MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MINORE

A A A

LIBRO DI AZARIA CAPITOLO 40


Ventitreesima domenica dopo Pentecoste


17 novembre 1946

   Introito: Salmo 85 (84), 2; Geremia 29, 11-12.14.
   Orazione: Perdona, te ne preghiamo o Signore, le colpe dei tuoi popoli, in modo che per tua benignità siamo resi liberi dalle catene dei peccati che abbiamo contratti per nostra fragilità.
   Epistola: Filippesi 3, 17-21; 4, 1-3.
   Graduale: Salmo 44 (43), 8-9; 130 (129), 1-2.
   Vangelo: Matteo 9, 18-26.
   Offertorio: Salmo 130 (129), 1-2.
   Segreta: Per accrescere il nostro zelo nel tuo servizio, ti offriamo, o Signore, il sacrificio di lode, affinché a questi doni che ci hai dati senza nostro merito tu propizio faccia produrre i loro effetti.
   Comunione: Marco 11, 24.
   Dopocomunione: Ti preghiamo, o Dio onnipotente, di non lasciare esposti ai pericoli degli uomini coloro ai quali hai accordato di partecipare con gioia alla divinità.
  

   Dice Azaria:
   «Le colpe dei popoli sono tali e tante che, se non fosse infinita la benignità di Dio e la sua divina pazienza, da tempo il mondo sarebbe distrutto come orrore dell'Universo, orrore che va tolto, perché nella creazione perfetta non devono sussistere cose obbrobriose.
   Ma nel mondo, che è veramente ormai il vestibolo dell'Inferno e il feudo di Satana, sono sempre dei giusti. Rari come stelle in una notte di tempesta, come palme nella vastità arida dei deserti. E come già si comprende dall'episodio di Abramo, Dio è pronto ad usare misericordia anche ai peccatori e salvarli dalla punizione, se fra essi sono giusti che pregano. Salvarli dalle sventure materiali e morali finché dura il loro giorno, lasciando tempo sino alla loro sera di tornare al Signore. Non salvarli oltre la vita, se hanno meritato castigo, perché nel Giorno di Dio non servono più le intercessioni dei giusti a rendere salute ai morti alla Grazia. La Giustizia vuole il suo corso. E se anche con ira e ribellione essi urlano al Giudice Eterno: "Tu ci odi e ci defraudi della nostra parte di bene", Egli risponderà loro con giustizia: "No. Vi ho dato la vostraparte. Volevate godere. Godere ricchezze, potenze, lussurie, gozzoviglie, ottenute con ogni mezzo. Le avete avute. Vi ho lasciato godere come volevate. Voi avete scelto. Io rispetto la vostra scelta e ve la lascio in eterno. Nel mio Regno entrano quelli che hanno vissuto casti, temperanti, giusti, misericordiosi, quelli che hanno sofferto e pianto anche per causa vostra, e che hanno amato Dio, il prossimo e anche voi che li angustiavate. Andate. Non dicevate forse che era stoltezza rimettere al futuro la gioia e che era saggio godere del certo presente? Così vi concedo. Avete goduto nel piccolo presente; ora soffrite nell'eterno presente".
   I giusti pregano per i peccatori. Guai se così non fosse. Al lavacro quotidiano e perpetuo del Sangue Divino si mescono le preghiere e le lacrime dei giusti. E questa rugiada di carità deterge il mondo da quel soprappiù di lordura che l'Infinita Misericordia non potrebbe sopportare. Onde il mondo può durare benché l'Occhio di Dio lo guardi con una severità che impressiona noi angeli. Se per un caso passasse un solo giorno senza che neppure un'opera di giustizia venisse compiuta in tutto l'Orbe, se per un caso venisse un giorno nel quale i giusti divenissero peccatori, la luce non tornerebbe ad illuminare la Terra, perché essa non sarebbe più. La Giustizia, nella notte, l'avrebbe cancellata di fra le opere creative.
   Quanto dico vi dia la misura di quanto è il valore della giustizia degli uomini al cospetto di Dio. Una delle cause di giustizia è il sincero ed umile conoscere sé stessi e le opere di Dio in voi. Questa è una delle sapienze più difficili a trovarsi nei cristiani anche migliori. Una errata valutazione delle virtù fa sì che per essere umili si diventa insinceri, e talora anche ipocriti, senza pensare che si diventa, con ciò, anche sconoscenti.
