il Figlio Dio, dal perfetto amore, che non sentiva più il perfetto amore del Padre Dio, e amava desolatamente solo.
   Ma tu, anima mia, sei vittima, ma non sei la Gran Vittima.
   Perciò non ti è data questa desolazione. L'hai conosciuta, per comprenderla; l'hai consumata per sollevare tanti fratelli dalle disperazioni della ferocia umana; l'hai avuta, al tempo giusto1. Ora non più. Alza lo sguardo dell'anima. Guarda. Bèati... E canta con me l'alleluia. La Divinità ti tiene sotto il suo sguardo d'amore come la chioccia i suoi pulcini. Raccogliti sotto questo fulgore beato... sostiamo dallo scrivere tu, io dal parlare, e adoriamo...
   Ed ora, uscendo dal Fuoco Ss., tutta rinforzata, purificata, accesa, volonterosa, di' la parola dell'orazione: "O Dio, fa' che io abbia una volontà sempre a Te devota, e che serva la Tua Maestà con cuore sincero". Sì. Mai la tua volontà prevalga. Mai conosca stanchezze, né si sporchi con compromessi o si menomi con riflessioni volte a giudicare se la Volontà Ss., secondo il giudizio umano, ti dia ordini che non ti sembrino i migliori.
   Abbi sempre questa fede reale che Dio non fa che cose buone. Fa'. E se anche al momento non comprendi il perché di un ordine, fa'. E se anche l'ordine ti pare pericoloso, fa'. Servi con cuor sincero. E basta. I buoni servi, devoti, fedeli, non sindacano mai gli ordini dei loro signori. Si rimettono al loro giudizio che, per i buoni servi, è sempre ottimo. Ora tu servi non già un re, un principe, un qualsiasi signore della Terra, che, per quanto buono, è sempre soggetto ad errare, ma servi il Signore Iddio Onnipotente, Sapiente, Buono. Perciò con la calma di chi si sa comandato da chi non erra, ascolta e fa' secondo il suo volere. È ordine che ti letifica? Non insuperbirti, ma fa' e adora, lodandolo, il Signore. È ordine che ti strazia? Non sconfortarti, ma fa', ed ama, ubbidendolo, il Signore.
   Ascoltiamo ora l'Apostolo Pietro, il grande e buono Simone di Giona che si è formato con costante e penoso lavoro di buona volontà per divenire degno del suo Maestro, senza calcoli per il futuro, con l'unico sprone di dar gioia al suo Rabbi e Dio. Ascoltiamo l'uomo che di tutto quanto viveva umanamente in lui ha saputo fare dote per il suo ministero futuro, mutando l'umano in spirituale per forza d'amore. E padre di genti è divenuto, pastore, maestro e nauta della Chiesa, ma soprattutto padre, padre di dolcissima e ferma paternità per tutti i figli che il suo Gesù gli aveva affidati con le tre raccomandazioni dopo le tre professioni d'amore: "Pasci i miei agnelli e pasci le mie pecorelle". E Pietro, apostolo e pastore, ti parla, agnellina del gregge di Cristo. Ascolta.
   "Siate prudenti e vegliate nella preghiera. Ma soprattutto abbiate continuamente tra voi la mutua carità, perché la carità copre la moltitudine dei peccati".
   Aveva ben compresa la lezione del suo Signore, l'adulto israelita! E la trasmette ai suoi figli e fratelli che perfetti non sono, che hanno bisogno di continue assoluzioni per le loro mancanze, e che non sempre hanno pronto l'assolutore. Perché la morte è in agguato in mille modi e ogni momento può suonare l'appello davanti al Giudice eterno. Eccolo allora l'assolutore: l'amore. Ogni peccato, ogni omissione, ogni imperfezione cosa è se non un momentaneo o un pertinace collasso dell'amore nell'uomo?
   Il peccato mortale, ostinato, impenitente, è il pertinace collasso dell'amore, il coma, l'agonia mortale che termina alla morte eterna.
   Il peccato veniale è un meno profondo collasso, ma tiene sempre in torpore l'anima.
   L'imperfezione è ancor meno. Se involontaria, è appena un cedimento di un attimo della vigilanza amorosa. Ma un uomo morrebbe asfittico anche se ripetesse troppo sovente una sosta nel respirare, e così morrebbe un uomo anche per dei ripetuti, all'infinito, colpi di spillo. Morrebbe non dissanguato ma per spossamento da spasimo. E non è diverso per lo spirito. Corroborarlo si deve quando è ferito anche da punture leggere. E l'assolutore che corrobora, che tiene sempre pronti all'appello, in modo da non dover temere, è l'amore.
   Riparare con l'amore al più o meno grave collasso di amore avuto. Riconquistare il Dio perduto con l'amore. Amore al prossimo offerto a Dio per avere Dio ad incenerire col suo Amore le vostre colpe ed a ricoprire con la sua Misericordia verso l'umile, che riconosce l'amore e lo ripara col mezzo acconcio, la miseria della creatura così facile a macchiare la sua anima.
   In questa e nell'altra vita le colpe non meritevoli di dannazione si riparano con l'amore. Quando lo spirito ha imparato ad amare in modo da non più offendere l'Amore, allora è beato.
   Non temere la morte improvvisa, non il giudizio di Dio. Non sono cose che fan paura. Ma temi di mancare alla Carità. Le mancanze alla Carità provocano il rigore di Dio. E solo chi deve incontrare quel rigore deve aver paura della morte. Gli altri no. Sia che venga lentamente, o come fulmine veloce, essa non fa male allo spirito continuamente lavato dalla carità.
