MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MINORE

A A A

LIBRO DI AZARIA CAPITOLO 26


Nona domenica dopo Pentecoste


11 agosto 1946

   Introito: Salmo 54 (53), 3.6-7.
   Orazione: Stiano aperte, o Signore, le orecchie della tua misericordia alle preghiere di chi ti supplica e, per concedere a chi chiede secondo i suoi desideri, fa' che domandi ciò che ti è gradito.
   Epistola: 1 Corinzi 10, 6-13.
   Graduale: Salmo 8, 2; 59 (58), 2.
   Vangelo: Luca 19, 41-47.
   Offertorio: Salmo 19 (18), 9-12.
   Segreta: Concedici, te ne preghiamo o Signore, di ricevere spesso e degnamente questi misteri, compiendosi l'opera della nostra redenzione tutte le volte che si rinnova la memoria di questo sacrifizio.
   Comunione: Giovanni 6, 56 (volgata 57).
   Dopocomunione: Deh! fa', o Signore, che la comunione del tuo sacramento ci sia di purificazione e ci doni l'unione.
  

   Dice Azaria:
   «Il salmo è del tempo del rigore. Perciò ancora puoi invocare vendetta sui nemici. Ma tanta è in noi la carità, e tanta deve essere in te, anima mia, che non ci fermeremo a commentare la prima frase dell'Introito.
   Tu sei del tempo dell'amore, cristiana sei, e sulle tue labbra solo la preghiera in favore dei nemici deve fiorire. Anzi: non nemici, ma "poveri fratelli" devi chiamare chi ti dà dolore. Non sono forse privi delle vere ricchezze, non possedendo carità, non avendo giustizia, ignorando le voci del soprannaturale, di modo che non comprendono la lingua dei Cieli e la dicono delirio di creatura o, peggio ancora, menzogna di creatura? Poveri, poveri fratelli tuoi!
   Un giorno il Signore dirà loro: "Io ho parlato e non mi avete conosciuto. Ho preso, secondo la mia Parola, un 'piccolo' e l'ho messo in mezzo a voi, dottori, e l'ho istruito perché vi dicesse le mie parole, dato che lo Spirito del Signore si compiace di rivelarsi agli umili coi quali scherza come padre coi suoi pargoli, trovando in essi il suo ristoro. Io sono venuto e non mi avete accolto. Ho parlato e non mi avete ascoltato. Vi ho chiamato e invitato ad entrare nella stanza dei miei tesori che vi aprivo, e non siete venuti. Il mio amore non vi ha commossi. La mia dottrina l'avete negata, dicendo che non poteva avere aggiunta quella che avevo predicata in Palestina. Vi volevo fare ricchi, vi volevo fare dotti, volevo darvi in mano uno strumento arricchito di nuove note perché poteste cantare le infinite, e da molti ignorate, misericordie di Dio, convertendo i cuori; vi volevo santi: la mia conoscenza è amore, e non vi è limite ad essa, perché il Cristo docente è Dio, e Dio è infinito nel suo amore e in ogni altro suo attributo, e chi più conosce più ama e chi più ama più si santifica. Voi, santi, voi, ardenti, voi sapienti della 'mia' santità, del 'mio' amore, della 'mia' sapienza, avreste santificato, acceso, istruito. Oh! mia Sapienza, Amore, Perfezione! Perché non mi avete voluto? Ora siete poveri. Più del povero Lazzaro. Egli aveva per veste le sue piaghe, ma nel suo cuore aveva il tesoro del suo saper conoscere Dio. Andate a vestirvi di luce, andate ad imparare l'amore, andate a meditare sulle parole che non avete accolte, e quando vi sarete vestiti e ornati di carità, verità e sapienza, venite...".
   Tu prega, tanto, perché nel tempo che loro resta sappiano vestirsi e ornarsi di quanto il Signore esige per gli invitati alle nozze, senza far sosta penosa fuor dalla Casa di Dio, espiando la loro ignavia e tiepidezza e, con esse, superbia ed egoismo. Per questo, dell'Introito, tu soffermati molto a chiedere protezione per te. Non altro. Sei del tempo dell'amore, e l'amore vuole per gli altri quanto vuole per sé. Invoca quindi la potenza di Dio a tua difesa e a loro conversione, e non altro. E veramente tu chiederai al Signore ciò che gli è gradito perché risponde ai suoi desideri, primo fra tutti che gli uomini si amino l'un l'altro come fratelli.
   "Non desideriamo cose cattive", dice l'Apostolo. Desiderare che il male ricada sui propri nemici è cosa sommamente cattiva, perché è la negazione del precetto d'amore e di perdono. E, se tu bene mediti, vedrai in questo desiderio di male ai nemici non soltanto peccato d'odio, ma anche di idolatria. L'idolo è il proprio io, amato esageratamente, adorato come il signore, il dio più grande, amato così disordinatamente da farlo centro sacro di tutti i pensieri e movimenti dell'uomo, amato così disordinatamente da uscire, per esso, dall'ordine, perché, essendo l'uomo composto di materia e di spirito, ma essendo immortale lo spirito, erede del Cielo, è ordine procedere in modo da dare allo spirito ciò che gli è destinato. Vivere perciò soprannaturalmente, da figli di Dio, mossi e condotti dallo Spirito di Dio, con regale sudditanza e figliolanza eccelsa, non vivere da bruti, fuor dalla giustizia, fuor dalla Via e dalla Verità, nel disordine della carne, del mondo e di Satana.