   Molti sono che, essendo buoni ed avendo doni particolari, e sapendolo di esser buoni, o di essere specialmente beneficati dal Signore, per una umiltà ingiusta si dicono perfidi o nudi di quei doni che altri sanno essere in essi.
   Anche in queste cose ci vuole giustizia, prudenza, umiltà, sincerità somme. Prudenza col tenere celato il dono gratuitamente avuto, acciò la conoscenza di esso non degeneri in fanatismo della gente, in turbamento del beneficato, in perdita di tempo (che potrebbe invece essere usato degnamente al servizio del Signore), in tentazione, e talora in peccato, di orgoglio. Non indursi in tentazione è obbligatorio. L'uomo, anche maggiormente beneficato da Dio, deve ricordarsi sempre che è un uomo, perciò non lusingarsi di essere perfetto, né lusingarsi temerariamente che, qualunque imprudenza si faccia, il Signore riparerà per amore al suo figlio prediletto.
   Dire al Padre che non vi induca in tentazione è buona parola. Ma è doverosa maniera di comportarsi quella di guardarsi da sé dal mettersi in tentazione.
   Il demonio è un grande seduttore. Ma molte volte l'uomo calunnia lo stesso demonio perché lo fa causa di ogni sua caduta. Ma molte volte è l'uomo che va a cercare il terreno scivoloso, non il demonio che ve lo spinge. Potrebbe uno, che andasse a camminare sull'orlo di un tetto, accusare il padrone della casa di averlo fatto cadere e ferire? Non potrebbe. Ugualmente l'uomo che, o in un senso o nell'altro, spontaneamente e imprudentemente si mette in rischio di peccare, non può accusare né Dio né il diavolo per il suo peccato, perché né Dio né il diavolo lo hanno indotto in tentazione ma la sua volontà è stata l'unica colpevole, essendosi messa in occasione di peccato.
   Questo per tutti. In particolare nei prediletti dal Signore con doni straordinari è indursi in condizione di peccare di orgoglio il non tutelare con segretezza il dono avuto onde evitare fanatismi che possono suscitare compiacenze di sé stessi, e perciò funesto orgoglio. Imprudente è lo strumento di Dio che non custodisce in segreto il dono del Signore. Tre volte imprudente il Sacerdote che, essendo direttore dello strumento, o confessore, o parroco, o Pastore diocesano, o temporaneamente messo in condizioni di consigliare e dirigere (come predicatore quaresimalista, o eserciziante, o missionario), venuto a conoscenza di un caso straordinario, saputolo lo divulghi, oppure, saputo che lo strumento non sa condursi e arrischia di rovinare sé stesso e il dono o per ignoranza o per imprudenza, non intervenga con santi consigli in aiuto dello strumento per il bene dello stesso e del dono del quale lo strumento è depositario.
   La prudenza, che è sempre compagna ad un riserbo silenzioso che non permette propagande, e cela lo straordinario sotto apparenze ordinarie di vita, non deve mai però degenerare in falsa umiltà e in menzogna.
   Quando e con chi di dovere è necessario per voi, care anime straordinarie, parlare o rispondere a chi ha dovere di interrogarvi, non dovete, per una falsa modestia, dire: "Io non ho nulla perché sono la più grande peccatrice", mentre dentro di voi sentite che siete, sì, piccole anime ma anche che, per grazia di Dio, non siete peccatrici al punto di disgustare il Signore. Sarebbe menzogna. Se foste convinte di esserlo, dirlo non sarebbe che umile confessione della colpa e miseria vostra, ritenuta tale da voi; ma, se la coscienza vi assicura che la vostra piccolezza non è sporca di colpe gravi, non dovete mentire. E soprattutto non lo dovete fare col segreto desiderio di sentirvi dire: "No, tu sei santa", per compiacervene. Con lo spirito inginocchiato umilmente davanti all'amorosa potenza di Dio che vi ama, rispondete sinceramente a chi ha diritto di interrogarvi: "Sì, il Signore ha fatto in me queste cose benché io sia povera e imperfetta".