   Tanta dovrebbe essere in voi la carità che persino un semplice sguardo dovrebbe esser carezza ai fratelli per tanto che fosse saturo d'amore. E veramente quando Dio è così vivente nello spirito da esser tutt'uno con la creatura, l'occhio umano diviene quella sorgente di pace, di affetto, per cui chi soffre si sente consolato, chi è solo si sente presso un fratello, chi dubita raggiunge la fede perché, come al tempo dei primi cristiani, colui che converte è l'amore.
   "Vedete come si amano!?", si dicevano fra loro i pagani. E con questo mezzo semplice e sublime i cristiani facevano proseliti più numerosi e convinti che se avessero dottamente parlato da mattina a sera, e sostenuto dispute, ed esercitato pressioni.
   "Praticate l'ospitalità... senza mormorazioni". Ecco, Pietro nomina una delle forme materiali di amor di prossimo.
   Ma per tutte vale lo stesso consiglio. La carità deve essere silenziosa, pudica, comprensiva, prudente. Il Ss. Signore Nostro Gesù lo ha detto: "Non sappia la vostra sinistra ciò che fa la destra". E non solo per le elemosine, ma anche per altri soccorsi a più alte sventure, ossia a quelle morali e spirituali, la carità deve saper fare e tacere per essere pura da ogni scoria, perché anche il semplice stupore, l'intimo pensiero: "Che cosa è mai questa del fratello?" è, sebbene lievemente, lesione alla carità. Non giudicate, mai, neppure nel vostro cuore, perché anche nel cuore vostro scende l'Occhio divino e legge. Non gonfiatevi di superbia dicendo: "Io sono più santo perché non ho queste cose che menomano il fratello". Non più santi. Più fortunati. Più protetti. E perché? Solo per i vostri meriti? Non sarebbe un grande merito pensare invece umilmente che Dio vi risparmia perché siete i più imperfetti di tutti, ed Egli non vuole la vostra rovina?
   Ed ora, proprio per le voci, ecco la parola di Pietro: "Ciascuno secondo il dono ricevuto lo metta al servizio di tutti gli altri come buoni dispensatori della multiforme grazia di Dio".
   Voi, voci, avete avuto il dono di ricevere le parole Ss. per passarle ai fratelli. Orbene, fatelo con gioia, umiltà, solerzia, generosità.
   Voi, direttori delle voci, avete avuto il dono di dirigere questi strumenti. Fatelo con gioia, solerzia, carità, pazienza ed eroismo. Non sedete dicendo: "Il Signore farà". È detto di non tentare il Signore e di non essere servi inutili2. Voi, stando inerti ad attendere che il Singore faccia, fareste tentazione a Dio e sareste servi inutili, senza più sapore nel vostro sale, non buoni neppure più per conservare ciò che Dio vi ha affidato e che va sempre tutelato, perché Dio parla allo spirito delle "voci", ma le voci non sono solo spirito, sono anche carne e intelletto. Vegliate e sorvegliate perché carne e intelletto non vengano sedotti dal Nemico che li sorveglia per tentarli, vincerli, farli decadere.
   Non conducete a superbia le "voci" con l'esaltarle. Non conducete a stanchezze le "voci" col lasciarle senza aiuto. Non conducete a decadere le "voci" col lasciarle sole. Non mancate di carità alle "voci". La loro croce è di piombo pesante, e tutto serve a farla più pesante.Se non avessero l'amore non la potrebbero portare. Volete voi aggravarla coi macigni dell'indifferenza, incomprensione, pigrizia, ed eccesso di attesa di aiuti soprannaturali? Dio vi ha fatti pastori anche di questi. Dio vi ha fatti fratelli anche di questi.
   Sentite Pietro? Allora era il tempo in cui le "voci", per decreto giusto di Dio e per ardenza dei primi cristiani che veramente amavano con eroismo, spesseggiavano. Ecco Pietro che dice: "Se uno parla, parli come chi espone gli oracoli di Dio; se uno esercita un ministero, lo faccia per virtù comunicata da Dio, affinché in tutto sia glorificato Dio per Gesù Cristo di cui è la gloria e l'impero nei secoli dei secoli".
   Le voci non possono appropriarsi delle parole che ricevono. Sarebbe sacrilego furto. I sacerdoti direttori delle voci, e di ogni altra anima, non possono, per nessuna ragione, rifiutarsi o fare stancamente il ministero. Perché sarebbe sprezzare la virtù comunicata da Dio ai suoi ministri. E sia chi si abusasse, come chi lasciasse inerte il proprio dono, farebbe peccato agli occhi di Dio.
   Lo scopo di ognuno che voglia essere giusto è di dare glo-ria al Signore. E al Signore datela, perché tutto ciò che voi siete, nelle vie del Bene, è perché Egli vi dà di che esserlo.
   E tu, anima mia, riposa nella promessa di Gesù Signor Nostro Ss.: "Non vi lascerò orfani. Vado, ma ritornerò e il vostro cuore gioirà". Riposa nella preghiera del Cristo: "Padre... venendo a Te non chiedo che Tu li levi dal mondo, ma che Tu li salvi dal male".
   Il Consolatore sta per venire, Maria. Viene preceduto dalla preghiera e dalla promessa di Gesù Ss. Viene! Alleluia! Alleluia! Alleluia!».

 
   1 L'hai conosciuta… al tempo giusto, come in nota 13. 

   2 servi inutili sono coloro che si limitano a fare il proprio dovere, senza sentirsi spinti dall'amore a fare di più. In tal senso il passo di Luca 17, 10: "… dite: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare" è illustrato nel capitolo 422 dell'opera L'Evangelo come mi è stato rivelato.