   "Io sono il Signore Iddio tuo". Dio è Dio, l'Unico. Nessuno deve sostituire altro dio all'Unico e Santo. Chi ama sé stesso come unico a cui tutto deve dare onore e gioia, è idolatra di sé. E l'idolatria porta l'uomo a culti selvaggi, quali quello di volere il male, la vendetta sui nemici, e di invocarla per dare soddisfazione all'io, uscendo dalla Religione Cristiana, ossia dalla Religione vera, dalla Carità.
   Paolo enumera i peccati di Israele: il culto all'idolo d'oro. Considera a quale avvilimento, non solo della religione, ma della ragione, porta un'idolatria. L'uomo, re degli animali, avente a Padre Iddio, avente come Dio Spirito in sé lo spirito che lo fa a immagine e somiglianza del Padre - perché l'anima è spirituale, libera, immortale, intelligente, capace di ornarsi delle virtù che sono in Dio, meno la potenza creativa, e nella proporzione che è giustizia [che] sia conservata fra l'Altissimo e l'uomo, fra il Creatore e il creato - l'uomo, creatura perfetta, ecco che giunge ad adorare la figura di un suo servo animale, di un vitello, ecco che, essendo figlio del Creatore, giunge ad abbacinarsi davanti ad una sostanza dal Creatore creata: del povero oro che splende solo se la luce lo investe, mentre Dio è Splendore di Luce Increata e infinita. E poi scende ancora, si avvilisce nella crapula, facendo del mangiare non un bisogno ma un vizio, ed ebbro poi di vino e di cibo si alza per darsi a lascivi divertimenti come i più lascivi fra gli animali non fanno.
   E qui, incidentalmente, ti faccio osservare la condotta di Mosè. Egli, santo, rifiuta l'onore che Dio voleva dargli a premio: "... lasciami fare, li sterminerò e poi farò di te il capo di una grande nazione", ma supplica che i "poveri fratelli peccatori" siano perdonati e salvati. Mosè aveva già compreso l'amore, il quale vuole il bene altrui, il vero bene, più che il proprio onore temporaneo.
   Paolo, dopo l'idolatria, ricorda la fornicazione e il suo castigo: l'uccisione dei licenziosi, perché nel Popolo di Dio, destinato ad entrare nella Terra Promessa, non potevano essere impuri, fornicatori, idolatri, omicidi, menzogneri e abominevoli, per opera dei figli di Levi, zelanti dell'onore di Dio più che dello stesso amore per il proprio sangue, che "nel sangue del figlio e del fratello" uccisi per riparare l'offesa fatta al Signore "consacrarono le loro mani per ottenere la benedizione".
   Ora, nella Legge d'amore, si lavano ancora coi sacrifici le offese. Ma non svenando e uccidendo i colpevoli, bensì offrendosi vittime per essi, ad esempio del Redentore Ss., e non solo le mani, e non solo la benedizione sacerdotale, ma tutto l'essere viene consacrato, e gli viene data la benedizione che apre il Regno di Dio ai Santi, a questi che si immolano per salvare i peccatori e riparare le offese fatte a Dio.
   "Né tentiamo Cristo, come lo tentarono alcuni di loro che furono uccisi dai serpenti".
   Dio aveva provveduto il suo Popolo di manna, gli aveva dato prima di essa protezione dalla sera del passaggio angelico in Egitto, ed essi, dimentichi delle sofferenze patite in Egitto e del miracoloso intervento del Signore, già avevano rimpianto i pesci, i poponi, i cocomeri e le altre verdure d'Egitto preponendo1 il ventre e le sue delizie alle delizie dell'indipendenza e dell'unione con Dio.
   Nuovamente dicono: "Siamo nauseati di questo cibo leggerissimo", dimentichi della morte dei saziati oltre misura con le quaglie avute prima di giungere ad Asciot. Si lamentano di non avere acqua e non avere pane. Avevano visto il miracolo dell'acqua dalla rupe. Avevano Dio a loro fornitore per il necessario. Mormorano. Lo tentano. Vogliono il superfluo.
   Triste esempio di molti cristiani! Ed ecco che avendo ascoltato il sibilo del Serpente, insinuatore di concupiscenze, dai serpenti vengono uccisi. Perché chi accoglie Satana, da Satana ha morte. Troppi, avendo avuto tutto da Gesù Ss., respingono l'Agnello per il Serpente e guardano poi con terrore il serpaio che si muove ad ucciderli, dimenticando di alzare lo sguardo alla Croce su cui è il Salvatore.
   Infine gli Ebrei fecero cosa cattiva col mormorare contro il Signore che, per un poco di sacrificio, voleva loro dare la terra che stilla latte e miele.