   Non fu superba Maria nel cantare il suo salmo. Riconosceva umilmente le grandi cose che Dio le aveva fatto, perché la sua lode salisse al Cielo e, con la sua, quella della parente, capostipite di tutte le anime che avrebbero lodato il Signore attraverso a Maria, strumento soave e santo delle opere del Signore e della vostra salute.
   Non è superbo Paolo dicendo: "Imitate me". Semplicemente dice ai suoi fedeli di imitarlo, perché la misericordia di Dio, unita alla volontà dell'uomo, aveva fatto di lui: Paolo, un perfetto ritratto di Cristo. Così come altrove aveva detto le sue colpe passate, così come altrove aveva confessato che, già Apostolo, l'angelo di Satana lo aveva percosso, altrettanto qui dice: "Imitatemi", come altrove dice sinceramente di aver goduto delle rivelazioni del Signore e di essere stato assunto al terzo cielo.
   Dire: "Dio mi ha amato straordinariamente" non è peccare di superbia, se lo dite - e Dio vi vede - con un sentimento e una volontà soltanto: quella di magnificare il Signore per ciò che vi ha fatto. Non ha detto forse il Maestro Divino: "Quando si accende un lume non si mette sotto al moggio ma in alto perché sia veduto e faccia luce"? E ancora non è detto: "I giusti saranno come stelle"?
   Dio li accende. Dio vi accende. Oh! l'uomo che va per una via solitaria nella notte alza il capo e vede le stelle seguire il loro corso da oriente a occidente e, anche se non sa il nome di ogni singola luce, sa dirsi: "Questa è via per andare alla mèta", perché il trasvolare degli astri, da oriente a occidente, gli dà la direzione dei punti cardinali.
   Ugualmente è degli strumenti di Dio. Devono splendere. Alti nella loro sfera speciale dove Dio li ha collocati, separati, segregati dal resto del mondo, ignoti per nome e domicilio, ignoti talora per anni anche oltre la morte, come speciali strumenti devono però splendere. E come? Con la santità della vita, con l'indefesso lavoro ubbidiente ai voleri di Dio, con il loro amore e le altre virtù che nei giusti momenti "magnificano il Signore per le grandi cose in loro fatte", ma sempre illuminano perché il Signore, vivendo in loro completamente, traspare ed emana da essi la sua luce e la sua santità, e come naviganti spersi in un tenebroso mare sconvolto, gli spiriti si dirigono a questi fari solitari, percossi dalle tempeste del Nemico e dei nemici di Dio e dei suoi strumenti, ma forti, eroici, sempre pronti ad accogliere la Luce e a raggiarla sui naufraghi perché abbiano salvezza.
   Le anime cercano Dio. Vi sembra molte volte che non lo facciano. Voi non sapete le spirituali sofferenze delle anime chiuse in un corpo e soggette a un pensiero nemici a Dio. Gli stessi che possiedono queste anime avvilite non se ne accorgono delle lacrime della loro anima accecata e incatenata che si agita e cerca la Luce dal fondo della sua carcere, che qualche volta cerca evadere e cercare Dio, e bere un sorso di aria celeste, e empirsi la vista spirituale di una luce celeste, e raccogliere parole arcane da portarsi seco nella segreta. Parole che sembrano dette e raccolte invano, e che talora risorgono al letto di morte e vincono l'estrema battaglia, consegnando uno spirito a Dio. Parole che talora fermano una discesa nell'orrore e nel delitto. Parole che talora traggono dall'abisso uno spirito e lo rimettono sulla via di Dio.
   Non occorrono molte parole. Talora nessuna. Vedersi: uno sguardo. I vostri occhi guardano in modo che non è più terreno. Guardate, ma non voi; Cristo guarda attraverso voi. Vedete: ma non vedete l'uomo che vi è di fronte. La sua anima vedete con la vostra anima. È per questo guardare con l'anima, dopo che avete empito il vostro sguardo di luce celeste, che non guardate al modo di tutti. Ascoltate i racconti altrui e molte volte tacete. Ma mentre le vostre labbra tacciono, la vostra anima ama. E amando carezza e conforta l'anima inasprita, malata, irata, che parla a voi. Parlate anche, qualche volta, e dite parole banali ad ascoltatori banali, ai quali volete tenere celato il vostro segreto. Ma come nota di canto che dentro per dentro1 sfugge da una sala serrata, ed empie la via di dolcezza, e la raccoglie il povero e se ne consola, così, dentro per dentro, una gemma spirituale cade dalle vostre labbra: scintilla sfuggita al Fuoco che vi possiede, e chi vi è interlocutore l'accoglie e vi medita sopra, e la sua anima si desta, riflette, decide talvolta.
   Nulla è mai perduto delle opere d'amore. In voi è l'Amore, e perciò tutto è attivo. Sì. Vi sono molti, troppi, che vivono come nemici della Croce di Cristo. La loro fine è la perdizione, il loro Dio è il loro ventre, e la loro gloria la fanno consistere nella loro vergogna, e non pensano che alle cose della terra. È vero. Ma molte volte non sono che anime selvagge, o inselvatichite da un complesso di cose. Non sanno. Non conoscono. Perciò non amano e non distinguono. Le chiese non servono per loro. Cosa sono per loro le chiese? I sacerdoti non servono a loro. Cosa sono per essi i sacerdoti? I Sacramenti sono inutili per loro. Cosa sono per essi i Sacramenti?
   Il selvaggio sa forse cosa è la nave che vede passare davanti alle sue coste, o l'aereo che solca il cielo? Li crede misteriose forme magiche e paurose, capaci di nuocergli, e se può le combatte. Sa forse l'antropofago ciò che è l'uomo che in nome della Croce o della Scienza si avventura nelle sue terre per portarvi una fede, o per studiare i morbi e curarli? Per lui antropofago è la preda che va uccisa per essere mangiata, o per lo meno uccisa come stregone malefico. Sa forse il selvaggio, o anche l'uomo primitivo o ignorante, cosa è il siero che il medico gli vuole inoculare per salvarlo da certa pestilenza? Per lui è veleno, vendetta dell'uomo bianco sulle razze inferiori e, fra bianchi di paesi civili, è mezzo usato dai governanti per sopprimere i più meschini. Quanti medici non sono morti linciati dal furore della paura dei selvaggi e degli ignoranti?
   Non fatevi perciò stupore se i selvaggi spirituali, abitanti fra voi, temono e odiano, sfuggono o si avventano su quanto è dello spirito e della Chiesa, e vivono nella loro ignoranza bruta. Sono infelici. Non vanno alle fiumane spirituali. Le vedono, perché sono vistose, e le sfuggono. Ma chi evita di bere ad un fresco zampillo che esce da un fianco di monte? Pare così umile, così privo di potere miracoloso. Non c'è sospetto e prevenzione contro di esso. E si beve della sua freschezza. E la Grazia entra così, inavvertita, là dove in nessun altro modo sarebbe entrata.
   Molti, che erano nemici della croce e vivevano per il ventre e per le cose della Terra, cessano di esserlo per le segrete operazioni dei segreti missionari del mondo civile che siete voi, strumenti di Dio.
   Anche molti vi odiano: quelli in cui Satana regna e vi odia da essi. Ma non ve ne curate, non abbiate paura di essi. Ditevi: "Noi siamo cittadini del Cielo dal quale ci viene il Cristo che trasforma il corpo della nostra umiliazione in luce che non si spegnerà". E state saldi nel vostro lavoro.
   Se anche non troverete chi vi porge la mano fra i sacerdoti di Cristo, così come Paolo esorta il fedele compagno e i suoi Filippesi a fare con Sintica ed Evodia, state salde, pensando che i vostri nomi sono scritti nel libro della vita, perché vivete, lavorate, soffrite e morite per la gloria di Dio e la conoscenza del Vangelo.
   Gloria al Padre, al Figlio, allo Spirito Santo».

   
   1 dentro per dentro, espressione anche ripetuta poco più sotto, è un modo di dire già spiegato in nota 57.