   Dieci volte tentatori del Signore, dieci volte ribelli e mormoratori, meritano la morte nel deserto, colpiti da Dio sdegnato del loro pervicace spirito ribelle. Morire nel deserto, colpiti da Dio quando c'è chi assicura esser beata la dimora promessa e sicuro il possesso, sol che lo voglia la volontà dell'uomo che Dio aiuta in ogni maniera, onde non è a temersi l'insidia del Male come cosa invincibile, è grande stoltezza.
   Eppure è ciò che avviene continuamente, né questi fatti - figura degli eventi che voi, venuti alla fine dei secoli del rigore, ossia venuti nel tempo della misericordia, nel tempo che precede l'eterno tempo della Gioia, avreste incontrato spiritualmente - servono a impedire all'uomo la grande stoltezza di perdere il Cielo eterno per il mondo fugace.
   Grande l'ammonimento di Paolo: "Chi crede di stare in piedi guardi di non cadere".
   Tenete sempre presente come gli uomini peccarono in antico, nonostante il terrore che avevano di Dio. Non dite: "Erano meno progrediti di noi". Avete, è vero, avuto il perfezionamento della Legge e l'aiuto senza misura dei Sacramenti, fatti canali di Grazia per merito del Cristo. Ma siete forse migliori? Avete progredito nelle cognizioni umane e i nove decimi di esse sono contro voi stessi. Avete progredito nel sapere. Ma nello spirito no. Malizia vi conduce, superbia vi regge. La triplice concupiscenza vi distrugge. L'egoismo dei singoli e delle collettività inonda di lacrime e sangue il mondo con sporadiche e multiple effusioni, o con veri diluvi mondiali e micidiali di sangue e lacrime.
   Non siete progrediti. Anzi, fra quelli che erano rapinatori, idolatri, violenti, incestuosi in antico, perché non sapevano esattamente le leggi morali e religiose e lo sono perché ancora selvaggi, e voi, evoluti e a conoscenza della Legge di Gesù Cristo, voi siete i più colpevoli perché fate, sapendo di fare. Perciò non si vanti chi fino al momento che si vive non peccò gravemente. Il momento che segue potrebbe farlo, perché rilassate sono le redini che tengono a freno l'io dell'uomo. Egli si mette in condizioni di cadere perché si allontana da Dio.
   Paolo dice: "Non vi hanno, finora, assaliti che tentazioni umane". Non vuol dire con ciò che sono da non temersi queste tentazioni o da vivere tranquilli dicendo: "Io sono tanto forte che inutilmente sono tentato. Io vinco sempre". Chi dicesse così cederebbe istantaneamente a una tentazione spirituale: alla tentazione nella superbia, la quale apre la via agli altri sei vizi capitali. E la superbia impedirebbe l'effondersi di Dio coi suoi aiuti, perché Dio non si comunica ai superbi, e perché i superbi non ricorrono a Dio. Ma quando l'uomo è umile e ama il suo Signore, Dio non lo delude, fedele come è nel suo amare e nel suo promettere e mantenere.
   Gesù Ss. non ha detto parola che fosse inutile e non desse frutto. Egli ha detto: "Quando pregate, pregate così: 'Padre nostro... e non ci indurre in tentazione ma liberaci dal Male'". Se ve lo ha detto è perché sa che il Padre vuole farlo e perciò non permetterà che le forze dell'uomo, suo figlio, siano inferiori alla violenza della tentazione.
   Rifletti bene. Io non dico: "E il Signore permette ai suoi figli fedeli piccole tentazioni, mentre quelle date ai figli infedeli sono grandissime". Ma dico: "Non permette che le forze del figlio siano inferiori alla violenza della tentazione".
   Egli vi vuole combattenti per essere vittoriosi. Il merito deve essere vostro. La gloria deve essere proporzionata al merito e alla lotta sostenuta. Come un buon padrino del guerriero in lizza, Egli passa a questo le armi novelle per opporre resistenza sempre valida contro i reiterati assalti della Tentazione, e offre il calice corroborante della sua Grazia per ritemprare le forze del suo figlio che combatte, ed è pronto, a lotta finita, ad accoglierlo sul cuore per incoronarlo di pace, serbando il gaudio della paradisiaca gloria al momento del ritorno a Dio.
   Conforta Paolo, schiaffeggiato tre volte dall'invido angelo tenebroso, a non temere. Ed io con lui ti conforto. E tutti conforto dicendo le parole liturgiche: "I precetti del Signore sono giusti, i suoi giudizi dolci più del miele". Siate dunque fedeli ad essi, crescendo in grazia e sapienza al cospetto di Dio e degli uomini.
   E ancor vi dico le parole del Ss. Maestro: "Prendete su voi il giogo di Cristo. È dolce e leggero". Prendetelo con santa audacia ed eroica volontà. Prendetelo con assoluta fiducia nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo, i quali sono Amore, e l'Amore è forza. Ad essi gloria in eterno».

 
   1 preponendo è nostra correzione al posto di posponendo